sabato 26 novembre 2022

Professore, deputato, ministro, giurista.... Pasquale Stanislao Mancini, Avvocato di Piscinola... (2^ parte)

(segue dalla prima parte)
Nel nuovo Consiglio, presieduto da Liborio Romano, creato nel 1861, il Mancini ebbe il ruolo di consigliere, con la responsabilità degli Affari ecclesiastici e, il 6 febbraio, anche la presidenza della Commissione per gli studi legislativi, istituita dal luogotenente Eugenio di Savoia Carignano, per decidere le modifiche da apportare alle normative giuridiche esistenti. Furono varati, quindi, una serie di decreti che estendevano anche al meridione d'Italia le normative di attuazione della transizione legislativa, con l'intento di armonizzare la materia in linea unitaria.
Il compito più gravoso del Mancini fu, in particolare, la modifica della legislazione ecclesiastica delle province meridionali, per renderla compatibile con lo statuto. A tale fine Mancini elaborò alcuni decreti, emanati anch'essi il 17 febbraio, che, tra l'altro, dichiaravano decaduto il concordato del 1818, sopprimevano le commissioni diocesane, con il ripristino del Regio Economato per l'amministrazione dei benefici vacanti, affidavano all'autorità civile la nomina degli amministratori delle opere pie laicali ed estendevano al Mezzogiorno la legge sarda del 29 maggio 1855, che prevedeva la soppressione della maggior parte degli ordini religiosi, incamerandone i beni.
Questi provvedimenti, diretti a eliminare privilegi inaccettabili, caddero tuttavia in un momento poco opportuno, nuocendo all'azione diplomatica di Cavour, il quale proprio in quei giorni cercava di aprire trattative con il papa. Inoltre, se l'alto clero meridionale era rimasto legato alla dinastia borbonica e sarebbe stato in ogni caso ostile al nuovo governo, il basso clero, per la maggior parte su posizioni liberaleggianti, era turbato da leggi giudicate anticlericali e tali da incidere negativamente sulle sue condizioni di vita: solo la soppressione degli ordini religiosi riguardò circa 20.000 frati e monache, mettendo in difficoltà molte famiglie.
Proprio a tal proposito, abbiamo trovato due interessanti testimonianze tratte da pubblicazioni del periodo, che sono delle critiche politiche rivolte all'azione del Mancini, da cui si deduce chiaramente la sua presenza a Piscinola, probabilmente con il suo studio legale, ma forse anche con l'abitazione, permanenza attestata sicuramente prima del 1848. Ecco i frammenti
di nostro interesse, tratti dai due testi:
- Da: "Storia del Regno delle due Sicilie, dal 1847 al 1861, vol V, di Giacinto de' Sivo, anno 1867": [...] "Ed ecco che per ordine suo in Napoli a copiare il Pepoli, un Pasquale Mancini, Leguleio (sin. "avvocato di poca fama") di Piscinola, stato editore del Machiavelli, ignorante e presuntuoso, allora consigliere al Culto, esce a rifare il diritto canonico" [...].
- Da: "Un anno di luogotenenza piemontese a Napoli,
1861, S.N.: "[...] "La persecuzione del clero si accrebbe dal momento che si perdette la speranza di soggiocarlo. Sei decreti di un avvocato di Piscinola, di Pasquale Stanislao Mancini abolirono con un trar di penna i concordati colla corte di Roma, abolirono le commissioni diocesane, aboliron gli ordini monastici, le comunità religiose, le congregazioni, i capitoli delle chiese collegiate, i benefici semplici, le cappellanie e le abbazie e nel momento stesso che si pubblicava tanta distruzione, il governo temeva lo scontento del popolo e ne dichiarava prorogata l'attuazione" [...].
Dopo poco tempo, sempre per contrasti con personaggi di spicco locali, si dimise dagli incarichi e fece ritorno a Torino.
Nel parlamento del nuovo Regno, Marcini tenne numerosi interventi, spesso molto critici verso la Destra e i suoi governi, responsabili, a suo dire, di una politica sorda alle specificità del Mezzogiorno e al suo passato amministrativo e giuridico, che poi non era tutto da demolire...
