sabato 2 maggio 2020

Il "Calendimaggio" a Napoli inizia con un "Prodigio"... Cenni storici sulla ricorrenza della festa primaverile di San Gennaro a Napoli


Premessa storica e cronotassi del culto di San Gennaro:
Nessuna città al mondo, nessuna regione d'Europa, ha avuto ed ha un rapporto così intenso e stretto con il proprio Santo Patrono; un rapporto così profondo e antico, fin tanto, che si può affermare, senza retorica, che la storia di Napoli si identifica con San Gennaro e San Gennaro con Napoli e i Napoletani, perché non esiste un evento, un episodio importante della storia di Napoli, degli ultimi 18 secoli, dove non ci sia un riferimento diretto o indiretto con San Gennaro.
Part.dipinto Ribera, S. Gennro esce da fornace
Ogni avvenimento della città, lieto o triste, di gloria o di sconfitta, di crescita o di crisi, con calamità naturali e non,  si è svolto e è stato affrontato dal popolo napoletano al cospetto della Sua "presenza" secolare... Come un vecchio saggio, un nume tutelare, un'amabile e cara persona di famiglia, San Gennaro è stato sempre coinvolto nelle vicende cittadine... Egli è indubbiamente il personaggio più amato a Napoli, da sempre...! E lo è stato ancor di più per i tantissimi napoletani, che, per motivi di lavoro, si sono spostati in ogni angolo del mondo, ma che hanno conservato e conservano ancora oggi, indelebile, l'amore per San Gennaro, come un filo che li lega in maniere indissolubile alle proprie origini...!
San Gennaro è l'anima viva di Napoli!
In San Gennaro si sono identificate tante generazioni di napoletani, avvertendo la sua presenza storica e spirituale, attraverso il "prodigio" dello scioglimento del suo Sangue, raccolto come segno di pietas religiosa popolare dagli antichi napoletani e conservato da almeno sette secoli nella chiesa Cattedrale di Napoli.
Ogni dinastia che si è succeduta alla guida del Regno ha stabilito una specie di "patto politico" con San Gennaro, un pactum di rispetto, di cortesia e di non belligeranza... e quindi di buon governo; pur sapendo che in San Gennaro si identificavano tutti i Napoletani.... e conquistare la benevolenza di San Gennaro, che si verificava con il rinnovarsi del prodigio, sapevano che significava per loro e per la propria dinastia ingraziarsi le simpatie dei napoletani.
Imbusto di S. Gennaro in una foto antica
A partire dai duchi del Ducato di Napoli (prima Bizantino, poi Vescovile e poi Autonomo), quando era inserita l'immagine di San Gennaro sui gonfaloni della città e sul conio delle monete e, poi, con i re Svevi, con i Normanni, con gli Angioini, con la Casa Durazzo, con gli Aragonesi, con i vicerè Spagnoli, con quell Austriaci, con i Francesi, ... e fino con i Borboni e con i Savoia..., tutti, ma proprio tutti i sovrani, quando conquistavano il potere, come primo atto  politico, come primo cerimoniale pubblico, al momento del loro ingresso in città, provvedevano a rendere omaggio al patrono San Gennaro, portandogli un prezioso dono.
Il cosiddetto "tesoro" raccolto nei secoli è proprio il segno evidente di tutta questa "benevolenza politica" dei vari sovrani, alla città e al suo protettore...
Attorno al culto di San Gennaro la nobiltà napoletana, quella definita di Piazza e quella di Rango, ha manifestato costantemente nei secoli la sua munificenza e splendore, attraverso esibizioni e parate pubbliche, mediante quelle organizzazioni a cui appartenevano per nascita o per luogo di residenza: i cosiddetti Sedili. I Sedili di Napoli erano aggregazioni sociopolitico-amministrative che avevano origini antiche, probabilmente discendenti dalla Fatrie del mondo ellenistico che qui pure ha avuto il suo fulgido periodo storico.
