venerdì 30 settembre 2022

Il francescano p. Giovanni Russo, attivissimo e prodigo missionario in Albania... riposa a Miano.

Dopo aver pubblicato la vita e le opere del missionario mugnanese, padre Nicola Frascogna, ritorniamo sull'argomento dei personaggi famosi, per aver trovato, proprio in questi giorni, l'interessante biografia di un altro padre missionario, le cui vicende vede interessare il quartiere di Miano, infatti morì a Napoli, nell'anno 1924, ed è sepolto nel cimitero di Miano, ci riferiamo al padre Giovanni Russo, appartenente all'ordine franscescano O.F.M. La biografia, che riportiamo è tratta dal libro di Sosio Capasso: "Due Missionari frattesi: Padre Giovanni Russo e Padre Mario Vergara", ed. Istituto di Studi Atellani, 2003. Ecco il testo, tratto in gran parte dall'opera citata, eliminando solo alcune parti non riguardanti la vita del frate:

"Il Francescano Padre Giovanni Russo nacque a Frattamaggiore il 21 novembre 1831. Il suo paese natale era allora un fiorente casale del Reame di Napoli, sotto la sovranità di Ferdinando II di Borbone. […].
Egli entrò nell’Ordine Francescano, esattamente nella Provincia Minoritica Napoletana di S. Pietro ad Aram, il 3 febbraio 1851. Fu avviato alla vita religiosa da quell’insigne teologo che fu il Padre Provinciale Andrea da Palma. Il giovane Giovanni restò per otto mesi quale alunno nel convento di S. Antonio di Afragola e da qui passò nella diocesi di Nola, nel convento di San Giovanni del Palco di Lauro, ove compì l’anno del noviziato.
Il 20 ottobre 1853 professò solennemente i voti e, quindi, proseguì la sua preparazione nello Studio generale di S. Angelo di Nola, un centro allora veramente prodigioso per la preparazione culturale e religiosa nel meridione d’Italia. Il 10 giugno 1853 Giovanni Russo fu ordinato sacerdote e destinato al convento di S. Pietro ad Aram di Napoli. Qui frequentò la scuola di sacra eloquenza e qui si rivelò la sua vocazione per l’attività missionaria. Il suo vivo desiderio fu accolto dai suoi superiori ed il 14 aprile 1859 fu accolto nel Collegio di S. Pietro a Montorto in Roma e quell’anno stesso, il 10 luglio, destinato alle missioni francescane in Albania. […]

Quando il P. Giovanni Russo giungeva in Albania, nell’aprile del 1859, circa tre anni dopo la conclusione della guerra di Crimea, trovò un paese oppresso dalla miseria e dalla desolazione. Egli fu assegnato alla Prefettura di Kastrati, nell’Archidiocesi di Scutari; in questa zona sarebbe rimasto fino al 1915, per ben 56 anni, dividendo con la povera popolazione locale, senza distinzione religiosa, sofferenze e privazioni di ogni sorta. Destinato alla parrocchia di Podgoritza, fu, poco dopo, colpito da febbri malariche di gravissima intensità, tanto che fu vivamente esortato a fare ritorno in Italia, ma egli oppose il più ostinato rifiuto. Chiese solo di cambiare parrocchia perché più intenso fosse il suo apostolato. La vita in Albania era resa particolarmente difficile dalle frequenti insurrezioni e dalla reazione, sempre feroce, delle autorità turche. «La missione apostolica in Albania dei Frati Francescani – egli scrisse in una sua relazione – conta di più di quattrocento anni di esistenza. Questa missione è composta di più Prefetture, la più estesa di esse è la Prefettura detta di Kastrati ed in questa sono stato io dal 1858 al 1915. Questa Prefettura di Kastrati è composta di dieci parrocchie, che prendono nome dal villaggio in cui vi è la chiesa col missionario, e sono quasi tutte nei monti a levante dell’Albania, meno due, che sono nei piani. I nomi delle parrocchie, ossia dei villaggi, sono: Tribuino, Hoti, Podgorizza, Gruda Triepsci, Koccia, Selze, Vukli, Baiza, Kastrati. Baiza è la più vicina a Scutari ed è la residenza del Prefetto della missione. Le dette parrocchie sono tutte di cattolici, eccettuate poche famiglie musulmane. Hanno una estensione di più leghe, perché ciascun villaggio è lontano dall’altro, ma concatena coi confini, così da formare tutti insieme la frontiera albanese di contro al Montenegro. I suddetti villaggi hanno le case l’una lontana dall’altra e nel centro vi è la chiesa col missionario". […]
 Monti dell'Albania

In questa impervia regione il Padre Giovanni Russo trascorse parte della sua vita, affrontando difficoltà e disagi di ogni genere, percorrendo a piedi o a dorso di mulo distanze rilevanti, spesso superando monti impervi. Privazioni, persecuzioni, angustie erano la norma quotidiana di vita; le minacce di morte frequenti ed il buon frate, per ben due volte, si vide puntare al petto un fucile, ma egli con la bontà e la dolcezza che lo contraddistinguevano, riuscì a disarmare chi lo minacciava e ad indurlo a più miti consigli. La povertà più austera, predicata da San Francesco, fu la sua regola di vita. Il suo amore per le creature non aveva confini ed abbracciava tutte le persone, qualunque fosse la loro nazionalità o la loro fede religiosa.
