Pagina culturale del quartiere di Piscinola e del territorio a nord di Napoli. "Se vuoi essere universale, parla della tua terra...".
sabato 11 ottobre 2014
sabato 4 ottobre 2014
Quando Capodichino perse l'Accademia dei Geni Avieri Ufficiali!
Tornei Ippici al Campo di Marte, disegni da riviste |
Con l'avvento delle prime esplorazioni in mongolfiera, a partire dalla metà dell'ottocento, divenne il campo dove avvenivano le cerimonie di partenza dei temerari piloti, che usavano questi mezzi considerati avveneristici per quell'epoca; addirittura si esibì anche una donna pilota di origini parigine, tale Marie Madaleine Blanchard. Ma su Campo di Marte ritorneremo presto con un altro racconto...
Qualche decennio dopo, siamo nel 1910-14, fu la volta degli aeroplani, anche se ancora nella fase sperimentale... Qui fu realizzato il primo aeroscalo militare cittadino, organizzato dall'Aviazione dell'Esercito, ovviamente avente dimensioni molto contenute rispetto alla struttura odierna che, come è noto, è stato intitolato a Ugo Niutta, pilota sottotenente napoletano, caduto in missione nel 1916 e insignito della medaglia d'oro.
Facciata e ingresso principale dell'Accademia di Capodichino |
Foto di gruppo di pionieri del volo, anni '10 |
Anni dopo, a Capodichino, furono realizzati anche degli apposti hangar per ricoverare alcuni dirigibili dell'aviazione.
Nel 1925, con la fondazione della Regia Aeronautica Militare, il vecchio Campo di Marte fu interamente destinato a essere l'aeroscalo militare napoletano, che fu organizzato secondo tecniche e con strutture avveneristiche per l'epoca.
Le autorità visitano i nuovi hangar di Capodichino |
Intanto si iniziò a parlare della necessità di realizzare una nuova e prestigiosa sede per l'Accademia Aeronautica, per formare ufficiali e sottoufficiali. La decisione finale destinò Napoli a esserne la novella sede, con l'ubicazione stabilita su un'area a lato all'aeroporto di Capodichino.
La prima pietra dell'edificio dell'Accademia fu posata il 28 giugno del 1925; a rappresentare il governo italiano fu il sottosegretario all'areonautica gen. Borzani. Si registrò per l'occasione la presenza delle più importanti autorità del tempo; la cerimonia ebbe la benedizione del vescovo D'Alessio.
Foto della cerimonia di posa della prima pietra, anno 1925 |
I numeri della struttura progettata erano notevoli... per descrivere l'edificio prenderò in prestito l'articolo pubblicato su "Il Mezzogiorno" del 26-27 giugno 1925:
I vari fabbricati della R. Accademia Aeronautica sorgeranno su una zona di terreno di circa 300 x 350 m di superficie e saranno:
a) Accademia propriamente detta,
b) Una palazzina per l'alloggio del Comandante della R. Accademia,
c) Una palazzina per l'alloggio degli ufficiali istruttori
d) L'infermeria con annesso padiglione per isolamento
e) Una casermetta per gli avieri comandati in servizio presso l'Accademia
f) Scuderia e garage
g) Servizio di guardia
h) Alloggio per il guardiano
Detta zona di terreno trovasi nella strada comunale Capodichino-Poggioreale che confina con il campo d'aviazione di Capodichino e con il deposito della Società delle tramvie provinciali Napoli Aversa [...]
|
-150 allievi (accademia - 3 corsi)
-100 aspiranti (integrazione - 2 corsi)
-25 ufficiali (scuola di perfezionamento - 1 corso).
Inoltre lo stesso edificio sarebbe stato in grado di ospitare almeno 120 ufficiali partecipanti ai "corsi superiori" di un anno, che non prevedevano l'alloggio per gli allievi, ma solo l'utilizzo delle aule didattiche e della mensa.