Nell'anno 1862 fece parte al governo Rattazzi, come ministro dell'Istruzione, ma sempre per contrasti sulla linea del governo, giudicata troppo filo francese, si dimise ancora.
Passato all'opposizione, si occupò in Parlamento soprattutto di problemi giuridici. In particolare seguì e sollecitò la stesura del nuovo codice civile, con la redazione di un testo radicalmente rinnovato rispetto a quello albertino. Notevoli furono i suoi contributi al nuovo codice per il Commercio.
Altri suoi discorsi e interventi parlamentari riguardarono: il brigantaggio, l'imposta del registro e del bollo, l'amministrazione finanziaria, l'abolizione della pena di morte.
Un altro tema su cui il Mancini intervenne autorevolmente in Parlamento fu quello dell'ordinamento giudiziario.
Scrisse un saggio sulla Questione romana dal titolo: Sulle relazioni della Chiesa con lo Stato in Italia e sulla Questione romana, Firenze 1867.
Dopo Porta Pia, nel 1870, Mancini partecipò da protagonista alla discussione sul disegno di legge delle guarentigie (Garanzie della indipendenza del Sommo Pontefice e del libero esercizio dell'autorità spirituale della Santa Sede).
In aperto contrasto con i testi legislativi in corso di valutazione, il Mancini presentò un proprio progetto in 24 articoli, che non fu preso in considerazione. Per il testo definitivo, che fu poi approvato nel 1871, Mancini riuscì a far approvare vari suoi emendamenti, ma si dichiarò sostanzialmente contrario.
Nel 1872, fu chiamato ad insegnare alla Sapienza di Roma, nella facoltà di giurisprudenza.
Nel settembre 1873, prese parte a Gand al Congresso dei Giuristi Internazionalisti, nel quale fu decisa la creazione dell'"Institut de droit international" e il Mancini ne fu eletto presidente.
Col l'affermazione della sinistra alle elezioni del 1876, il Mancini entrò come guardasigilli nel primo governo Depretis. Uno dei primi provvedimenti intrapresi da Mancini, fu il trasferimento di una ventina di alti magistrati e per questo fu ampiamente criticato, perchè l'adempimento fu visto come una rivalsa personale. Egli, non solo respinse le accuse ma, durante il suo dicastero, non eseguì nessuna variazione alla legge Rattazzi sull'ordinamento della magistratura, tanto criticata nel passato.
In questo periodo fu degno di rilievo la riforma del codice di commercio, che fu promulgato nel 1882, e chiamato col suo nome: "Codice Mancini".
Altre sue iniziative, come ministro, furono l'abolizione della carcerazione per debiti e nuove disposizione sulla legislazione in materia ecclesiastica.
Nel 1880 fu nominato presidente della "Commissione dei Quindici", incaricata di preparare la nuova legge elettorale, poi varata nel 1882. Nel 1881 assunse la direzione dell'Enciclopedia giuridica italiana.
Nel 1881, fu nominato ministro degli Esteri nel nuovo governo A. Depretis. Momento saliente della sua esperienza in questo dicastero, fu la stipulazione della Triplice Alleanza.
Nel 1882
, fu tra i protagonisti della firma del trattato a Vienna, con l'inclusione in un'appendice della clausola voluta dal Mancini, dove si definiva che: l'Alleanza, di natura difensiva, non potesse avere efficacia contro l'Inghilterra.
Si passò quindi alla politica di espansione coloniale dell'Italia, a cui Mancini partecipò attivamente nel suo ruolo, nel ministero affidatogli.  Il primo passaggio fu nel 1882, con l'acquisto da parte della compagnia Rubattino, della baia d'Assab; l'operazione fu da lui giustificata a fronte delle critiche ricevute, con la motivazione che i popoli civili hanno la legittimità di esercitare anche fuori del territorio nazionale "una missione di pacifico incivilimento"; quindi oppose un rifiuto alla proposta britannica di intervenire insieme in Egitto e contrastò le aspirazioni francesi sul Marocco.
