mercoledì 30 dicembre 2020

Una corsa con i botti...! La gara di San Silvestro a Piscinola...

Forse ancora oggi il primato che conserva il quartiere di Piscinola, di essere l'unico centro cittadino e periferico ad aver organizzato una maratona serale (forse meglio dire: notturna!), per le strade del quartiere, mentre si iniziavano a far esplodere i botti dei mortaretti per il festeggiamento di Capodanno ed il tradizionale cenone in famiglia, non è stato nemmeno sfiorato da altre località che pure organizzano eventi sportivi in ambienti particolari...!
Ci riferiamo alla storica Corsa di San Silvestro disputata nei decenni scorsi per le strade del quartiere.
Il primato è ancora più prestigioso per la sua longevità, perché questa kermesse, iniziata nell'anno 1972, non è stata disputata soltanto per qualche anno, ma ha avuto ben 25 edizioni, svolte quasi tutte in continuità negli anni! E' mancata solo l'edizione del 1980, a causa del verificarsi del terremoto nell'Alta Irpinia.
Foto di partenza a via V. Veneto, con le luminarie accese, 1996
L'ideatore e l'organizzatore principale della veterana e singolare kermesse sportiva piscinolese, è stato per tutte le edizioni, Salvatore Di Febbraro, il quale nel frattempo è divenuto anche celebre e riconosciuto arbitro provinciale della federazione di pallacanestro.
La manifestazione sportiva di San Silvestro, ebbe inzio in maniera sibillina, e quasi per scherzo tra amici agli inizi degli anni '70, la ripetizione annuale la fece diventare prima amatoriale, in ambito del quartiere, e poi, sempre in crescendo, prese subito il largo e la notorietà cittadina, divenne infine una manifestazione regionale, conosciuta e apprezzata nel settore sportivo d'ambito podistico.
Addirittura nei primi anni i corridori partecipavano dapprima a una specie di fiaccolata beneaugurante, per l'attesa del nuovo anno e, poi, ricevendo lo "start", lasciavano a terra le fiaccole e iniziavano la corsa...
Non dimentichiamoci che a Piscinola, oltre a essere presente la "Fiamma Juvenilia" di Gilberto Rocchetti, della quale già abbiamo avuto modo di ricordare in un precedente post publicato, si è disputato anche un importante Campionato Provinciale di Corsa Campestre, nell'anno 1971, con una tappa nello sterrato delle campagne di Piscinola, ancora esistenti tra la struttura della Fondazione R. Ruggiero e la parte antistante il rione Don Guanella, luogo oggi chiamato "Nuovo Rione Piscinola".
Premiazione del vincitore della corsa, il tunisino Ali Diala, ed. 1996
Ritornando alla corsa di San Silvestro, negli anni iniziali, la manifestazione ha avuto il patrocinio e il sostegno della sezione sportiva della "Libertas", lo sponsor di alcuni commercianti di Piscinola, nonché il contributo del nostro Di Febbraro.
Successivamente, con trascorrere degli anni, fu il solo nostro concittadino a portare aventi la manifestazione, animato soprattutto dalla sua passione sportiva e dall'attaccamento al suo quartiere, spesso finanziando di propria tasca quasi tutto l'evento. Tuttavia come ci tiene a ricordare Salvatore, fu sempre attorniato da un gran numero di volontari del quartiere, pronti a dare una mano a supporto della macchina organizzativa.
Una gara podistica in via Veneto, atleta A. Lanzuise, 1979
La corsa podistica di San Silvestro aveva come punto di partenza e di arrivo, via Vittorio Veneto. L'orario di partenza era fissato intorno alle ore 17:00, quindi già al buio, con l'impianto di illuminazione stradale in funzione. Il percorso, non sempre fisso, prevedeva grosso modo il seguente itinerario: Via Veneto, Via Napoli, Via del Plebiscito, Via G. A. Campano, Piazza Marianella, Via Napoli, Via V. Janfolla, Via Madonna delle Grazie, Via Napoli e infine il "traguardo" in via Veneto. Alcune volte si è ampliata la zona del percorso, includendo anche la piazzetta di San Rocco, via Marfella e anche via Vecchia Miano a Piscinola.

