sabato 26 maggio 2018

La rivoluzione di Masaniello del 1647: i Casali a Nord di Napoli partecipano alla rivolta!



Come tutti i Casali posti a nord di Napoli, anche quelli di Piscinola, Miano, Marianella e Chiaiano parteciparono attivamente agli avvenimenti del 1647, che, come si sa, sfociarono in Città e nel Regno nei famosi moti di Masaniello. Molte testimonianze storiche di quegli avvenimenti, purtroppo tragici per la storia di Napoli, sono contenute nelle cronache scritte da Innocenzo Fuidoro: “Successi historici raccolti dalla sollevazione di Napoli dell’anno 1647”.  Oltre agli episodi descritti dal Fuidoro, riporteremo, al termine del post, anche tre testimonianze contenute nel "Diario di Francesco Capocelatro".
Tomaso Aniello di Amalfi, detto Masaniello
Durante i moti: […] Questa sollevazione fu così grave che tutta la città et casali si ridussero all’arme et correvano al suon delle campane della città che suonava all’arme nel campanile di S. Lorenzo: e non si vedevano altro […]. Un altro testo riporta: […] Vennero a soccorso di Napoli le genti de’ casali di Miano, Piscinola, casali di Napoli, Marano, et altri sopra narrati […].
Dopo la proclamazione di Masaniello a “Capitano del popolo”, i Sedili, le Borgate ed i Casali di Napoli si recarono a rendergli atto di obbedienza, ognuno attraverso un gran numero di popolani, armati fino al collo: […] Vennero quelli dell’Arenella, Treporte, Vomero ed Antignano, tutti armati a dar obbedienza a Masaniello, similmente con tamburri et insegne et ordinò li capitani loro a detti quartieri e fecero mastro di campo D. Francesco Catrocucco, di nascita nobile et imparentato con nobili di Seggio, vituperato da tutti per questa attione d’intricarsi con il popolo. Seguitò il Casale di Marano, Mugnano, Piscinola, Mariglianella (Marianella), Panicocolo, Calvizzano e tutti l’altri Casali a prestare obedienza a Masaniello. Però il Casale di Marano destò molta meraviglia per essere entrato in Napoli con più di cinquecento huommini armati, con un’altra compagnia di donne armate rusticamente, come di bastoni, ronghe e spade nude, ancorchè alcune di esse portavano le scoppette con li micci allummati, alcun’altre con le scoppette a fucili et con gridi del “Viva il Re di Spagna e mora il mal governo!”.

Seguirono aspre giornate di rappresaglie e saccheggi, sia in Città che nei Casali viciniori, durante le quali il popolo, aizzato e infuriato, si accaniva in maniera incontrollata su persone e cose, a volte solo per sospetto o per sentito dire. Particolarmente toccante è la descrizione dell’uccisione di Giovanni Serio Sanfelice, signore di Acquavella, Governatore dell’”Arrendamento della portolania”: perseguitato, decapitato e poi vilipeso, nell’agosto 1647, solo perché suo figlio, Luccio, a Porta Capuana, aveva improvvidamente espresso ad alcuni popolani le sue considerazioni, un po’ pesanti, contro la qualità e la grossezza del pane.