Dopo il periodo ducale, il territorio cittadino, allora chiuso dalla cortina di mura invalicabile, fu diviso in "Sedili". I Sedili ebbero numero variabile nei secoli, raggiunsero il cospicuo numero di alcune decine, fino ad accorparsi o scomparire in gran parte, riducendosi, tra il XVI e il XIX secolo, in sei Sedili: cinque Sedili Nobili, perchè composti dalle famiglie aristocratiche napoletane e da un solo Sedile che rappresentava tutto il Popolo, sia quello cittadino che quello delle borgate e dei Casali. I Sedili nobili erano: Capuana, Nido (o Nilo), Montagna, Porto e Portanova. Nel Sedile Montagna era confluito un altro antico Sedile, che si chiamava Forcella. I rappresentanti dei Sedili costituivano il "Corpo della Città" ed eleggevano, come tali, i loro rappresentanti nell'amministrazione cittadina, che si radunava nel chiostro di San Lorenzo Maggiore, e poi eleggevano il sindaco. I Sedili eleggevano anche i dodici rappresentati (due a testa), che formavano l'antica Deputazione del Real Tesoro di San Gennaro. Al capo della Deputazione c'era il Re in persona; ma, a partire dall'avvento dei Francesi, Gioacchino Murat cambiò la norma, e da allora il presidente della Deputazione del Tesoro di San Gennaro è il sindaco di Napoli pro tempore, ovvero eletto ed in carica.
Domenico Gargiulo (detto Micco Spadaro) processione di San Gennaro durante eruzione del Vesuvio
La Deputazione del Tesoro è nata nell'anno 1527, per consentire la costruzione della nuova Cappella del Tesoro. In quell'anno Napoli era afflitta da una terribile pestilenza e anche da una grave carestia, che assieme flagellavano tutta la Città e i suoi Casali. I quella circostanza, i napoletani vollero fare un "voto" a San Gennaro per riottenere la salute pubblica. Nel 13 gennaio di quell'anno, i Sedili nominarono una Deputazione con dodici loro eletti e davanti a un notaio sigillarono un "patto" con San Gennaro, che prevedeva la costruzione della nuova Cappella del Tesoro in cambio del  prodigio. La "grazia" della salute fu ottenuta e il voto della città fu onorato: la costruzione della bella cappella è quella che oggi vediamo e ammiriamo...! Da allora la Deputazione del Tesoro di San Gennaro è rimasta ininterrottamente attiva, sia per la gestione della cappella che per la conservazione delle reliquie di San Gennaro, che sono qui custodite, Rinnova nei secoli i propri dodici rappresentanti, che sono sempre scelti tra le famiglie nobili che costituirono i vecchi Sedili di Napoli, compresi i due rappresentanti del popolo.
Stemmi Sedili di Napoli su campanile chiesa S. Lorenzo
La Cappella del Tesoro di San Gennaro, con tutte le opere d'arte e i preziosi custoditi, con le 53 statue d'argento dei santi, cosiddetti "Compatroni di Napoli", con i preziosi marmi, e con le belle statue di bronzo, sono tutti beni di proprietà della Municipalità di Napoli, ovvero di tutti i Napoletani. E, pur aprendosi sulla navata destra della Cattedrale, la cappella di San Gennaro è un tempio indipendente e da esso autonomo. Anche il Cappellano (detto "Abate Tesoriere"), che gestisce il culto del tempio e ne è anche il Tesoriere, è nominato dalla Deputazione in maniera indipendente dalla Curia. Nel tempo è stata formata anche una Deputazione di "Cappellani Prelati", che affianca il cappellano, sempre in numero di dodici, sempre eletti in ragione dei Sedili di appartenenza.
Risulta evidente come nei secoli, tra il clero e gli aristocratici la convivenza non sia stata sempre tranquilla e come non siano mancati momenti di tensioni, scontri e dissapori, tra l'uno e l'altro fronte, spesso capitati in occasione della cerimonia esterna, ossia durante la processione per rinnovare il ricordo della Traslazione delle reliquie di San Gennaro. 
Ecco la storia del cosiddetto "Miracolo di Maggio"!

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La storia:
La ricorrenza della "Traslazione delle Reliquie di San Gennaro", tra storia, fede, tradizioni e politica cittadina...
La festa della Traslazione delle reliquie di San Gennaro, commemora in un'unica ricorrenza diversi "peregrinaggi" che hanno interessato i resti del vescovo di Benevento, Gennaro, divenuto patrono principale della archidiocesi di Napoli e della Campania conciliare.
