sabato 30 luglio 2022

Per la festa del Salvatore, una cucina tradizionale semplice e festosa...!!

Peperoni farciti al forno
Ed eccoci di nuovo a descrivere i ricordi e le tradizioni legate alla festa patronale di Piscinola, in onore del SS. Salvatore. Sono nove anni che dedichiamo a quest'evento un "post tradizionale" nel Blog, ricordando avvenimenti di folclore, di usanze e di personaggi... ma non abbiamo ancora finito...!
Quest'anno, approssimandosi la "festa delle feste", così essa era considerata dai "piscinolesi doc", abbiamo pensato di narrare un aspetto della festa di un tempo, che rappresentava e rappresenta ancora oggi, una tradizione familiare, ovvero la preparazione del pranzo, con alcuni piatti tipici locali, tramandati di generazione in generazione.
Peperoni farciti al forno
Non c'è da stupirsi se Piscinola conserva questa tradizione anche nel campo dell'arte culinaria, perché anche altri quartieri di Napoli, come pure altri siti ubicati fuori Regione, conservano ancora queste tradizioni; basti pensare, restando nelle vicinanze, che a Ponticelli (quartiere di Napoli), per la festa della Madonna della Neve, si usa preparare le "Melanzane alla cioccolata", oppure a Miano, festa di San Gaetano, il "Ruoto di stocco" con pomodori e spezie...
A Piscinola la festa e quindi il pranzo, un tempo era un'occasione per riunire tutta la famiglia, come a Natale e a Pasqua, perchè molti piscinolesi, che avevano abbandonato il quartiere per lavoro o per altro motivo personale o familiare, solevano far ritorno a Piscinola, per riunirsi alle rispettive famiglie, proprio per la ricorrenza della festa patronale.
Processione del SS. Salvatore in piazza Tafuri, foto anni '50
Il piatto principe della festa del SS. Salvatore a Piscinola, era i cosiddetti "Puparuole 'mbuttunati", ovvero i peperoni farciti, cotti nel forno a legna. Ovviamente gli ingredienti principali della pietanza erano i peperoni di stagione, quelli callosi, belli e grandi, sia gialli che rossi, preparati assieme ad altri ortaggi, condimenti e spezie. Ecco in sintesi la ricetta tradizionale che abbiamo recuperato:

Ingredienti:

  • peperoni grandi e carnosi (sia gialli che rossi)
  • pane raffermo tagliato a pezzetti
  • melanzane
  • capperi
  • olive di Gaeta
  • acciughe sotto sale
  • prezzemolo tritato
  • aglio
  • olio d’oliva/sugna
  • sale e pepe q. b.

Preparazione: Mettere ad arrostire i peperoni lavati e asciugati su una "fornacella" con carboni ardenti, appoggiati a una grata. I peperoni si devono girare più volte, fino a che la "pelle" esterna di questi non sia abbastanza "bruciacchiata".

Banco di vendita della Zuppa di Cozze (foto di repertorio)

A cottura ultimata togliere i peperoni dalla "fornacella", e attendere che raffreddino. Successivamente, occorre togliere la pellicina (spellarli), completamente con accuratezza, facendo molta attenzione a non romperli. Togliere poi il tòrsolo con i semi, conservando la forma chiusa dell'ortaggio, perché dovrà essere riempito con la farcitura.
Farcitura
(Imbottitura): Tagliare a dadini le melanzane e poi friggerle in una padella. A parte, si soffrigge il pane con dell’olio d’oliva (ne basta davvero poco), con 2 spicchi d’aglio schiacciati, aggiungendo a essi, le olive snocciolate, i capperi e le acciughe aggiunte. Prima di togliere il soffritto dal fuoco, aggiungere le melanzane e fare insaporire il tutto qualche istante. Condire il "ripieno", così preparato,

Banco di vendita della Zuppa di Cozze (foto di repertorio)
con abbondante prezzemolo tritato, sale e pepe; ricordare di togliere l’aglio, per chi non lo gradisce...
Farcire quindi i peperoni, chiudendoli con dello spago (ma vanno bene anche degli stuzzicadenti). Questi vanno infine disposti in una pirofila (o ruoto di rame, se cotti nel forno a legna). Il tegame deve essere preventivamente unto con olio (meglio con sugna). Sui peperoni aggiungere un pizzico di sale e filo di olio d’oliva.
Infornare e fare cuocere per circa venti minuti, a 160°.
Sfornare e servire, senza frazionare i peperoni...!
Qualcuno realizzava una variante alla ricetta, inserendo degli ingredienti proteici: un uovo, del formaggio grattuggiato, della carne macinata e un po' di prosciutto tagliato a dadini.
Non si crederà ma in passato i peperoni erano racchiusi con il loro riempitivo, utilizzando ago e filo di cotone...!

