sabato 20 giugno 2015

Un noto pittore, un giureconsulto e un notaio… salvarono dalla rovina la chiesa del SS. Salvatore in Piscinola…

Autoritratto, Francesco De Mura
La millenaria chiesa parrocchiale del Casale di Piscinola, dedicata al SS. Salvatore, ha avuto nella sua lunga storia momenti di splendore alternati a momenti di decadenza ed incuria... Più volte, infatti, nelle fonti storiche e nei vari documenti ritrovati, emergono problematiche legate allo stato di conservazione dell'edificio, vuoi per incuria umana e vuoi per fattori esterni, come eventi calamitosi: i terremoti, i nubifragi, ecc., nonché le conseguenti azioni  e le opere di ripristino.
Singolare è la storia che stiamo per raccontare, che vede legata questa  nostra antica chiesa alla figura di un grande pittore del secolo dei Lumiattivo nel periodo del tardo barocco-roccocò napoletano, parliamo del celebre artista Francesco De Mura. Al pittore si legano nella vicenda altri due personaggi, che pure hanno operato in questo piccolo Casale e lasciato una traccia della loro vita nella sua storia. Essi sono il regio notaio Michele Valenzia e il giureconsulto, barone Giambattista Gallotti.
Allegoria delle arti, di Francesco De Mura
Il pittore Francesco De Mura nacque a Napoli, il 21 aprile del 1696, da Giuseppe ed Anna Linguiti. Il padre, Giuseppe, era originario della provincia di Salerno (era nato a Scala, presso Amalfi), ma prese presto a frequentare Napoli per la professione esercitata di mercante, infatti negoziava la lana in una strada, che fu poi spazzata via dal Risanamento di Napoli, chiamata “via Orti del Conte”. Già dalla tenera età emersero le sue doti non comuni di apprendimento e di grande passione per le arti ornate.
SS. Severino e Sossio. Volta affrescata da Francesco De Mura
Dopo una brutta esperienza in un collegio napoletano, fu dai genitori indirizzato presso la bottega del pittore Domenico Viola, dal quale apprese i primi rudimenti della nobile arte. Ben presto, nell'anno 1708, passò nella più celebre bottega napoletana di pittura, quella dell’abate Francesco Solimena, che fu anche maestro del celebre Sant’Alfonso Maria de Liguori (nato anche lui nel 1696). Nella bottega del maestro Solimena, Francesco De Mura vi rimase fino a tutto il 1730.
Fu senza dubbio presso la bottega del Solimena - che subito lo predilesse e lo considerò il più dotato dei suoi allievi - che il De Mura acquisì, anche sulla scorta degli insegnamenti del Giordano, del De Matteis e del "colorare" di Giacomo Del Po, il suo mestiere e la capacità di un disegno forbito e delicato insieme. Famosi sono i panneggi dei personaggi rappresentati nelle sue opere.
Francesco De Mura divenne un’artista richiesto e ambito, sia nel Regno di Napoli e sia nelle più importati corti d'Europa, le sue tele sono oggi conservate nelle principali residenze reali e nei più importanti musei europei, dalla Spagna, alla Russia, finanche negli Stati Uniti d'America. Notevole sono le opere conservate presso le collezioni private, tra le più benemerite ed importanti.
Dipinto di Francesco De Mura
Le committenze, importanti, proseguirono senza sosta nella sua vita: i benedettini dell'abbazia di Montecassino e quelli della chiesa napoletana dei SS. Severino e Sossio gli offrirono interventi di notevole consistenza e prestigio che lo impegnarono per alcuni anni (1731-1745).
Datato 1740 è l'enorme affresco per la volta della chiesa napoletana dei SS. Severino e Sossio, retta dai padri benedettini, considerato suo capolavoro, rappresentante S. Benedetto e S. Scolastica che propagano le regole dell'Ordine. L'opera è stata il punto di riferimento per tutti i colti viaggiatori del "Grand Tour", da Cochin a Fragonard. Per la stessa chiesa dipinse, tutt'intorno all'enorme navata, 32 Santi, Pontefici e Vescovi benedettini, che furono pagati 1.800 ducati, il 25 dicembre 1745.