La corsa di San Silvestro ha registrato la partecipazione di centinaia di corridori, molti provenienti anche da fuori provincia e da diversi punti della regione Campania, come dalla città di Salerno.
Si può affermare, senza smentite, che la corsa di Piscinola divenne in poco tempo una delle più riconosciute e importanti corse di podistica del Sud d'Italia. Gli atleti che si affermavano alla corsa di Piscinola, venivano poi selezionati per partecipare alle annuali Corse Interregionali.

Tra i partecipanti, ricordiamo il campione sportivo dell'Esercito, Castiello, e i corridori piscinolesi: A. Mastroianni, D. Mosella, A. Lanzuise, il compianto P. De Stasio, e altri ancora...
Ovviamente tra le associazioni partecipanti c'erano gli atleti della Società Fiamma Juvenila, di G. Rocchetti.

Per la cronaca, due particolarità abbastanza singolari hanno contraddistinto la "Corsa di San Silvestro": la prima, è stata quella che non si è mai registrato alcun ferito tra gli atleti a causa di esplosioni di botti, che comunque avvenivano durante la corsa; la seconda, è stata quella che tutti i partecipanti alla gara ricevevano un premio indipendentemente dall'ordine di arrivo al traguardo, oltre naturalmente gli attestati, le coppe e le medaglie per i primi arrivati.

La manifestazione della Corsa di San Silvestro ha avuto un triste epilogo nel 1997, con l'ultima edizione disputata.  Purtroppo tra le cause determinanti la fine della corsa ci fu soprattutto la solitudine organizzativa nella quale fu lasciato il caro Salvatore, motivo principale che indusse a sospendere l'evento sportivo di Capodanno.
Ritornando al pioniere della manifestazione, al veterano concittadino Salvatore di Febbraro, ricordiamo che per la sua intensa e proficua carriera sportiva di arbitro e di giudice di gara negli incontri di basket, svolti fin dai primi esordi nella Virtus Piscinola, ha ricevuto moltissimi riconoscimenti e medaglie, culminando nel mese di aprile dell'anno 2018, quando ha ricevuto
l'alta onorificenza di merito "Golgen Players".
La premiazione, organizzata dall'Associazione "Golden Players", sotto l'alto patrocinio della Federazione "FIP" regionale, si è svolta nel "Palabarbuto" di Napoli
. Di Febbraro ha
organizzato, negli anni scorsi a Piscinola, anche diverse edizioni di sfilate d'auto d'epoca, durante le festività dell'Epifania. 
A Salvatore di Febbraro va la nostra grande riconoscenza per tutto quanto a fatto fino ad oggi per il quartiere e per lo sport e, siamo sicuri che riceverà anche l'accorato ringraziamento di tutto il territorio! 

In coincidenza di questo ultimo post dell'anno 2020 e con l'apprestarsi dell'arrivo del nuovo anno, la redazione di Piscinolablog porge a tutti i lettori e a tutti i simpatizzanti, gli auguri di un sereno nuovo anno 2021.
Salvatore Fioretto 

Nel seguito le foto di due articoli del periodico della "Libertas", del 1995 e del 1996, dedicati alla gara podistica di Piscinola. Tra i corridori dell'edizione del 1995, nella sezione amatori, si legge il vincitore della "categoria 45", il dott. Rinaldi Ciro.

giovedì 24 dicembre 2020

... Contento e riso, la terra è arreventata Paraviso...!! La più celebre pastorale natalizia!