Tagliolini all'uovo fatti in casa
Ovviamente il piatto dei "puparuoli 'mbuttunati", non era l'unica pietanza preparata per il pranzo del SS. Salvatore. Spesso si associava ad esso anche il "ruoto con il coniglio o con il pollo alla cacciatora", cotti assieme alle patate novelle e altre spezie, sempre nel forno a legna. C'era pure chi preparava per la circostanza i tagliolini all'uovo fatti in casa, conditi col sugo del ragù e, qualcun'altro, addirittura gli gnocchi fatti con le patate, conditi sempre col sugo del ragù... Nel ragù, che era preparato col sugo di pomodoro, rigorosamente autoprodotto in casa ('a passata), si aggiungevano tagli di carne e involtini molto particolari, appartenenti a parti macellati di animali, considerati dei tagli secondari, come: le tracchie (tracchiulelle), la mammella di vaccino ('a zizza 'e vacca) e gli involtini di intestini di gallina che, per la cottura, erano avvolti su ramoscelli di prezzemolo (stentenielli 'e gallina)...
Banco di vendita della Zuppa di Cozze (foto di repertorio)

Il dolce, quando previsto, era molto semplice, ma genuino; di solito si preparava la torta di gelato al caffè.
Era questa un semifreddo preparato con biscotti duri (da noi chiamati pastarelle), che venivano disposti a strati in un vassoio, dopo essere stati inzuppati singolarmente nel caffè amaro, reso tiepido. Tra i vari strati di biscotti si inseriva una sorta di crema preparata a base d'uovo. Dopo aver completato i vari strati, si cospargeva la sommità del semifreddo con dei confettini colorati di varie dimensioni, distribuiti su uno strato di albume montato; poi si metteva il contenitore nel frigo, aspettando che diventasse gelato.

Zuppa di cozze tipica
Altro piatto tradizionale tipico della festa del Salvatore è quello che è definito la "regina" delle feste patronali, vale a dire sua maestà la "Zuppa di cozze"!
La Zuppa si gustava seduti ai tavolini allestiti dai maestri di zuppa di cozze, detti "cuzzecari" o dagli esercizi commerciali del posto, situati nei punti prestabiliti del quartiere, quasi sempre nella zona centrale. Fuori alla trattoria "Sarnacchiaro", lato via vecchia Miano, allestiva la  sua postazione con i tavolini, il "maestro cuzzecaro" soprannominato "Buccetiello", la cantina di "don Lurenzo" allestiva nella piazzetta della Chiesa, sul lato via V. Emanuele, mentre in via del Plebiscito, lungo il marciapiede lato cantina Di Guida, allestiva il suo stand il "maestro cuzzecaro" chiamato "don Peppe 'o Russo".
Banco zuppa di cozze per la festa, foto Sarnacchiaro

Ogni postazione stradale comprendeva l'esposizione di banchi, di pentolame e di decorazioni, finalizzati alla cottura e alla vendita di zuppe di cozze.
Questi tipi di allestimenti era molto belli e particolari, perché erano composti da grossi e caratteristici pentoloni di rame lucidati a specchio, muniti ognuno di grossi manici e sormontati da variopinti e decorati festoni di carta colorata, sottilissima, tipo velina (realizzati in colori vivacissimi: bianco, rosso, giallo, verde, rosa, blu, azzurro... Curatissima era anche l'illuminazione, inizialmente con fiammelle a gas e, poi, con lampadine elettriche. Per preparare la zuppa si usavano le freselle, detti anche biscotti, ovvero dei biscotti rustici di grano, molto duri, che venivano disposti alla base dei piatti piani, dopo essere stati inzuppati con acqua calda ricavata dalla cottura dei polipi.
I polipi, che erano veraci e giganti, erano messi a cuocere
in grossi pentoloni, in bagnomaria, fin dal primo pomeriggio. A parte, poi, si cuocevano anche gli altri "frutti di mare", necessari per il completamento e il decoro della zuppa: cozze, fasolari, vongole, telline, capesante, lumache (marruzzielli 'e mare), ma anche le "marruzze di terra" di stagione.
Le lumache  dovevano essere sapientemente fatte "spurgare" alcuni giorni prima della cottura, come pure i frutti di mare, per eliminare la presenza di sabbia. Il condimento finale, che completava la zuppa, era ovviamente la salsa concentrata, a base di peperoncino piccante.
Caratteristici erano anche i tavolini e le sedie disposte per gustare la zuppa, tutti rigorosamente di tipo unificato, realizzati con listelli di legno, colorati di rosso, giallo o blu e tutti necessariamente pieghevoli per facilitare il trasporto e agevolarne l'immagazzinamento durante l'anno.
Ma non tutti si recavano a mangiare la zuppa di cozze ai tavolini, perchè erano in tanti quelli che, muniti di tovaglioli e zuppiera, portati da casa, acquistavano le zuppe di cozze al banco e, poi, una volta giunti a casa, dividevano con il resto della famiglia il succulento piatto... seduti comodamente nella propria sala da pranzo, lontani dallo schiamazzo della festa...
Il giorno preferito per gustare la zuppa di cozze era la domenica sera della festa, dopo lo spettacolo dei fuochi che si svolgeva in piazza, a conclusione della processione del Salvatore.
Dobbiamo aggiungere una parentesi per l'argomento: lo spettacolo pirotecnico domenicale era detto "Ciuccio 'e ffuoco", perchè a differenza delle esibizioni pirotecniche con le bombe di mortaio (esplosi il lunedì), i fuochi
erano fatti esplodere in un angolo della piazza, ed erano formati da petardi e vari tipi di botti, sistemati a pochi metri di altezza, sorretti su fili di ferro oppure su telai di legno. A questi si aggiungevano delle "girandole di fuochi", delle "scritte" colorate, sempre composte con i fuochi e di altri dispositivi pirotecnici (forse si simulava anche qualche figura di animale, da cui il termine "Ciuccio 'e ffuoco"). Come per i fuochi pirotecnici esplosi in aria (con bombe a mortaio), anche per il "Ciuccio 'e fuoco" erano previsti dei premi, assegnati da una apposita giuria, alla più bella e particolare esibizione.