Chiesa della Nunziatella, volta affrescata da F. De Mura
Altro grande lavoro del De Mura fu la realizzazione, nel 1746, della tela gigantesca per la rimodernata chiesa angioina di S. Chiara a Napoli, da porre sull'altare maggiore (quasi come un fondale da palcoscenico...), al di sopra della tomba di Roberto d'Angiò: rappresentava S. Chiara ed altri santi francescani nel trionfo dell'Eucarestia, e venne distrutta dai bombardamenti del 1943 (resta una foto Alinari). Per la stessa chiesa De Mura realizzò la tela: S. Chiara che mette in fuga i Saraceni con il Santissimo, dipinta poco dopo il 1746, e Salomone che dirige l'edificazione del tempio, dipinta nel 1751-52.
La produzione artistica del De Mura è ampissima: tanto egli fu prolifico di tele e capolavori d'arte figurativa che elencare tutte le sue opere sarebbe un'impresa non poco ardua e corposa!
Martirio di Virginia, tela di Francesco De Mura
Il 3 settembre 1772, Luigi Vanvitelli scriveva: "Il migliore di tutti li dipintori, che presentemente sono in Napoli, nel quale concorrono le parti che avere deve un valent'uomo, per distinguersi sopra gli altri, egli è Don Francesco de Muro, di cui sarebbe desiderabile averne qualche opera a fresco sulle mura del Real Palazzo di Caserta..." (cfr. N. Spinosa, L. Vanvitelli e i pittori attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento..., in Storia dell'arte, 1972, 14, pp. 204).
Il 20 maggio 1756 portò a compimento il magnifico ritratto del Cardinale Antonio Sersale (arcivescovo di Napoli dal 1754 al 1776).
La stanchezza (aveva ormai 75 anni) e il disgusto per le sopraffazioni subite in seno alla famiglia (cfr. Napoli, Pio Monte, Testamento, 17 febbraio 1770: "ebbi a soffrire molte inquietudini non compatibili né alla mia età né alle mie applicazioni..."), lo indussero a rinunziare alla prestigiosa carica di direttore della Reale Accademia di nudo, come risulta dalla lettera di dimissioni che firmò il 9 marzo 1770 (Lorenzetti, 1952). Malgrado la rinunzia all'incarico e l'accettazione delle sue dimissioni, al De Mura fu pagato lo stipendio sino alla sua morte.
Sacra famiglia e S. Giovanni Battista, tela di Francesco De Mura
Dal carattere schivo e riservato, ebbe e coltivò pochissimi amici, dei quali non si dimenticò mai e soprattutto volle lasciare loro un segno della sua stima, al momento della sua scomparsa.
Non sappiamo quali interessi l’artista ebbe nell’allora Casale di Piscinola, se dipinse tele per la chiesa del Salvatore (Diversi quadri sono andati perduti all'inzio del secolo scorso) o per l’Arciconfraternita del SS. Sacramento, all’epoca già attiva e operante, ma sappiamo che fu cliente e soprattutto amico di un famoso notaio regio dell’epoca, che a Piscinola aveva il suo studio, e forse l'abitazione, il cui nome era Michele Valenzia.
L’11 ottobre 1780 per mano del notaio Michele Valenzia di Piscinola, De Mura stilò il suo testamento e al Pio Monte di Misericordia di Napoli lasciò gran parte delle sue sostanze. Gli lasciò tutto quanto contenesse la sua casa: un capitale che raggiungeva la impressionante cifra (in danaro contante) di 55.454 ducati, oltre i suoi 187 quadri, gli argenti, il mobilio, le carrozze, nonché altre numerose fedi di credito...! Dispose che tutte le sostanze dopo l'avvenuto inventario fossero vendute e "... che di quel denaro ricavato fosse invertita la rendita in soccorso di gentiluomini e di gentildonne poveri o di nobili famiglie di fuori, e dimoranti in Napoli o nelle sue borgate."
Piazza B. Tafuri e facciata della chiesa del SS. Salvatore, anno 2004
Il pittore, ormai vecchio, era rimasto solo, senza figli e senza eredi diretti; nel 20 giugno 1768 era morta la sua cara moglie, D. Anna D’Ebreù, che aveva sposato nel novembre del 1727.