Il grande Santo di Marianella, Alfonso Maria de Liguori, come è noto, fu un delicato poeta e un raffinato compositore di musica sacra, oltre a essere un eccellente musicista; infatti, fin dalla giovane età diede mostra del suo gran talento musicale, attraverso superbe e ammirate esibizioni al clavicembalo, nei più sontuosi e frequentati salotti della nobiltà  napoletana. Alfonso scrisse molte canzoni a tema sacro. Tra le tante "canzoncine" composte (così Alfonso le definiva), molte ebbero per tema la Natività e l'amore che Egli nutriva per Gesù Bambino. Questo attaccamento spirituale al mistero del Natale gli fu trasmesso da sua Madre, Anna Cavalieri, fin dalla tenera età. "Tu scendi dalle stelle" è la canzone natalizia da lui composta in lingua italiana, più famosa e cantata in ogni angolo del mondo, ma altrettanto belle sono anche "Gesù Cristo Peccerillo", "Fermarono i cieli", "A Gesù Bambino nel Presepe"... Sicuramente la più profonda di significati e di allegorie a tema natalizio, è il canto composto in lingua napoletana: "Quanno Nascette Ninno a Bettlemme".
Questa Pastorale, che fu scritta da Alfonso nel dicembre del 1754, ha per tema centrale il grande stupore generato dalla nascita del Salvatore, nel cosmo, sulla terra, nel creato e tra i popoli. Alfonso usa
allegorie e metafore con grande abilità e metrica poetica, seguendo l'ispirazione della corrente musicale barocca, secondo i gusti in auge nel suo tempo (Arcadia), per narrare l'eccezionalità dell'Evento, atteso dagli uomini da millenni: la venuta sulla terra di un Salvatore. Il canto è tutto un crescendo di passione e di amore spirituale verso il Bambinello, arrivando a culminare con l'annuncio dell'Angelo ai pastori: "La terra è arriventata Paraviso!" (La terra è diventata Paradiso!).

Per la "ricorrenza forte" dell'anno, che ci apprestiamo a commemorare tra poche ore, quella del Santo Natale, riportiamo l'intero contenuto del lungo testo del canto, scritto in napoletano e, contestualmente per ogni strofa, la traduzione letterale, in lingua italiana.


Quanno nascette Ninno a Bettlemme (di S. Alfonso Maria de Liguori)

Quanno nascette Ninno a Bettlemme
Era notte e pareva miezo juorno.
Maje le Stelle – lustre e belle Se vedetteno accossí:
E a chiù lucente
Jette a chiammà li Magge ‘a ll’Uriente.

Quando nacque il Bambino Gesù a Betlemme
Era notte ma per lo splendore della luce sembrava mezzogiorno
Mai le stelle furono viste così lucenti e belle,
E la più lucente di esse,
Andò a richiamare l’attenzione dei Magi dall’Oriente.

De pressa se scetajeno l'aucielle
Cantanno de ‘na forma tutta nova:
Pe ‘nsí l’agrille – co’ li strille,
E zombanno a ccà e a llà:
È nato, è nato,
Decevano, lo Dio, che nci'à criato

Ed in fretta si destarono gli uccelli
Iniziando a cantare in un modo inconsueto e tutto nuovo:
Perfino i grilli, con i loro versi,
Saltellavano di qua e di la’
E tutti insieme dicevano: E’ nato, è nato,
Quel Dio che ci ha creati. 

Co’ tutto ch'era vierno, Ninno bello,
Nascetteno a migliara rose e sciure.
Pe'nsí o ffieno sicco e tuosto
Che fuje puosto - sott'a Te,
Se 'nfigliulette,
E de frunnelle e sciure se vestette.

Nonostante fosse inverno inoltrato, caro Bambinello,
Fiorirono a migliaia rose e fiori,
Perfino la paglia di fieno, secco e duro,
Che fu posto nella mangiatoia, dove tu giacqui,
Riprese vita e germogliò di nuovo,
E di foglioline e di fiori si rivestì.

A ‘no paese che se chiamma Ngadde,
Sciurettero le bigne e ascette l'uva.
Ninno mio sapuritiello,
Rappusciello - d'uva sí Tu;
Ca tutt'amore

Faje doce ‘a vocca, e po’ mbriache ‘o core.

In un paese che si chiama Nazaret,
Si generarono i grappoli e maturò l’uva.
Bambino mio dolcissimo,
Sei come un dolce grappolo d’uva;
Come un grande amore,
Rendi dolce la bocca e poi inebri il cuore.

Non c'erano nemmice pe’ la terra,
La pecora pasceva co’ lione;
Co’ e’ caprette - se vedette
‘O liupardo pazzea’;
L'urzo e ‘o vitiello
E co’ lo lupo 'npace ‘o pecoriello.

Non c’erano più nemici sulla terra,
La pecora pascolava in compagnia del leone;
Con il capretto, si vide
Il leopardo giocare,
L’orso e il vitello
E il lupo stava in pace con l’agnello.