Nel 1885, giustificò la spedizione a Massaua, sostenendo in Parlamento che nel Mar Rosso c'era la "chiave" del Mediterraneo, senza però giustificare pienamente un impegno così gravoso per l'Italia. Fu attaccato in parlamento dagli esponenti anticolonialisti  e anche da Francesco Crispi; questa fu una delle cause che portarono alle sue dimissioni, che furono rassegnate nel giugno 1885.
Gli ultimi momenti della sua lunga, intensa e proficua vita li trascorse in solitudine a Napoli.
Era rimasto vedovo dal 1869.
Pasquale Stanislao Mancini morì il 26 dicembre 1888, nella Reggia di Capodimonte, messa a disposizione come residenza personale dal re Umberto I.
I suoi funerali furono solenni in città, a cui parteciparono
tutte le cariche civili, militari e dello Stato.
Le sue spoglie riposano
, assieme a quelle della moglie, nel cimitero Monumentale di Poggioreale, nel "Recinto" dedicato agli uomini illustri.

Il ritrovamento di questa traccia storica, che inserisce il quartiere di Piscinola nella biografia del grande statista, giurista e letterato italiano: Pasquale Stanislao Mancini, ci rende ovviamente orgogliosi come cittadini di questo quartiere, tuttavia speriamo vivamente di trovare, con ulteriori indagini e prossime ricerche, altre notizie che approfondiscano i particolari di questa permanenza piscinolese, con l'individuazione del palazzo che fu sede del suo studio e/o della sua residenza, e con aneddoti legati alla sua personalità. 

Salvatore Fioretto

Fonte: Oltre ai testi citati nel post, gran parte delle notizie biografiche e storiche sono state tratte e riassunte, dal sito "on line" della enciclopedia Treccani.

Professore, deputato, ministro, giurista.... Pasquale Stanislao Mancini, Avvocato di Piscinola... (1^ parte)

La storia di Piscinola è piena di personaggi storici famosi, che qui sono nati o hanno trascorso parte della loro vita oppure hanno esercitato la loro professione. Già in passato abbiamo raccontato la vita dei notai Valenzia e Liccardi, del procuratore regio Ferdinando Lestingi, del soprintendente Gallotti, di San Ludovico da Casoria, del card. Celestino Cocle, tanto per citarne alcuni...
Questa volta racconteremo la biografia di un altro personaggio importante e famoso, passato alla storia d'Italia, nel periodo a cavallo tra la Restaurazione Borbonica e l'unificazione italiana dei Savoia, e che ha trascorso parte della sua vita nel Comune di Piscinola, parliamo dell'avv. Pasquale Stanislao Mancini.
Considerando la proficua e intensa attività di questo statista, cercheremo di contenere al massimo la lunghezza della trattazione, racchiusa in due post.

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Pasquale Stanislao Mancini nacque in provincia di Avellino, nel piccolissimo comune chiamato Castel Baronia, il 17 marzo 1817, da una famiglia di estrazione borghese e benestante; i suoi genitori furono Francesco Saverio e Maria Grazia Riola. Un ruolo decisivo per la formazione pedagogica di Mancini l'ebbe la madre, che fu donna di elevata cultura e di profonda sensibilità. Pasquale Mancini compì i suoi primi studi al seminario di Ariano Irpino e, successivamente, si trasferì a Napoli, per frequentare il liceo del SS. Salvatore, dove era seguito da uno zio materno, Giambattista Riola, che fu anch'egli avvocato. Dotato di ingegno, perspicacia e entusiasmo, al fuori dal comune nell'apprendere ogni disciplina,  durante la sua formazione giovanile spaziò dal diritto, alla fisica, alle scienze naturali, alla letteratura e, addirittura, finanche alla geologia e allo studio dei terremoti. Non mancò di coltivare la sua principale passione che fu il giornalismo, ma anche la musica e la poesia. A Napoli in quel periodo si respirava una coinvolgente aria di rinnovamento culturale e scientifico.  Dopo la licenza liceale, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e conseguì il titolo accademico, nell'anno 1835. Notevole fu anche l'impegno nel campo letterario in cui si cimentò con successo. Si ricordano, tra i suoi lavori e opere: Impressioni di un viaggio campestre (1836) la traduzione di P.J. Bèranger (1837), e il Saggio di una versione poetica di Giobbe (1838). Fu anche poeta, sue furono le poesie che saranno edite raccolte solo dopo la sua morte (1904), quali: "Incerti voli. Nuove poesie del giovanetto Pasquale Stanislao Mancini", e "Senza amore".  
