domenica 7 giugno 2015

Giuseppina, la fanciulla del perdono...! 1^ parte

Attraversando via Aldo Moro, colpisce al viandante la vista di quel semplice monumento edificato alcuni anni fa, con caparbietà, da alcuni abitanti del posto e da un comitato spontaneo di cittadini, per dedicarlo a una sfortunata ragazza della Guerra, che si chiamava Giuseppina Bianco.
Sono trascorsi da quell'episodio cruento, che la vide cadere per mano della viltà umana, settantuno anni, ma il suo ricordo, la memoria di quell'apparente inutile sacrificio non sono mai stati cancellati o sopiti da questa comunità, che fortunatamente conserva ancora alti i valori della riconoscenza e della pietà umana.  
Giuseppina Bianco, morta a diciassette anni, per conservarsi pura, per non cadere preda delle luride voglie di un marocchino imbestiato e ubriaco (G. Altamura).

Siamo qui a rievocare la storia di questa sfortunata ragazza di Piscinola, perché convinti che il suo esempio di vita, al di la della religione e della fede, possa e debba essere un riferimento, la forza e lo stimolo capace di far evolvere in maniera inversa tante criticità, materiali e morali, che attanagliano ancora, in questi nostri tempi, il nostro sfortunato quartiere... 

Chi viene ricordato non morirà mai!

Per illustrare la luminosa figura di questa semplice ragazzina, e il contesto storico nel quale si è verificato l'episodio, prenderemo più volte in prestito il racconto scritto dalla sua insegnante alla scuola elementare "Torquato Tasso", Giovanna Altamura, che la tenne molto a cuore tra le sue alunne più care, e l'ha immortalata nella sua novella: "Dove passò lo straniero", contenuta nel libro "La rivolta dell'umanità e altre novelle",  Gastaldi editore" e anche lo scritto del libretto di Innocenzo Davide: "Giglio Insanguinato" .

