domenica 29 ottobre 2017

Un duello dal Conte di Lucina... Cronaca del 1840...



Il territorio a Nord della città di Napoli, così pure altri suoi sobborghi, venivano utilizzati in passato, dall'aristocrazia e anche dalla borghesia, quale luogo ideale per regolare "i conti personali", ovvero, per farsi giustizia direttamente da soli, attraverso il duello. I duelli erano favoriti, oltre che dall'omertà degli abitanti, anche dalla tranquillità e dalla solitudine dei posti. Anche il Bosco di Capodimonte è stato utilizzato in passato quale sito per regolare i conti delle nascenti organizzazioni malavitose cittadine, che poi prenderanno il nome di "camorra". 
Come è noto in ogni contesto storico e in ogni forma di Diritto, farsi giustizia da soli è stato sempre considerato un reato grave, punibile fino alla pena di morte ma, nonostante questo, nei secoli si è continuato a duellare, addirittura creando un'organizzazione e una procedura consolidata nel tempo, che prevedeva: l'atto di sfida, la scelta delle armi, la designazione e il ruolo dei "secondi", ecc. 
Questo racconto riguarda un duello che ebbe luogo nel tenimento della masseria del Conte di Lucina, situato tra Chiaiano, Piscinola e Mugnano; curioso è lo svolgersi del dibattimento in tribunale e la sentenza di condanna finale.

