sabato 28 marzo 2020

Anno Domini 1542... quella Relazione di “Santa Visita” alla chiesa parrocchiale del Casale di Piscinola!


Riportiamo il testo integrale, tradotto dal documento originale scritto in latino, riguardante la relazione stilata dal Cardinale Francesco Carafa, dopo la “Santa Visita”, eseguita dai commissari da lui nominati, presso la parrocchia del SS. Salvatore di Piscinola, il 17 Giugno 1542. La relazione è tratta dall'opera "Liber visitationis" (1542 - 1543).
Nei secoli che seguirono le relazioni di Sante Visite sono state numerose, furono eseguite dopo l'elezione di un nuovo cardinale sulla "Cattedra di S. Aspreno" (Cattedrale di Napoli), e sono conservate nell'Archivio Diocesano della stessa Cattedrale di Napoli;
tuttavia questa è la relazione più antica che si conservi, che descrive con abbastanza cura la gestione dell'edificio e le rendite all'epoca possedute dalla nostra antichissima chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola che, come è noto, è considerata la più antica chiesa parrocchiale esistente nella parte suburbana della Archidiocesi di Napoli. 
Da notare che nel documento viene espressamente menzionato che la chiesa di Piscinola era una "cappellania", con un sacerdote cappellano, e quindi la stessa era retta e governata (rettoria) dall'Università di Piscinola (ovvero dal governo del Casale).
Francesco Carafa apparteneva alla potente famiglia napoletana dei Carafa (famiglia che deteneva la carica di arcivescovo di Napoli dal 1458), fu nominato arcivescovo di Napoli il 24 gennaio 1530 e mantenne la carica fino alla sua morte, che sopraggiunse il 30 luglio del 1544. 


Ecco il testo:
"PISCINOLA 
(Chiesa del SS. Salvatore)
In quello stesso giorno (17 giugno 1542) i signori Commissari si portarono nel Casale di Piscinola per visitare la chiesa parrocchiale del SS. Salvatore costruita nell’interno del Casale.  Era rettore il signor Baldassarre Pepe, il quale si presentò mostrando le sue credenziali, dalle quali risultava che, essendo rimasta vacante la cappellania per la rinunzia fatta dal Signor Michele Reti, il reverendissimo Arcivescovo lo nominò Cappellano, come risulta dalle lettere munite del sigillo della Curia.
Interrogato se la suddetta Cappella avesse introiti rispose di avere: Un reddito annuale di cinque ducati e quindici grani, pagati dal Magnifico Gerolamo Carmignano in ragione di cinque Moggi di terra siti a Piscinola, nel largo detto “Alto Perillo” confinante con le terre del Magnifico Raimondo De Luna, dello stesso Gerolamo, del Barone Puderico ed altri confini.
Un reddito annuale di nove carlini e mezzo, pagato da Daniele De Risa in ragione di un pezzo di terra, circa un moggio, sito a Piscinola nel luogo detto “Alta Zafarana” accanto ai beni dello stesso Daniele e del Signor Giovanni Pietro de Ranuso.
Un annuale reddito di cinque ducati e mezzo, pagati dagli eredi Giovannillo Gaudino in ragione di cinque moggi e mezzo di terra, siti a Piscinola, confinanti con i beni dell’Eccellentissimo Conte di Trivento, di donna Eleonora Bos…; di Antonello Fiorillo e con la Via Pubblica ed altri confini.
Un reddito annuale di nove tareni, pagati dal signore Luigi de Alando in ragione di una casa sita a Piscinola accanto ai beni dello stesso Luigi e di Lionetto de Lionetti.
Un reddito annuale di quattro tareni pagati da Gianetti e Sarnetano in ragione di una casa sita in Piscinola accanto ai beni di Lionetti e di Luigi Alando.
Un reddito annuale di sette tareni, pagati dagli eredi di Mincino De Lisa in ragione di un casamento sito in Piscinola accanto ai beni degli stessi eredi, la Via pubblica ed altri confini.
Un reddito annuale di quattro tareni, pagati maestro Giovanni Meandro, in ragione di una casa sita a Marianella accanto ai beni della confraternita di San Giovanni di Minico Caso, la Via Pubblica ed altri confini.
Un reddito annuale di cinque grana, pagato dai mastri, economi e procuratori della confraternita di San Giovanni del Casale di Marianella in ragione di una casa sita a Marianella accanto alla chiesa di S. Giovanni.
Un reddito annuale di quattro taremi e mezzo, pagato da Luca de Lisa, in ragione di un giardino sito a Piscinola accanto ai beni dello stesso Luca e la Via Comunale.
Possiede poi una casa a piano terra con un orticello accanto alla stessa chiesa.
Un altro orticello sito a Piscinola accanto alla parete della chiesa del SS. Salvatore, la Via Pubblica e altri confini il cui censo è di cinque carlini, pagati al rettore della chiesa da Costantino Festa.
La chiesa possiede una croce di argento, un calice d’argento, una pianeta di velluto carmosino ed un’altra in tela di Olanda, un camice con amitto, quattro tovaglie, le quali cose sono state donate dagli uomini dell’Università.
Fu poi esaminato il signor Antonio Ristaliano (o Ristaino), Cappellano in questa chiesa ed approvato per la celebrazione della messa, per l’amministrazione dei Sacramenti, per ascoltare le confessioni e per fare tutte quelle cose che spettano ad un sacerdote idoneo”.