Banco di vendita della Zuppa di Cozze (foto di repertorio)

Si racconta che ogni anno (negli anni '50), a vincere questo premio era sempre lo stesso fuochista, originario del quartiere di Miano, che aveva per soprannome "Musso a musso", anche se i piscinolesi facevano ovviamente il tifo per il loro concittadino, il fuochista cav. Piccolo (al quale abbiamo dedicato un post l'anno scorso).
Ritornando al rito della zuppa di cozze, ricordiamo che erano tantissime le persone che preferivano degustarla alla sera del lunedì della festa, prima che si svolgesse la gara pirotecnica, quando in piazza si conduceva la cosiddetta "Venneta", che poi era la vendita all'asta dei doni offerti al Comitato dei festeggiamenti, da parte di commercianti, da contadini e da semplici cittadini.

Banco espositivo trippa e carne cotta (foto repertorio)

C'era ovviamente anche la banda musicale di Piscinola, che suonava sul palco degli intermezzi musicali, tra un'aggiudicazione e l'altra. Era piacevole ascoltare i vari passaggi della Venneta durante questa parentesi conviviale, perchè erano simpaticamente condotti da un esilerante banditore, spesso era il celebre "Eugenio cu 'e lente" (Eugenio Pragliola, detto Cucciariello), di cui abbiamo già narrato la storia in questo Blog.
Tutto lo spettacolo era diffuso attraverso l'impianto audio-amplificato, ramificato in ogni angolo o strada del quartiere, attraverso delle gigantesche "trombe".

Non mancavano, poi, le postazioni dove si vendeva anche la trippa e la "carne cotta" ('O pere 'e 'o musso). Quest'altro piatto tipico era composto da parti di bovini e di ovini (mucca, agnello e capretto), opportunamente bolliti, ridotti a pezzetti e
conditi con sale e limone in abbondanza. Erano offerti dentro a involucri di carta, tipo "oleata", chiamati "coppetelli". In piazza B. Tafuri era celebre e apprezzatissima la postazione ambulante di don Pascale, soprannominato "Pascale, callo 'e trippa".

           Piatto di trippa e carne cotta (foto repertorio)

Molti ricordano ancora che la sua caratteristica bancarella, che negli anni '50 era illuminata con una lampada ad acetilene dall'odore caratteristicamente acre... ma i prodotti offerti erano a dir poco squisitissimi!
Tutti questi piatti caratteristici della festa erano ovviamente "innaffiati" con delle bevande fredde. Nei pranzi casalinghi si offriva ai commensali vino semplice e casareccio, tipo: il Perepalummo, un vinello bianco nostrano o lo Sferrazzuolo... (Il Perepalummo era il celebre Piedirosso, mentre lo "Sferrazzuolo" era un vino locale leggerissimo, ricavato da un mix di uve prodotte a Piscinola, bianche e nere).

Blocco di ghiaccio prodotto a livello industriale

Non mancavano le percoche di stagione, "affogate" nel vino rosso... Nelle cantine e nelle postazioni ambulanti esterne, invece, erano offerti i vini di qualità, vesuviani, aversani o dei Campi Flegrei, tipo: Gragnano, Asprinio, Lettere, Falanghina o altro. Come pure non mancavano le birre alla spina o in bottiglia e le classiche gassose, sempre in bottiglia... Per conservare le bibite fresche, si preparavano delle capienti tinozze di legno, riempite di scaglie di ghiaccio; una volta disposte al loro interno le bottiglie, si copriva il tutto con dei teli di canapa bagnati (sacchi). Il ghiaccio lo si trovava presso dei rivenditori specializzati ed era venduto a blocchi, di misura prestabilita.
E c'era pure qualcuno, a Piscinola, che in un piccolissimo esercizio sito nel vico Cupa Acquarola, si era "industriato" a produrre una gassosa artigianale, con tanto di bottiglia e nome etichettato sul vetro, per la vendita al dettaglio!
Poi c'erano anche gli ambulanti che offrivano taralli di sugna e pepe, zucchero filato, figurine (fichi d'india) e altro ancora...

Famoso era il venditore di taralli, chiamato "don Cosimo 'o tarallare",
piscinolese, originario di vico I Plebiscito, il quale, con l'immancabile cesta piena di taralli, girava le strade di Piscinola, specialmente dove erano posti i tavolini dei "Cuzzecari" e dava la sua voce-richiamo caratteristica, che faceva: "'o bbuono 'e sempe bbuono!"
La mattina della festa, le famiglie che avevano tra i componenti un congiunto di nome "Salvatore", solevano preparare del cioccolato fondente, che erano offerto ad amici e a parenti che si recavano per porgere gli auguri al festeggiato; il cioccolato era offerto in tazze, associato a dei biscotti molto friabili, chiamati "Savoiardi".
Lo sparo dei mortaretti della Diana, che preannunciava la giornata della festa del Salvatore, rendeva quel momento suggestivo, molto sentito e gratificante per l'intera comunità, sentendosi coesa e parte integrante dei festeggiamenti.