La sua umiltà non aveva limiti, tanto da indurlo a rifiutare la prefettura apostolica e solamente per non venir meno alla regola dell’ubbidienza, che si era impegnato a professare, accettò la carica di vice prefetto della missione di Kastrati. Diverse volte fu proposto per la nomina a vescovo, ma egli non volle mai accettare, ricorrendo ad ogni sorta di motivazioni per sottrarsi all’alto onore. Non vi fu, nel corso del lungo soggiorno in Albania, epidemia, carestia, guerra che non lo vide in prima linea, pronto a soccorrere, col sacrificio personale, nelle condizioni più disperate, chiunque avesse bisogno di aiuto, fosse cristiano o ottomano. Gli furono necessari ben trent’anni di lavoro, sacrifizi, speranze e delusioni per riuscire a costruire una chiesetta in legno per i fedeli di Vukli. Ma la soddisfazione ed il sollievo furono di breve durata. Proprio in quei giorni, nel 1890, si scatenò una violenta insurrezione degli albanesi contro il giogo ottomano. La reazione turca fu violentissima, decisa a stroncare ogni resistenza. Interi villaggi furono devastati e dati alle fiamme. La Prefettura di Kastrati fu fra le più colpite ed il buon Padre Giovanni non ha pace, instancabilmente, a dorso di un mulo, scortato solamente da un servo fedele, valica i monti, percorre grandi distanze, cercando costantemente di placare gli animi, fermare la violenza, mitigare la reazione delle truppe turche. Quando torna a Vukli tenta inutilmente di salvare la sua chiesetta, issando su di essa una bandiera bianca in segno di pace. Il pericolo è grande e gli stessi insorti lo esortano ad allontanarsi, ma egli ostinatamente dice loro che è venuto per restare e, se necessario, morirà con loro.
I turchi non tardano a giungere e, nella loro furia sanguinaria, incendiano la chiesa. Grande è il dolore del missionario, tanto che il Comandante delle truppe di Costantinopoli, placata la bufera e resosi conto della sincerità, della pietà, del dolore di Padre Giovanni gli promette di adoperarsi perché il governo di Costantinopoli provveda a far riedificare il tempio. Purtroppo lo zelo e le fatiche del santo frate erano destinate a vanificarsi: la chiesetta, due volte distrutta, fu ancora distrutta nel corso di nuove insurrezioni, sempre ferocemente domate.
Padre Giovanni dimorò ancora cinque anni in Albania e furono ancora anni di avvenimenti tragici e di gravi sofferenze. Nel 1910 gli Albanesi tentarono ancora di insorgere, ma i Turchi repressero i moti e costrinsero i ribelli a consegnare le armi. Nel 1911 la guerra italo-turca incoraggiò nuovi tentativi di rivolta ai quali Costantinopoli tentò prima di convincere alla pacificazione, poi, non ottenendo risultati positivi, inviò cinque battaglioni di militari che, però, non conoscendo le insidie di quelle difficili località, caddero in imboscate e furono sterminati. Allora la Turchia inviò un poderoso esercito, ben addestrato alle manovre fra i monti; l’invasione si proponeva non solo di scoraggiare gli albanesi, ma anche di indurre l’ostile Montenegro a più miti consigli. La repressione ottomana fu tremenda, interi villaggi furono saccheggiati e dati alle fiamme, le chiese sistematicamente distrutte, gli Albanesi che riuscirono a sfuggire alla strage trovarono rifugio nel Montenegro. Il Padre Giovanni riuscì fortunatamente a riparare nel villaggio di Triepsci, ove trovò altri cinque missionari parroci nella Prefettura della quale faceva parte anche lui.