[…] (*) L'istruzione giuridica offre che nel 3 maggio1840 pervennero in Chiaiano e precisamente nel latifondo del Conte Lucina due carrozze con un certo intervallo tra loro. Dalla prima discesero le due Guardie del Corpo D. Francesco Carrano e D. Carlo d'Avalos Celenza vestiti del soprabito di uniforme e forniti delle rispettive sciable. L’altra sopraggiunta indi a poco portava i signori D. Silvio Duroni e D. Francesco Spinelli di condizione proprietarii. Si annunziarono  al custode del fondo Giovanni Migliozzi come amici del Conte Lucina, soggiungendo che a momenti lo attendevano per comune precedente concerto. Poscia dando ai cocchieri pochi carlini per prender cibo, l’invitarono  a staccare i cavalli dalle vetture. 
Dopo breve trattenimento nel cortile, si avviarono pel viale della masseria ed in tral mentre per una profetica o diabolica ispirazione il custode Giovanni Migliozzi incaricò un colono del fondo, a nome Angelo di Stasio, di seguire detti quattro individui, dovendo egli disimpegnare altri doveri. Di fatti Angelo di Stasio si avviò per dove si erano diretti i quattro giudicabili e camminava (son sue parole) pei solchi dei seminati a grano onde non farli accorgere che li spionava. Arrivati i giudicabili nella parte di basso della masseria si introdussero in un seminato di canapa, le di cui piccole piante erano nate di pochi giorni e quivi si soffermarono. 
I testimone Di Stasio, che li osservava  inosservato, vide che il militare più alto e di volto bruno si levò il soprabito e cappello riponendolo sopra una vite  attaccata ad un grosso pioppo; che praticò lo stesso giovine pingue e colle barbette riunite. E situandosi a prospetto l’un dall’altro sguainarono le sciable e cominciarono a tirarsi colpi da disperati.  Né questo solo vide il testimone, ma ravvisò benanche che l’altro militare si situò dietro il militare combattente e l’altro paesano dietro il paesano che pure si batteva lena, e che entrambi erano forniti di sciable. 
Colto il testimone da timore e sorpresa, corse a dir tutto avviso al guardiano Migliozzi, ma per curiosità volgendosi di tratto in tratto indietro, osservò terminato il combattimento, e tutti intenti a fasciare la mano destra  al paesano ferito. Migliozzi gl’impose di chiudere il portone che mena alla strada di Napoli, e ciò per impedire che le carrozze sortissero, riserbando a sé l’incarico di chiamare la forza urbana di Chiaiano. Angelo Di Stasio chiuse il portone. Migliozzi corse ad avvertire gli Urbani e intanto, Stasio prosegue a raccontare, i gentiluomini giunti al portone e trovandolo chiuso fecero allestire le carrozze si avviarono per una viottola interna che anche conduce alla strada di Napoli. Ma il guardiano Migliozzi era già di ritorno, e facendosi forte dello schioppo che trasportava, impedì che le carrozze passassero: i giudicabili se ne risentirono, ma in tal mentre sopraggiunti gli Urbani, furono condotti avanti al giudice regio di Marano.
Il capo urbano rinvenne nella carrozza dei paesani due scialbe e due fioretti dei quali s'impossessò e furono oggetto di reperto. Ma l'inverosimile perché profetica antiveggenza di Migliozzi, la strenua cura di Stasio ad osservare i fatti altrui, non costituiscono il solo fenomeno di questa causa - paulo majora canamus - Fondo di Lucina è di prospetto a quello di un tal Arciero.
Tre testimoni per nome Vincenzo Taglialatela, Pietro e Francesco Petrillo, dichiarano che trovandosi a guardare il fondo di Arciero per impedire gli uccelli si mangiassero i semi di granone di fresco seminati, si avvidero che venivano per dentro la masseria del Conte di Lucina quattro individui, due vestiti da militari e due da galantuomini, che giunti alla parte solitaria del fondo, due di essi si spogliarono degli abiti situandosi pochi passi di fronte; gli altri due presero posto uno ad un lato e l'altro all'opposto, ed alzando le sciable i due di fronte,  si vedevan queste luccicare al riverbero del sole.
Si vibrarono de' colpi per lo spazio di circa quattro minuti, e di poi vestitisi di bel nuovo ritornarono verso il portone della masseria. In tal modo in un fatto misterioso ed oscuro, perché di sua natura premeditato, questo processo offre lo strano accidente di quattro testimoni di veduta. Poiché Angelo di Stasio avea parlato de' quattro giudicabili per connotati, così l'istruttore del processo per identificare i suddetti fe' procedere ad un atto di affronto, nel quale lo Stasio riconobbe i giudicabili Spinelli e Duroni che allora trovavansi soli in mano della giustizia, essendo latitanti Avalos e Carrano , come appresso sarà chiarito. Nell'atto di affronto Stasio depose che l'imputato Spinelli era appunto quello che si batteva col militare, e l'altro Duroni con sciabla sguainata era spettatore del duello.
Chiuse il suo racconto con queste ultime parole che da quel momento non più gli avea veduti. Questo atto di  ricognizione fu ripetuto col custode Giovanni Migliozzi, e coi testimoni Vincenzo Taglialatela. Pietro e Francesco Petrillo; ma il Migliozzi dichiarò di non poter riconoscere i due imputati, poiché li vide per poco quando erano in carrozza ravvolti ne' propri tabarri, e gli altri testimoni Taglialatela, Pietro, e Francesco Petrillo protestarono che dal luogo in cui erano, distante circa due tiri di fucile a pallini dal sito in cui accadde il combattimento, essi non avevan potuto distinguere la fisionomia de' giudicabili. Avendo Angelo di Stasio indicato il luogo ove dicesi avvenuto il duello, fu diligentemente sottoposto a perizia, dalla quale risulta "Che in un seminato di canape sotto di un gran pioppo a forca con grossa vite appoggiata si  osservava un calpestio di piedi d'uomo della lunghezza di palmi 12 di terreno, ed il canape tutto schiacciato in linea retta da Oriente ad Occidente. Per lo che i periti eran di avviso che indubitatamente in quel sito vi erano state delle persone, le quali appositamente coi loro piedi avevano calpestato il detto seminato di canapa, non già di passaggio, ma continuamente. Le armi sorprese furono secondo le norme del rito periziate, ed è utile il trascrivere le osservazioni degli esperti. Le dette armi vengono chiamate sciable; esse sono la di giusta misura e fattezza e propriamente quelle di cavalleria: che le stesse hanno l'impugnatura di ottone: la loro lunghezza è di palmi 4 compreso il manico: i foderi sono di acciajo con l'imboccatura una di ottone e l'altra di acciajo. 
Le lame sono curve e si vedono di fresco sgranati i tagli dai colpi vibrati da esse, come altresì ad una vi sono dello incisioni ricevute da istrumento tagliente. All'impugnatura di esse vi si osservano due colpi ricevuti da strumento tagliente, uno situato al primo cordone della guardia, e l'altro alla spoletta della impugnatura che copre il fodero. Al fodero vi si osservano diverse macchie di sangue. Per cui siamo di parere che la dette armi abbiano sofferto dei colpi vicendevoli e sieno state adoperata in qualche duello o rissa. I due fioretti poi sono della lunghezza di palmi quattro. Alla punta di essi non vi esiste bottone e si osservano spezzati. Ecco tutte le pruove che offre il processo, ed è ora utile il narrare cosa dissero gli imputati nei loro interrogatori e cosa offrirono le perizie sulle loro persone. 
Nel primo istante dall'arresto gli imputati furono interrogati dal regio giudice di Marano. 
Di essi tre soli risposero alle sue domande: serbò silenzio il giudicabile Carrano supponendo ch'egli come militare fosse sottoposto alle autorità della propria gerarchia. Spinelli, d'Avalos, e Duroni concordemente dissero: "essere tra loro amici, ed essersi quivi condotti a diporto, attendendo benanche il Conte di Lucina. 
Averlo atteso per più di un'ora passeggiando nel di costui fondo, ma quindi stanchi di più aspettarlo aver deliberato di ritirarsi. In onor del vero bisogna convenire che gli accusati essendo uniformi nell'escludere il duello, cadono in qualche contraddizione tra loro e con la pruova raccolta.   
Così Spinelli interrogato a chi si appartenessero le sciable ed i fioretti che si rinvennero nella propria carrozza, rispose, che le guardie del corpo oltre le proprie sciable ne aveano portate altre due, ed anche due fioretti coi quali avean disegnato divertirsi alla scherma. Per l'opposto il testimone Gaetano Parente, cocchiere della carrozza che portò in Chiaiano Spinelli e Duroni,  assicura che i fioretti suddetti erano stati nel partire da Napoli messi a vista sopra due tabarri. Che se aggiungi di essersi rinvenuti nella carrozza di Spinelli e Duroni quando furon sorpresi dagli Urbani, sorge chiaro ed evidente che ad essi si appartenevano e da essi erano stati asportati. Né ciò è tutto: Spinelli assicurava che né delle sciable, né de' fioretti si fece uso per esercizio di scherma; per l'opposto Duroni asserisce il contrario. Spinelli dice che le due sciable, oltre quelle che cingevano le guardie del Corpo, eransi portate nel fondo per non lasciarle nella carrozza; per l'opposto Duroni dichiarava che la scialbe suddette quivi restarono. Nella discordanza de' detti di Spinelli e Duroni circa queste circostanze invano si ricorre a quelli di d'Avalos per trovare un mezzo onde conciliarli, poiché egli depone che non solo le sciable, ma anche i fioretti rimasero nella carrozza, asportando così egli che Carrano le proprie sciable. Tutti e tre assicuravano che di accordo con Lucina lo attendevano per divertirsi insieme. 
Lucina li contraddice negando l'invito ed il concerto. Il regio giudice osservando che il giudicabile Spinelli era ferito a una mano, gliene domandò la ragione, e Spinelli rispose che atteso lo sbalordimento per gl'insulti ricevuti dalle persone armate, se l'avea cagionato inavvertitamente con l'ottone ch'è al gambo dello sportello della carrozza. Sottoposto a perizia, gli esperti osservarono che aveva una ferita recente nel lato esterno del metacarpo della mano destra in direzione trasversale, lunga un mezzo pollice, larga due linee circa, prodotta da istrumento tagliente, e giudicata di nessun pericolo. Nell'interrogarsi dal regio giudice l'imputato Duroni fu osservato ferito nella mano destra…. Sottoposto ad esame i periti osservarono che il Duroni avea una piccola escoriazione nel lato esterno del dito anulare destro, e giudicarono che tale escoriazione fosse stata prodotta da istrumento lacerante, ed esser di niun pericolo. […]
Sentenza:
Dalla “Cronica delle Due Sicilie” di C.de  Sterlich dei marchesi di Carmignano, anno 1841":