E c'era pure chi riceveva la "serenata" in musica, da parte di una minibanda organizzata, i cui componenti, in maniera sorprendente, conoscevano a memoria tutti i nomi dei piscinolesi festeggiati in quel giorno e le loro abitazioni...!

Altro dolce che era d'obbligo acquistare e gustare durante la festa del Salvatore era il torrone. All'epoca c'era solo la versione classica, quella bianca con nocciole. Il torrone era venduto sulle classiche bancarelle in forma sfusa, in grosse o piccole scaglie, oppure del tipo a mattoncino incartato.
Il torrone dell'epoca era comunque molto duro da masticare, anche se aveva un sapore e una dolcezza indescrivibile...! La versione "mini" del torrone era chiamato "tudaretto 'e San Biase", chiamato così perché era offerto in un formato tondeggiante ed era distribuito solitamente durante la festa di San Biagio a Mugnano.

Immagine SS. Salvatore - comitato fest. 1968

Il "Tudaretto" fu ripreso anche a Piscinola, e veniva distribuito, come a Mugnano, principalmente dal "Comitato dei festeggiamenti" (mastri 'e ffesta - maestri della festa), quando nelle settimane precedenti la festa, essi si recavano casa per casa (questuando), in cerca di offerte e doni.
A ogni offerta ricevuta, i "mastri" ricambiavano donando un'immagine grande, a colori, del SS. Salvatore, che riportava scritto l'anno dei festeggiamenti e anche un torroncino "Tudaretto di San Biase".

In passato, non c'era famiglia a Piscinola che non conservasse, appesa sull'uscio di casa, un'immagine del SS. Salvatore, specie quella stampata per la festa dell'anno corrente. Altri tempi, purtroppo!

Banco Zuppa di Coppe, foto di repertorio
Un altro anno è trascorso, ed eccoci ancora insieme ad augurare a Piscinola una buona e santa festa per il Suo Protettore secolare: il SS. Salvatore!
Auguri a tutti i lettori che si chiamano "Salvatore" e auguri a tutti i piscinolesi, soprattutto a quelli che sono lontano da Piscinola per motivi di lavoro, di studio, di viaggio o per famiglia.

Auguri a tutti ... Evviva Gesù Salvatore! 

Salvatore Fioretto

Ringraziamo gli amici: Pasquale Di Fenzo, GiovanniBattista Mele,  Michela Sarnella e Imma Cuozzo, per la loro gentilissima collaborazione.

Per i lettori interessati a leggere tutti i post dedicati negli anni, in questo Blog, alla festa del SS. Salvatore a Piscinola, ecco il link che riporta il riepilogo di tutti i documenti, i filmati, i documentari e le dediche pubblicate. Buona lettura!

http://piscinola.blogspot.com/2021/08/elencodi-tutti-i-lavori-e.html

 

Cena conviviale di piscinolesi, nel giardino esterno della trattoria Sarnacchiaro (foto Sarnacchiaro)

lunedì 25 luglio 2022

La tradizione Alfonsiana dei Liguori a Marianella: la famiglia, la vita, la casa...

La biografia del grande personaggio, Alfonso Maria de Liguori, vescovo, santo e dottore, è legata a diversi siti che sono stati caratterizzanti dagli avvenimenti della sua vita: sia perché da Egli abitati quando era ancora secolare e sia per averli frequentati come missionario e fondatore della Congregazione dei Redentoristi. Oltre alla casa convento di Pagani, con annessa basilica pontificia (sito conosciutissimo per essere la sede della Congregazione dei Redentoristi, dove Alfonso trascorse gli ultimi anni della sua vita e vi morì), oltre alla dimora della famiglia ai Vergini, ci sono altri luoghi “Alfonsiani” abbastanza noti, tra i quali: Scala, Arienzo, Deliceto, Sant’Agata dei Goti, Caiazzo (Liberi), Ciorani, Materdomini, ecc. Tuttavia, oltre a questi siti menzionati, la sede che da sempre ha avuto una valenza particolare nella biografia di Sant’Alfonso è sicuramente Marianella, dove si trovava la dimora estiva di famiglia, frequentata da Alfonso durante i primi decenni della sua vita e dove il Santo vide la luce, nel mattino del 27 settembre del 1696.

La gloria di S. Alfonso

Come è noto quella di Marianella fu la villa di campagna della famiglia de' Liguori e fu scelta dal capofamiglia, il capitano don Giuseppe de' Liguori, per far nascere i propri figli. Don Giuseppe de' Liguori fu stimato capitano delle galere reali di Napoli, durante il regno di Carlo VI; egli fu comandante della Galera “la Capitana” e sposò la nobildonna Caterina Anna Cavalieri dei Marchesi d’Avenia. Don Giuseppe scelse Marianella per la nascita dei figli, innanzitutto per la quiete del posto e soprattutto perché caratterizzata dalla salubrità dell’aria e da una natura lussureggiante.
Al momento del battesimo, al primogenito furono dati i nomi di: Alfonso, Maria, Antonio, Giovanni, Francesco, Cosma, Damiano, Michelangelo, Gasparo; nomi scelti secondo l’usanza nobile dell’epoca, per onorare gli antenati ed i santi legati alla famiglia, ma anche i santi del giorno, quelli legati al sito di nascita e alla devozione di famiglia, soprattutto della madre.