Nel suo testamento aggiunse un codicillo, che così recitava:“Io Francesco de Mura di questa Città ritrovandomi infermo di corpo, sano però per la Dio grazia di mente, e d’intelletto, e  del mio retto parlare e memoria parimente esistente, dichiaro, che sotto il dì undici Ottobre dell’anno 17ottanta feci il mio inscriptis chiuso, e suggellato Testamento, che diedi a conservare al regio Notar D. Michele Valenzia di Napoli. Indi il 26 Febbraio dell’Anno 17ottantuno feci un Codicillo chiuso che consegnai parimenti…”.
Tra le disposizioni dettate si legge anche un pensiero di riconoscenza nei riguardi del suo notaio e amico Michele Valenzia:
Autoritratto di Francesco de Mura (Galleria degli Uffizi)
[...]“Item lascio juri Legati al suddetto Regio Notar Don Michele Valenzia, mio carissimo amico, docati cento per una sola volta, per un fiore per le tante fatighe per me fatte…”. Il De Mura dispose in un codicillo aggiunto posteriormente al primo testamento, un aiuto concreto per la riattazione della chiesa del Salvatore, intimando il suo erede, il Pio Monte della Misericordia, a provvedere secondo le necessità dell'edificio sacro, attraverso il suo regio sovrintendente: “Dippiù io suddetto D. Francesco, codicillando, voglio, ordino e comando che, occorrendo al detto avvocato Sig.r  D. Gio: Battista Gallotti, mio carissimo Amico e  Compadre, soccorso per provedere alli bisogni della parocchiale chiesa del Casale di Piscinola, debba il detto Sacro Monte mio Erede somministrarcelo, secondo ne farà Le Istanze e richieste il detto Avvocato Sig.r D. Gio: Battista Gallotti, per lo quale soccorsomi le rimetto alla coscienza del medesimo… 
E voglio che gli esecutori del presente mio Codicillo siano quelli stessi da me stabiliti nel citato testamento inscriptis, con le medesime facoltà, e non altrimenti. E finalmente dichiaro, che con il suddetto mio testamento, ordinai di corrispondersi al mag.co Notar Don Michele Valenzia, annui docati venticinque sua vita durante, colle leggi e condizioni indetto Testamento…”
Si noti, nella lettura dei brani estratti dal testamento, la ricorrente menzione dell’avvocato Giambattista Gallotti, dichiarato suo "carissimo amico e compadre”... 
…Ogni dubbio si debba sciogliere e, dichiarare dal suddetto Sig.r Avvocato D. Gio: Battista Gallotti a chi ho comunicata tutta la mia volontà, e che mi ha consigliato nel presente mio Testamento, e la dichiarazione facienda dal medesimo, si abbia come parte del presente mio Testamento, e si debba ad unguem osservare ed eseguire dal detto mio Erede, atteso così è mia volontà.  
Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta- Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
Chiesa del SS. Salvatore parte absidale
In effetti anche questo personaggio è stato attivo a Piscinola, lasciandone ampia e meritoria memoria del suo operato. Il pittore Francesco De Mura tanto apprezzava le qualità umane e spirituali del barone Gallotti, che gli volle regalare il crocifisso conservato nella sua casa, con questa disposizione: “Ed oltre a ciò Lego a beneficio dello stesso avvocato Sig.r Gio: Battista Gallotti il mio Crocifisso, che conservo in uno Scarabatto nella stanza del mio Letto, unito collo stesso Scarabatto ed altro di suo ornamento, acciò si ricordi dell’Anima mia”.
Nello stesso testamento, stipulato nello studio di Piscinola, il De Mura dispose anche il luogo della sepoltura, al sopraggiungere della sua morte: "...nella chiesa del convento di S. Pasquale di 88 alcantarini di Chiaja, al quale convento si ritrovano pagati ducati 50 per detto interro...". 
Guarigione di un cieco, tela di F. De Mura
Aggiungerà poi altri codicilli al testamento, il 16 luglio 1782. 
Le sue ultime volontà concludono, dicendo: “Lascio Esecutori di questo mio ultimo testamento L’ill.re Marchese Presidente della regia Camera della Sommaria, Sig.r Don Angelo Granito, L’Ill.re Marchesino D. Giovanni Granito e L’Avv. Sig.re D. Gio: Battista Gallotti. 