Bassorilievo, donna consegna il sangue liquefatto (Bas. S. Gennaro Antignano)
Inizialmente la festa veniva celebrata il 13 aprile, perché in tale data, secondo il Calendario Marmoreo, sarebbe avvenuto il trasferimento delle ossa di Gennaro, dal luogo della prima sepoltura, zona chiamata Marcianum (presso Fuorigrotta), fino alle catacombe di Capodimonte; le quali, una volta accolta la tomba del celebre santo Gennaro, presero poi il nome di Catacombe di San Gennaro. L'anno della traslazione, secondo gli storici, è compreso tra il 413 e il 431, ossia nel periodo che il vescovo Giovanni I ricoprì la sede vescovile di Napoli.
Ma con la festa si ricordano anche altre traslazioni avvenute nei secoli successivi. A Capodimonte, San Gennaro fu venerato fino all'anno 831; le reliquie del cranio e forse del Sangue, nel frattempo erano state trasferite nel Succorpo della Stefania (La seconda Cattedrale di Napoli dell'epoca, esistente insieme alla basilica costantiniana di Santa Restituta).
San Gennaro tra i monti Somma e Vesuvio (Catacombre di S. Gennaro)
Nell'anno 831, i Longobardi di Benevento, con a capo il principe Sicone, dopo reiterati tentativi di occupare Napoli, non riusciendo a coronare la loro ambizione di conquista contro i Goti, che nel frattempo occupavano la città, riuscirono però a profanare le Catacombe e a trasferire a Benevento, come trofeo di guerra, le ossa di San Gennaro. A Benevento il "trofeo" fu collocato nella Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, che era la chiesa Cattedrale. 
In quel luogo, che divenne frequentato da pellegrini e devoti, le reliquie restarono, "in pace", fino all'anno 1154, quando, per cause non bene accertate, furono dal re Guglielmo I, detto il Malo, riparate a Montevergine, nell'abazia retta dai monaci. In quel cenobio le reliquie restarono, quasi dimenticate, per ben tre secoli. Rinvenute dai monaci, in maniera quasi fortuita, dietro l'altare maggiore, furono traslate a Napoli nel 13 gennaio del 1497, dal cardinale Oliviero Carafa, per interessamento del re aragonese e della potente casa dei Carafa.
In quel periodo Napoli era flagellata da una terribile pestilenze (qui mai mancata!), e per evitare il contagio, la traslazione fu compiuta durante le ore notturne. Per tale circostanza, per accogliere degnamente le ossa di San Gennaro, la famiglia Carafa, commissionò una superba cappella in stile rinascimentale, con preziosi marmi scolpiti "a grottesche". La cappella fu chiamata "Cappella del Succorpo di San Gennaro", perché realizzata proprio nel corpo di fabbrica della nuova Cattedrale gotica.
Statua di bronzo sull'altare maggiore
Le reliquie furono murate all'interno di un pesantissimo sarcofago realizzato in bronzo. 
Passarono pressappoco altri 500 anni circa...
Nei primi mesi del 1964, il card. Castaldo ottenne dalla famiglia Carafa la possibilità di accesso alla cappella, che era ancora sotto il patronato della nobile famiglia e riuscì a ritrovare il sarcofago con le reliquie del Santo dietro all'altare della cappella. Il prof. Lambertini realizzò la ricognizione scientifica, evidenziando che si trattavano di resti di un soggetto maschile, di giovane età, poco più che trentenne, di corporatura robusta e alto quasi due metri (1,90 m).
Di tutte queste traslazioni, quindi, in città si usava celebrare la ricorrenza del "peregrinatio" delle reliquie di San Gennaro, nella data del 13 aprile, ricordando in particolare la prima traslazione, da Marcianum (Fuorigrotta) a Capodimonte, attraverso la strada romana sopra colles, che passava per Antignano, dove, secondo la leggenda, si sarebbe verificata la prima liquefazione del sangue del Martire. Si organizzava, quindi, una processione esterna alla Cattedrale, a cui partecipavano l'arcivescovo, tutto il clero, i nobili, il re del tempo e tutto il popolo napoletano devoto.
Nel XIV secolo il corteo o meglio dire il cerimoniale della ricorrenza, fu regolamentato dall'arcivescovo Giovanni Orsini (1 maggio 1337), attraverso un'apposita "Costituzione liturgica", detta Costituzione Orsini. La processione fu poi chiamata degli "Inghigliardati", perché i sacerdoti che partecipavano al corteo avevano il capo cinto di fiori, forse per ricordare anche il Calendimaggio, l'inizio della primavera, e le stesse reliquie erano ornate con fiori colorati.