Nell'anno 1840
convolò a nozze con donna Laura Beatrice Oliva, anche lei appassionata della poesia.
Poco dopo il tirocinio, si avviò alla professione di avvocato e, a partire dal 1840, si dedicò anche all'insegnamento di diritto privato.
Nel campo dell'editoria, acquistò la proprietà del periodico Le Ore Solitarie, nel 1838, coprendo il ruolo di direttore. Il giornale, inizialmente a tiratura quindicinale, passò ad essere semestrale, col nuovo nome di "Giornale delle Scienze morali, legislative ed economiche": una rivista dedita alla trattazione di temi giuridici e amministrativi, con sezioni informative sui vari aspetti della cultura napoletana, sulla filosofia, e sull'attività accademica italiana e straniera.
Successivamente, dal 1844 al 1847, il periodico fu trasformato, cambiando anche il titolo in Biblioteca di scienze morali, legislative ed economiche. Queste iniziative editoriali gli consentirono di farsi conoscere nell'ampio panorama italiano dell'epoca, anche al di fuori delle Alpi, soprattutto da coloro che erano dediti agli approfondimenti e agli studi in materie giuridiche, estese ai campi delle attività umane, quali l'istruzione, l'agricoltura, l'economia, e i sistemi assistenziali, per le quali si registravano già all'epoca delle profonde carenze normative e soprattutto di carattere moderno.
Mancini fu autore di molte opere di Diritto, ricordiamo: Intorno alla proprietà letteraria e ad un opuscolo di Raffaele Carbone. Ragionamento, Napoli 1841, Intorno alla libertà dell'industria ed a' privilegi. Considerazioni, 1842. Pubblicò anche dei saggi legati alla vita sociale di quel periodo (Sul colera e delle cagioni che han preservato finora le provincie del Principato Ulteriore dal colera, Napoli 1836; Nuove idee sulle elettricità applicate all'invenzione di un paratremuoto, 1837 e 1884; Intorno alla libertà dell'industria e ai privilegi, Bologna 1842; Dell'utilità di ordinare i nuovi asili di mendicità nel Regno di Napoli sotto forma di colonie agricole. Discorso, 1843).
In quel periodo intraprese numerosi viaggi, allacciando relazioni amichevoli, anche e soprattutto durante la sua partecipazione a numerosi congressi. Tutte queste situazioni contribuirono alla conoscenza di numerosi personaggi e anche delle realtà italiane vocate al liberalismo.
Per le sue idee liberali e di sinistra, man mano si avvicinò alla politica partenopea.
E' in questo periodo, coincidente con i primi esercizi della sua professione di avvocato, che le fonti registrano la permanenza di Pasquale Mancini nel Comune di Piscinola, tanto da venire indicato, come vedremo nel seguito della trattazione, con l'appellativo di "Avvocato di Piscinola".
Dopo la costituzione, concessa dai Borboni, nel 1848, fondò il trisettimanale "Riscatto italiano", avente come obiettivo il sostegno dell'iniziale cambiamento liberale dello Stato.  Continuò, l'esperienza editoriale con un'altra testata, sempre da lui fondata, chiamata "La Libertà italiana". Fu quindi eletto deputato del parlamento napoletano, nel distretto di Ariano Irpino. Tuttavia il momento liberale concesso dal sovrano durò pochissimo e, chiusa definitivamente la Camera del Parlamento, si misero in moto le corti speciali.
Mancini divenne quindi manifastamente contrario alla politica della monarchia Borbonica e, avvertendo molto prossimo il suo arresto, si trasferì esule nel Regno di Sardegna, stabilendosi a Torino, ove giunse il 5 ottobre 1849.