Se rrevotaje nsomma tutt'o Munno,
Lu cielo, ‘a terra, ‘o mare, e tutt'i gente.
Chi dormeva - se senteva
Mpiett'o core pazzea’
Pe la priezza;
E se sonnava pace e contentezza.

Insomma tutto il mondo ebbe come un contraccolpo,
Il cielo, la terra, il mare e tutte le genti.
Chi dormiva, avvertì
Il suo cuore battere forte
Per la gioia;
E sognava pace e gioia.

Guardavano le ppecore i Pasturi,
E ‘n'Angelo sbrannente cchiú d’ ‘o sole
Comparette - e le dicette:
No ve spaventate no;
Contento e riso
La terra è arreventata Paraviso.

Ai pastori, mentre erano a custodire le pecore,
Un angelo luminoso più del sole
Apparve loro e disse:
Non temete, no;
Siate allegri e sorridenti
La terra è diventata Paradiso.

A buie è nato ogge a Bettlemme
D' ‘o Munno l'aspettato Sarvatore.
Dint'i panni’ o trovarrite,
Nu potite - maje sgarra’,
Arravugliato,
E dinto a lo Presebio curcato.

Per voi è nato a Betlemme oggi,
Del mondo l’atteso Salvatore.
Dentro panni lo troverete avvolto,
Non potere mai sbagliarvi,
Sta dentro alla mangiatoia riposto.

A meliune l'Angiule calare
Co’ chiste se mettetten' a cantare:
Gloria a Dio, pace in terra,
Nu cchiú guerra - è nato già
Lo Rre d'ammore,
Che dà priezza e pace a ogni core.

Discesero dal cielo milioni di angeli
E assieme a questo si misero a cantare:
Gloria a Dio, pace in terra,
Non più la guerra, è nato già
Il Re d’amore,
Che da' gioia e pace ad ogni cuore.

Sbatteva ‘o core mpietto a ssí Pasture;
E l'uno 'nfaccia all'auto diceva:
Che tardammo? - Priesto, jammo,
Ca mme sento scevoli’
Pe’ lo golío
Che tengo de vedé’ sso Ninno Dio.

Sbatteva il cuore a questi pastori;
E ognuno in faccia all’altro diceva:
Che aspettiamo? Presto, andiamo,
Che mi sento impazzire
Per il desidero
Che ho di vedere questo bambino divino.

Zombanno, comm'a ciereve ferute,
Correttero i Pasture a la Capanna;
Là trovajeno Maria
Co’ Gíuseppe e a Gioia mia;

E 'n chillo Viso
Provajeno ‘no muorzo 'e Paraviso.

Correndo e saltellando, come cervi feriti,
Corsero i Pastori verso la Capanna;
In quel luogo trovarono Maria
Con Giuseppe e Gesù, gioia mia;
E mirando quel viso provarono un pezzo di Paradiso.

Restajeno ‘ncantate e boccapierte
Pe’ tanto tiempo senza di’ parola;
Po’ jettanno - lacremanno
Nu suspiro pe’ sfoca’,
Da dint' ‘o core
Cacciajeno a migliara atte d'ammore.

Restarono incantati e con le bocche aperte
E muti per molto tempo;
Poi emisero, piangendo,
Un sospiro di sfogo,
E da profondo dei loro cuori,
Manifestarono con molti gesti il loro amore.

Co’ a scusa de donare li presiente
Se jetteno azzeccanno chiano chiano.
Ninno no li refiutaje,
L'azzettaje - comm'a ddi’,
Ca lle mettette
Le Mmane ‘ncapo e li benedicette.

Con la scusa di fargli un dono
Si avvicinarono piano piano.
Gesu’ Bambino non li rifiutò
Li accettò (mostrando gradimento)
Mettendo la sua mano sul loro capo
E li benedisse.

Piglianno confedenzia a poco a poco,
Cercajeno licenzia a la Mamma:
Se mangiajeno li Pedille
Coi vasille - mprimmo, e po’
Chelle Manelle,
All'urtemo lo Musso e i Mascarielle.

Prendendo confidenza piano piano,
Chiesero permesso alla Madre:
Riempirono di baci i piedini prima, e poi
Quelle manine,
E, infine, il visino e il piccolo mento.

