martedì 8 novembre 2016

Una terra di santi, di poeti, di navigatori, e… di giuristi… Il procuratore del Re Ferdinando Lestingi, Grand’Ufficiale della Corona d’Italia (4^ parte)



Abbiamo già trattato in questo blog la storia di alcuni eminenti personaggi della magistratura napoletana, che sono nati, vissuti o morti nell’antico borgo di Piscinola, dimostrando che questo territorio vanta un passato glorioso anche in questo particolare ambito di ricerca storica.
Frontespizio del periodico Almanacco Italiano
Il personaggio che qui tratteremo, vissuto nella seconda metà del secolo XIX, ha intrapreso una brillante carriera nell’ambito della magistratura italiana, ma ancor di più risulta essere famoso e fonte di riferimento da parte degli studiosi di diritto e di sociologia, per essere stato tra i primi a svolgere ricerche di antropologia criminale e a pubblicare trattati sul fenomeno della criminalità organizzata del Meridione d’Italia, in particolare sulla mafia siciliana. Ci riferiamo al Procuratore Regio, cav. uff. Ferdinando Lestingi.
Anche per lui, purtroppo, abbiamo fatto fatica a ricostruire le tappe della sua vita e il legame con il nostro territorio, mentre alcuni particolari della sua biografia risultano ancora poco noti e oggetto di ricerca, perché, come spesso lamentiamo, l’assenza di dediche stradali e di targhe civiche nel nostro quartiere hanno determinato nel tempo la grave perdita della nostra “memoria" storica e civica...!
Vecchio prospetto di Castel Capuano antica sede dei Tribunali di Napoli
Non conosciamo ancora le sue origini. Il particolare cognome, Lestingi, molto diffuso tra Bari, Trani e Conversano, lascia presupporre che le sue origini siano state pugliesi.
Lestingi conseguì la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli. Ebbe tra gli insegnanti i “capisaldi” napoletani della scuola classica del diritto penale della nascente giurisprudenza italiana: E. Pessina, L. Capuano, F. De Blasio, F. Pepere, R. Fioretti, L. Zumpani. Mentre i suoi colleghi accademici negli anni di studio furono: G. Capitelli, P. Marsilio, E. Perfumo, V. Sansonetti, F. Criscuolo, V. Colmayer, N. Cianci, F. Lanzetta, A. Cammarota, F. Girardi..., i quali, come il Lestingi, occuparono posti di prestigio nell’ambito dell’insegnamento, della magistratura o dell’amministrazione dello Stato.
Castel Capuano in una foto di inizio secolo XX
Ferdinando contrasse matrimonio con Amalia Cocle, forse nipote o parente del famoso mons. Cocle, di cui abbiamo già descritto il legame con Piscinola. Amalia sopravvisse a Ferdinando almeno un decennio; troviamo infatti il suo nome nella lista dei benefattori del costruendo tempio di San Gennaro ad Antignano, dell’anno 1908.
Lestingi Ferdinando fu assunto presso l’amministrazione della giustizia. Svolse una brillante carriera in diverse sedi di tribunali del Regno, in particolare a Napoli e nell'Italia meridionale; infatti:
L'ingresso del Tribunali, anni '60, foto archivio l'Unità
- Nell’anno 1872 fu giudice presso il tribunale Civile e correzionale di S. Angelo dei Lombardi (AV).
- Nello stesso anno 1872 fu nominato reggente della Regia Procura del tribunale di Ariano Irpino (AV). In quell’anno era stato insignito del titolo di “Cavaliere”.
- Nell’anno 1873 fu nominato reggente della Regia Procura del tribunale di Cassino, ruolo che coprirà fino al 1876.
- Nell’anno 1877 fu nominato Procuratore del Re presso il tribunale di Bari.
- Nell’anno 1878 fu trasferito al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per coprire il ruolo di Procuratore del Re, carica che esercitò almeno fino al 1880. 
- Nell’anno 1881 fu nominato Procuratore generale presso la corte di Appello di Palermo.
- Successivamente, nell’anno 1884, venne trasferito nel tribunale di Girgenti (Agrigento), come Procuratore Generale, ruolo che coprirà almeno fino all’anno 1885.
Mappa della provincia di Agrigento, di A. Rizzi Zannoni, fine XVIII sec.
Nel 1897 fu nominato Presidente della 4^ Sezione della Corte di Appello del tribunale di Napoli e poi nella 2^ sezione del tribunale Civile sempre di Napoli; aveva il titolo di Commendatore.
- Nel 1900, il commendatore Ferdinando Lestingi venne dispensato dal servizio, a causa della sua infermità e nominato “Primo Presidente della Corte di Appello a riposo”.
