sabato 27 marzo 2021

Per la rassegna: una strada, un personaggio... Emilio Scaglione, poeta e scrittore... (IV^ Parte)

Per ricordare lo scrittore Emiglio Scaglione (n. 1891 m. 1946), a cui è dedicato un tratto dell'importante arteria che collega la città di Napoli con il suo hinterland settentrionale, ecco due suoi scritti: il primo è una sua lettera dal titolo "L'800 a Napoli", che fu pubblicata sulla rivista "Napoli e i Napoletani", nell'anno 1946, trasmessa pochi giorni prima che lo scrittore morisse; l'altro è un testo pubblicato, tra il 1916 e il 1917, sulla rivista "L'Arte Muta", dal titolo "Il Cinematografo in Provincia".

"L''800 a Napoli.

“ .... Quando mi ritrovo in mezzo agli artisti, ritrovo la nostalgia di un'età perduta, l'immagine della giovinezza lucente. Diciannovenne, giungendo a Napoli, i capelli e le cravatte di tanto svolazzanti di quanto l'intelletto era esiguo e l'esperienza acerba, io caddi ai primi del novecento in pieno in una gaia brigata : pittori, scultori, musicisti , poeti.
Sbarcavo dalla Sicilia, trasognato. La metropoli mi si sciorinò davanti col suo volto più tradizionalmente suggestivo: non solo l'arco fatato dei colli e la magia di giacinto delle marine, ma il trionfo giovane delle sue arti canore e figurative, l'irruenza del suo inesausto genio. L'ottocento a Napoli non si rassegnava a morire. Anzi, dalla Serao a Scarfoglio, da Costa a De Leva, da Dalbono a Mancini, da Pasquariello a Maldacea, da D'Orsi a Gemito, da Imbriani a G. Bovio, da Athos di San Malato a Napoleone Colaianni, da Russo a di Giacomo, rimaneva più vivo che mai.
Dispute d'arte ; accademie di scherma; partite d'arme fragorose , accapigliamenti di verseggiatori vernacoli; scintillio di giornalismo umoristico; il goliardesimo più fitto e più chiassoso del mondo; popolarità di insigni avvocati; furia di promotrici; ultime risse di fieri democratici e cavallottiani , implacabili contro Crispi, pur morto da poco ; frotte rivoluzionarie di artisti che esaurivano il loro furore in fiaschi di vino, in chops di birra ed in pranzi pantagruelici, nelle Osterie dei sobborghi o nelle tavolate a mare; serate di attrici e di formose dive delle canzoni del popolo; e il Gambrinus, il Teatro Nuovo, il Caffettuccio, il Mons. Perrelli, la Cronaca Bizantina, le corse dei cavalli al campo di Marte; e le stagioni di Piedigrotta, le quali avevano per il popolo un interesse superiore a qualsiasi dramma internazionale - ricordate che scandalo quando la Poliphon tedesca tentò il monopolio delle edizioni Bideri, cioè la scalata alle canzoni ? - e mandolinisti a Mergellina, barcarole a Toledo, gite in calesse e break – l'automobile era ancora lusso di pochi! - verso Portici e Resina, nei mesi in cui le facciate delle ville  settecentesche diluviano di ortensie, di gaggie e di mimose; e la tradizione già vaga dei cantastorie dei paladini di Francia sul molo, del cappellone proverbiale del Duca di San Donato , degli epigrammi del Duca di Maddaloni e del Marchese di Caccavone.
Venne la guerra del 1915 a sterminare gli ultimi fanatici del clima umbertino. Ci smarrimmo nelle trincee. D'allora , sì da allora, non ci siamo più ritrovati . Da allora, la vita ci è stata storpiata, deviata per sempre. Parecchi di noi eran forse venuti al mondo per intrecciar fiori e strofi intorno alle trecce di una donna bella ; per levare al cielo, in coppe di topazio e di rubino, un inno alla felicità di vivere ; per celebrare le albe di amianto e i crepuscoli variegati di nuvole rosee , romanzeschi come canti dell'Odissea.
Le guerre e le tirannidi ci hanno chiuso il cuore; e di tutti noi, che eravamo genuinamente poeti e amavamo l'umanità, hanno fatto animali così detti politici, che hanno messo l'epiteto virulento, la fionda e la daga al posto della tavolozza, della tastiera e della cetra : insomma la cupa passione di parte in luogo della sorridente gentilezza latina, della larga espansività napoletana. In un'ora come questa, sentiamo d'aver barattato tutto per nulla ; d'aver ben più ragione allora, pur dissennati giovani ed adolescenti, che non oggi, adulti, stanchi, rancunieri , attossicati; che la vita degna d'esser vissuta era quella, non questa buia ed atroce che trasciniamo, senza gioie e senza amore, senza mèta e senza speranza. Riformuliamone, almeno per i nostri figli, l'augurio! Che sia riserbato ad essi un migliore destino! Per quanto assurdo possa apparir questo voto , se rievochiamo le cose orrende che abbiamo vissute, se ci prospettiamo le cose orrende che forse dovremo ancora vivere, esprimiamo, tuttavia, la fede che almeno ai nostri figli possa esser reso un ideale di esistenza serena ; che essi tornino ad innamorarsi di una vela gonfia di libeccio, di un gorgheggio d'usignolo, di un fascio di fiori, di una fanciulla, di una pagina alata, d'una tela, d'un bronzo, d’una melodia, d'un canto ….!