Po’ assieme se mettetteno a sonare
E a canta’ cu l'Angiule e Maria,
Co’ na voce - accossí doce,
Che Gesú facette: a aa...
E po’ chiudette
Chill'uocchie aggraziate e s'addormette.

Poi insieme si misero a suonare
E a cantare assieme agli angeli e a Maria,
Con una voce, così dolce,
Che Gesù prima sbadigliò…
E poi socchiuse
Quegli occhi aggraziati e si addormentò.

La nonna che cantajeno mme pare
Ch'avette ‘a esse chesta che mo’ dico.
Ma ‘nfrattanto - io la canto,
Mmacenateve de sta’
Co li Pasture
Vecino a Ninno bello vuje pure.

La ninna nanna che cantarono
Mi sembra la stessa di quella che ora vi dico.
Ma mentre io la canto, immaginate
Di stare  con i pastori
Vicino al bel Bambino anche voi.

Viene suonno da lo Cielo,
Viene e adduorme ‘sso Nennillo;
Pe pietà, ca è peccerillo,
Viene suonno e non tarda’.
Gioia bella de sto core,

Vorria suonno arreventare,

"Vieni sonno dal cielo,
Vieni e addormenti questo Bambino;
Per pietà, perché è piccolino,
Vieni sonno e non tardare.
Gioia bella di questo cuore,
Vorrei sonno diventare,

Doce, doce pe’ te fare
‘Ss'uocchíe bell'addormenta’.
Ma si Tu p'esser'amato
Te sí fatto Bammeníello,
Sulo ammore è o sonnaríello
Che dormire te pò fa’.

Dolce, dolce per fare
Addormentare questi belli occhi
Ma se tu per essere amato
Ti sei fatto bambino,
Solo amore è quel sonnellino,
che può farti dormire.

Ment'è chesto può fa nonna,
Pe Te st'arma è arza e bona.
T'amo, t'a’...
Uh sta canzona
Già t'ha fatto addobea’!

T'amo Dio - Bello mio,
T'amo Gíoja, t'amo, t'a’...

Se è così puoi dormire,
Per te quest’anima è tutt’ardente.
Ti amo, Ti amo… Uh questa canzone
Già ti ha fatto addormentare!
Ti amo, Dio, bello mio,

Ti amo Gioia, Ti amo, Ti amo…"       

Cantanno po’ e sonanno li Pasture
Tornajeno a le mantre nata vota:
Ma che buo’ ca cchíú arrecietto
Non trovajeno int'a lu pietto:
A ‘o caro Bene
Facevan' ogni poco ‘o va e biene.

Cantando e suonando, i pastori
Tornarono indietro nuovamente alle loro greggi:
Ma che vuoi fare, non trovarono
Più riposo nei loro petti,
E per il loro caro Bene,
facevano ogni tanto il va e il vieni.

Lo ‘nfierno sulamente e i peccature
‘Ncoccíuse comm'a isso e ostinate
Se mettetteno appaura,

Pecchè a scura - vonno sta’
Li spurteglíune,
Fujenno da lo sole li briccune.

Solo l’inferno e i peccatori,
Che sono duri (ncucciuse) e ostinati come l’inferno,
provarono paura,
Perché, come i pipistrelli, vogliono stare al buio
E fuggono dalla luce del sole, i bricconi.

Io pure songo niro peccatore,
Ma non boglio esse cuoccio e ostinato.
Io non boglio cchiú peccare,
Voglio amare - voglio sta’
Co’ Nínno bello
Comme nce sta lo voje e l'aseniello.

Anch’io sono un peccatore,
ma non voglio essere duro e ostinato.
Io non voglio più peccare,
Voglio amare – voglio stare
Insieme al bel Bambinello
Come si trovano il bue e l’asinello.

Nennillo mio, Tu sí sole d'ammore,
Faje luce e scarfe pure ‘o peccatore
Quanno è tutto - níro e brutto
Comm'a pece, tanno cchiú
Lo tiene mente,
E ‘o faje arreventa’ bello e sbrannente.

Gesù Bambino mio, tu sei un sole d’amore,
Illumini e riscaldi anche il peccatore,
Quando tutto appare nero e brutto
Come la pece, tanto più
Tu l’osservi,
E lo fai ridiventare bello e splendente.

