giovedì 28 aprile 2022

Il Calendimaggio a Napoli... La processione di San Gennaro... (di Matilde Serao) Seconda parte

(segue dalla prima parte)
"Era la lentissima sfilata dei santi che fanno compagnia e onore a San Gennaro, nella sua cappella: quarantasei santi (oggi, anno 2022, sono 53 Compatroni - n.d.r.) di argento, la statua intero, o il busto, o la metà del corpo.

San Raffaele (Cappella del Tesoro di S. G.)
Questi santi erano posati sopra barelle, portate da quattro facchini, sulle spalle; e fra la gente, i facchini scomparivano, tanto che parea il santo andasse miracolosamente da solo, sopra le teste delle persone, tutto scintillante.
Lentissimamente, dico, perche la folla  era così folta, così soffocante che, ogni tanto, queste statue si fermavano, immobilizzate, mentre la gente le guardava con gli occhi inteneriti; ed anche lentissimamente, perché la devozione dei napoletani si vuole pascolare a lungo, nella vista dei suoi speciali protettori, che tutto l'anno sono chiusi nel  Tesoro e solo, in quel giorno escono a benedire la povera gente.
Sant'Antonio Abate (Cappella del Tesoro di S. G.)
A ogni santo che appariva sotto la volta nera della  gran porta e penetrava fra la gente, per andarsene anch'esso, verso Forcella, alla chiesa di Santa Chiara, era uno scoppio di clamore, fra la gente. Il primo  era l'alto patrono di Napoli, quello che viene subito dopo San Gennaro, nella protezione della Città, Sant'Antonio, eremita, che porta un bastone con un campanello risuonante, in cima, e accanto gli si vede la testina d'argento dell'animale che egli amò. Quel campanello ondeggiava, a ogni ondeggiamento del santo, sulla testa delle persone e squillava, squillava, allegramente, mettendo una gaiezza fra la gente che gridava:
"Sant'Antuono, Sant'Antuono!"
San Michele (Cappella del Tesoro di S. G.)
San Michele scendeva anche lui, per via Duomo, dalla collina al mare, ed era così bello, così fiammeggiante di gloria nella luce pomeridiana, che le tre sillabe del suo nome si ripetevano, continuamente, da su in giù. come il fuoco che divora la lunghezza di una miccia:
"Michele, Michele, Michele!"

Ma una gran diversione la fece San Rocco, il salvatore degli appestati, il protettore del popolo contro le epidemie: San Rocco vestito da pellegrino, porta il mantello con la cappa, il bordone, e sollevando la sua tonaca, mostra un ginocchio nudo, dove è scolpita una piaga, immagine della peste: e dietro di lui viene un cane fedele, così fedele, che per indicare due indivisibili
San Rocco (Cappella del Tesoro di S. G.)
si dice, nel popolo: Santo Rocco e il cane. E quest'amicizia così forte, e la figura un po' curiosa del santarello, col suo mantelletto e il suo canino dietro, tutta questa storia familiare, provocò una certa ilarità tenera, che si comunica da buona persona all'altra, fra la folla: San Rocco pareva un buon amico di tutta quella gente, un caro amico indulgente con cui fosse permesso scherzare, poichè egli è incapace di andare in collera:
"Hai freddo al ginocchio, santo Ro'?"
"Tè, tè canuccio!"
"Prestami questo soprabito, santo Ro'!"
...
Santa Chiara (Cappella del Tesoro di S. G.)
Quando i santi cessarono la loro sfilata e i primi canonici della cattedrale comparvero, vi fu un immenso movimento nella gente che aspettava. Tutti tendevano il capo per vedere meglio, per non perdere una linea dello spettacolo religioso, e l'attenzione era anche indomabile commozione. Finirono anche i canonici, e finalmente sotto il pallio broccato gallonato, frangiato di oro, pallido con il volto raggiante di una espressione di profonda pietà, con le labbra che mormoravano una preghiera, apparve il Pastore della chiesa napoletana.
Otto gentiluomini tenevano alti i bastoni del pallio: otto chierichetti, intorno, agitavano i turiboli fumanti d'incenso: e l'arcivescovo, che era un principe della Chiesa, un cardinale, camminava solo sotto il baldacchino, lentamente, con gli occhi fissi sulle proprie mani congiunte: e da tutte le genti che affollavano le vie,
i portici, i balconi, le finestre e le terrazze, da tutte le donne che pregavano, da tutti i bambini che balbettavano il nome di San Gennaro, non al pallio, non ai paramenti d'oro, non alla mitra gemmata, si
Processione di maggio, al mattino, con il Busto reliquiario di San Gennaro (foto archivio Troncone)
guardava: ma si guardava alla ceree mani congiunte dell'arcivescovo, si guardava teneramente, entusiasticamente, piangendo, gridando, chiedendo grazia, chiedendo pietà, magnetizzando ciò che l'arcivescovo stringeva tra le mani, tremanti di sacro rispetto. Lì, lì, tutti gli sguardi, tutti i sospiri, tutte le invocazioni. Il cardinale arcivescovo di Napoli teneva tra le mani le ampolline, dove era conservato il Prezioso Sangue.