Emilio SCAGLIONE

« Così Emilio Scaglione, pochi giorni prima che, all'improvviso, la morte si immaturamente lo avesse a ghermire, ci inviava questo delicato e aggraziato scritto. Era ancora una prova dell'affetto sincero e cordiale che ci legava. Con quale rimpianto e con quanta commozione, rileggiamo la sua prosa nitida e rilucente ! Napoli ha molto perduto per la dipartita di questo perfetto scrittore e di questa bella tempra di verace italiano.” 
(Nota della Redazione della Rivista).

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"Il cinematografo in provincia", pubblicato su “L’Arte Muta” (Napoli), n. 6-7, 15 dicembre 1916 – 15 gennaio 1917, pp. 14-16.

"Da quando il cinematografo, quasi ogni sera, ha sosti­tuito la tombola, la provincia è finita.
Esso ha fatto sui costumi il lavorio del bulino sui
metalli preziosi: li ha disciolti dalle scorie e dalla tradizione, li ha sveltiti, affinati, messi al sole.
Lo spettroscopio balenante ha finalmente dato il passo di valtzer alla eterna mazurka in sordina della provincia. I visi composti, i cuori metodici, i desideri sobri, le aspi­razioni piatte, gli affetti rettilinei, gli amori sbiaditi, sono da un pezzo in rotta, inseguiti dalle cavalcate di passione che scorazzano sul lenzuolo della cinematografia.
Il cinematografo ha riempito la vita di provincia di sensi nuovi. Ha creato mondi di esperienze fittizie. Pagode indiane e salotti parigini, splendenti oasi desertiche e oscuri drammi russi, storie d'amore, d'odio, di gioco, di danaro. La provincia non avrebbe mai creduto che tante cose alte e vibranti esistessero oltre la cerchia dei suoi dazi. Per la prima volta essa è entrata nella vita e se ne è ritratta, bat­tendo le ciglia.
Uscire, vacillando, da una sala cinematografica e ritro­
vare a casa i fascetti di spighe secche, agli angoli delle pa­reti, l'uva passa che impergola il soffitto, le pere vernine che ingialliscono sulle scansie, nel tepore del camino! No: è troppo forte. Chi può più rassegnarsi ? La provincia è perduta. Ha sentito il tanfo del suo stesso stantio.
L
a pellicola ha segnato per sempre la morte della mela cotogna. Il cinematografo in provincia ha risoluto il più terribile dei problemi: il problema dei contatti.
Vi prego di non ridere. Si afferma qui, anzi, una
verità molto seria. In provincia due persone di sesso differente che non siano padre e figlia, fratello e sorella, zia e nipote, cugini o almeno cognati, quante volte possono vedersi da vicino? La provincia non ha i vostri mezzi termini: o consanguineo, o marito, o fidanzato ufficiale, o niente. In altre condizioni, ammirarsi a bell'agio è quasi impossibile. Discorrere è assurdo. Una stretta di mano ? Favole ! Un bacio ? Miti. Si spiegano così le passioni contrastate, morigerate, profonde, taciturne che durano sette, otto, dieci anni prima di giungere del resto al loro legittimo compimento: il matrimonio. Perchè, in fondo quei sette, otto o dieci ami non si riducono che ai sette, otto o dieci giorni in cui fu possibile vedersi, scambiarsi una promessa di costanza, serrarsi furtivamente la mano, di sera, all'angolo di una via o tra le sbarre di un cancello, su cui il fitto fogliame delle roselline mal celava il geloso fitto dei fili di ferro custodi. Quanti poemi d' amore non rimasero che abbozzi, nelle fantasie giovinette, per mancanza d'incontri ! Quanti ovali, lattei e rosei, non avvizzirono un poco ogni giorno sui testi di garofani, alla finestra, e si scavarono di rughe solo perchè la via sottostante non era una via di traffico di passaggio!
Quante pile non svaporarono
inutilmente l'elettricità dei vent'anni, solo perchè mancò loro l'attrito che avrebbe potuto far scaturire la scintilla.