Finalmente il 1 Agosto 1912 vi fu l’armistizio ed i ribelli, senza deporre le armi, potettero tornare nei loro villaggi. Il vecchio missionario fu felice di rivedere i suoi figli, ma la vista delle devastazioni compiute era desolante. «Io fui il primo ad arrivare nella mia parrocchia di Vukli il 4 agosto 1912 – egli scrive nella sua relazione –. Il mio villaggio, come tutti gli altri, era invaso dall’esercito turco in piede di guerra e proprio nel mio villaggio vi era il quartiere generale del Comandante Generalissimo poco discosto dalla Chiesa. Appena mi presentai tutti i Pascià nonché il Generalissimo mi abbracciarono e mi baciarono. Dopo di essermi riposato e dopo d’avermi confortato col caffè ed altro, mi dissero che fino alla loro partenza sarei stato ospite gradito e che non avessi pensato a nulla. Posero due tende a mia disposizione e mi fornirono delle cose più necessarie. Io pranzavo e cenavo con loro». Tanta considerazione da parte dei turchi era dovuta alla grande pietà e disponibilità caritativa che Padre Giovanni usava verso tutti, senza discriminazione alcuna né di nazionalità, né di religione. L’alto comando turco, rientrando in patria, lasciò al missionario tutte le proprie provviste e una notevole quantità di legname da baracche, che furono una vera provvidenza per la povera gente del posto. Il padre Giovanni, in riconoscimento della sua alta opera umanitaria, ricevette importanti decorazioni dal governo turco. Successivamente gli Ottomani furono costretti dalle pressioni internazionali ad indennizzare gli albanesi dei danni subiti. 
Così il missionario narra l’evento inatteso e sorprendente: «I cattolici albanesi di tutte le parrocchie della Prefettura di Kastrati, ricevuta tutta quella provvidenza di danaro, subito diedero mano ciascuno a fare ricovero per la famiglia; chi una casa a pianterreno, chi una comoda capanna. “Anche io, con le tavole ricevute dai turchi e con altro legname, feci una grande e comoda capanna da starci benissimo. Più feci una piccola cappella all’aperto da contenere il solo celebrante con l’inserviente. Il vescovo ed altri benefattori di Scutari mi provvidero del più necessario al mio ministero. Dopo assestatomi con la testa e non pensando che più sì rinnovassero simili uragani, mi diedi con tutta lena a fabbricare la chiesa e l’ospizio migliori di prima e a gloria di Dio ci ero riuscito dopo quattro mesi. Poco mancava al compimento, cioè il soffitto e le finestre, mentre tutto il materiale occorrente era pronto sul piazzale e dentro la chiesa». Ma i guai non erano finiti: scoppiò la guerra balcanica ed i montenegrini circondarono d’assedio Scutari, compiendo devastazioni e stragi orrende. Con il sopravvenire della pace, si verificarono notevoli mutamenti nella sistemazione del territorio. Quasi tutte le parrocchie della Prefettura di Kastrati si trovarono sotto la potestà montenegrina, proprio la più odiata dagli Albanesi. Vi furono nuove insurrezioni e nuove devastazioni. Le cittadine turche di Plave e Gusigne furono devastate e saccheggiate dai montenegrini. Gli abitanti di Rapscia, Trabuino e Gruda, con i loro parroci, furono costretti all’esilio. Le minuscole città turche di Plave e Guisigne furono occupate dai soldati del Montenegro e distrutte. Gli abitanti costretti alla fuga; i pochi rimasti dovettero abiurare alla loro religione. Tre parrocchie restavano ancora libere, Vukli, Seize e Nikei; Vukli e Nikei erano curate dal Padre Giovanni. Questi villaggi erano abitati dai cosiddetti Clementi, perché discendenti da un Clemente. Questa popolazione fu la più perseguitata dal Montenegro. In proposito il nostro buon missionario così si esprime: «Il Montenegro sapendo che i Clementi non avevano nessun aiuto da nessuna parte, il 3 settembre 1913 sul far del giorno si presentò con poderoso esercito a questi tre villaggi, li attaccò con cannoni e mitragliatrici… I Clementi resistettero per poco, lasciando alcuni morti; ma soverchiati dalla forza maggiore dovettero fuggire. Presero le loro famiglie e qualche capo di bestiame e via per i monti disastrosi e sentieri difficili per portarsi a Scutari due giorni distante: una carovana di gente e di bestie che faceva pietà ed in mezzo a questa carovana mi trovavo io, il mio ausiliare e il servo col mio cavallo. Arrivato di sera alla cima di un alto monte, chiamato Kappa, il quale domina tutte e tre le parrocchie, vidi un incendio universale che sembrava un inferno … Dopo due giorni e due notti all’aperto arrivai nel convento di Scutari, dove trovai quasi tutti gli altri missionari della Prefettura di Kastrati».