Inoltre lo stesso edificio sarebbe stato in grado di ospitare almeno 120 ufficiali partecipanti ai "corsi superiori" di un anno, che non prevedevano l'alloggio per gli allievi, ma solo l'utilizzo delle aule didattiche e della mensa.
Ingresso su piazza Capodichino (ancora esistente) |
La distribuzione degli ambienti, così come pensata, doveva essere pressappoco questa:
Piano terra rialzato: sala d'aspetto, parlatorio per gli allievi, sala convegni,, mensa biblioteca e sala scrittura per gli ufficiali, la cappella, due locali per la visita medica, quattro sale per la ricreazione, reparto alloggi sottoufficiali, un refettorio per allievi, sala per la radiotelegrafia, radiotelefonia e segnalazioni; l'armeria, il museo, gli uffici del comando e altri ambienti.
Scalone centrale dell'Accademia di Capodichino |
Piano secondo: aule di studio, magazzini, le camere da letto degli ufficiali e sottoufficiali di sorveglianza, i dormitori di 150 allievi, gli alloggi degli ufficiali addetti all'Accademia e altri locali.
Piano seminterrato: celle di punizione, cucina per gli allievi, officina e sala motori, palestra, scherma, stireria e deposito biancheria pulita.
Esercitazioni militari nel cortile interno all'Accademia |
La costruzione del bel edificio, con la facciata in stile neoclassico, andò per le lunghe e superò le più rosee aspettative, perdurando fino al 1929. L'edificio di Capodichino fu progettato da Armando Brasini, nato a Roma nel 1880, che ebbe a sviluppare in Italia altri importanti progetti di caserme.
Sulla facciata si aprivano tre portoni di ingresso, dai quali si poteva accedere a un vasto androne.
Durante il perdurare della costruzione dell'edificio di Capodichino, i corsi di ufficiali e sottoufficiali si tenevano ancora nella sede dell'Accademia di Livorno, dove la situazione iniziò a diventare insostenibile, perché negli stessi locali dell'Accademia livornese erano tenuti sia i corsi per allievi ufficiali della Marina e sia per quelli dell'Aeronautica.
Nell'anno accademico 1927-28 la sede dei corsi per ufficiali e sottufficiali della Regia Areonautica, fu spostata a Caserta: si disse provvisoriamente... (sic!), per consentire il completamento di Capodichino.
Foto di gruppo di avieri sottoufficiali, anno 1935 |
Napoli e Capodichino ebbero quindi la magra consolazione, a partire dal 1929, di ospitare la scuola di radioelettricisti. Dal 1930 l'insediamento assunse poi la denominazione di "Distaccamento della Scuola Specialisti Arma Aeronautica di Capua".
La struttura di Capodichino iniziò di lì in poi ad ospitare i corsi di allievi specialisti dell'Aeronautica, garantendo la capienza fino a 275 allievi, per ciascun anno accademico.
Parata militare di avieri davanti all'ingresso principale dell'Accademia |
Quello che si vede oggi, osservando il lato d'ingresso dell'aeroporto militare, sul corso gen. Umberto Maddalena, rappresenta la parte centrale della antica facciata e quindi della struttura che si è riuscita a recuperare, mentre sulle parti demolite, altri edifici sono stati costruiti nel tempo, senza rispettare però i caratteri architettonici originari.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
Foto dell'Aviere Sottotenente U. Niutta, medaglia d'oro |
Dipinto di F. P. Diodato, "Il campo di Marte" nel 1895 |
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.
sabato 27 settembre 2014
Quando la bionda nasceva in collina...a Miano!
Veduta dall'alto dello stabilimento, con panoramica sull'abitato di Miano |
Napoli vanta un'antica tradizione nella produzione della birra: è stata un importante centro di produzione della famosa "bionda", forse tra i più antichi d'Italia...