"La sera dello stesso martedì, andandosene ad Aversa, D. Luccio Sanfelice, capitano di cavalli, figlio di D. Giovanni Serio, dopo essere dimorato tutto il giorno con la compagnia in guardia di Pizzofalcone, e del Largo di Palazzo, quando fu alla Chiesa di S. Lorenzo, e per la Vicaria,, e per porta Capuana, favellò con poco avvedimento, contro un Giovanni cappellano suo familiare, che custodiva l'artiglieria, e contro alcuni altri popolari, minacciandoli aspramente sopra la qualità e grossezza del pane. La qual cosa da loro intesa, se gli avventarono addosso all'uscir fuori porta Capuana ed avendogli uno zingaro tratta una lanciata, mancò poco ad ucciderlo, il che al sicuro gli avveniva, se dando gli sproni al cavallo, non si fosse con la fuga salvato".
Fuggito Luccio, il popolo riversò la sua furia contro il padre D. Gianserio Sanfelice, già da questo odiato per aver applicato la gabella sul pane nel Sedile Montagna: GianSerio fu catturato nel Casale di Capodimonte, in zona detta La Canocchia, mentre cercava di fuggire dalla città e fu decapitato senza pietà. Il corpo fu legato a un piede e trascinato per tutte le strade principali di Napoli, mentre la testa, appesa a una "forcina", fu esposta fino alla Canocchia. Per quanto riguarda il povero Luccio, fu giudicato "reo di morte", mentre il Viceré assegnò una taglia sulla sua testa, di ben 4000 ducati...
Dall‘opera di Fuidoro, si traggono altre preziose testimonianze sulle ritorsioni eseguite dagli abitanti nei confronti di alcuni beni posseduti da altri membri della famiglia del Sanfelice, a Polvica e a Piscinola:
[…] “Quelli del Casale di Polvica et Piscinola decidere persecuzione alli Sanfelici parenti di Giovanni Serio, dove tengono alcune possessioni, ma quelli salvatisi con perdita delle suppellettili, saccheggiate da quei villani et portate nel Mercato per farne approfittare la plebe di quel loco“ […].
La narrazione del Fuidoro continua anche dopo la morte di Masaniello, quando il nobile francese Enrico di Lorena, duca di Guisa, appoggiato da alcuni rivoltosi, cercò di approfittare del caos post-rivoluzionario, per conquistare il traballante potere, ancora in mano spagnola: […] Il Guisa la sera del 13 dicembre (del 1647) partì per Giugliano alle frontiere d’Aversa, città e piazze d’armi delli Baroni. Fu ricevuto con giubilo universale dè giuglianesi e con rustiche dimostrazioni d’allegrezza da quei armigeri villani “Viva Sua Altezza, viva il duca di Ghisa!”.
Enrico II di Lorena, duca di Guisa
Con queste voci d’applauso intonavano l’orecchie di esso duca e l’aria; dalle contadine fu buttato grano per le finestre al suo ingresso per dove passava e tutta la gente di quel Casale cresciuto con armi per naturalezza, si ritrovarono pronti al servizio per il Ghisa che gradì assai la dimostrazione del suo ricevimento e ne giubilorno assai altri casali e terre convicine a Giugliano, e sino <alle donne> concorsero a darli obbedienza, mosse dall’esempio di una compagnia del Casale di Marano frapponendosi alla tedesca tra le squadre armate come furono quelle di Mugnano, Carvizzano, Piscinola, Marianella, Panicocolo ed altri che si erano dichiarati per il popolo. Fece suo auditor generale sopra tutta la militia il dottor Bernardo Spirito et auditore del Terzo, con titulo di fiscale del detto auditore, il dottore Antonio Stoppa (figlio di un poverissimo orefice) che viveva nelli regi tribunali esercitando la procura, quali accettarono con molto gusto loro la carica conferitali […].