Il lungo e fecondo soggiorno di Padre Giovanni Russo in Albania stava per concludersi. Dopo oltre un cinquantennio di proficuo apostolato in un paese povero e difficile quale era ed è l’Albania, il buon frate fu richiamato in Italia per un meritato riposo. Aveva ben 84 anni ed era giusto che, al tramonto di una vita tanto operosa e tanto ben spesa al servizio della fede e della Chiesa, egli rivedesse la patria, tornasse nei luoghi ove aveva tanto devotamente indossato il saio francescano e dove era stato ordinato tanto felicemente sacerdote. Fu destinato al convento di S. Maria Immacolata della Palma in Napoli (quartiere Sanità n.d.r.) e quivi visse ancora nove anni. [...]
Si spense il 24 settembre 1924 e riposa nel cimitero di Miano. Il nostro auspicio è che l’opera altamente benemerita di questo francescano, tanto modesto quanto illustre, non sia dimenticata e la città, che ebbe l’onore di dargli i natali, lo tragga dalla dimenticanza nella quale è ingiustamente caduto e lo onori come uno dei suoi più illustri figli".

Aggiungiamo alla biografia di sopra, che il padre Russo ebbe a rifiutare anche la nomina vescovile presso la cattedrale di Durazzo.
Speriamo anche noi, come auspica l'autore del testo, dott. Sosio Capasso, che le opere e la vita di padre Giovanni Russo siano da esempio per quanti sapranno apprezzare la grandezza umana di questo frate, assieme a quelle di tanti altri umili padri missionari, di qualsiasi ordine monastico appartengano, i quali per amore della fede e per aiutare i più poveri ed emarginati, hanno dato e danno ancora oggi, esempio di coerenza e di grande testimonianza, rischiando spesso anche la propria vita.
Siamo certi che il sacrificio
e le opere di Padre Giovanni Russo non saranno mai dimenticate!

S. Fioretto

mercoledì 28 settembre 2022

Ciro, Marco, Bruno e tanti altri... un concorso di tanti amici per realizzare un sogno... La stazione di Piscinola della Piedimonte in miniatura!

Gli amici della Piedimonte (G.A.F.A. - Gruppo Amici Ferrovia Alifana) mi conoscono bene, perché sono trascorsi oltre dodici anni che frequento gli eventi “Alifani”, e sanno per quanto tempo abbia cercato invano le foto che riprendessero la vecchia stazione di Piscinola. Sanno anche che, ironia della sorte o per sfortuna, abbiamo trovate tante foto della Piedimonte, con quasi tutte le stazioni della Tratta Bassa: ebbene tutte, ma tranne quelle con la stazione di Piscinola. Della stazione di Piscinola sono riuscito a trovare una solo foto, con ripresa parziale dell'edificio stazione, grazie alla generosità di un mio amico di Piscinola, che si chiama Gino. Gino una sera mi fece la sorpresa, condividendo sulla sua pagina di Facebook la foto della stazione in bianco e nero, risalente ai primi anni '70.

Stazione di Piscinola, anni '70 , foto recuperata da Gino Labruna
Gli chiesi e poi ottenni, una copia della foto Scan in buona risoluzione, che riuscii in tempo a inserire nel mio libro "C’era una volta la Piedimonte", pubblicato nel 2014.
Tanto era il desiderio di rivedere la "mia" stazioncina, che ogni volta un amico donava o mostrava foto inedite della ferrovia, io recitavo una sorta di "tifo propiziatorio", pronunciato ad alta voce, in continuo, il nome della stazione di Piscinola (...Piscinola, Piscinola…, stazione di Piscinola…!) e non descrivo la delusione provata quando la ricerca si concludeva infruttuosa perché, come avveniva in altre occasioni, erano sempre le stesse le stazioni a essere trovate, mai una di Piscinola…!
Una volta, con Giovanni, siamo andati in auto fino a Latina, dove conoscemmo un collezionista che possedeva tantissime foto inedite della nostra ferrovia: stazioni e treni… Ma niente, nemmeno in quel posto trovammo una traccia della stazione di Piscinola…! Una vera iattura per me!!
Nel Natale del 2010, il caro amico Giovanni, scrittore e medico di Piedimonte Matese, durante un incontro culturale a Sant’Andrea (località di Santa Maria Capua Vetere), mi fece dono di un plastico da lui realizzato, in scala 1:87, riproducente la stazione di Piscinola, completa del parco binari e di altri particolari. Un bel dono, anche se alcuni particolari risultavano un po’ fantasiosi, come la presenza di una cisterna pensile dell’acqua per alimentare la locomotiva a vapore. Rimasi molto contento di questo dono inatteso ed ebbi a ringraziarlo calorosamente, insieme all’amico inseparabile, dott. Sandro, anch’egli scrittore e appassionato della ferrovia Alifana. Questo bel dono l’ho inserito in una teca di plexiglass e lo conservo gelosamente del salone di casa.