Il cinematografo ha permesso quasi tutto questo ed anche altro. Esso ha messo la provincia fuori di casa e dal suo isolamento, la ha raccolta in una sala e su seggiole poltroncine che si toccano; fa finalmente sedere insieme uomini e donne che si vedono per la prima volta o che si conoscono soltanto di vista o che in ogni modo si salutano appena. Che bouleversement,, immaginate! Due che  non avrebbero mai potuto varcare i dieci metri che dal balcone alla via s'interpolavano tra i loro desideri, si sentono ora a pochi millimetri, tanto pochi che è persino possibile scambiarsi reciprocamente, e per un' oretta, il calore di un ginocchio e di un gomito. E questo può ripetersi per sere e sere giacchè il tenue costo dei biglietti non esulcera, come a teatro, la suscettibilità paterna. Inoltrando l'ora, le ptit si fa più vicino, più insistente, più accorato; la petite trema, trasalisce, si confonde: lo scompiglio che prende le nostre fanciulle provinciali, quando commettono una marachella qualunque, tolgano dalla fruttiera una pesca o rubino dal borsellino di mamma due lire per un pezzo di nastro, il suo primo orgasmo di donna a contatto con un uomo, gl'intimi suoi rossori di vergine, la paura che i suoi, seduti dall' altra parte, la sorprendano; questa folla di sentimenti differenti lei scambia per amore, per un amore infinito, straziante, che la mette fuor di sé, verso l'uomo che le è al fianco. In questa fede, nel fondo dell'anima, trova per lui accenti e nel fondo delle pupille lampi così sinceri e vibranti che anche egli si ammollisce intero e si disfà dalla gioia di sentirsi tanto amato. E poichè nessun amore sulla terra può rassomigliare al loro, è deciso. Si sposano. Entro una settimana la chiederà al padre. Se il padre tergiversa, una sera dal cinematografo se la trascinerà in carrozza, e sarà fatta. Il ratto consensuale, in provincia, è ancora una istituzione. Su cento matrimoni, almeno quaranta son preceduti da una fuga. Così, mentre l'imperituro Cretinetti scialacqua sul candido tappeto il suo serotino patrimonio di sciocchezze, si conclude il destino di due vite.
Giuro, perciò, che se non fosse intervenuta la guerra euro­
pea, o meglio, se prima del 1914 si fosse desunta una stati­stica esatta dello stato civile, si sarebbe notato un notevole aumento nei matrimoni in provincia. Datene la giusta parte di merito al cinematografo. Oggi che l'esterminio della guerra aumenta in proporzioni irrimediabili la differenza numerica dei due sessi e la terra sta per diventare una sconsolata tebaide dove i pochi trappisti superstiti son già condannati ad una forma nuovissima d'ascetismo, la poligamia , la funzione del cinematografo comincia ad apparire veramente sconfinata.
Per questo riguardo il cinenatografo completa l'evolu­
zione della provincia, già cominciata dal tram elettrico. Ogni cittadina nostra, appena ha i suoi trams si mette bravamente in corsa, su ogni vettura rigurgitante, verso forme di vita metropolita.
I lucenti binarii danno un tono alle vie melanconiche.
Meno grigio è il silenzio delle piazze, rotto ogni tanto dalle campanelle squillanti. Perfino le distanze sembrano in­verosimilmente accresciute, ora che possono misurarsi a tariffa. Ma appunto nei suoi pregi sono i suoi difetti. Il tram cammina. E’ troppo veloce. Fa troppo chiasso. Non c'è ribalta che attiri gli occhi e distragga i circostanti. Se si adatta a qualche incontro, rarissimamente si adatta ad un colloquio.
Francamente: il cinematografo vale di più. A parte tutto, ha almeno una superiorità indiscutibile: il buio.
Il cinematografo,