A Torino, diede alle stampe il libro dove denunciava il clima instaurato a Napoli dai Borboni, dal titolo: le Relazioni di magistrati e pubblicisti italiani sopra le quistioni legali e costituzionali della causa per gli avvenimenti del 15 maggio 1848 a Napoli.
Nel 1850, il governo sardo gli assegnò una cattedra di "Diritto pubblico esterno e internazionale", nell'Università di Torino. Nell'anno 1851, Mancini introdusse il proprio corso universitario con una prolusione dal titolo "Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti" (Torino 1851; poi inserita dal Mancini in Diritto internazionale. Prelezioni con un saggio sul Machiavelli, Napoli 1873.
La sua attività culturale e letteraria non si arrestò e pubblicò anche la riedizione del
Saggio storico di Vincenzo Cuoco.
Insieme all'insegnamento e al lavoro intellettuale, il Mancini portò avanti anche l'attività professionale di avvocato, sia quella forense che quella del suo studio legale. Divenne nel Foro di Torino un avvocato di fama e di successi, e di posizione agiatissima!
Stimato giurista e esperto di diritto, fu chiamato a collaborare dai vari governi succeduti nel Regno di Piemonte e Sardegna.
Già nel 1850, il
guardasigilli Siccardi inserì Mancini in una commissione creata per rivedere le leggi civili e criminali; poco dopo, fu eletto membro della Commissione per la statistica giudiziaria.
Nel 1852, in collaborazione con G. Pisanelli e con A. Scialoja, portò a termine, il Commentario del Codice di procedura civile per gli Stati sardi, con la comparazione degli altri codici italiani e delle principali legislazioni straniere.
Intanto, già nel 1851, gli  fu concessa la cittadinanza sarda, che gli consentiva di poter
esercitare la professione legale, sia nei tribunali e sia in Cassazione.
Nel novembre 1850, fu incaricato, sempre dal ministro Siccardi, di preparare, insieme al Pescatore, il disegno di legge sull'introduzione del matrimonio civile.
La collaborazione del Mancini continuò con il governo Rattazzi nella preparazione della legge sulla soppressione delle corporazioni ecclesiastiche, promulgata, poi, nel 1855, in tutto il Regno sardo.
Fu eletto deputato nel parlamento dello Stato Piemontese, dell'aprile 1860 (VII legislatura), nel collegio di Sassari. Seguirono, da allora, altre conferme, infatti, Mancini fu sempre eletto in tutte le elezioni successive: dalla VII, alla XVI legislatura, in continuità fino alla morte, anche nel parlamento italiano.
Fu uomo di ispirazione politica di sinistra, ma tale orientamento non implicava nessun irrigidimento ideologico, né lo poneva in antitesi con le idee politiche della Destra cavouriana; anzi con Cavour, collaborò nella fase dell'unificazione legislativa postunitaria.
Ormai considerato a Torino il giurista più esperto sulle questioni dell'organizzazione statale e nei problemi di diritto internazionale, il Mancini nel periodo delle annessioni dei vari stati e staterelli dell'Italia centrale e meridionale, fu inviato dal Cavour nelle varie città annesse, per studiare i problemi legislativi in essere e organizzare l'unificazione legislativa del nuovo Stato unitario.
Nell'ex Regno delle Due Sicilie, dopo la l'annessione avvenuta nel 1860, Mancini fu inserito all'interno del Consiglio di luogotenenza, presieduto dal Farini, nel ruolo di consigliere senza portafoglio. Entrò subito in contrasto con la politica di Farini, ritenuta troppo sbilanciata a favore degli autonomisti, e rassegnò le dimissioni il 27 novembre 1881. Seguì nell'informare il Cavour, della situazione pericolosa che si stava creando, con la trasmissione del suo Memorandum, con cui faceva un resoconto degli errori commessi e fornendo consigli su come riorganizzare la luogotenenza, ma soprattutto consigliava la rapida unificazione legislativa.
A valle di questi contrasti, il Farini fu sostituito nell'incarico di luogotenente con il principe Eugenio di Savoia Carignano.
                                     (segue nella seconda parte)
Salvatore Fioretto