Cominciai a coltivare l'idea di far  realizzare una stazione della Piedimonte, in scala più grande, con tutti i particolari. Un plastico coloratissimo e realistico che facesse rimanere tutti a bocca aperta, soprattutto i giovani che non avevano mai vista la Piedimonte. Ricordo che la stazione o meglio i ruderi di quella che rimaneva della stazione di Piscinola, furono abbattuti intorno al 1986, con l’apertura del cantiere per realizzare la stazione della “Metropolitana Linea 1.
Nell’autunno del 2013 l’idea iniziò a prendere corpo, anche perché in quell’anno si doveva festeggiare il Centenario dell'inaugurazione della ferrovia, ragion per cui ero anche in procinto di pubblicare il libro “C’era una volta la Piedimonte”. Pensavo che sarebbe stato un bell'effetto presentare il nuovo libro con la presenza del plastico della stazione, come una scenografia rievocativa tridimensionale...! Purtroppo ero consapevole che per la prima presentazione del libro, fissata proprio nella cittadina di Piedimonte Matese, non c’era più tempo per realizzare questo progetto, ma si poteva programmare il lavoro per la presentazione successiva, fissata nella Biblioteca di Piscinola...
Un giorno mi ricordai che alle iniziative culturale dell’associazione “Noi e Piscinola” aveva partecipato un giovane del quartiere, che aveva allestito una mostra di ambienti in miniatura, da lui egregiamente realizzati, che ebbe un buon successo. In quel Natale, infatti, fu allestita nella chiesetta di via del Plebiscito (che venne riaperta per la circostanza),  una mostra personale del maestro Ciro Pernice, con diverse miniature, curate con particolari maniacali... con attrezzi, piatti, mattonelle maiolicate… Come un lampo di luce attraversante la mente fui ispirato, e quel ragazzo con la sua tecnica cosi precisa, faceva al mio caso…! Ciro abitava all'epoca nel rione situato a confine tra Piscinola e Marianella. Era un ragazzo semplice, responsabile, che non si dava arie, e soprattutto era un ragazzo serio, di buona famiglia.
Non ricordo come lo contattai. Forse in uno degli incontri dell’Associazione a cui lui prese timidamente a partecipare. Gli proposi questo progetto e lui inizialmente mi guardò un po’ sbalordito, dicendo di non conoscere la struttura. Io gli risposi di stare tranquillo su questo aspetto, perché c’ero io al suo fianco e che gli avrei dato tutto il supporto tecnico e la memoria storica necessaria, perchè in possesso di foto, schizzi, disegni e tutte le informazioni che necessitavano. Ciro accettò con piacere il mio incarico e man mano che passavano i giorni e ci vedevamo, lui incominciò ad innamorarsi della Piedimonte, anche se non l’aveva mai conosciuta e nemmeno sentita per nome in vita sua...!
Per prima cosa ci recammo presso le due stazioni sopravvissute, quelle di Secondigliano e di Mugnano, per eseguire dei rilievi. Queste due stazioni superstiti erano praticamente uguali a quella di Piscinola, quanto meno per le dimensioni. Ci recammo dapprima a Secondigliano. La stazione all'epoca disabitata, si trova ancora oggi sulla parte terminale nella traversa che proviene dal corso di Secondigliano, che si chiama appunto “via Ferrovia”. Restammo alcune ore per rilevare tutte le misure che necessitavano. Poi Ciro completò il rilievo eseguendo un discreto numero di foto, con diversi particolari di cornici, finestre, capriata, tetto, ecc.
Un altro giorno, poi, ci recammo alla volta di Mugnano, dove è presente ancora oggi la stazione di Mugnano-Calvizzano.
La stazione era però abitata. Appena iniziammo a prendere le misure, ci chiesero preoccupati i motivi del nostro insolito rilievo; noi rispondemmo semplicemente che eravamo degli studenti e che stavamo studiando la stazione per scrivere una tesi... A spiegare loro che volevamo riprodurla in scala, sarebbe stato difficile...
Il maestro Ciro si mise quindi all'opera e iniziò a "cesellare" le parti della stazione: dapprima le mura del modello in scala, utilizzando pannelli di sughero... arricchendoli man mano dei particolari decorativi. Era per me interessante e anche commovente osservare da vicino come la stazione venisse alla luce, con l'opera delle sue mani, completa di tutti gli accessori… Poi passò a realizzare il piazzale, le banchine, la massicciata, il binario...