I figli che nacquero dalle nozze di don Giuseppe de' Liguori e Donna Caterina Anna Cavalieri, furono in totale otto, cioè quattro maschi e quattro femmine; di queste una purtroppo morì prematuramente. Alla fine del nostro racconto descriveremo sinteticamente la genealogia di Sant’Alfonso, con i nomi degli avi e dei parenti più stretti.
L’aneddoto più volte ricordato, legato ai primi giorni di vita di Alfonso, fu quello che il gesuita don Francesco de Geronimo, noto organizzatore di Sante Missioni popolare nell'hinterland di Napoli, chiamato dai coniugi De Liguori/Cavalieri a benedire il primogenito Alfonso, prese tra le sue braccia il pargolo ed esclamò: "Questo bambino, vivrà vecchio vecchio, nè morirà prima degli anni novanta: sarà vescovo e santo e farà grandi cose per Gesù Cristo". Ovviamente quanto predetto da Francesco de Geronimo si è verificato tutto puntualmente, e non solo… Una coincidenza sorprendente ha poi voluto che Alfonso Maria de' Liguori e Francesco de Geronimo, morti a distanza di 71 anni, l'uno dall'altro, siano stati dichiarati santi dal Papa Gregorio XVI, nello stesso giorno, il 26 maggio 1839!
Quando Alfonso decise, nonostante il parere contrario del genitore, di farsi sacerdote, dovette cedere la primogenitura a suo fratello Ercole, quindi tutti i beni posseduti, appartenenti alla casata dei Liguori, passarono di mano al fratello minore, per effetti della legge del “maggiorascato”, all’epoca vigente, che stabiliva che il primogenito legittimo (maschile) ereditava ogni bene posseduto dalla famiglia; proseguendo in ordine di età, in caso di impedimenti o di rinunce.

Antica foto dell'altare maggiore della chiesa, foto inizi '900

Ad Alfonso, dopo la rinuncia, fu riservata solo la proprietà del Carduino a Marianella (Masseria e tenimento agricolo), necessaria per garantire la rendita richiesta per l’ammissione al Seminario Arcivescovile. Alfonso conservò anche il diritto a partecipare, come membro di famiglia nobile, alle riunioni del Sedile napoletano di Portanova, percependo il compenso stabilito. Questo denaro era da Alfonso utilizzavo per le sue opere di beneficenza. Si racconta che, anche se avanti negli anni, usava recarsi alle assemblee del Sedile in sella a un vecchio asinello...

Ritratto giovanile di Alfonso

Si sa che il genitore Giuseppe abitò nel casino di Marianella fino alla sua morte, dilettandosi a dipingere miniature. Altra zia di Alfonso, pure abitava a Marianella ed era una raffinata pittrice.

Il casino di Marianella fu poi abitato da don Ercole, il quale contrasse due matrimoni: il primo con la cugina donna Rachele de' Liguori, ma senza avere figli, e poi, essendo rimasto vedovo, ebbe un secondo matrimonio con la nobildonna Marianna Capano Orsini; da questa unione si ebbero cinque figli.
Con il trascorrere dei secoli il Casino di Marianella ebbe diversi passaggi di proprietà, che non conosciamo, con suddivisione della dimora nobile dei Liguori, in più abitazioni private.

Marianella, la località dove c'era la dimora estiva dei Liguori:

Piazza di Marianella con veduta del campanile della chiesa, anni '70

Per narrare questo aspetto topografico, ci piace prendere in prestito una bella descrizione datata, che abbiamo rinvenuto nel corso delle nostre ricerche:
“Uno dei Villaggi più popolati del comune di Napoli è questo di Marianella, che conta circa 3000 abitanti, antico Feudo dei Liguori. Pare che abbia avuta origine con una Cappellina della Madonna del Carmine, da cui prese il Nome, sin dai primi secoli della Cristianità. Grande è la devozione dei Marianellesi verso la Vergine SS.ma del Carmelo. Ogni anno ne celebrano la festa con grande solennità, portando in processione una bellissima Statua, preceduta dalla Congrega del Carmine.
Un bellissimo Quadro della Madonna del Carmine sta continuamente esposto in Piazza con più lumi accesi; il che vuol dire che questo Villaggio è consacrato a Maria SS. sin dalla sua origine.
Marianella dista da Napoli poco più di cinque chilometri, ed è situata su di un falso piano, accanto alla Via Provinciale che da Napoli mena a Caserta e propriamente al di sopra del Bosco Reale di Capodimonte.“

  

Ma chi erano i Liguori?