- Nello stesso anno 1900, il Ministero di Grazia e Giustizia gli conferì il prestigioso titolo di “Grand’Ufficiale nell’Ordine della Corona d’Italia”.
Morì a Piscinola, nel novembre del 1900. La notizia del decesso venne riportata nella rubrica dei necrologici, della rivista italiana "Almanacco Italiano - Enciclopedia popolare di vita pratica", dell'anno 1901 ed. Firenze.  
Non sappiamo ancora con precisione in quale strada di Piscinola risiedesse e per quanto tempo sia stato cittadino del nostro quartiere, tuttavia nell'Annuario Detken dell'anno 1913, nel villaggio di Piscinola, in via del Salvatore 45, si trova indicata la villa Cocle, la quale dovrebbe essere stata la residenza della famiglia Lestingi e che poi, dopo la morte di Ferdinando, avrebbe mutato il titolo con il cognome della moglie, Amalia Cocle.
Trafiletto dei necrologici, tratto da "Almanacco Italiano", anno 1901
Durante il suo mandato presso il tribunale di Palermo, prima, e in quello di Girgenti, dopo, ebbe modo di osservare e studiare da vicino il fenomeno delle associazioni criminali, poi denominate con il termine di “mafia”, allora ancora allo stato embrionale. Le sue osservazioni di antropologia criminale furono tradotte in due brevi trattati e pubblicati sulle pagine della rivista “Archivio di Psicologia, Antropologia criminale e scienze penali”, in particolare: “La Mafia in Sicilia” fasc. I, anno 1880 e “L’associazione della Fratellanza nella provincia di Girgenti”, fasc. V, anno 1884. 
"Sala dei Busti" presso Castel Capuano
Questi due trattati sono antesignani di tutti gli studi eseguiti sul fenomeno criminale della mafia siciliana e di altre organizzazioni malavitose e sono richiamati in tutte le bibliografie dei saggi storici, di diritto e di sociologia che trattano questo fenomeno sociale dell’Italia postunitaria.
In un articolo Lestingi sosteneva che il fenomeno della “Fratellanza” nella provincia di Agrigento fosse stato originato da alcuni abitanti di Favara, che avevano scontato diversi anni di soggiorno obbligato nell’isola di Ustica. Le “fratellanze” segrete erano quindi una sorta di "associazione di mutuo soccorso" o di aiuto reciproco, non visto essenzialmente come mezzo per aumentare il profitto, ma più per aiutare a gestire i rapporti nella gerarchia e far rispettare le regole adottate. 
"Sala dei Busti" presso Castel Capuano
A questa “famiglia artificiale” si accedeva mediante una caratteristica cerimonia di affiliazione che il Lestingi per primo descrisse: “Un solenne giuramento obbligava un socio agli altri, prestato alla presenza di tre di costoro, de’ quali uno, legato l’indice con un filo, lo pungeva spruzzando di qualche goccia di sangue una immagine sacra, che di poi veniva bruciata, spargendo al vento la cenere; la divinità. 
La cenere dispersa significava che come non si poteva ridar forma alla carta, così non era possibile al socio sciogliersi o mancare agli obblighi contratti (Lestingi 1884, p. 455).”
Un’altra cosa interessate, che trapela nei suoi scritti, è l’origine della parola mafia, che deriverebbe dalla consuetudine dei malviventi di Trapani di rifugiarsi nelle cave di tufo dei dintorni, cave che erano chiamate “Mafie”.
"Aquila bicipite" sulla facciata di Castel Capuano
Ferdinando Lestingi fu tra i realizzatori di un’importante opera della scuola di giurisprudenza: la traduzione del compendio francese “Corso di Procedura Penale, scritto da E. Trébutien. L’opera fu intitolata: “Corso di Procedura Penale, tradotto e messo a confronto col codice di Procedura Penale Italiano e corredato della giurisprudenza delle Cassazioni d’Italia”, autori: F. Lestingi, P. Marsilio e N. Durante. Napoli 1866.
Di Lestingi si conservano diverse epistole indirizzate al celebre scienziato, medico e antropologo, Cesare Lombroso, in risposta ad alcuni quesiti da questi rivolti, in ambito delle sue ricerche, relative alle pene detentive per i criminali e sul possibile trattamento alternativo al carcere per i detenuti.
Salvatore Fioretto

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domenica 6 novembre 2016

"'A ruta ogni male stuta!".... Pratiche e rimedi curativi in uso nella civiltà contadina...