Giuseppina Bianco, nacque nel gennaio del 1927, a Piscinola, allora frazione del Quartiere San Carlo All'Arena, nella masseria Delle Donne. La sua era una famiglia numerosa, i cui genitori, Andrea e Teresa, e i numerosi fratelli piccoli, si dedicavano con sacrificio al duro lavoro nei campi.
[...] "Era una fanciulla buona, senza nulla di eccezionale, semplice e mite, modesta e bene educata come tutte le fanciulle del paese, religiosa, senza smanie, studiosa per quel tanto che le permise di ottenere la licenza elementare, per poi dedicarsi alle cure della famiglia e della terra come quasi tutte le contadinelle del luogo, presto spose e prolifiche mamme".
Scuola Torquato Tasso, foto anni '30
Giuseppina era molto pia e devota, dedicava spesso fioretti alla Madonna e frequentava la cappellina del Sacro Cuore durante le funzioni del mese di maggio; sovente si recava a piedi, con altre amichette, nel convento di Pianura, per visitare delle amiche suore. Spesso provava tristezza nel lasciarlo, per far ritorno a casa...
"Giuseppina, se avesse potuto, avrebbe scelto proprio quella vita, ma sapeva che la numerosa schiera di fratelli e delle sorelline avevano bisogno di lei, delle sue cure, e poi c'era la terra, la "loro" terra, che non poteva essere privata dell'opera delle sue braccia forti".
Spesso si confidava con la sua maestra, forse sua unica confidente, di quel sogno, quel desiderio segreto, dolorosamente soppresso, proprio per pensare alla sua famiglia. Concludeva le sue confidenze, con delle espressioni a lei abituali: "Non importa, non fa nulla"...
Giovanna Altamura descrive con molto realismo, i luoghi e il sacrificio che ogni giorno Giuseppina doveva compiere per recarsi alla scuola Torquato Tasso, attraversando impervie strade, che allora congiungevano le masserie ai confini con Mugnano, con la piazza di Piscinola:
"Era davvero una cara fanciulla, così come era stata una scolaretta tra le più care, affettuosa, garbata, allegra ma composta, che giocava e rideva con faciltà, ma senza abbandonarsi, mai, a scompostezza di giuochi. 
Per andare a scuola doveva fare, come tutti i bambini delle masserie lontane, un lungo cammino, attraversando una "cupa", stretta tra le terre, ma che accorciava di molto la lontananza. Giungeva a scuola con gli zoccoletti impolverati, con il grembiulino nero, diventato grigio, specie nei tempi di siccità, con i capelli disordinati dai lunghi rami dei rovi spinosi dei quali son fatte le siepi, ma le manine forti e scure, tenevano sempre un mazzolino di fiori colti lungo la via, o una mela, o un pugno di noci verdi e tenere ancora, da offrire alla maestra. E si scusava <<di non essere pulita - come dice lei, signora maestra - perché quella strada era così sporca e infangata e polverosa, che anche ogni attenzione, non era possibile giungere a scuola pulita come era sortita da casa>>".
Qualche volta cartella e cestino erano finiti a terra, per via, ed allora tirava fuori il grosso fazzoletto quadrettato, che la mamma le ficcava nella tasca del grembiule di scuola, e si metteva, svelta svelta, a pulire tutto, abituata a tenere tutto in ordine anche nella rustica semplice sua casa".
Giunse la terribile guerra, l'occupazione tedesca, i numerosi bombardamenti eseguiti dalle truppe angloamericane... Molti uomini, padri di famiglie numerose, furono mandati a combattere su altri fronti di guerra; in tanti furono deportati e in tanti resi prigionieri e trattenuti nei lager tedeschi o russi. Anche il padre di Giuseppina, Andrea Bianco dovette lasciare la sua numerosa famiglia per la guerra e anche lui fu fatto prigioniero.
"La guerra tremenda aveva portato i suoi lutti e le sue rovine anche laggiù, nel piccolo borgo tranquillo, e quando gli uomini dovettero lasciare la casa e la vanga, per il fronte ed il fucile, le donne, come tutte le donne d'Italia, si sostituirono ad essi, presero nelle mani, dure e forti gli arnesi della terra e continuarono, in silenzio, come sempre, il lavoro, senza recriminazioni né soste, bagnando, nei momenti più duri ed incerti, con le loro lacrime, le zolle dissodate e seminate con le loro mani. Le aiutavano i bambini, dimentichi dei trastulli, fatti adulti dalla necessità e dal dolore,...".
Truppe anglo-americane nei pressi del Museo Arch. Nazionale, in via Pessina
Fu la volta dell'arrivo in città delle truppe di "liberazione" angloamericane, che oltrepassando il Vesuvio, costrinsero il divenuto nemico germanico a ripiegare verso Cassino, sulla linea Gustav... 
Ma per questo territorio i guai  erano appena iniziati...
"Il paese era stato trasformato in sede di accampamento per i lerci marocchini del generale francese Jouè, reduci dalle bravure di Esperia e le donne avevano paura. Non osavano più andare fuori sole, nemmeno di giorno, nemmeno per andare in chiesa, e si raccoglievano nella minuscola cappella votiva dedicata al Sacro Cuore, in piena campagna".
Gran parte delle campagne dello Scampia, poste a ridosso della linea ferroviaria della Piedimonte d'Alife, furono scempiate dalla loro secolare quiete e rese improvvisati campi militari.... 
Terra sfortunata questa, che non ha avuto mai pace, anche nei tempi recenti...!
"Gli attendamenti dei semiselvaggi esseri strani avevano invaso le terre, e si allargavano nella campagna sconvolta, nella quale i secolari noci erano stati spezzati e divelti, le viti strappate, e la terra coltivata calpestata, battuta e trasformata in campo di manovra per autocarri, oppure in attendamenti e cucine".
Le donne, specie quelle sole, abitanti nelle lontane masserie erano le più indifese, e si organizzarono come potevano per un mutuo soccorso...
"Si davano coraggio, riunendosi a gruppi quando dovevano allontanarsi dalle immediate vicinanze di casa, e non rimanendo mai isolate nel lavoro. 
Sotto le ampie gonne ciascuna celava l'affilato falcetto, tagliente e leggero, che come arma di difesa non perdonava". [...] Nessuno degli afri maleodoranti riuscì a toccare una sola donna o fanciulla del piccolo borgo assolato. Piuttosto morire che cadere nelle mani di quegli infedeli che sputavano quando passavano dinnanzi alle chiese".

L'episodio dell'eccidio di Giuseppina Bianco avvenne, il 17 maggio del 1944, quando la ragazza era dedita, insieme alla mamma e alcuni fratellini, al lavoro di diserbo del grano nel suo piccolo podere, situato non lontano dalla masseria Epitaffio, dove c'era una cappellina (segue nella seconda parte).

Salvatore Fioretto 

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