Lo stemma araldico della famiglia Liguori

I Liguori (o de’ Liguori o Liguoro o Ligorio) furono un'antica e nobilissima famiglia, patrizia e feudataria, che secondo alcuni studiosi di araldica fu originaria della Grecia e fiorì in Napoli sin dal XII secolo, ove sempre godette di grande nobiltà. Essa fu quindi una famiglia di “cavalieri”, che originariamente, pur senza possedere titoli nobiliari del Regno, erano legati alla storia e all’amministrazione della Città di Napoli, per essere “Nobili di Piazza” o “di Seggio”, e quindi ammessi a partecipare al governo della Capitale, fin dal XV secolo, per diritto ereditato in seno al gruppo delle famiglie nobili di appartenenza. Il Sedile di Portanova fu uno dei cinque Sedili con cui era divisa la città di Napoli dell'epoca.
La stirpe dei Liguori da secoli si è sempre distinta nelle armi, nella magistratura, così pure negli alti gradi dell’amministrazione pubblica e anche nella gerarchia della Chiesa. Il suo capostipite si ritiene sia stato un certo Marco de' Liguori, che fu uno dei governatori di Napoli e un alto magistrato durante il regno di Tancredi (1190-1194), fu infatti nominato “Consùl et Connestabilis”.
Nei secoli che seguirono, questa casata passò a possedere molti feudi e conseguì i seguenti titoli: Barone; Conte di Celso e Priego; Duca di San Nicola; Principe di Presicce, di Pollica e di Montefalcone.
Alcuni rampolli della casata de' Liguori ottennero il "Cingolo militate" da re Carlo I d'Angiò.
Don Giovanni de Liguori fu tesoriere generale sotto il re Ladislao.
La famiglia de' Liguori fu decorata con l'Ordine Gerosolimitano, sin dal 1422.

Lo stemma del Sedile di Portanova

Quasi tutti i discendenti della casata acquisirono posti e uffici di alta responsabilità nella società civile, militare, con cariche di diplomatici, nobiliari ed ecclesiastici e non pochi tra essi furono ornati della dignità di Cavalieri di Malta. Ebbero anche vari titoli e feudi, accumulatisi in famiglia per acquisti o connubi o per eredità collaterali.
Dal 1800, con l'abolizione dei Sedili, la famiglia De' Liguori venne iscritta nel “Libro d’Oro” della Nobiltà, come tutte le casate nobili del Regno.

Alla fine del settembre 1710, il nostro Don Alfonso de' Liguori, con i suoi quattordici anni, divenne cavaliere napoletano, occupando il seggio spettante di diritto nel Sedile di Portanova, accanto al padre Don Giuseppe, che allora era il “Capitano a guerra”, cioè il comandante della guardia civica.

 

Cenni storici sulla casa  redentorista e sede museale di Marianella

Un’ala dell’antica villa (o casino estivo) della famiglia de’ Liguori, con ampio giardino (parte di quello preesistente), furono acquistati dai Redentoristi nell’anno 1880, col progetto di farne un luogo memoriale della nascita del nostro Santo.
Ecco cosa si legge a riguardo, in un sito web che tratta la storia di Sant'Alfonso: “Le vicende storiche havevano portato alla perdita di questa proprietà da parte della famiglia "de Liguori". Il Rettore Maggiore P. Berruti ed il P. Pfab Adamo avevano tanto desiderato che il palazzo dei Liguori fosse riscattato per diventare il centro di devozione alfonsiana. Il P. Salzano, primo Superiore Provinciale di Napoli, realizzò ciò che pareva un sogno”.

Lapide di dedica esposta sul palazzo

Con la collaborazione del sacerdote Don Raffaele Carbone, il P. Salzano comprò dai proprietari, i signori Vulpes, quella parte del palazzo, dove si ritiene fosse nato Sant'Alfonso, adattandola quindi sia a convento che a casa museo. I lavori della Casa e dell’oratorio furono presto appaltati, già a partire dal mese di luglio del 1880. Nel luglio del 1894 il Padre Raus vi fece la visita canonica. In tale circostanza anche se l’opera non era stata ancora completata, già vi erano ospitati tre Padri redentoristi e tre Fratelli liguorini.

Il primo libro di amministrazione fu  iniziato a essere compilato, segnando il bilancio dal mese di maggio dell’anno 1895.
Ecco l’iscrizione che si legge sul Portone d’ingresso della Casa redentorista:

QUESTA CASA
E’ MONUMENTO DI GLORIA ALL’ITALIA
PERCHE’ IL 27 SETTEMBRE 1696
QUI NACQUE
L’ISTITUTORE DEI REDENTORISTI
LO SPECCHIO DEI VESCOVI
IL DOTTORE DELLA CHIESA
ALFONSO MARIA DEI LIGUORI
MAESTRO SOMMO NELLE REGOLE DELLA MORALE
DA LUI SPLENDIDAMENTE AUTENTICATA
COLLE VIRTU’ DI SANTO E I MIRACOLI

Il Circolo romano di studi «San Sebastiano» pose l’Anno 1896 (Sac. Vito Fornari)

Portale della chiesa di Marianella, con dedica

Altra lapide apposta sull’edificio principale, così recita:

AL PRIMO PIANO DI QUESTO PALAZZO
NACQUE IL 27 SETTEMBRE 1696
ALFONSO MARIA DE LIGUORI
POETA, PITTORE, MUSICISTA, AVVOCATO, SCRITTORE
FONDATORE DELLA CONGREGAZIONE
DEL SANTISSIMO REDENTORE,
VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA
AL PIU’ SANTO DEI NAPOLETANI, AL PIU’ NAPOLETANO DEI SANTI
RICORDANDO IL TRECENTESIMO DELLA NASCITA
DEDICHIAMO QUESTA LAPIDE CANTANDO

7/1/1996             I MARIANELLESI

L'ingresso principale della Villa dei Liguori a Marianella

E più sotto è stato scritto recentemente a mano, con inchiostro sull’intonaco del palazzo,    queste due frasi: “In questo palazzo è nato Alfonso Maria de Liguori Santo!” (sul lato sinistro) e “Chi prega si salva” (sul lato destro).
Purtroppo dell’antico scudo in marmo un tempo posto sulla sommità del portone d’ingresso, che probabilmente riproduceva lo stemma nobiliare della famiglia de' Liguori, restano solo le due fraschette laterali, mentre la parte centrale è stata asportata o è andata distrutta, infatti resta solo il gancio in ferro al quale esso era sorretto.