Inizialmente gli impianti esistenti erano di dimensioni modeste e limitati ad alcuni monasteri e piccole imprese a conduzione familiare, anche per la difficoltà di creare e conservare il "freddo", importantissimo per la produzione della birra su scala industriale.
Corso A. Di Savoia con a lato il muro del vecchio stabilimento |
Lo stabilimento napoletano era avveneristico per l'epoca, perché dotato di ampi e moderni locali e capannoni, impianti di produzione e di imbottigliamento a ciclo continuo e ben quattro pozzi di notevoli profondità, che lo rendevano autonomo per il fabbisogno di acqua. In ricordo del fondatore, Franco Peroni, nei giardini del bel parco interno allo stabilimento fu realizzata una bella fontana artistica.
Stabilimento di Miano in costruzione, vasca di fermentazione |
Edificio con le vasche di fermentazione della birra |
Gli anni ‘70-’80 registrarono la crescita delle esportazioni e l'affermazione della birra italiana sui mercati esteri, fino a raggiungere gli Stati Uniti d'America.
Nell'ultimo ventennio del secolo scorso lo scenario europeo e mondiale è cambiato notevolmente a causa del mercato globale, che impone sostenute forme di concorrenza, specie con i nascenti mercati asiatici...
Nel 1984, per reggere il passo, furono chiusi diversi depositi e stabilimenti italiani della Peroni, come quello di Livorno, mentre la produzione restava concentrata solo negli stabilimenti di Roma, Napoli, Bari e Padova.
Reparto di imbottigliamento di Miano, foto anni '60 |
Arriva, infine, il tempo delle "multinazionali" anche nel campo della produzione
birraia in Italia...! Nel 2003, l'ultima discendente della famiglia Peroni vende la maggioranza delle azioni a una
multinazionale sudafricana.
Nel 2005 chiude lo stabilimento di Miano, giudicato dai dirigenti poco strategico per gli obiettivi industriali e commerciali del nascente gruppo.
Nel 2005 chiude lo stabilimento di Miano, giudicato dai dirigenti poco strategico per gli obiettivi industriali e commerciali del nascente gruppo.
Veduta dall'alto dello stabilimento di Miano |
A distanza di tempo, l'area dell'ex fabbrica di Miano attende la conclusione dell'intervento di ristrutturazione urbanistica, allo stato messo in cantiere, che prevede la realizzazione di un albergo, di civili abitazioni, di un centro commerciale, di una scuola, di una palestra e di un parco pubblico.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
Cartoline d'epoca con la vedute dall'alto dello stabilimento e di Miano |
domenica 21 settembre 2014
Il brigante partigiano, Alfonso Cerullo....
La storia, come è noto, la scrivono i vincitori e così molti combattenti e partigiani, pur avendo sacrificato la loro vita o pagato un alto prezzo per il loro sacrificio, sono oggi ignorati e lasciati nell'oblio del dimenticatoio, solo perché hanno combattuto dalla parte sbagliata...
In questo post desidero ricordare il partigiano Alfonso Cerullo e tanti altri combattenti, che perseguirono il loro ideale patriottico, quando il re Francesco II di Borbone si arrese all'esercito piemontese e riparò nella vicina città di Roma.
Anche Alfonso Cerullo, che fu caporale della gendarmeria dell'esercito borbonico, con stanziamento negli Abruzzi, preferì essere fedele fino in fondo al suo Re, piuttosto che subire le condizioni di una resa disonorevole, imposte da parte dell'invasore piemontese o, peggio ancora, combattere per un diverso ideale, non sentito proprio.
Disegno di brigante con famiglia |
Anche Alfonso Cerullo, che fu caporale della gendarmeria dell'esercito borbonico, con stanziamento negli Abruzzi, preferì essere fedele fino in fondo al suo Re, piuttosto che subire le condizioni di una resa disonorevole, imposte da parte dell'invasore piemontese o, peggio ancora, combattere per un diverso ideale, non sentito proprio.