Spilla dell'ordine cavalleresco di San Gennaro
Collare dell'Ordine di S. Gennaro
I fiori che ornano, ancora oggi, la parte superiore del tabernacolo che contiene il sangue, ricorda proprio questa antica usanza... 
Le processioni che si eseguivano nel giorno di festa erano almeno due. 
La méta delle due processioni era una chiesa antica della città, scelta ogni anno con ciclicità periodica. Queste furono: Santi Apostoli, S. Tommaso a Capuana, S. Paolo Maggiore, S. Giorgio Maggiore, S. Maria Maggiore (Pietrasanta), S. Maria Rotonda, S. Maria in Cosmedin, S. Maria a Piazza, S. Giovanni Maggiore, S. Agrippino, S. Domenico Maggiore, S. M. Annunziata, S. Agostino alla Zecca, S. Andrea a Nido. 
Tutta l'organizzazione della cerimonia sacra esterna alla cattedrale, ruotava intorno alla rievocazione del primo prodigio della liquefazione, avvenuto ad Antignano, quando, secondo la testimonianza leggendaria, già accennata, al momento che sfilava il corteo dei chierici, che trasportava a Capodimonte i resti di San Gennaro, una pia donna consegnò ai presuli le sacre ampolline del sangue, che nel frattempo si era sciolto.
Quindi l'evento cittadino, che si reiterava annualmente nelle diverse chiese, scelte a rotazione, consisteva appunto nel rievocare quello storico incontro della testa del Santo con il suo sangue, incontro che comportava il rinnovarsi o meno del "segno" della liquefazione del sangue, e quindi la possibilità di trarre presagi di benevolenza del Santo per la città e per i suoi abitanti. Il rinnovarsi della "liquefazione" era considerato un segno di protezione e di salute per tutti!
Stampa della processione a Santa Chiara, XIX sec.
Successivamente, nel periodo angioino, la ricorrenza primaverile di aprile rimase l'unica festa dell'anno dedicata a San Gennaro, perché a causa dei lavori nei campi, e principalmente l'impegno per la vendemmia, la festa di settembre veniva spesso disertata dai devoti provenienti soprattutto dalle campagne dei Casali di Napoli.
Con il trascorrere dei secoli, tuttavia, a poco a poco riprese di nuovo forza e importanza la data del martirio, del 19 settembre, mentre la festività primaverile, che spesso capitava durante le celebrazioni pasquali o in quelle della settimana in Albis, fu decisa di spostarla al sabato che antecede la prima domenica di maggio, con anticipo al 30 aprile, se il primo giorno di maggio fosse capitato di domenica.
Al corteo della processione era costante la presenza delle massime autorità del regno, ovvero del sovrano, seguito naturalmente dalla corte dei baroni, dalle dame, dai cavalieri e dai dignitari del regno. Alla cerimonia del 1° maggio 1490 partecipò soltanto il duca di Calabria, il quale “cavalcò er vide la Testa e il Sangue de Sancto Gennaro in Capuana, vicino a Sancto Stefano: che quello jorno erano portati per Napoli da lo Clero inghigliardato”.
Processione (mattutina) nel dopoguerra, alla chiesa del Gesù Nuovo
Durante il periodo aragonese, la gestione del culto era sotto il controllo ecclesiastico. Unica concessione data ai laici, era l’ammissione dei rappresentanti dei Sedili (due per Capuana e Nido, due per gli altri seggi e due per il Popolo) a sostenere le aste del pallio, sotto cui veniva portato in processione il busto-reliquario del Santo, in una della chiese a turno prescelta dall’arcivescovo, per la celebrazione della festività di maggio. L’apporto laico rimaneva, quindi, limitato al sostegno del pallio, perché il cosiddetto "Imbusto", veniva invece trasportato esclusivamente da ecclesiastici: prelati per un terzo del percorso dalla chiesa prescelta per la celebrazione al Duomo, e canonici della cattedrale per il resto del cammino, qualora i primi si fossero stancati.
Dal XVI secolo, e precisamente dall'anno 1525, su richiesta dell'eletto del Popolo, Girolamo Pellegrino, il Cardinale Vincenzo Carafa concesse che la mèta della processione non fosse più una delle chiese antiche della Città, ma le "piazze" rappresentanti dei cinque Sedili nobili di Napoli e del Sedile del Popolo, ovvero le piazze principali dei Sedili Montagna, Nido, Capuana, Porto, Portanova e la piazza della Sellaria e che il prelievo e il trasporto dell'Imbusto del Santo fosse eseguito dai cavalieri del Sedile interessato.