La Chiesa alfonsiana

Ingresso della Chiesa

La chiesa fu edificata nell’anno 1895 e fu ricavata negli ambienti del palazzo che un tempo ospitarono le stalle. Il tempietto, anche se molto raccolto, è decorato e abbellito con dovizia in ogni particolare. Le finestre sono delle eleganti bifore con vetri cattedrale. Il soffitto presenta un ciclo pittorico ottocentesco, molto bello, dove risaltano allegorie, tipo “a grottesche”, molto simile agli affreschi che adornano la Basilica della Madonna di Pompei. Le figure, dipinte su una base dorata, raffigurano le virtù teologali, i festoni con angeli ed episodi di vita di Sant’Alfonso. Il piccolo altare è adornato con marmi policromi.

L'altare della chiesa di Marianella, con pala

Il grande dipinto, a figura intera, posto al centro dell’altare, raffigura Sant’Alfonso benedicente con abiti vescovili, mentre ai due lati dell’altare sono posti i medaglioni con le immagini dei primi due santi redentoristi che seguirono nel tempo la canonizzazione di Alfonso: San Gerardo Majella e San Clemente Maria Hofbauer.

Nel lato destro dell’unica navata della chiesa troviamo la cappella dedicata a San Gerardo Maiella, discepolo redentorista che Alfonso ebbe caro in vita.

Stemma della Congregazione

Sull'arco sovrastante l’altare è posto lo stemma della Congregazione del SS. Redentore (fondata da Alfonso nell’anno 1732, e approvata da papa Benedetto XIV nel 1749), contenente ben leggibile il motto: Copiosa Apud Eum Redemptio” (cf. Salmo 129,7), che tradotto significa: In Lui, c'è l'abbondante Redenzione”.

Le sale espositive del museo Alfonsiano

Nelle diverse sale del primo piano sono esposti ai visitatori e ai pellegrini, i cimeli, i ricordi, i quadri e gli arredi, alcuni ritenuti appartenuti alla famiglia de' Liguori o ad Alfonso in particolare.

Frontespizio del libro Teologia Morale, di S. Alfonso

In apposite bacheche di legno con cristalli sono mostrati diversi libri scritti da Alfonso, alcuni nelle loro primitive edizioni. Le opere scritte da Sant’Alfonso (scrisse 111 libri) hanno per oggetto soprattutto la spiritualità e la teologia. La massima sua opera fu scritta nel 1753, intitolata “Teologia Morale”, opera monumentale che gli valse il titolo di Dottore della Chiesa. La Teologia Morale ebbe ben 118 edizioni!

La cappella domestica della famiglia de’ Liguori

S. Francesco de Geronimo predice la vita di Alfonso

In questa Cappella privata, posta sempre al primo piano della Casa-Museo alfonsiano, si riuniva la famiglia in preghiera. Qui Alfonso ha celebrato la Messa. Sull’altare era collocata la tela raffigurante l’Immacolata. Innanzi a questa immagine si raccoglieva in preghiera la madre di Sant’Alfonso, Donn’Anna Cavalieri, con i suoi figli. Anna, fu donna pia e devota, che influì molto sull’educazione religiosa dei figli, tanto che Sant’Alfonso ebbe spesso a dire “Tutto il bene che ho fatto lo devo a mia madre”.


La stanza natale del Santo

La tradizione che in questa stanza Alfonso vide la luce fu trasmessa da Suor Maria dei Liguori, nipote di Sant’Alfonso (figlia del di lui fratello D. Ercole), la quale da monaca confidò a P. Berruti, che il suo zio Alfonso, nacque nella Stanza precedente quella più grande avanti alla Cappella di famiglia.
Il giorno 5 maggio 1881 fu collocata sul fronte dell’arco che sormonta l’ultima parte della scalinata, al primo piano, una lastra di marmo con queste parole scolpite:

Nella Camera in cui questa porta immette
Alle ore 13 del 27 Settembre 1696, nacque
S. Alfonso M. De’ Liguori
Fondatore dei redentoristi, Vescovo di S. Agata de’Goti
e Dottore della Chiesa universale.
[Il 27 Settembre 1696 alle ore 13 antiche, cioè alle 6.45 moderne in giorno di giovedì].

Stemma vescovile di Alfonso, con il leone rampante rappresentante la casata dei Liguori

La famiglia dei Liguori, gli avi e i parenti di S. Alfonso

Eseguiamo una elencazione, abbastanza sintetica e schematica, degli avi e dei parenti più stretti di Alfonso, con un brevissimo cenno biografico.

Bisnonno di S. Alfonso (lato paterno):

Don Alfonso, figlio di Antonio, nacque il 14 settembre 1615; sposò prima donna Eleonora Mastrillo, poi, morta questa, donna Geronima Venuti di Messina.