dimostrando alle donne che si può rimanere al buio a pochi centimetri da uomini non consan­guinei, senza per questo dover svenire di paura, contribui­sce all'educazione morale in provincia, irrobustisce la co­scienza dei propri doveri, tempera i caratteri.
Il buio cinematografico è uno scacco matto continuo dato alla gelosia.
In provincia era necessario
un po’ di buio nelle sale di ritrovo. Era, parola d'onore, necessario più che la si­stemazione idraulica, gli acquedotti, il rimboschimento, le ferrovie a scartamento, i milioni alla scuola meridionale, la lotta alle arvicole e alla peronospora, l'educazione poli­tica, l'igiene etica dei municipi, lo spezzamento del lati­fondo. Giacchè tutto questo ha di mira nemici ben noti e che si possono vincere alla fine : la mancanza di forza motrice, la siccità, il tifo, la malaria, la scarsezza di trasporti, l'analfabetismo, la carestia, il rialzo dei prezzi, il mercimonio elettorale, le malversazioni, il feudalismo. Mentre il buio ha da vincere il mostro centimane che forse è tutto questo insieme, ma che sonnecchia accovacciato nella più profonda coscienza provinciale: la tradizione. Il cinema­tografo può esser considerato come una conquista del femminismo.
Mi pare che il cinematografo tolga le nostre donne dalla campana di cristallo, nella cui aria viziata di rinchiuso chi ne ha diritto la tiene abitualmente, e le restituisca, sia pure per un'ora, en pleine air. Esso dà loro improvvisa­mente la sensazione che possono anche essere riservate e fedeli per elezione o sia pure per capriccio, quando invece debbono di solito esserlo per forza. Spesso al cinematografo soltanto si convincono che il fratello, il padre, perfino il marito son forse i meno peggiori degli uomini. In ogni modo il cinematografo in provincia mette la donna a discrezione di sè stessa. Le dà facoltà di scelta, sviluppa il suo senso d'iniziativa. Questo, io chiamo educazione morale.
Quando in provincia ci si convincerà che la donna no­
stra può arditamente fissare in faccia un uomo senza che ne debba arrossire, trasalire, pensare a tradirci ?
Per la provincia il cinematografo è uno spettacolo com­
pleto. Tutti i componenti una buona famiglia borghese ci trovano qualche cosa. Il padre ha la gioia di condurre allo spettacolo tutta la famiglia con due lire, e può a suo agio, sfogare in sbadigli il tedio dell'ufficio, senza che la moglie, affianco a qualche malevolo, gli appioppi l'accusa che è incapace di sentire gli affetti domestici. La moglie, anziana, messa in vena dagli episodi patetici, esala in lagrime non viste ed in sospironi non uditi, il trafiggente rimpianto di giorni giovani. La nonna per un paio d'ore, nelle traversie della scena, annichila il petulante chiacchie­rio sul fastidio suo non di stare al mondo, ma di starvi ormai così male. Le figlie un po’ seguono l'azione un pò si danno a respirare l'oscurità come il più profumato degli incensi. Il bimbo è immerso in un sonno, pieno della stupefazione che lo si lasci finalmente dormire in pace, senza chicche stantie e senza scrollate che gli sloghino i braccini.
La bambinaia si lascia pizzicare da qualcuno che non co­nosce e che non distingue nell'ombra. E tutti si divertono.
E’ il cinematografo sufficiente a stabilire in provincia il regime dell' avventura
extra naoenia dell'amore legit­timo ?
Io non credo. La provincia è positiva. Guarda al sodo. Non perde la testa che raramente. E anche se fosse ? Lo scandaletto di un'avventura amorosa, scoppiettante tra gli alari della maldicenza scaltra, è necessario in provincia. Esso riempie, tutto un inverno, i salotti. Tiene accesa la causerie dei pomeriggi. Fa più intime le amiche che chiac­chierano intorno a colei di cui si chiacchiera, subito sola. Intanto accresce la moda del cinematografo.