Alfonso Cerullo era nato nella vicina cittadina di Marano di Napoli, nell'anno 1837. Della sua infanzia e giovinezza sappiamo purtroppo ben poco; quando si disputava l'ultima battaglia a Gaeta, contro l'esercito piemontese, aveva soli 23 anni. Dopo la disfatta di Gaeta, avvenuta il 13 febbraio 1861, si rifugiò dapprima a Roma e poi fece ritorno nella sua cittadina natale, trovando rifugio nella Masseria del Castagneto, luogo ove lavorava il suo caro padre.
Intanto, firmata la resa, l’esercito borbonico si sciolse. Molti soldati furono imprigionati o deportati su tutto il territorio nazionale o addirittura
segregati nei lager sabaudi, come in quello famoso di Fenestrelle: si dice che qui furono
massacrati molti prigionieri per evitare una possibile ricostituzione dell'esercito avversario...
Erano anche molti coloro che fuggendo o dandosi alla macchia, cercavano di trovare un punto di riferimento, ma rimasero dei poveri sbandati, tentando solo di ritornare alle proprie case.
In quei mesi tanti ex soldati filo-borbonici o semplici simpatizzanti alla corona, cercarono di riunirsi in bande da essi organizzate alla meglio. Questi ex soldati, giurando fedeltà incondizionata alla reale casa borbonica, sfidavano la gendarmeria piemontese, riparando nelle masserie in cerca di cibo e di vettovaglie. Poi assalivano i presidi militati nei Casali, per eliminare i simboli del "nuovo conquistatore". In tanti erano coloro che finanziavano questi gruppi di rivoltosi, che potremmo chiamare "partigiani", passati invece alla storia con l'infame nome di "briganti".
I luoghi di rifugio preferiti dai rivoltosi erano senz’altro i boschi, visto che la conformazione del territorio di allora lo permetteva tranquillamente: dai Camaldoli al Lago Patria, da Piscinola a Chiaiano e a Marano, le bande di briganti agivano attraversando chilometri e chilometri di selve e poderi agricoli, riparandosi la notte tra i ruderi di masserie abbandonate o pagliai. Anche nelle grotte della Selva di Chiaiano c'erano molti loro nascondigli, tant'è che ancora oggi una di queste grotte è chiamata Grotta del Brigante.
Visto il crescente numero di bande, Vittorio Emanuele ordinò al generale Cialdini una massiccia loro repressione. La caccia ai cosiddetti briganti fu
spietata, il governo piemontese mise in campo circa cinquemila uomini per
stanarli, oltre alle forze locali e ai Carabinieri, che nel 1861 furono stanziati
nei Comuni del Circondario di Napoli e dintorni.
Alfonso Cerullo riuscì, in un primo momento, a fuggire a un tentativo di accerchiamento da parte dei piemontesi, che erano giunti sulle sue tracce, a causa di una vile soffiata di suoi conoscenti. Si rifugiò, quindi, nelle campagne tra Chiaiano e Marianella, dandosi alla macchia nei boschi e nei castagneti della Selva.
Insieme ad altri reduci del deposto esercito borbonico, organizzò, poi, una piccola banda di partigiani, che era tra l'altro sostenuta dai proprietari di alcuni fondi e dai contadini del posto, i quali rifornivano il gruppo di vettovaglie e di viveri necessari. Alfonso venne, dopo poco, eletto capobanda, per la padronanza che dimostrava nella scrittura, nel leggere e anche nell'organizzare azioni di guerriglia.
Si narra che una grande bandiera bianca con lo stemma borbonico, confezionata dalle abili mani di alcune tessitrici di Mugnano, fu consegnata al maranese mentre si trovava a passare in detto Casale e che il vessillo fu innalzato su di un
alto albero nel bosco della collina dell’Eremo dei Camaldoli, risultante visibile da molti paesi
sottostanti.