Nonno di S. Alfonso (lato paterno):

Don Domenico, fu Ufficiale della marina napoletana. Sposò Andreana Mastrilli, figlia di Francesco, Nobile di Nola, e di Eleonora Gomez Andreana  era  già vedova di Enrico Mastrilli Nobile di Nola.

Padre di S. Alfonso (e madre):

      Don Giuseppe Felice, nato a San Paolo Belsito, il 11 (5?) febbraio 1670,  morto a Napoli 11 novembre 1745,  fu  Capitano della “Capitana”, Galera Padrona della Regia Squadra del Regno di Napoli (di 400 remi), e suo comandante fino al 1735. Navigò in lungo e in largo nel Mediterraneo in missioni militari, diplomatiche e politiche, frenò l’ardore e l’ardire dei pirati musulmani, che ne infestavano le coste, e fu dovunque ammirato e stimato in corte. Sposò, il 15 marzo 1695, donna Anna Caterina Cavalieri, nata il 24 novembre 1670, figlia di Federico Cavalieri, Presidente della Regia Camera della Sommaria e Consigliere del Sacro Real Consiglio di Santa Chiara, e di Elena dei Marchesi d’Avenia; suo fratello, Emilio Giacomo Cavalieri (zio di Alfonso), fu vescovo di Troia e morto anch’egli in odore di santità. 

 

Francobollo commemorativo emesso in occasione del bicentenario della morte di S. Alfonso

 

Fratelli di S. Alfonso:

Don Antonio, nato il 5 novembre 1698, morto nel monastero di San Severino, il 3 settembre 1739 fu monaco benedettino col nome di “fra’ Benedetto”, nella Congregazione Cassinese e in seguito divenne maestro dei novizi. 

 

Donna Barbara, nata il 25 febbraio 1700, diventata monaca nel monastero di San Gerolamo a Napoli, col nome di “suor Maria Luigia”, nel 1716.

 

Donna Maddalena (gemella di Barbara), nata il 25 febbraio 1700, morì poco dopo il battesimo.

 

Don Gaetano, nato a Napoli, il 4 settembre 1701, divenne sacerdote e quindi  Cappellano della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro.

 

Donna Maria Anna, nata a Napoli, il 28 dicembre 1702, divenne monaca nel monastero di San Gerolamo a Napoli, col nome di  “suor Maria Anna”, nel 1718.

 

Donna Teresa, nacque a Napoli, il 12 dicembre 1704, sposò don Domenico del Balzo barone di Presenzano, principe di Pollica e conte di Celso, il 14 aprile 1720.

 

Don Ercole, nato 30 novembre 1706, fu Principe di Pollica e Conte di Celso, morì nel 1795.  Ereditò la casata dei Liguori dopo la rinuncia di Alfonso. Ebbe due nozze:

a)    con donna Rachele de Liguoro (1732), che morì senza prole, il 31 ottobre 1762;

b)    con donna Marianna Capano Orsini, principessa di Pollica e contessa di Celso, il 10 marzo 1763.

 

Campanile di S. Lorenzo (Napoli) con gli stemmi dei Sedili e quello della Città di Napoli

 

Nipoti di S. Alfonso (figli del fratello Ercole):

 

Donna Maria Teresa, nata il 20 luglio1764 morta 24 giugno 1848, fu monaca nel monastero di San Marcellino a Napoli, dal 1783, poi trasferita nel monastero di San Gregorio Armeno.

Don Giuseppe, nato a Marianella il 16 aprile 1766, morto il 12 marzo 1846, ereditò il titolo di Principe di Pollica e Conte di Celso dal 1795. Sposò donna Maria Gusmana Sambiase, figlia di don Giuseppe Domenico, principe di Campana e di donna Eleonora Caracciolo, dei duchi di Vietri, in data 18 luglio 1784.

Don Carlo Maria (gemello) nato il 16 aprile 1766, morto a 3 anni, il 6 febbraio 1770. 


Donna Maria, nata il 5 agosto 1767, non si  conoscono di lei altre notizie.


Don Alfonso, nato il 5 agosto 1777, fu battezzato da S. Alfonso nella chiesa di Marianella. Morì il 24 aprile 1829.

 

Considerazioni finali:
Abbiamo cercato di aggiungere un altro piccolo tassello alla storia di Sant'Alfonso, ovvero delle notizie più particolari
riguardanti i rapporti del Santo con Marianella e con la sua famiglia. Riteniamo a giusta ragione che tale argomento sia stato un poco trascurato dall'agiografia e dalla storiografia tradizionale.
Con la scrittura di questo post, abbiamo dato un altro piccolo ma significativo contributo affinchè l'immagine di Marianella, con il suo cittadino Sant'Alfonso, venga riscoperta con interesse da parte di quei lettori che ancora non la conoscono oppure la conoscono per sentito dire o in maniera distorta. D'ora in avanti essi potranno considerare il sito di Marianella di grande interesse culturale per le visite guidate organizzate e non, oltre a essere una meta di pellegrinaggi.
Intanto, approssimandosi la festività della nascita al cielo di Sant'Alfonso, il 1 agosto 2022,
cogliamo l'occasione di porgere i nostri auguri a Marianella, alla famiglia dei Redentoristi e a tutti i lettori che si chiamano Alfonso. Auguri!

Salvatore Fioretto