Ma Tu mme diciarraje ca chiagniste,
Accíò chiagnesse pure ‘o peccatore.
Aggio tuorto - haje fosse muorto

N'ora primmo de pecca’!
Tu m'aje amato,
E io pe’ paga’ t'aggio maltrattato!

Ma tu mi dirai che piangesti,
Affinché piangesse anche il peccatore.
Ho torto, ahi! Fossi morto,
Un’ora prima di peccare!
Tu mi hai amato,
E io per ripagarti, ti ho maltrattato (peccando)!

A buje, uocchie mieje, doje fontane
Avrite a fa’ de lagreme chiagnenno
Pe’ llavare – pe’ scarfare
Li pedilli di Gesù;
Chi sa, pracato,
Decesse: Via, ca t'aggio perdonato.

E voi, miei occhi, dovete diventare due fontane
Dovete piangere tante lacrime,
per lavare, e per riscaldare
i piedini di Gesù:
Chissà, mai se placato,
Dicesse: Via, basta che ti ho perdonato.

Viato me si aggio sta fortuna!
Che maje pozzo cchiú desiderare?
O Maria - Speranza mia,
Ment'io chiango, prega Tu:
Penza ca pure
Si fatta Mamma de li peccature.

Me beato, se avrò questa fortuna!
Cosa mai altro potrò più desiderare?
O Maria, Speranza mia,
Mentre io piango, prega Tu:
Pensa che sei diventata pure
Madre dei peccatori.

 

La redazione di Piscinolablog augura un sereno Natale a Tutti i lettori. Buon Natale!

Salvatore Fioretto


sabato 19 dicembre 2020

Cantilene, indovinelli, filastrocche, cunti e nenie tipiche della società contadina di un'epoca (3^ parte)

In questa terza e ultima parte del post, pubblichiamo due "cunti" antichi, un tempo diffusi nel territorio e utilizzati dai genitori e dai nonni per l'intrattenimento dei piccoli, s'intitolano: "'A vecchia 'e 'o suricillo" e "Miezuculillo", eccoli:

 ‘A vecchia ‘e ‘o suricillo!

Ce steva, tantu tiempo fa, na vecchia, vecchia assaje,
Ca scupave ogni juorno sempe ‘a chiesa,
‘E scupapa, scupava…, scupava ogni juorno…

Nu juorno truvaje pe’ terra duje sorde;
Pensaje, c’aggia fa cu sti duje sorde?

Mo m’accatte, tante pe’ fa na cosa diversa,
Nu “bianco e russo” (rossetto)
e po’ mo metto ‘mpont’ ’o musso…
Diceva accussì: “c’aggia fa sta vita sola, me vurria spusà…!
Mo m’affaccio alla fenesta…

e vedimme che succede…”.
Accussì facette; se strufugnaje ‘o “bianco e russo” ‘ncopp’ ‘o musso,
‘E se mettette affacciata ‘a fenesta d’ ’a casarella soja...
Passaje pe’ chelli parte, nu lione e dicette:
“Vicchiarè, te vuò spusà ‘a mme?”
‘A vicchiarella lo rispose,

“E famme sentì ‘a notte comme faje?”
‘O lione, cu’ na bella voce rispunnette:

“Faccio accussì…” (verso del leone)
‘A vicchiarella ‘mpauruta, rispunnette:
“No, no! Tengo paura, nun me voglio spusà cu’ tico”!
E accussì, ‘o lione se ne jette…
Passaje, po’, nu voje (bue) e dicette pure isso:
“Vicchiarè, te vuò spusà a mmè?”
‘A vicchiarella ‘a risponnerlo, dicette:  “E ‘a notte comme faje?”
E ‘o vojo, “Faccio accussì…” (verso del bue)

‘A vicchiarella, ancora cchiù ‘mpauruta, rispunnette:
“No! Tengo paura, nun me voglio Spusà”.
E se ne jette pure isso…
Passaje ancora nu cavallo e dicette:
“Vicchiarè te vuò spusà a mme?”
‘A vicchiarelle lo rispose,
“… E famme sentì ‘a notte comme faje?”
‘O cavallo rispunnette: “A notte faccio accussì…” (verso del cavallo)
‘A vicchiarella, ‘mpauruta sempe ‘e cchiù, rispunnette:
”No! Tengo paura, nun te voglio Spusà!”