Addì 14, mercordì. La Gran Corte Criminale ha oggi notifica ai signori d'Avalos, Carrano, Duroni e Spinelli la decisione con cui ha condannati i primi tre a sette anni di ferri e l'ultimo a sei di relegazione, per duello avvenuto, come dalla stessa decisione, addì 3  di maggio dell'anno 1840 nel fondo del conte Lucina a Chiaiano  terra di Marano, dove sorpresi nell'atto di rimettersi in carrozza  dalla guardia urbana e condotti innanzi al giudice regio, Duroni e  Spinelli furono da quel magistrato inviati nelle carceri della polizia  di Napoli, gli altri come guardie del corpo, alla real piazza, ma andati invece nel loro quartiere, dove intesero esser fama di avere  avuto ambidue parte ad un duello, si salvarono uscendo dal regno.  Ma non andò guari e ritornò in Napoli il duca di Celenza. Lo seguì  poco dappoi il cavaliere Carrano, dandosi l'uno dopo l`altro volontariamente in mano della giustizia, fidando unicamente nella clemenza sovrana: nella quale ora si affidano tutti quattro, avendo ciò detto, or sono pochi giorni, in un loro atto col quale hanno accettata la condanna rinunziando al ricorso per cassazione.
Salvatore Fioretto 

(*) Tratto dal libro: “Discorso pronunciato dall’Avvocato Giuseppe Marini-Serra all’udienza della Gran Camera Criminale di Napoli nella tornata del di marzo 1841 in difesa dei signori D. Carlo D’Avalos de’ duchi di Celenza, D. Francesco Carrano, D. Silvio Duroni, e D. Francesco Spinelli Accusati di duello.”

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