Si iniziò con questa usanza, nel 1525, proprio con la piazza della Sellaria, a rappresentare il sedile del Popolo.
"Imbusto" di San Gennaro, del 1305
Ogni anno, a rotazione, la cerimonia si svolgeva in una piazza diversa ed erano le famiglie che componevano il Sedile di quella Piazza a finanziare e ad organizzare l'evento. Si costruiva un enorme "catafalco", oggi diremmo "palcoscenico", ornato di immagini gigantesche, fiori, lumi e altri abbellimenti e si sceglieva il coro e orchestra per fare rappresentare panegirici e canti sacri, composti per l'occasione dai migliori letterati e musicisti in voga nella città, come Porpora, Paisiello, Durante, ecc.
Nel 1526, si continuò la nuova usanza della processione ai Sedili, con un catafalco allestito nella piazza del Sedile Capuano, nel 1527 fu nella piazza del Sedile Montagna, nel 1528 fu nella piazza del Sedile Nido (o Nilo), nel 1529 fu nella piazza del Sedile Porto e nel 1530 fu nella piazza del Sedile Portanova. Dal 1531 si reiterò periodicamente il ciclo, fino all'anno 1799, quando, in piena rivoluzione giacobina e aboliti definitivamente i Sedili, la cerimonia si svolse nella chiesa della Trinità Maggiore (Chiesa del Gesù Nuovo). Dal maggio del 1800 è stato stabilito che la mèta, unica e definitiva della cerimonia, è la basilica di Santa Chiara.
Processione mattutina a Santa Chiara, anno 1928
In antichità le processioni che si svolgevano erano due distinte. Al mattino presto si prelevava l'"Imbusto" di San Gennaro dalla Cattedrale e, accompagnato da un decorato pallio, lo si conduceva al luogo stabilito per la cerimonia, chiesa o piazza e dove lo si esponeva alla venerazione dei fedeli. Nel pomeriggio, intervenivano l'arcivescovo con il capitolo dei chierici, i sacerdoti, la corte reale, i nobili e i rappresentanti dei Sedili, e si conduceva la teca con il sangue nel luogo dove di trovava la testa del Santo, per rievocare lo storico incontro; incontro che si concludeva, quasi sempre, con l'annuncio dell'avvenuta liquefazione del sangue, ma alcune volte il "segno" mancava, oppure occorreva attendere del tempo. Dopo la recita del Te Deum di ringraziamento, si faceva ritorno in Cattedrale.
La modifica al cerimoniale, avvenuta nel 1525, quando fu stabilito come detto, che la processione fosse diretta, non più a una chiesa, ma in uno dei Sedili, comportò una maggiore e sentita partecipazione laica e civile all'evento e, ovviamente, anche una sua maggior valenza alla vita politica cittadina. Oltre alla sentita partecipazione degli uomini del Sedile organizzatore, era quella l'occasione per nobili, cavalieri e dame di sfoggiare abiti e ornamenti preziosi e per mostrare la propria potenza e ricchezza...
Durante il periodo spagnolo, naturalmente, interveniva il viceré.
A partire dal XVII secolo, al corteo venivano fatte sfilare anche le statue d'argento dei Santi cosiddetti "Compatroni" della città, veri e preziosi capolavori di argenteria barocca, fatte cesellare dalle chiese o dai conventi titolari del nome del santo e custodite nella Real Cappella del Tesoro di San Gennaro. Dai primi sette "Compatroni" della città, presenti nel XV-XVI secolo, il loro numero è cresciuto in maniera cospicua, tanto che, alla fine nel '900 scorso, i "Compratroni" sono diventanti ben 53 santi; l'ultimo santo ad essere nominato "compatrono" di Napoli è stata Santa Giovanna Antida Thouret.
Ma non furono sempre tutte rose e fiori...!