Salvatore Fioretto

Ecco la prima parte del testo scritto in latino, estratto dal libro "Il liber visitationis di Francesco Carafa nella diocesi di Napoli (1542 - 1543), a cura di mon. don F. Illibato. 

Tratto da "Il Liber visitationis di Francesco Carafa nella diocesi di Napoli (1542-1543)", a cura di don F. Illibato

 

 



domenica 22 marzo 2020

Tre aneddoti di vita popolare del borgo di Piscinola...


In questo post pubblichiamo tre aneddoti curiosi di vita comune realmente accaduti nel territorio di Piscinola, in tre periodi diversi tra loro: il primo intorno agli anni '20, il secondo prima della seconda guerra mondiale e il terzo negli anni '50. I tre racconti sono tratti dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore", "Aneddoti popolari"... di S. Fioretto, edizione The Boopen, anno 2010.

Un incontro reale: la regina Elena di Savoia e due contadinelle di Piscinola!!
Campanile chiesa del SS. Salvatore da villa Musella, 2010
La regina d’Italia, Elena di Montenegro, ebbe a soggiornare spesso nella Reggia di Capodimonte. Si sa che quando era a Napoli prendeva lezioni di dialetto napoletano, perché pensava che i re e le regine dovevano parlare i dialetti dei loro sudditi come lingua propria... Era amante della cultura partenopea, anche perché, prima che diventasse regina, ebbe il titolo di “Principessa di Napoli”.
Si racconta che la Regina un giorno si recò per una passeggiata nella parte della Reggia di Capodimonte, che era chiamata il “Boschetto” e, lungo il tragitto, incontrò due contadinelle di Piscinola, che erano prese a estirpare l’erba in una radura.
Pensò di sperimentare con queste donne il livello di acquisizione del “suo” dialetto; si fermò e chiese loro: “Che facitè…?” Esse levarono il capo da terra e una le rispose: “Signò, scippamme l’éverà” (“Signora, stiamo estirpando l’erba”). Lei continuò chiedendo: “A che ora site venute?” (Da quanto tempo siete qui?) e queste risposero: “Da quanno fa juorno” (Dall’alba) e poi ancora: “Quando ve ne andrete?” e loro: “Quanne fa notte” (A notte).
Elena chiese ancora quanto guadagnassero per un lavoro così lungo e pesante e le ragazze risposero che guadagnavano soltanto dodici soldi al giorno 
“E’ poco, è poco, poverette!” esclamò Elena. Ella poi aggiunse: “Torno subito”.

La regina Elena rimase affascinata dalla semplicità di quell’incontro. Rincasò nella Reggia e poco dopo fece ritorno nello stesso luogo, portando con sé un sacchettino di confetti, che distribuì alle due donne.
Riflettendo ad Elena parve curioso elargire soltanto dei confetti e così aggiunse anche del denaro, che le ragazze accettarono volentieri.
Continuò, quindi, a conversare piacevolmente, stando seduta tra le ragazze. Dopo poco queste compresero, molto stupite, che stavano parlando a tu per tu con la regina d’Italia in persona!

“Aspetta, ca dimane t’ ’o ddico …!”
Si racconta che un vecchio piscinolese non sposato (zito), che viveva con la madre anziana, una sera fu coinvolto casualmente in una rissa, che si accese in un locale da gioco di Piscinola. Costui, mentre cercava di far da paciere, fu selvaggiamente pugnalato. Tornato a casa, la madre si accorse del suo stato e iniziò a supplicarlo di dire chi era stato a pugnalarlo. Egli, incurante della gravità della ferita, che intanto sanguinava abbondantemente, disse impassibile alla madre, di non preoccuparsi e che le avrebbe raccontato tutto con calma il giorno seguente. Pare che esclamò, dicendo: “Aspetta, ca dimane ‘a matina t’ ’o ddico…!
L’uomo, purtroppo, morì nella notte. Da allora è rimasto il detto: “Faje comm’ ’a chillo ca dicette: aspetta ca dimane ‘a matina t’ ’o ddico…!".

Uno sciopero al rovescio…! 
Questo episodio, alquanto atipico, è accaduto al principio degli anni cinquanta in Via Madonna delle Grazie.
Masseria in via Vecchia Miano (Abbascio Miano) prima della distruzione, 2002
Un gruppo di giovani piscinolesi, disoccupati, pensarono bene di inscenare una forma di protesta, per attirare l’attenzione delle forze politiche sul loro bisogno di lavoro. Invece di organizzare la consueta manifestazione di protesta, con blocchi e slogan per le strade, come siamo abituati ai nostri tempi (anche perché allora era modesto il numero di autoveicoli circolanti), pensarono di mettersi a lavorare gratuitamente al servizio della collettività. Ripararono a loro spese il selciato della Via Madonna delle Grazie che si trovava in pessimo stato di conservazione (allora la strada aveva ancora le caratteristiche di una “cupa”).
Se si adottasse anche oggi questa brillante iniziativa per protestare, oltre a non avere i soliti blocchi stradali, di cui siamo purtroppo anche vittime, ci troveremmo di fronte a manifestazioni pacifiche e utili alla collettività. Ma forse a quei tempi la vita si svolgeva secondo altri canoni e con altre concezioni sul significato di rispetto civico...
Salvatore Fioretto
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Masseria in via Vecchia Miano (Abbascio Miano) prima della distruzione, anno 2002