Il giorno 19 agosto 1784, nel pieno della calura estiva, Francesco De Mura morì al terzo piano del palazzo del principe di Torino (nell'attuale via Foria, tratto Pontenuovo), dove abitava in un appartamento composto da sedici stanze, località quella della città all'epoca assai amena.
Le volontà del De Mura ebbero anche un percorso giuridico alquanto travagliato, tanto che alla sua morte si ebbe una controversia sorta tra la Casa “Santa Ave Gratia Piena” e il “Pio Monte Della Misericordia”, anche se quest'ultimo era considerato, chiaramente, beneficiario del patrimonio per lascito testamentario, dell'intero immenso patrimonio dell'artista.
Ritratto del conte John J. Mahony, tela di Francesco de Mura
Nella controversia in parola l'”Ave Gratia Piena” pretendeva l'eredità, avanzando come prova la versione secondo la quale il De Mura era stato un trovatello "esposto" alla ruota dell'Annunziata, battezzato col nome di Francesco e successivamente affidato, perché lo allevasse, ad Andreana Pastore, moglie del lanaiolo Pompilio di Amura (cfr. Causa, 1970, pp.5 2 s.). Per questo il De Dominici (1743) scriveva che il pittore era figlio di Pompilio…
Per quanto riguarda il terzo personaggio di questo racconto storico, ossia dell’avvocato e giureconsulto, nonché barone, Giovanbattista Gallotti, le fonti storiche riportano che era originario della provincia di Salerno, era infatti nato nel 1718,  in terra di Battaglia. 
Ritratto di prelato, opera di F. De Mura
All’età di 20 anni fu mandato dai genitori a Napoli, a formarsi presso lo studio del cugino, l’avvocato Tomaso Benevento. Studiò le varie discipline umanistiche e scientifiche, la filosofia e le lingue antiche, ma poi si soffermò sul diritto naturale, ecclesiastico e di guerra, acquisendone ampia conoscenza ed erudizione. Si dedicò all’insegnamento e all’attività forense, distinguendosi per rettitudine, onestà e dedizione.
Rinunciò alla carica di giudice della Gran Corte della Vicaria, offertagli dal Re Ferdinando I, per le sue doti e per lo stile accademico: rinunciò alla toga, sacrificando tutto se stesso alla difesa dei diritti sacri dell’uomo e alla difesa dei diritti dei suoi assistiti.
Anche se non lasciò opere di grande mole, nessuno che abbia letto le scritture legali di Giambattista Gallotti gli potrà negare il valore e la laude di sommo giureconsulto, esaltandone lo stile che lo contraddistinsero. Fu apprezzato in patria, così come dagli studiosi stranieri. Uomo molto religioso, pose sempre la fede come baricentro del suo operare con giustizia ed equità.
Facciata chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, anno 2004
Fu chiamato ad amministrare la chiesa del SS. Salvatore di Piscinola dal re Ferdinando I, infatti nel libro “Opere di Nicolò Morelli dall’autore medesimo rivedute corrette e ammendate, 1846 Volume I”, così si riporta: [...]"Il magnanimo Ferdinando I obliar non potendo il riverito nome del nostro Gallotti, lo chiamava al governo del Banco di S. Giacomo, e poco di poi creavalo sopraintendente della Chiesa parrocchiale di Piscinola. Corrispose alla fiducia del suo Signore assai del proprio contributo per la ristaurazione di quel cadente edificio. Che se alcuno non reputa questo un gran pregio, io lo prego a considerare, che mentre pure sono creduti utili alla città coloro che faticando per essa, non ne ricusano mercede, Giambatista alle fatiche imprese a vantaggio della sua patria, e dei suoi concittadini aggiunse ancora il dispendio. Morì nel mese di giugno del 1799. 
Ai baroni Gallotti sono legati altri episodi ed eventi della storia del Casale di Piscinola, che narreremo, per ovvie ragioni di spazio e di argomento, in un apposito post futuro.
Salvatore Fioretto
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Campanile della chiesa del SS. Salvatore, veduta dalla Villa Mario Musella, anno 2015


Napoli Chiesa dei Santi Severino e Sossio -Volta affrescata da Francesco De Mura




Allegoria, opera di F. De Mura

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