E pure ‘o cavalle se ne jette da chillu posto…
(Ripetere più volte il ritornello con altri nomi e versi di animali)
Passaje, po’, pe’ chella stradulella sulitaria,
nu suricillo… piccerillo piccerillo…
Che pure isso, ma cu’ na vucella fina fina, dicette alla vicchiarella:
“Vicchiarè, te vulisse spusà a mmè?”
La vecchierella, ‘o dimandaje, ancora ‘mpauruta:

“E …a notte comme faje, suricì?”
‘O suricillo rispunnette cu’ na voce,

c’appena, appena se senteva: “Faccio: ziu ziu ziu…”.
Stavota, chesta tutta cuntenta, dicette a lo suricillo:
“Si, te sposo subbeto, suricillo mio!”.
E se spusareno tutt’e duje, chella semmana stessa!

Doppo quacche juorno, ‘a vecchia dicette allo suricillo:
“Suricì, ‘j vaco a scupà ‘a chiesa,
t’arraccumanne ‘o pignatiello ‘ncopp’ ‘o ffuoco”…
Ogni tante dacce n’uocchio, t’arraccumanne, s’avesse abbrucià sotto?!
Accussì dicenne, se ne jette a fa’ chella c’aveva fa’…
‘O suricillo jette pe’ gghì ‘a vedè ‘o pignatiello ‘ncpp’ ‘o fuoco,
e pe’ na mala sciorta d’ ’o destino, nce giraje ‘a capa
e jetta affurnì dint’ ‘a menestra ca vulleva…!
‘O puveriello se tuvaje senza scampo:  alluccave… alluccave!!
Alluccave, ma p’ ’a vucella ca teneva,  nisciuno ‘o puteve sentire,
accussì, doppo nu poco ‘e tiempo, affugaje e murette…!!

‘A vecchia, quanne turnaje d’ ’a chiesa , trasetta dint’’ ‘a casa,
cercava ‘o suricillo, dint’e fore…, ‘a ccà e ‘a llà, dicenno:

“Addò sta chillu suricillo mio?”
Nun lo poteva truvare da nessuna parte…!
“Suricillo, suricillo, addo staje..!?” Diceva puverella!
Sarà mico asciuto dalla casa e nun torna ancora? 
Nun sapeva proprio cchiù a che pensare!
Ma quanno jette p’arapì ‘o cupierchio d’ ’o pignatiello…,
truvaje ‘o suricillo muorto dint’ ’a Menestra.
Povera vicchiarella, chiagnette ‘o suricillo,
pe’ paricchiu tiempo, notte e juorno…!
Accussì, turnaje ‘a scupà, scunsulata,
n’ata vota, ‘a chiesa, comme faceva sempe.

 ‘O cunto è furnuto, loro stanno llà e nuje stamme ccà…! (*)

........................

Miezuculillo...!

Ce steva, tantu tiempo fa, nu pate, cu’ na mamma e sette figlie,
‘O cchiù piccerillo se chiammava Miezuculillo.
Nu ghiorno, ‘o pate, partenne pe’ gghì a faticà mmiez’ ’a terra,
Dicette ‘a mugliera:
“t’arraccumanne, manneme ‘a marenna
pe’ mmiez’juorno, nun te scurdà!
E chesta lo rispose, nun te preoccupare marito mio, 
mmò te la manno pe’ Miezuculillo.
Accussì ‘o pate ascette d’ ’a casa e jette a faticare dint’
‘a terra…
Quanno stava pe’ sunà mmiez’juorno,
‘A mamma priparaje ‘a marenna
e chiudette tutte ‘lli ccose dint’ ‘a nu muccaturo culurato.
Po’, chiammaje a Miezucullillo e lo dicette:
“Mizuculì, chesta è ‘a marenna pe’ pateto,
T’arraccumanno, purtancella subbeto.
‘O saje pateto comm’ è ‘ntussucuso, nun lo fare sbariare…
Vaje deritto p’ ‘a strada ca te dico

e nun te fermà addu nisciuna parte.
‘O criaturo, pigliaje ‘a mappatella cu’ ‘a marenna

e se ne jette pe’ chella strada, chianu chiano.
Quanno arrivaje vicino ‘a terra addo faticave ‘o pate,

se fermaje, accuminciaje a chiammà ‘o pate da luntane,
dicenno, a voce auta:
“‘Oi tà, vengo pe’ ncoppa o vengo pe’ sotto?”
‘O pate, rispunnette: “Miezuculì, vieno pe’ ‘ncoppa…”.