Processione maggio, a sera, con reliquia del sangue (foto archivio Carbone)
..."

Il racconto di Matilde Serao continua descrivendo i dettagli del rito all'interno della Basilica di Santa Chiara, fino al verificarsi del prodigio del Sangue, ma essendo lunghissimo abbiamo preferito terminare il post a questo punto della descrizione; tuttavia il caro lettore potrà leggerlo per intero nell'opera citata: "Paese di Cuccagna".
Ci teniamo a precisare, infine, che nel testo trascritto non viene narrata  la presenza dell'imbusto di San Gennaro
, durante lo svolgersi della processione, perché in passato era usanza di portare separatamente la statua reliquiario del Patrono in Santa Chiara, con un'altra processione che si volgeva nel mattino dello stesso sabato. La tradizione intendeva simulare,
a Santa Chiara, l'avvenimento dell'incontro delle reliquie del capo e del sangue: in pratica si ripeteva annualmente quello che secondo la leggenda popolare era avvenuto ad Antignano (V secolo), col verificarsi del primo prodigio della liquefazione del sangue.
Tuttavia, alla fine degli anni '60 dello scorso secolo, il card. Corrado Ursi, per alleggerire i problemi organizzativi, legati soprattutto all'intensificarsi del traffico cittadino, decise di raggruppare le due processioni di San Gennaro in una sola, da svolgersi, come da tradizione, nel pomeriggio del sabato che antecede la prima domenica di maggio e sempre diretta alla basilica di Santa Chiara.

Salvatore Fioretto 

Cappella del tesoro di S. Gennaro, dipinto di G. Gigante, 1863

martedì 26 aprile 2022

Il Calendimaggio a Napoli... La processione di San Gennaro... (di Matilde Serao)

La scrittrice Matilde Serao, autrice del racconto

Sabato prossimo, 30 aprile, ossia "Sabato che antecede la prima domenica di maggio", la chiesa e la tradizione di Napoli commemorano la seconda festività dell'anno dedicata a San Gennaro, ricordando, in un'unica data, le varie traslazioni che hanno subito i resti del Santo Patrono, nel corso dei secoli. Questa solennità viene celebrata ininterrottamente almeno da 15 secoli...! Un tempo avveniva tra lo sfarzo della nobiltà e anche con la massiccia partecipazione popolare.
La ricorrenza viene quindi celebrata ordinariamente con una solenne processione che, dalla Cattedrale si snoda per le strade di Spaccanapoli, fino alla basilica di Santa Chiara, a cui partecipano diverse statue argentee dei santi cosiddetti "compatroni" (sono in tutto ben 53!), oltre ovviamente le reliquie del capo e del sangue del Patrono San Gennaro.
Come da tradizione, ormai consolidata, "Piscinolablog" dedica annualmente un "post" particolare a questa ricorrenza cittadina, di grande importanza, comunitaria e religiosa; quindi anche quest'anno ripete la dedica, pubblicando un racconto scritto dalla famosa giornalista e scrittrice, Matilde Serao.
Considerato la lunghezza del testo, abbiamo pensato di dividerlo in due parti, e riportando un estratto più significativo del racconto tratto dal libro "Il paese di cuccagna".
 

Buona Lettura.

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[...] "Calendimaggio è bello, in Napoli, per il soffio carezzoso dell'aria, per le vivide strisce di cielo azzurro, che finiscono per dar gaiezza alle strade più tetre e più cupe: è bello calendimaggio, per le rose che germogliano da tutte le parti, che pare sgorghino finanche dalle mani delle donne e dei fanciulli, per tutti i semplici fiori dei giardini e degli orti: è in calendimaggio, che le reliquie di San Gennaro sono portate dal Duomo, dove sono preziosamente deposte nei sotterranei che portano il nome di Succorpo e Tesoro di San Gennaro, alla chiesa di Santa Chiara, perché il Santo si degni, pregato dalla popolazione, di fare il miracolo della ebollizione del Sangue. La testa del vescovo di Pozzuoli (di Benevento n.d.r.), tagliata dalla scure  del  carnefice, è messa in una maschera di oro, tutta ricca di gemme preziosissime, scintillante di mille fuochi. L'altra reliquia, è il sangue coagulato, contenuto in un'ampollina di cristallo finissimo: nel sangue coagulato vi è ferma,  di traverso, una pagliuzza visibilissima nel grumo nerastro e freddo,  raccolto dalla pia gente che assistette al martirio del vescovo e conservato pietosamente; è nel giorno quattro di maggio (riferito a quell'anno n.d.r.), nel calendimaggio fiorito e odoroso, che queste reliquie vanno portate in trionfale processione, dalla Cattedrale alla Chiesa di Santa Chiara.