Indagando sui costumi della civiltà contadina del territorio posto a nord di Napoli, in particolare di quello piscinolese, scopriamo diverse pratiche e rimedi usati in passato per curare malanni o lievi indisposizioni del corpo: alcuni di essi erano molto “alla buona”, privi quindi di fondamento scientifico, mentre altri erano naturali e soprattutto efficaci.
Ai bambini che avevano avuto uno spavento (vermenata) si soleva far indossare loro, per una sola notte, una collana interamente composta da spicchi d’aglio; si riteneva che in questo modo si impedisse la formazione dei vermi (tenie). Per i casi più ostinati e ricorrenti, ci si affidava alle pratiche della “verminara”
Nel libro "La nascita - Usi e riti in Campania e nel Salento", ed. FEU di T. Pasquali Coluzzi e L. Crescenzo, a pag. 66, è  ricordato: "... E a Piscinola, e nei dintorni di Napoli, negli anni sessanta, c'era ancora Rusinella, a calmare i "vierme". Se ne ricorda la signora Maria B. che, in braccio alla madre, la guardava, con una certa diffidenza, tracciare strani ghirigori sulla sua pancia e l'udiva cantilenare in una specie di "susurrus" magico, misteriose formule".
Le infiammazioni del cavo orale, come gengiviti e mal di denti, si curavano eseguendo delle applicazioni locali di foglie di lattuga (lattughella), precedentemente bollite in acqua.
Per curare le ferite da taglio si applicava una medicazione preparata alla buona, a base di ragnatele (‘a felìnia), verificando prima se l’oggetto causa della ferita fosse arrugginito o meno: poiché era credenza diffusa che la presenza della ruggine determinasse l’insorgenza del tetano. 
Lo scienziato Vincenzo Tiberio
L’utilizzo delle ragnatele per curare le ferite infette può sembrare a primo impatto improprio, ma in realtà si è dimostrato che esso ha un fondamento scientifico, in quanto le ragnatele raccolte nei luoghi umidi e bui, come le cantine, potrebbero aver contenuto delle muffe benefiche, capaci di curare le infiammazioni.
In sostanza gli antichi avrebbero anticipato di parecchi secoli la scoperta scientifica della Penicillina! Infatti, nell'anno 1895, il medico e scienziato Vincenzo Tiberio, proprio nella vicina cittadina di Arzano, eseguì delle ricerche sul potere delle muffe, anticipando di ben trent'anni gli studi di Fleming che gli valsero il riconoscimento del premio Nobel alla Medicina. 
Gli studi di Tiberio furono pubblicati su “Annali d’Igiene Sperimentale“, prestigiosa rivista scientifica italiana, sotto la supervisione dell’Istituto d’Igiene della Regia Università di Napoli, purtroppo non ebbero il giusto riconoscimento, per l'importanza della scoperta, dalla comunità scientifica italiana e internazionale dell'epoca.
Nei casi di slogature agli arti si eseguivano delle bendature rigide, tipo manicotti, utilizzando come supporto la “stoppa”, impregnata di albume d’uovo e di ragnatele ammuffite. Con l’essiccazione della parte umida dell’uovo, i manicotti si indurivano, riuscendo in qualche modo ad immobilizzare gli arti.
Noci e Nocillo
Per combattere la colite e il mal di pancia si applicava sull’addome una “borsa” di acqua bollente, perché, come si sa, il caldo aiuta a lenire il dolore.
Le difficoltà di digestione venivano superate assumendo un bicchierino di “nocillo”, la sera prima di andare a dormire. Il latte fresco era, invece, considerato un ottimo antidoto nei casi di intossicazione alimentare.
I casi di stitichezza erano risolti mangiando, durante la colazione del mattino, alcune prugne cotte al forno. Le prugne utilizzate per questa pratica curativa erano anche conservate in vasetti di vetro e in grado di durare per l’intero inverno.
Aglio
In caso di ingestione accidentale di lische di pesce si mangiava la mollica di pane. Gli episodi di tosse causati dal rigurgito di saliva o di cibo, si risolvevano con un’energica pacca sulla schiena del malcapitato. Se questi era un bimbo, lo si faceva distrarre con frasi fantasiose, tipo: “Guarda in alto l’uccellino...”, “’A vecchia ‘ncielo…!”, ecc.).
I denti “di latte”, quando cadevano, dovevano essere depositati in un nascondino, che poteva essere anche un piccolo foro in un muro. Il dente doveva essere posizionato con cura dallo stesso bimbo, recitando questa cantilena dedicata a Sant’Antonio Abate:

Sant’Antuono, Sant’Antuono,
Pigliet’ ’o viecchio e damm’ ’o nuovo;
E dammillo forte forte,
Quanno me ròseco ‘sta varr’ ’e porta.