Ricordo che ogni volta che mi recavo a visitarlo a casa sua, dove aveva una loggetta attrezzata come laboratorio, mi accoglieva sull’uscio della porta che si immetteva nel locale e piazzandosi davanti alla stazione, come davanti a una scena da mostrare, con una mano spiegata verso l’opera, mi presentava lo stato del suo lavoro, molto compiaciuto... e ogni volta mi brillavano gli occhi...!
Fu una bellissima esperienza quella di vedere realizzare materialmente l’opera, che nasceva soprattutto attraverso il trasferimento dei miei ricordi di ragazzo, con le mani e l'arte di questo ragazzo. Avevo poi il privilegio di seguire passo passo la "creazione", in tutte le varie fasi. Ovviamente Ciro ogni volta che ci incontravamo proponeva soluzioni tecniche e adattamenti dell'opera. Io valutavo la sua proposta, approvavo o suggerivo delle modifiche, via via, secondo i miei ricordi oppure osservando le foto antiche o recenti. Insomma rivestivo il ruolo di "direttore dell'opera"...!
Ricordo le interminabili discussioni intercorse tra noi, soprattutto nella chat di “Facebook”, specie quando si doveva decidere sul rifacimento di alcuni particolari. Dialogavamo a distanza per serate intere, a volte accompagnando la discussione con particolari di foto, recenti o antiche. Credo che io e Ciro abbiamo sperimentato lo “Smart Working” molti anni prima della sua diffusione… siamo stati come dei pionieri del "telelavoro"…!
Ricordo le difficoltà incontrate per realizzare gli infissi della stazione, tutti rigorosamente di legno, alcuni con le ante aperte, che lasciavano intravedere gli interni degli ambienti, come della sala di attesa, mentre gli altri avevano ante socchiuse, alcune con tende che comunque lasciavano trapelare la luce dall’interno, per indicare che erano ambienti abitati.
Decisi che la stazione doveva avere il tetto smontabile, per poter accedervi al suo interno ed eseguire la sostituzione delle lampade, soprattutto quelle della sala di attesa. Ricordo che Ciro inizialmente mi contestava questa decisione, ripetendo che quel modello: “non era un giocattolo”, perchè, essendo molto delicato, non si poteva pensare di aprirlo e chiudere a piacimento... rischiando di danneggiarlo. Credo che Ciro allora mi conoscesse poco…! Però alla fine egli si convinse della mia scelta. A lavoro compiuto, infatti, ha potuto constatare che è stata una trovata vincente.
Per l’allestimento scenico della stazione, con la presenza dei passeggeri e del personale in miniatura, comprai un discreto numero di statuine di plastica, tutte rigorosamente in scala 1:25, su un sito specializzato tedesco. Arrivarono per posta, poco tempo dopo.
Le statuette risultavano ben sagomate e curate nei più piccoli particolari. Tre erano del personale ferroviario, uno fu posto in biglietteria e due all’esterno della stazione. C'erano bambini che giocavano, anziani, giovani... La loro posa fu davvero molto realistica, sembrava che tutte stessero realmente attendendo l’arrivo del treno. Addirittura il capostazione era in posa sull'uscio della stazione come per richiamare da lontano delle persone….!
La bravura di Ciro è stata notevole! Da vero maestro dell’arte della miniatura, ha dato risultati eccellentissimi, soprattutto nel realismo della riproduzione e nelle decorazioni della stazione. Ha escogitato delle tecniche di pittura, utilizzando mix di sostanze, capaci di "anticare" le pareti e gli oggetti e farli apparire come il risultato dell’esposizione al logorio meteorologico e al trascorrere degli anni. Non sto qui a descrivere le tecniche, ma dico solo che alcune di esse sono frutto di trovate geniali e anche di osservazioni personali!
I particolari degli interni della sala di attesa viaggiatori, che si intravedono dall’esterno attraverso gli infissi aperti, hanno un effetto realistico a dir poco “miracoloso”! La sua ricerca della perfezione si può dire che è stata maniacale!! A partire dal pavimento in stile d’epoca, serigrafato e anticato, con il riporto di una ragnatele di crepe, per mostrare l’usura continua, ma ancora: le pareti, i quadri con foto del treno, i calendari, le indicazioni e, ancora, un portaombrelli, i zerbini, le carte, le lattine, i mozziconi di sigarette gettati qua e là… perfino le scritte sui muri e i manifesti elettorali e pubblicitari dell'epoca di ambientazione (1975)...!
A raccontare tutto è compito difficile, ma posso affermare che è il risultato della bravura di un genio!