Del resto, se mi date per vero che la virtù, se non messa mai alle prese col vizio, si rilascia, cede in tensione, perde in energia, mi darete per dimostrato che l'avventura in provincia è qualche volta necessaria, appunto per dare risalto al regime normale.
In provincia, essendo tutte le donne spaventosamente
oneste e fedeli, uno solo è il pericolo: che si perda il senso della bellezza, della fede reciproca dandola per assiomatica sempre. Un'avventura di origine cinematografica, creando qualche dubbio e qualche rischio, porta dunque olio nuovo a tal fiamma di fede.
L'avventura è il romanzo
: anche quando disgusta, ap­passiona la provincia, ligia per temperamento alla storia.
L'avventura ci crea intorno tali inspiegabili getti di odio
concentrato, e così appariscenti onde di nausea, che i suoi risultati sono alla fine seriamente morali: e mai come dopo uno scandaletto, c'è in giro tanto sfoggio di attaccamento al pacifico spiganardo coniugale.
In fine il cinematografo ristabilisce in provincia un gusto
ignoto o defunto da un pezzo : il gusto dell'ozio.
In provincia gli uomini lavorano sul serio e si lavora troppo da tutti. Non c'è perdigiorni e non ci sono pause. E anche quando non si lavora, ogni azione ha uno scopo pratico. Come non si spende un centesimo senza rendi­mento netto, così non si fa niente per niente. Le ore di ri­poso si impiegano a cose utili. A Napoli, a Roma, a Milano il passeggio, la ciarla, l'occheggiar vago, lungo, distratto, il perdere tempo con convinzione, l'indugiarsi con gioia, il batter con la punta del bastone il marciapiedi per mezz'ora in fila: tutto questo ha un valore. Nessun provinciale sensato, invece, vi dirà che va a passeggio per sgranchire le gambe: ma o cerca qualcuno, o ha da mettersi in mostra per scopi suoi, o accompagna un'ammalata che ha bisogno d'aria o aspetta nervosamente gli strilloni. Il più delle volte ci si va per i bambini: « che fare? questi bimbi si annoiano: bisogna condurli a spasso ». Ecco una delle molle. I bimbi   - voi sapete —sono assai spesso in ballo ed in nome dei figli troppo numerosi quante cose atroci non commettono oggi ! A teatro non si va per la pièce, diamine ! Nessun ingenuo lo crederebbe. Ma dall'alto del palco di seconda fila, c'è da sottolineare la propria posizione consolidata. O da far morire d'invidia con la nuova toilette. O, nella più comune delle ipotesi, da organizzare negli ambulatori certi incontri -- oh ! fortuiti - che sarebbero altrimenti impossibili e che condurranno poi al fidanzamento. Niente va perduto in provincia. Tutto è utile. Sopra tutto il tempo: oro senza scorie, come in Inghilterra.
II cinematografo ha rivoluzionato cotesta mentalità positiva. Quasi sempre nel cinematografo non si va che per andare al cinematografo.
I prezzi sono tenui. Non c'è da fare sfarzo. Non c'è da
sfoggiare toilettes: è buio. Le amiche da ingelosire non vi scoprono. I bimbi più che divertirsi dormono. Non c’è mete pratiche.
La mezz'ora del cinematografo è quasi sempre la mez
z'ora dell'ozio completo. Comodamente i corpi si adagiano sulle poltroncine senza ritegni mondani. I gomiti contratti si distendono. Le mani s'incrociano sul ventre. La bocca automaticamente si socchiude sino ad una espressione ebete su cui volteggiano le volute del sigaro. Si riposa davvero! Si ozia davvero ! E’ il preludio del sonno. A domani l'elastica tensione di ogni giorno. A domani gli affama le pirchierie, il dispetto della vita immiserita in beghe municipali, tra quattro case: il piccolo guadagno, i piccoli rancori, le piccole miserie, i piccoli fasti.

Emilio SCAGLIONE

In un successivo post pubblicheremo la biografia del celebre personaggio.

Salvatore Fioretto