Dal libro "Diaro di Francesco Capocelatro, contenente la storia delle cose avvenute nel reame di Napoli negli anni 1647-1650", di F. Capocelatro e A. Granito, riportiamo:
Episodio del salvataggio del duca di Maddaloni, grazie all'aiuto ricevuto da un medico del Casale di Chiaiano, il 10 luglio 1647: 
"[...] Ora il duca di Maddaloni la notte del vegnente mercordì, 10 luglio, con intendimento del Perrone e del Grasso via si fuggì scampando dal pericolo della morte vicina quasi che miracolosamente, attribuendolo alla devozione, che egli aveva alle anime del Purgatorio, alle quali fin che era stato fanciullo, aveva in loro suffragio fatto dire molte messe al giorno. Salvossi fuggendo a piedi sino al casale di Chiajano nei tenimenti di Capodimonte: ivi avuto una giumenta da un medico, che a caso incontrò, coll'aiuto di alcuni suoi famigliari, che seco erano, montando sopra essa passò a Cardito e di là, per opera di Mario Loffredo, principe del luogo, alla Torella [...]".
….
Micco Spadaro, uccisione di D. Domenico Carafa
La cattura a Miano dell'Eletto del Seggio di Montagna, Cesare Sanfelice, avvenuta mercoledì, 10 agosto 1647:
"[...] Fu lo stesso Mercordì dalli uomini del Casale di Miano fatto prigione Cesare Sanfelice Eletto del Seggio Montagna, congiunto in stretto parentado col morto D. Giovanni Serio; il quale fuggendo da coloro che il presero, avvisato del loro male animo, si era ascoso entro un campo di grano d'India, ma conosciuto da alcune donne, quasi costellazione fatale agli uomini di tale legnaggio di essere in cotale guisa imprigionato, fu da loro sostenuto. E correndovi poi altri uomini allo strepito che lo ferono le donne, fu da loro condotto in Napoli, con gran rischio di perdervi la vita, lo che senza fallo gli avveniva, perché era da quei paesani fieramente odiato, se un capitano dei popolari che andò a torlo di là, ed aveva avuto 100 ducati da una sorella di Cesare per camparlo dalla morte, non lo avesse con ogni possibil diligenza difeso e custodito".
Portato quindi don Cesare dinnanzi al Toraldo, cominciarono i Popolari a chiedere la morte, ma D. Francesco che voleva invece salvarlo lo mandò in prigione in Vicaria ordinando che gli facesse un processo e se per falli lo meritasse fosse fatto morire. E tardando i Popolari ad obbedirlo li minacciò che avrebbe inviato contro di loro quelli del Mercato e della Conceria. E così restando prigione Cesare, di lì a poco non se ne parlò più e fu riposto in libertà.
Il giorno dopo i Popolari andarono al Monastero di S. Patrizia e della Sapienza e cominciarono a togliere i mobili di D. Giovanni Serio e di D. Carlo Spinello e li trasportarono al Monastero di S. Lorenzo. Ma poiché facevano le loro cose senza prudenza, in un preseguo di tempo, con poca somma di moneta data in mancia ai Popolari ritornarono questi arredi ai loro padroni. E seguitando irriverentemente i Popolari ad insultare Monasteri di sacre vergini col rompere e violare la clausure, D. Francesco Toraldo fece pubblicare una grida che sotto pena della vita nessuno osasse più entrarvi che se fosse stata necessità si doveva attender licenze dal Pontefice o chi per esso.
..... 
La cattura di filofrancesi a Polvica, il 7 aprile 1648: [...] Furono nello stesso giorno fatto prigioni al casale di Polvica, sedici Francesi e Romani famigliari e palafrenieri di Guisa che cercavano per quella strada passare in Roma o in Abruzzo e con la fuga salvarsi e, sostenuti dagli stessi villani della villa furon condotti al castel Nuovo. Ed essendo rimasti altri cento sessanta alli Bagnoli all'incontro di Nisida, assalita dai Regii, si fecero forti in un luogo rilevato; e fatta tregua con loro che malamente li stringevano, inviarono un di loro per volersi rendersi a patti al Viceré, ma fu ributtato da lui con dirgli che giacchè era colà sotto la parola venuto, il facessero ritornare libero ai compagni, e inviata una galera con altri soldati spagnuoli, comandò che si mandassero tutti a fil di spada, dicendo, che come invasori e bandolieri, e favoreggiatori di rubelli non meritavano cortesia di buona guerra, [...].

Ecco alcuni episodi che riguardano la rivolta di Masaniello, raccontati, una volta tanto, ponendoci dal "lato" degli antichi Casali posti a nord di Napoli: Piscinola, Miano, Marianella, Chiaiano, Capodimonte, Polvica, Mugnano, Calvizzano, Giugliano, Marano ...
Episodi di un periodo storico particolarmente difficile per la città, quando il popolo, esasperato dalla grave oppressione spagnola, fece sentire altamente la sua "voce". La rivolta di Masaniello è giustamente considerata una delle insurrezioni popolari più importanti della storia d'Italia e d'Europa, quando il popolo, napoletano, guidato da un semplice pescivendolo di Amalfi, ebbe la meglio sugli oppressori, gridando "Viva 'o Rre 'e Spagna, mora 'o malgoverno". Purtroppo gli esiti di quella sollevazione non furono benigni per le sorti della città e del Viceregno, e la situazione divenne ancora più incerta e aspra dopo l'uccisione di Masaniello. Si dovettero attendere altri cinquant'anni circa, con l'avvento del Viceregno austriaco e poi con la salita al trono di re Carlo di Borbone, per assistere alla nascita e al fiorire di un grande Regno.
Salvatore Fioretto

Molte delle notizie di questo post sono state tratte dal Libro "Piscinola, la terra del Salvatore, una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, ediz. The Boopen, 2010, con l'implementazione di nuovi aggiornamenti.
 
Domenico Gargiulo (Micco Spadaro), la rivolta di Masaniello in piazza Mercato

domenica 20 maggio 2018

Il pittore del "mare turchino", il maestro Giuseppe Chiarolanza.