Particolarmente belli e anche molto curati nei particolari sono i quattro lampioncini di illuminazione in stile Liberty appesi alle pareti esterne della stazione. Ciro li realizzò in ferro battuto in ogni componente elementare. I cavetti elettrici e le lampadine nei lampioni furono inseriti dal bravo Sabatino. Mentre le saldature dei pezzi furono realizzate da Marco. Al termine dell’operazione, Ciro completò il loro inserimento sulle due pareti della stazione.
La stazione era quasi giunta a termine, mancava solo il famoso tetto smontabile, che avevo deciso di realizzare con altro team, perché nel frattempo Ciro dovette presto convolare a nozze. Non racconto l’operazione di trasferimento del plastico della stazione, dalla casa di Ciro a casa mia…! Era un sabato sera di una calda d’estate. Il pesantissimo plastico fu portato da noi due a forza di braccia, attraverso tortuose rampe di scale interminabili, che non contai!
Giunti a casa, lo sistemammo su un carrello che avevo intanto realizzato, munito di ruote orientabili. Già era pronta la grande teca in plexiglass, che aveva realizzato un artigiano della Doganella, sempre su indicazione di Ciro.
Assemblammo tutto. L’effetto conclusivo era già magnifico, anche se mancava ancora il tetto con le tegole…
Devo dire però che il tetto è stata la parte che più mi ha fatto soffrire…!
Intanto con l’arrivo di settembre, l'edizione del mio libro a colori sulla Piedimonte era a buon punto, pronto per la stampa, che fu affidata a un famoso centro tipografico di Vicenza.
Necessitava a tutti i costi completare la stazione... Ma come fare…?!
Già avevo visitato tutte le bancarelle di San Gregorio Armeno per cercare delle tegole in scala che facessero al mio caso. Ma devo dire che nel celebre mercatino dei presepi si trovavano diversi tipi di tegole: di terracotta o di plastica, di forme e scale diverse, ma tranne quelle che mi occorrevano...! Necessitavano infatti tegole rigorosamente del tipo “marsigliese”, in scala 1:25 perchè così presenti nella vecchia stazione. Non nascondo che ero un po’ scoraggiato...
Ne parlai con l’amico modellista Bruno, sicuro che avrebbe in qualche modo trovato una via di uscita. Per fortuna Bruno conosceva a sua volta un amico: un altro professionista delle miniature che risiedeva a San Leucio di Caserta. Questo maestro ci avrebbe potuto aiutare, perché era bravo a fare dei particolari in miniatura per stampi.
Pensammo di chiedere il suo aiuto per realizzare un prototipo di tegola marsigliese, in scala, da cui poi avremmo potuto riprodurre in serie tutte le tegole che ci occorrevano. Ci recammo quindi a casa di questo artista di San Leucio. Nella sua bella casa aveva esposte molte delle sue creazioni, di una bellezza che ci fecero incantare…! Lui realizzava ogni cosa che fosse "arte"… dipinti, sculture, presepi, modellini di navi, automobili, e in particolare personaggi in scala di fumetti o di avventure per ragazzi, soprattutto quelli che escono periodicamente in edicola. Un altro grande artista!
Questo amico di Bruno, che purtroppo non ricordo il nome, si prestò  generosamente ad aiutarci, senza pretendere nulla in cambio; anche lui, quindi, “sposò” la causa della ricostruzione della stazione di Piscinola..! Dopo poco tempo ci realizzò il modellino in scala di una tegola marsigliese. Era bellissima! Grande poco meno di un piccolo francobollo...
Appena Bruno l’ebbe in consegna, iniziò il procedimento di riproduzione in serie delle tegole, con stampi e colate di resina in successione. Ne riprodusse tantissime…!
Occorreva ora un "ingegnere" capace di realizzare il supporto delle tegole, ovvero un tetto di legno, a due falde, con la particolarità di essere asportabile tutto d’un pezzo, per permettere di accedere all’interno della stazione…
“L’ingegnere della Piedimonte” lo trovai subito… E' stato anche per questa scelta il mio intuito ad aiutarmi; intuito che ancora una volta ha dimostrato di essere determinante e vincente. Scelsi l’amico Marco. Lo contattai e gli chiesi di aiutarmi per completare l’opera… Marco, generoso come sempre, non se lo fece ripetere due volte.
A corredo del tetto sistemammo le due grondaie per l’acqua piovana, le scritte, e altri particolari che dovevano completare il tetto.
Mentre per le tubazioni di scarico dell’acqua mi misi anch'io in gioco, modellando un filo di ferro zincato di grosso spessore.
Mancavano pochissimi giorni alla presentazione del libro… Io e Marco ci mettemmo all’opera a casa mia, nella sala da pranzo, dove trovava sistemazione la stazione realizzata da Ciro, in modo da avere sotto mano all’occorrenza il prototipo, anche per verificare la corrispondenza di quanto realizzato. Io ovviamente solo nel ruolo di aiutante...