Notificazione del nuovo cerimoniale del 1800
Occasione di liti e controversie nei secoli passati erano anche le processioni religiose. Nel rievocare attraverso la cronaca seicentesca la festa di San Gennaro, ci imbattiamo, nel 1646, in un caso particolare. L’arcivescovo Ascanio Filomarino nutriva una forte antipatia per il ceto nobile e titolato e spesso era in contrasto con esponenti della nobiltà cittadina. Il 5 maggio del 1646, siamo nell'anno antecedente a quello della rivoluzione di Masaniello, alla vigilia della processione di San Gennaro, i deputati del Seggio di Capuana, a cui quell’anno toccava di celebrare la festa, andarono dal canonico Carmignano, allora abate tesoriere della Cappella del Tesoro, per prendere la testa del Santo, onde portarla in processione all’altare del Seggio. Ma il Filomarino, senza apparente ragione, si oppose e alle ripetute rimostranze, finì con dichiarare che la processione sarebbe uscita senza neppure passare per il Seggio di Capuana; e a questo punto la lite trascese... 
Ma ecco come commenta la cronaca la famosa giornalista e scrittrice Matilde Serao: “Diritto ed affetto di popolo, soprattutto. Le reliquie di San Gennaro sono state sempre considerare proprietà del popolo, che le affidava in custodia alla Chiesa, ma per riaverle ogni volta che la loro intercessione potesse scongiurare un pericolo, ogni volta che, sollevate dalle braccia dei popolani, nel fulgore dei cerei, sotto le ricchezze del baldacchino, esse potesse dire al Signore la parola di pietà, la parola salvatrice della gente nostra.
Cardinale Ascanio Filomarino
Un sol Cardinale osò far valere la sua autorità di fronte al volere della cittadinanza, e fu, nel secolo decimosettimo, il Filomarino. La cosa avvenne nel maggio 1646, per la tradizionale festa del miracolo, che quell’anno, per una particolare consuetudine, doveva avvenire nel quartiere del Sedile Capuano. I nobili del Sedile richiesero, come loro diritto, le reliquie del Santo alla Cattedrale, per trasferirle nella sede del miracolo con gran pompa, ma il Cardinale Filomarino, che teneva molto alla dignità della sua carica, trovò che la domanda era stata fatta con soverchia alterigia (un nobile del Seicento non doveva certo peccar di modestia, s’intende) e si ricusò. Invano s’interposero il reggente della Vicaria e persino il duca D’Arcos, allora Viceré di Napoli. La porpora Cardinalizia non cedette a quella vicereale e la processione del Santo non passò neppure  per la piazza Capuana.
Ma, quando essa giunse nei pressi di Forcella, uno stuolo di gentiluomini del seggio di Capuana e del seggio di Nilo irruppe tra la confraternita, per presentare una protesta al Filomarino, e dovette irrompere abbastanza vivacemente, tanto da scompigliare la processione, cossicchè, mentre il notaio cominciava a leggere la protesta e il Cardinale si affrettava a stappargliela di mano, balenarono i ferri, le torce andarono all’aria e gli ermellini dei canonici si dispersero, in fuga, da tutte le parti. Le reliquie, nel trambusto, furono portate in salvo nel cortile del palazzo Pignatelli, dove molti gentiluomini le guardarono riconquistandole alla città.”
Portantina per il trasporto delle reliquie del sangue, in caso di pioggia
Una processione particolarmente movimentata a causa dell’improvvisa pioggia fu quella del 6 maggio 1690. Diamo direttamente la parola al cronista (Innocenzo Fluidoro, da "I Giornali di Napoli"): “A 6 detto, Sabato, si fece la processione del glorioso sangue di San Gennaro, e toccò la festa farsi al seggio Montagna, che fu superbamente apparato con bellissimo e ricchissimo altare, fatto da’ padri de’ Gerolomini. E successe che, nell’uscire della processione, essendosi intorbidito il tempo, cominciò lentamente a piovere, che non guastò la processione nel principio: ma, nell’uscire dal Duomo il capitolo con il signor cardinale arcivescovo e signori deputati, portando sotto il baldacchino il prezioso sangue, incalzò maggiormente, indi seguì con furia: per lo che, avendo fatti pochi passi, fu di bisogno al signor cardinale di ponersi in seggia dentro al palazzo dello Datolo, con le carrafine in mano (ampolle del sangue), e così portò per tutti li seggi, servito attorno di essa dalli detti signori deputati con la capa scoperta e torcie accese in mano, quali tutte si consumarono. E fra questi fu il regente don Francesco Moles duca di Parete, ch’era deputato del Tesoro per la piazza di Portanova, ove era stato agregato. Giunto al seggio di Montagna, cessò la dirotta pioggia, ed il sangue si compiacque di fare il miracolo della liquefazione. La verità è che sin dal principio che uscì dal Tesoro era mezzo liquefatto: indi, giunto al seggio e posto su l’altare vicino alla testa, si finì di liquefare. Assistirono al seggio, conforme al solito, il signor viceré e gran numero di dame e cavalieri. Nel ritorno, poi, essendosi serenato il tempo, fu portato sotto il pallio insino al Tesoro, dove, per grazia di Dio e con allegrezza universale, seguita a fare il miracolo.”