Continuando la trattazione degli artisti che sono nati o hanno vissuto nell'Area Nord di Napoli, è la volta del pittore Giuseppe Chiarolanza.
Giuseppe Chiarolanza nacque a Miano, il 17 marzo del 1868. Frequentò, con profitto, l'Istituto di Belle Arti di Napoli, nel quale seguì l'indirizzo e gli insegnamenti ricevuti, dipingendo quadri di genere e paesaggi ariosi.

Fu allievo del celebre maestro, Alfonso Simonetti, del quale seguì le orme, anche lui paesaggista.
In suo onore dipinse "Il pantano di Licola".
Una volta diplomato, seguì il suo percorso artistico, divenendo un apprezzato paesaggista; i suoi quadri divennero celebri per la vivacità e la delicatezza dei colori, ma fu molto abile anche nel ritrarre scorci di boschi, colline con tanti alberi e i vecchi borghi abitati. 
Esordì nel 1880, all'evento pittorico "Promotrice napoletana" con l'opera "Bosco di Capodimonte - Studio dal vero" (opera oggi esposta nelle sale della ex Provincia di Napoli). Già in questo primo "dipinto studio", Chiarolanza mostrò, una tecnica e una libertà di rappresentazione scenica, che verrà da lui confermata nella produzione pittorica successiva, tuttavia sempre più mirata a una crescente attenzione verso la resa del vero. 
I suoi paesaggi, talvolta scorci cittadini, marine, boschi e campagne, apparvero con frequenza fin dalle prime mostre cittadine a cui partecipò, tra le quali si ricordano:
  • 1880, "Promotrice di Napoli";
  • 1884, opera esposta: "Nelle reali delizie di Capodimonte";

  • 1887, opera esposta "Pantano di Licola";
  • 1896, opere esposte: "Bosco di Licata", "Autunno", "Inverno";
  • 1890, partecipa con diverse sue opere alla Mostra del Lavoro, nella quale venne premiato con medaglia d'argento;
  • 1890, partecipa con diverse sue opere alla "Mostra del Lavoro" della Galleria Umberto I a Napoli, dove conseguì una medaglia di bronzo.
Chiarolanza partecipò anche a diverse esposizioni italiane, tra le quali:
  • nel 1883, alla "Mostra Nazionale di Roma", dove presentò "Il pascolo" e "Nel bosco reale di Capodimonte";
  • nel 1898, alla Mostra di Torino, con i quadri "Dintorni di Napoli", "Via di Miano presso Napoli" e "Ponti Rossi".
Nel 1890 fu chiamato a collaborare alla decorazione delle sale del celebre Caffè Gambrinus, insieme a tanti altri artisti celeberrimi, appartenenti alla famosa "Scuola di Posillipo" e altri pittori impressionisti napoletani, tra i quali Pietro Scoppetta (autore delle miniature degli spartiti musicali delle case editrici napoletane, tra cui della Trevers), Luca Postiglione, Attilio Petrella, Vicenzo Volpe,  Gaetano Esposito, Vincenzo Magliaro, Vincenzo Irolli, Alberto Cocco, Giuseppe Casciaro, Edoardo Matania, Giuseppe Alberto Cocco.
Altri artisti che collaborarono, insieme a Chiarolanza, all'opera del Gambribus, furono: Alceste Comprioni, G. Battista De Curtis (autore delle celebri canzoni classiche napoletane), Raffaele Ragione, Aldo Ciarnelli, Salvatore Cozzolino, Giuseppe de Santis, Umberto Albino, Nicola Bondi, Carlo Brancaccio, Vincenzo Capone,Vincenzo Caprile.
Ponti Rossi (Napoli)
Diverse sue opere furono acquistate dalla "Casa reale" dei Savoia ed alcune oggi si trovano esposte nella Pinacoteca del Museo di Capodimonte, nonchè presso diversi collezionisti privati napoletani e non. 
I suoi dipinti ritraggono paesaggi marini ma anche paesaggi agresti e gruppi di popolani ripresi nei borghi più popolari di Napoli. Sicuramente alcuni suoi dipinti sono stati ispirati dalle vedute ammirate a Miano e in altri posti delle colline di Napoli, tra cui quella di Capodimonte.
Le sue numerose opere pittoriche sono esposte nei migliori musei italiani ed europei e sono scambiate oggi nelle più importanti case d'asta di dipinti.

Giuseppe Chiarolanza morì a Napoli, nell'anno 1920. 
Salvatore Fioretto


     





    Particolare del dipinto "Ponti Rossi"