Sentenno chesto, miezuculillo se magnaje la parte ‘e ‘ncoppa d’ ’a marenna!…
Po’ ‘o criaturo, dicette, ancora:
“Oi tà, vengo pe’ ncoppa, o vengo pe’ sotto?”

‘O pate rispunnette ancora: “ Viene pe’ ‘mmiezo…”.
Miezuculillo, nun s’ ’o facette dicere na siconda vota,
se magnaje pure ‘o lato ’e ‘mmiezo d’ ’a marenna…
Alla fine lo dicette sempre ‘o stesso:
“Oi tà, vengo pe’ ‘ncoppa o vengo pe’ sotto?”
‘O pate, nu poco sfastriato, ancora na vota rispunnette:
“Viene pe’ sotto Miezuculì…”
‘E Miezuculillo se furnette ‘e magnà pure la parte ‘e sotto d’ ’a marenna!
Quanno arrivaje vicino ‘o pate,
pusaje ‘o muccaturo vacante e se ne fujette subbetto da chillu posto…
Currette, currette, fino a dint’
‘a stalla,
e se nascunnette sott’
‘a paglia.
Ma lo vojo (Bue), jenne a magnarse la paglia,

s’ ’o agliuttetto dint’ ‘a nu mmuorzo…!
‘O pate, tutto ‘ntussucato, chella sera turnaje
‘a casa diuno.
Vattette 'a mugliere e pure 'a tutt’ ‘e figlie,

ma nun riuscette a truvà ‘a Miezuculillo.
Lo cercaje tuorno tuorno, pe’ tutt’ ‘a massaria, ma non lo truvava…
Quanne jette a vedè dint’
‘a stalla,
senteva na voce doppia ca diceva:
“Squarta padrone, ca ‘ncuorpo me truove…!”
E ancora: “Squarta padrone, ca ‘ncuorpo me truove...!
‘O crestiano, se girava e se rigirava,
tuorno turno pe’ vedè addò veneva chella voce,
ma nun vedeva a nisciuno;
allora ‘lle venne nu poco ‘e paura…
Po’, avvicinanneso a llu voje,

S’accurgette ca chella voce veniva proprio ‘a dint’ ’a panza ‘e ll’animalo.
Mettette ’a recchia vicino alla panza d’ ’o vojo

e sentette ca là dinto quarcuno diceva ancora:
“Squarta padrone, ca ‘ncurpo me truove...!”
Allora accerette ‘o vojo
e d’int’ ’a panza ascette Miezuculillo,
mmiezu stunato, c’appena, appena era vivo ancora…
L’avettane lavà bbuono e profumà
pe’ parecchiu tiempo e…, accussì,
‘o pate lo perdunaje e s’bbracciaje cuntento e felice,
‘o figliulillo sujo!

‘O cunto è furnuto, loro stanno là e nuje stamme ccà…! (*)

(*) Frase conclusiva del racconto, per mostrare ai bimbi che ascoltavano, il contenuto fantastico.

I Cunti di "A vecchia e 'o suricillo", "Miezoculillo" sono stati raccolti anche nell'opera di Roberto De Simone, dal titolo: "Fiabe campane, i 99 racconti delle dieci notti", ma queste tramandate oralmente nel nostro territorio, hanno trame ridotte e particolarmente uniche.

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Questi due cunti antichi mi furono narrati di persona, dieci anni fa (per essere inseriti nel mio libro "Piscinola, la terra del Salvatore"), da una dolce nonnina piscinolese, a me tanto cara, che si chiamava Domenica; oggi, che li pubblico in "Piscinolablog", la Signora "Minichina" (così la chiamavano tutti) non è più tra noi già da tempo e, tuttavia, mi piace ricordarla pubblicamente in questo post e ringraziarla ancora con molto affetto. Grazie mille, 'onna Minichina!
Salvatore Fioretto