Disegno acquarellato con ordine dei posti dei nobili
Nel 1713, la processione di San Gennaro fu motivo di un’aspra controversia tra i rappresentanti della Deputazione ed il card. Francesco Pignatelli, il quale pretendeva di intervenire con due canonici assistenti.
Tra questi, altri contrasti si ebbero nel maggio del 1716, in merito al posto di precedenza da assegnare a ciascuno dei rappresentanti dei Sedili, durante lo svolgimento della processione del pomeriggio, ai lati dell'arcivescovo Pigantelli. Si pose fine al diverbio, facendo redigere una piantina colorata, con sopra indicati i nomi dei deputati interessati, che fu approvata e presentata al cardinale... Ecco quanto si legge nel libro: “La Real Cappella del Tesoro di San Gennaro”, di Franco Strazzullo, ed. 1978 Società Editrice Napoletana: "In seguito ai contrasti circa il diritto di precedenza nella processione di maggio, la deputazione l’8 aprile 1716 ordinò che si disegnasse una Pianta “hanno concluso che il detto Sig. D, Domenico Caravita favorisca di fare la pianta della forma deve andare  l’em.mo Sig. Cardinale Pignatelli, con li due signori canonici a’ fianchi e l’Ecc.ma Deputazione del Tesoro nella processione di Maggio, e la facci fare colorita, acciò si veda e si possì considerare dall’Ecc.me Piazze”. 
Le statue dei santi Compatroni, al momento della processione
Dal 1800, escludendo solo il ventennio successivo alla II guerra mondiale (quando fu scelta la chiesa del Gesù Nuovo, per i noti motivi di distruzione della basilica di S. Chiara, causati dai bombardamenti), la méta della processione resta fissata la basilica di Santa Chiara. Si continuavano a eseguire due processioni: la prima, la mattina del sabato, quando si portava con il pallio, il busto di San Gennaro, esponendolo per l'intero giorno sull'altare della basilica, mentre, nello stesso pomeriggio, interveniva l'arcivescovo, portando solennemente le reliquie del Sangue del Santo.
Questa usanza è durata, più o meno invariata, fino a metà degli anni '60 del secolo scorso, quando il cardinale Corrado Ursi, riconsiderò il cerimoniale dell'evento, anche alla luce degli effetti sul traffico cittadino e in ragione delle cambiate tradizioni (Concilio Vaticano II), ma anche per dare un carattere più sobrio e meno "barocco" all'evento sacro; stabilì che le processioni non fossero più due distinte, ma diventasse una sola, con suo svolgimento nel pomeriggio del sabato, e con percorso sempre diretto alla basilica di Santa Chiara. Da allora la tradizione e lo svolgimento dell'evento non ha subito altre variazioni sostanziali, l'unica modifica, avvenuta alcuni anni fa, è stata la variazione del percorso del corteo, che ora comprende anche alcune strade del quartiere di Forcella.




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Conclusioni e dedica:
Oggi 2 maggio 2020, festa della Traslazione delle reliquie di San Gennaro, la processione come è noto, a causa delle attuali disposizioni legate alla salute pubblica cittadina, non potrà aver luogo, anche se questo pomeriggio nella Cattedrale si eseguirà una funzione religiosa in forma privata, che sarà diffusa in diretta, attraverso i mezzi televisivi e informatici...
Ci mancherà quel sapore di festa, quelle emozioni, quell'attesa, quel suono della banda musicale, quelle armonie dell'organo..., ci mancheranno il Salmi recitati ad alta voce dai seminaristi del capitolo metropolitano, il luccichio delle belle statue d'argento che sono portate a spalla tra le strette vie del centro antico, ci mancherà la speranza stampata sul volto dei tanti anziani.... Ci mancherà tutto questo! 
E, dopo 44 anni di ininterrotta partecipazione, mi mancherà ancor di più non poter dare un saluto e fare una preghiera all'"amico" Gennaro: Santo, Protettore e Amico del cuore... Viva San Gennaro!

Salvatore Fioretto