Dopo una faticosa settimana, Marco realizzò il supporto in legno e in plexiglas. Poi, avendo ricevuto tutte le tegole da Bruno, iniziò a incollarle con attenzione e precisione. Marco è veramente un ragazzo eccezionale, molto bravo per questo genere di attività, ha delle doti innate per la costruzioni di modelli strutturali in scala e soprattutto nell'utilizzo di colle. In poche serate il tetto fu completato.
Occorreva ora verniciate tutto il tetto completo. Chiedemmo di nuovo aiuto a Bruno che, come al solito, si prestò generosamente e prontamente. Portammo il tetto e altri pezzi a casa di Bruno, presso la cittadina di Santa Maria Capua V., per poter eseguire la complessa opera di verniciatura. Mancavano solo tre giorni alla presentazione del libro a Piscinola e tutto sembrava collimare cronologicamente in maniera positiva…! Ma, come spesso avviene, avevamo fatto il conto senza l'oste...! Vale a dire: c’è sempre un imprevisto che non viene tenuto in debito conto…e guasta il finale!!
Trascorsi un paio di giorni, ho ricevuto una telefonata da Bruno, con la quale mi informava, con tanta amarezza di non aveva dormito la notte precedente, perché, per uno strano effetto dello smalto utilizzato sulla resina, le superfici delle tegole erano diventate lucide e non satinate, come invece dovevano apparire per imitare la realtà. Confidava, come ultima speranza, nel consiglio del suo amico, il maestro di San Leucio… anche se quasi non ci sperava più…!
Dopo manco un’ora mi telefonò ancora e mi disse che dovevo reperire una cosiddetta “Polvere degli artisti”, di colore “Seppia” e “Giallo Napoli”, che avremmo distribuita, a secco, spennellando sulle tegole lucide… per cercare di avere un risultato apprezzabile.
Mi recai, quindi, in un negozio specializzato indicato da Bruno, che si trova nel centro storico di Napoli e lì comprai due barattolini di polvere degli artisti, nei colori richiesti. Al pomeriggio assieme agli amici Marco e Biagio ritornammo da Bruno, per cercare di fare un “miracolo”... Ormai mancava solo un giorno all’appuntamento della presentazione del libro e il tetto della stazione non era perfetto… Mannaggia!
Ci mettemmo in quattro attorno a un tavolo della cucina di casa, con Biagio che faceva da regista... e io gli scongiuri...! Bruno procedeva con il pennello distribuente il giallo, mentre Marco il colore seppia, "accavallando" e mischiando ripetutamente i due colori, con più passate incrociate. Riuscirono finalmente, dopo tanto tempo, ad avere la tonalità e l'effetto desiderato sulle tegole…
Alla fine dell'operazione, imbrattammo anche il tavolo della cucina…! Chissà cosa avrà pensato sua moglie…! Ma eravamo tutti felici, la stazione di Piscinola era finalmente pronta!!
Alla presentazione del libro, nella sala conferenze della biblioteca "Domenico Severino", sistemai il plastico della stazione in bella mostra, al centro di un grosso tavolo che si trovava alle spalle della postazione dei lettori e dei presentatori e ovviamente di fronte al pubblico della sala. L’effetto scenografico fu eccezionale! La stazione incantò tutti, soprattutto gli amici dell’associazione “Clamfer”, che mi onorarono della loro presenza, oltre gli scrittori (Cecere, Cozzolino), i rappresentanti delle varie associazioni del posto, i tanti altri amici e conoscenti accorsi.
Fui felice che il mio sogno, dopo varie peripezie, risultava finalmente realizzato, ma fui ancor più felice per aver ricevuto un aiuto collegiale e accorato da parte di un gruppo di amici, che hanno collaborato con entusiasmo e affiatamento al progetto, affinché si potesse materializzare il ricordo della bella e romantica stazioncina di Piscinola!!
Altri amici diedero il loro contributo alla presentazione della serata, alla lettura dei testi e alla presentazione dei filmati.
Fu un successo indimenticabile!
Ringrazio ancora oggi tutti: a iniziare da Ciro, Marco, Bruno, Giovanni, Sandro, Sabatino, Biagio, Gino, il maestro di San Leucio, e poi ancora, Giulia, Maurizio, Anna, Loredana, Enzo, e altri che forse dimentico. Mi considero un uomo fortunato ad averli incontrati, sono dei carissimi amici di un sogno bello e luminoso che si chiama Piedimonte!

Salvatore Fioretto

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Il "team" della stazione della Piedimonte quasi al completo, posa attorno all'opera, al traguardo...!