Con il passare di poco tempo la banda del Cerullo divenne alquanto numerosa, per l'aggregarsi di altri sbandati, compiendo numerose scorrerie e saccheggi e raggiungendo le postazioni della Guardia Nazionale. Il gruppo rastrellava fucili e munizioni, abbatteva gli stemmi sabaudi sulle caserme e distruggeva i ritratti dei nuovi sovrani conquistatori.
Ma in quel periodo erano numerose le bande di briganti operanti nell'intero comprensorio a nord di Napoli, in particolare a Mugnano, a Marano, a Marianella, a Polvica e nella stressa Piscinola. In una testimonianza rinvenuta nella pubblicazione: "Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato", Volume 1 dell'anno 1863, si legge: "La sottopretura di Casoria fa presente la necessità di istituire in Piscinola una stazione di Carabinieri contro il pericolo rappresentato da una banda di Briganti in via di organizzazione".
Stanco delle solite rappresaglie e saccheggi e forse deluso del mancato ritorno del Monarca borbonico, Cerullo si dimise da capobanda e ritornò a vagare da solo nei boschi di Marano; poi ebbe modo di rifugiarsi in un piccolo locale messo a disposizione della sorella. Consigliato da alcuni falsi amici a non rimanere in quel luogo, perché esponeva anche la famiglia alle rappresaglie dei soldati, meditò di fuggire per Roma.
Il giorno 26 novembre del 1864 un certo Lucchesi Michele, presentatosi presso la Questura di Napoli, informò i militari di come e dove potevano rintracciare il ricercato. Infatti lo arrestarono al posto di Dogana, sulla strada Santa Maria a Cubito, nella località del Frullone (nei pressi della Taverna del Portone) e fu rinchiuso in Castel Capuano. Sottoposto a perquisizione, gli trovano addosso un fucile, una pistola, le munizioni e un coltello da caccia.
Disegno di brigante |
Erano anche molti coloro che fuggendo o dandosi alla macchia, cercavano di trovare un punto di riferimento, ma rimasero dei poveri sbandati, tentando solo di ritornare alle proprie case.
In quei mesi tanti ex soldati filo-borbonici o semplici simpatizzanti alla corona, cercarono di riunirsi in bande da essi organizzate alla meglio. Questi ex soldati, giurando fedeltà incondizionata alla reale casa borbonica, sfidavano la gendarmeria piemontese, riparando nelle masserie in cerca di cibo e di vettovaglie. Poi assalivano i presidi militati nei Casali, per eliminare i simboli del "nuovo conquistatore". In tanti erano coloro che finanziavano questi gruppi di rivoltosi, che potremmo chiamare "partigiani", passati invece alla storia con l'infame nome di "briganti".
I luoghi di rifugio preferiti dai rivoltosi erano senz’altro i boschi, visto che la conformazione del territorio di allora lo permetteva tranquillamente: dai Camaldoli al Lago Patria, da Piscinola a Chiaiano e a Marano, le bande di briganti agivano attraversando chilometri e chilometri di selve e poderi agricoli, riparandosi la notte tra i ruderi di masserie abbandonate o pagliai. Anche nelle grotte della Selva di Chiaiano c'erano molti loro nascondigli, tant'è che ancora oggi una di queste grotte è chiamata Grotta del Brigante.
Foto di donna brigantessa |
Alfonso Cerullo riuscì, in un primo momento, a fuggire a un tentativo di accerchiamento da parte dei piemontesi, che erano giunti sulle sue tracce, a causa di una vile soffiata di suoi conoscenti. Si rifugiò, quindi, nelle campagne tra Chiaiano e Marianella, dandosi alla macchia nei boschi e nei castagneti della Selva.
Insieme ad altri reduci del deposto esercito borbonico, organizzò, poi, una piccola banda di partigiani, che era tra l'altro sostenuta dai proprietari di alcuni fondi e dai contadini del posto, i quali rifornivano il gruppo di vettovaglie e di viveri necessari. Alfonso venne, dopo poco, eletto capobanda, per la padronanza che dimostrava nella scrittura, nel leggere e anche nell'organizzare azioni di guerriglia.