Ora, quest'anno 188..., pareva che più rigoglioso fosse nato nel cuore del popolo il fiore della fede, che più vivida sgorgasse la devozione per il patrono della città: poiché dalle due pomeridiane la folla accorreva, accorreva alla vecchia Napoli, assiepandone le vie strette, assiepandone le viuzze e i vicoletti, e gli angiporti. [...]
Più rigoglioso, in quell'anno, sorgeva l'affetto del popolo per San Gennaro, come se un novello impeto di fede avesse ingagliardito le buone anime napoletane: a una certa ora, la circolazione delle carrozze fu impedita, per Forcella e per i Tribunali, e tutti coloro che in quel giorno partivano da Napoli o vi arrivavano, per andare dalla stazione alla città o dalla città alla stazione, dovevano fare un lungo giro, per la via Medina, o per la via di Foria. Al passeggero distratto che domandava la ragione dell'interminabile cammino, il cocchiere  rispondeva: San Gennaro, e si toccava il cappello con la frusta, per salutare il patrono. E cercava di affrettare il passo del suo cavallo, non per zelo, ma per andarsene anche lui, il cocchiere, dopo aver messa la carrozzella in un portone, o dopo essersi fermato con essa, in un cantone di via, a veder passare il glorioso Sangue di San Gennaro.
E se tutte le vie piccole erano fitte di gente, se tutti i balconi sontuosi e i balconcini poverelli delle grandi case patrizie e delle misere case che sorgevano loro accanto, erano gremiti di persone, nell'ampia via del Duomo lo spettacolo della folla era imponente. La grande strada che unisce la collina al mare, con una discesa troppo ripida, da via Foria alla Marina, è che è stato  il primo taglio chirurgico attraverso la vecchia Napoli, taglio energico mal fatto, un po' brutale, un po' ridicolo come architettura, ma certamente salutare, la gran via del Duomo che è la Toledo dell'antica Napoli, aveva la maestà delle grandi giornate napoletane, in cui una fiumana di popolo fa paura anche ai fieri misuratori della folla. Vi era gente sino ai Gerolomini e sino al Pendino, in sotto e in sopra, e nei portici che sono a destra e a sinistra del Duomo, e sull'ampia scalinata, e sui lampioni del gas, e infine  sulla impalcatura che da anni  ed anni copre la facciata della Cattedrale, per le rifazioni, vi era gente, stretta, pigiata, soffocando all'aria aperta, gente attaccata a un fusto di ferro, a una trave, reggendosi in bilico, miracolosamente, sopra una tavola di legno malferma.
Ogni tanto una madre, tra la folla, levava in aria un bimbo per farlo respirare più liberamente, e il bimbo agitava le gambine e le braccia, giocondamente, per quello slancio, nell'aria dolce di calendimaggio. Invano gli scaccini del Duomo tentavano di far largo, perchè la processione già era formata nella chiesa: la folla, un momento respinta, tornava alla carica, con una spinta così forte, che andava a sbattere contro la facciata  della chiesa. A un tratto da sotto l'arco nero della porta spalancata, dove qualche cero, in fondo brillava, si udì un salmodiare grave grave, e la testa della processione apparve, fra il gran silenzio e la immobilità della folla. Lentissimamente, con un moto quasi impercettibile, procedevano in avanti gli ordini religiosi napoletani. Monaci bianchi, e neri, e marrone, monaci scalzi o con gli zoccoli, con cappuccio o con lo zucchetto, che cantavano le laudi del Divo Gennaro, con gli occhi vaganti, coi cerei  inclinati, la cui tenue fiammella non si vedeva, divorata dalla grande luce pomeridiana e che un monelletto scortava, per raccogliere in una carta le grosse gocce di cera che cadevano dai cerei: domenicani, benedettini, francescani, verginisti, missionarii, gesuiti, monaci e preti, in due file, trascorrenti, portati tra la folla, non guardandola, fissando un punto lontano dell'orizzonte, fissando la terra: e tutte le bocche erano schiuse al canto, alla salmodia latina, schiuse con una linea severa, grave, come il canto che ne usciva e ondeggiava, con severa intonazione, sulla testa della folla: e involontariamente, mentre gli ordini religiosi scendevano con un moto impercettibile verso Forcella, nella folla, i devoti che conoscevano le preghiere latine dedicate al Divo Januario, si univano al canto grave delle corporazioni religiose, e un'altra larga parte della folla, eccitata dall'aria, dalla luce, dal canto altrui, schiudeva la bocca a intonare anch'essa una salmodia senza parole, in preda a un principio di mistica tenerezza, e dal basso di via del Duomo, la processione e la folla, che si avanzavano insieme, erano un seguito di bocche aperte, mille bocche, duemila bocche che cantavano gravemente e il cui gran rumore si perdeva nell'ampio cielo.
Ma quelli che procedevano verso Forcella, non lasciavano via Duomo libera poiché il loro posto era preso da nuovi accorrenti, che spingevano avanti gli altri, e a un tratto, passata la sfilata  dei parroci della città, passati i canonici dell'antica chiesa di San Giovanni Maggiore, vi fu un lieto tumulto fra il popolo, un movimento immenso di attenzione e di soddisfazione. Era..."

(segue nella seconda parte del post)

 


Matilde Serao, fotografata nel suo studio