Il nascondino doveva essere sempre lo stesso per gli altri denti, che sarebbero caduti e doveva rimanere segreto: solo cosi sarebbe cresciuta una bella e sana dentatura!
Nei casi di urti alla testa, si dovevano applicare subito, sulla zona ferita, alcune fette di patate, o mollica di pane bagnata in acqua fredda e poi strizzata. La zona doveva essere opportunamente compressa con le mani. Si riteneva che in questo modo non si formassero quei vistosi rigonfiamenti della cute. 
La testa doveva essere fasciata con una spessa bendatura, chiamata ‘a scolla, la quale, applicata molto stretta, dava la sensazione di attutire il dolore. Tutt’oggi si suole dire l’espressione un po’ sarcastica:

…Tengo ‘e scolle nfronte!

Per indicare la presenza di problemi che fanno soffrire, paradossalmente e per paragone, come un mal di testa….! Anche per curare l’emicrania si eseguiva una bendatura alla testa, interponendo però foglie fresche di limone o fette di patate.
Cespuglio di Ruta in fiore
Le patate erano applicate anche sulle palpebre degli occhi, nei casi di abbagliamento. Mentre le cipolle (oppure le superfici metalliche di monetine o di lame di coltelli) si utilizzavano per lenire le zone del corpo punte da api o da altri insetti.
Per lenire i dolori reumatici e quelli muscolari si praticavano degli energici massaggi con tintura a base di alcol e canfora (o foglie di eucalipto), oppure a base di olio di oliva e ruta. Qualcuno usava anche l’acqua o l’olio benedetto.
La tintura a base di ruta veniva utilizzata soprattutto per curare il mal di gola, ungendo dolcemente il collo e coprendo successivamente la zona con un panno nero. La tintura si preparava ponendo gli ingredienti sopra un grosso cucchiaio e riscaldando il tutto sulla fiammella di una candela. Per sottolineare le grandi proprietà curative della pianta di ruta, gli anziani recitavano questo detto:

‘A ruta, ogni male stuta,
tranne pe’ jetteche e lli mali furute…!

Vale a dire: “La ruta sana ogni malattia, tranne la tubercolosi e le gravi ferite”.
Le bronchiti, le vene varicose e le altre infiammazioni venivano curate con i “salassi”, attraverso l’applicazione di sanguisughe (sanguette) su alcune zone del corpo del malato. Questi insetti, utilizzati fino a qualche anno fa anche negli ospedali pubblici, erano prelevati dai loro habitat naturali, costituiti da stagni e pantani.
vite con tralci e uva
Le antiestetiche verruche sorte sul viso e sul collo (porri), erano eliminate ricorrendo alle pratiche dell’immancabile “vecchietta” taumaturga del posto, la quale, recitando alcune litanie, provvedeva a strofinare tre fagioli su ognuna di queste anomalie. I fagioli venivano poi nascosti in un luogo ritenuto segreto. Si diceva che quando i fagioli marcivano, le verruche “trattate” scomparivano definitivamente… Con la linfa ricavata dal taglio delle viti qualcuno riteneva di curare le calvizie precoci.
Altre essenze botaniche utilizzate nelle cure di malanni venivano ricavate dalle foglie di sorbo, dalle foglie di ortica e da alcune parti della pianta di granoturco.
I bambini malati di “Pertosse” (tossa cummerziva, ossia “tosse convulsiva”), venivano portati (“esposti”) nelle stalle, perché l’aria umida respirata in questi luoghi era ritenuta, anche secondo alcuni medici, favorevole alla guarigione.
La diffidenza degli anziani verso la medicina ufficiale è molto antica ed è chiaramente espressa nelle parole di questo antico proverbio:

Dicette ‘o mmiereco, chest’ è ‘a ricetta
e che Ddio t’ ’a manne bbona…!

Al termine di questo racconto è obbligatorio sottolineare che le pratiche curative qui descritte, frutto di semplici deduzioni o intuizioni della civiltà contadina, non sono suffragate da verità scientifica e non sono da prendere da esempio per improvvisare cure mediche e rimedi, ma occorre far riferimento sempre alla medicina ufficiale.
Salvatore Fioretto

Racconto in gran parte tratto dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni" di S. Fioretto, ed.The Boopen, anno 2010. 


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Raccolta di aglio in un dipinto antico