Foto di brigante |
Con il passare di poco tempo la banda del Cerullo divenne alquanto numerosa, per l'aggregarsi di altri sbandati, compiendo numerose scorrerie e saccheggi e raggiungendo le postazioni della Guardia Nazionale. Il gruppo rastrellava fucili e munizioni, abbatteva gli stemmi sabaudi sulle caserme e distruggeva i ritratti dei nuovi sovrani conquistatori.
Ma in quel periodo erano numerose le bande di briganti operanti nell'intero comprensorio a nord di Napoli, in particolare a Mugnano, a Marano, a Marianella, a Polvica e nella stressa Piscinola. In una testimonianza rinvenuta nella pubblicazione: "Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli Archivi di Stato", Volume 1 dell'anno 1863, si legge: "La sottopretura di Casoria fa presente la necessità di istituire in Piscinola una stazione di Carabinieri contro il pericolo rappresentato da una banda di Briganti in via di organizzazione".
La situazione divenne presto preoccupante e i piemontesi istituirono dei presidi con guarnigioni del corpo dei Regi Carabinieri, già trasformati in Arma nell'anno 1861.
Ci furono molte operazioni di rastrellamento nella zona a nord di Napoli e principalmente tra Marano e Chiaiano, dove interi reparti di soldati della Guardia Nazionale, dei Carabinieri e dei Bersaglieri operarono in maniera coordinata.Foto di brigante |
Alla Banda del Cerullo furono attributi dai piemontesi diverse rappresaglie, con uccisione di alcuni soldati del neo costituito esercito sabaudo, come a Qualiano e a Giugliano, nel 1863. Accuse che Cerullo e compagni respinsero sempre energicamente.
C'è da ricordare che questi combattenti era incoraggiati a proseguire il loro operato patriottico da molti sostenitori del deposto Regno, tra i quali un certo Macedonio Di
Maria, che fu sarto in Marano. Questo sostenitore riforniva gli insurrezionisti di armi e di vettovaglie. In molti erano anche coloro che esortavano i
rivoltosi a resistere per l'ormai imminente ritorno di Francesco II sul trono di Napoli.
La compagnia di cui aveva il comando il Cerullo in breve tempo fu
composta da circa cinquanta persone: tra i quali una decina provenienti da Mugnano, alcuni da
Villaricca, altri da Giugliano, da Napoli e un significativo numero originario di Marano. Stanco delle solite rappresaglie e saccheggi e forse deluso del mancato ritorno del Monarca borbonico, Cerullo si dimise da capobanda e ritornò a vagare da solo nei boschi di Marano; poi ebbe modo di rifugiarsi in un piccolo locale messo a disposizione della sorella. Consigliato da alcuni falsi amici a non rimanere in quel luogo, perché esponeva anche la famiglia alle rappresaglie dei soldati, meditò di fuggire per Roma.
Il giorno 26 novembre del 1864 un certo Lucchesi Michele, presentatosi presso la Questura di Napoli, informò i militari di come e dove potevano rintracciare il ricercato. Infatti lo arrestarono al posto di Dogana, sulla strada Santa Maria a Cubito, nella località del Frullone (nei pressi della Taverna del Portone) e fu rinchiuso in Castel Capuano. Sottoposto a perquisizione, gli trovano addosso un fucile, una pistola, le munizioni e un coltello da caccia.
Disegno di brigante |
Alfonso Cerullo, dopo aver scontato una pena di 25 anni di prigione, morì a Marano il 29 marzo del 1890, all’età di 53 anni.
Alla Sua memoria, come ad altri combattenti, non è stato dedicato nessun monumento o epigrafe civica.
Salvatore Fioretto
La Grotta del Brigante nella Selva di Chiaiano |
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.
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