
Quello che pubblichiamo in questo post è l'intero capitolo contenuto nel libro "Piscinola la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, sue tradizioni" 2010 ed. The Boopen, dedicato alle pietanze tipiche e tradizionali del quartiere di Piscinola; molte non sono ricette esclusive del luogo, mentre alcune appartengono alla tradizione locale con delle varianti particolari che sono state tramandate dalle generazioni passate.
Buona lettura.
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“‘A ciambotta” (minestrone estivo)
Non si può iniziare questo capitolo senza
parlare del piatto contadino per eccellenza, cioè “’a Ciambotta”. Per preparare la “ciambotta” si utilizzavano i seguenti ingredienti: 2 melanzane, 1
cipolla, 3 zucchine, 1 peperone, 4 patate, peperoncini di fiume (di sciummo), pochi pomodori, olio, sale
ed acqua. Occorreva ridurre a dadini le melanzane, in quattro parti le patate,
a fette le zucchine, a listelli il peperone e in due parti i peperoncini “’e sciummo”. Dopo aver fatto soffriggere
la cipolla nell’olio extravergine di oliva, si aggiungeva un poco d’acqua nel
tegame e quindi si versavano tutti gli ingredienti insieme. Dopo aver aggiunto
ancora un poco d’olio e un pizzico di sale, si lasciava cuocere per un’ora
circa a fuoco lento.
“‘A cagliata” (formaggio fresco)
La “cagliata”
era un formaggio tenero come la ricotta, che veniva prodotta nelle nostre
masserie in maniera molto artigianale. L’ingrediente principale era il latte
vaccino, che si faceva cuocere a fuoco lento, aggiungendovi il caglio. Il
caglio era ed è un aggregante naturale, ricavato dall’intestino di capra, che
veniva comprato in farmacia o in drogheria. Alcuni contadini sostituivano il caglio col “latte”
di fico (‘e ficucielle).
Dopo aver tenuto il latte sul fuoco per un
certo tempo, si iniziava a girare il liquido con un mestolo di legno. Man mano
che trascorreva il tempo, il latte incominciava a espellere il siero ed a coagulare,
da qui il termine “cagliata”. La
parte rappresa veniva quindi raccolta e premuta in un panno e conservata in
credenza, adagiata in un contenitore di legno o di vimini. La “cagliata” era consumata di solito assieme
al pane fresco, durante la colazione.
Pane e cipolla
Era una ricetta semplicissima e antica. Consisteva
nel mangiare una cipolla cruda, alternandola con un pezzo di pane duro, meglio
se integrale (pane ‘e ‘rane) ed era accompagnata
da un buon bicchiere di vino rosso.
“Pane cuotto”
Pane, olio e alloro era una pietanza povera,
che si preparava aggiungendo all’acqua in ebollizione, contenuta in una pentola,
sale, olio, foglie di alloro e pepe.
Dopo la cottura si otteneva un brodo, che si versava su del pane secco o su ”freselle”, sistemate in piatti fondi (accupputi).
Spesso le fette di pane erano gustate a merenda, condendole solo con un filo di olio di oliva.
‘E patane sotto ‘a cennère (patate cotte sotto la cenere)
Questo modo tradizionale di cuocere le
patate è rimasto indelebile nel ricordo di molti anziani di Piscinola,
soprattutto per la fraganza e l’aroma emanato dalle patate dopo la cottura.
Cottura fatta in maniera estremamente semplice ed economica. Per cuocere le
patate si utilizzava la cenere ardente del camino. Si praticavano uno o due fori nella cenere,
possibilmente sotto la legna accesa. La cenere doveva essere priva di tizzoni
ardenti. Si pulivano le patate, eliminando le
eventuali radici e si ponevano direttamente sotto la cenere. Trascorsa una mezz’ora
si controllava la cottura. A cottura ultimata, dopo averle fatte raffreddare, venivano
pulite con un panno pulito e private della “pellicina”. Si aggiungeva un poco
di sale e, a volte, anche un po’ di pepe e si gustavano con un buon bicchiere
di vino, in compagnia di amici o semplicemente in famiglia. Era una pietanza genuina
e saporita e veniva consumata specie durante le fredde serate di inverno.
“‘E nnòglie” (insaccato con interiora di maiale)
Le “nnòglie”
si producevano utilizzando, innanzitutto, frattaglie del maiale, tagliate
“a punta di coltello” in parti piccolissime e, successivamente, messe sotto
sale per circa due ore. Indi pulite dal sale, vi si aggiungeva un poco d’aglio,
del peperoncino piccante e un pizzico di
pepe. Con il composto ottenuto si procedeva ad insaccare degli intestini di
maiale. Gli intestini, che un tempo erano venduti in macelleria, dovevano
essere preventivamente messi in ammollo (‘a
spugnare) in acqua e sale. Dopo il
riempimento, le “nnòglie” prodotte dovevano
essere legate con spago e messe a stagionare, prima vicino al camino e dopo in
un luogo fresco e ventilato. Un tempo si preparava un’affumicatura in aperta
campagna, bruciando le foglie secche e rametti di viti. Dopo tre mesi di
stagionatura, si potevano consumare. Erano utilizzate prevalentemente nelle minestre
di verdure.
“‘E cicole”
Abbiamo già descritto in altro punto del
libro come erano prodotte le “cicole”.
Le “cicole” erano consumate come antipasto,
oppure come “spassatiempo” nelle fredde
serate d’inverno. Le “cicole” erano anche
utilizzate per realizzare delle focacce.
“Puparuoli ‘mbuttunate” (Peperoni imbottiti)
Questo piatto, come già detto, veniva
preparato dalle nostre nonne e mamme, in occasione della festività del
protettore di Piscinola, il SS. Salvatore. Si pulivano i peperoni con uno strofinaccio
inumidito e poi si mettevano ad arrostire su una griglia a fuoco lento. Dopo la
cottura si asportava la “pellicina” bruciata, il gambo e gli interni con i
semi.
Quindi si preparava il ripieno, mediante un impasto composto da: del pane
bagnato, un uovo intero, del formaggio, del prosciutto a dadini, un po’ di
carne macinata, delle olive nere, un pizzico di sale e di pepe e, infine, un
filo d’olio. Si inseriva la farcitura all’interno dei
peperoni e poi si chiudevano “cucendoli”, con ago e filo di cotone! Si ponevano
i peperoni in una teglia, precedentemente unta con olio di oliva e si infornava,
cuocendo il tutto a fuoco lento. In passato i peperoni, scelti nelle varietà
gialle o rosse, venivano messi ad arrostire direttamente sulle “carbonelle” ardenti.
“Gallina (‘o pullastro) ‘mbuttunata”
Per la preparazione di questo piatto,
considerato molto importante nella nostra cucina, si iniziava con la
preparazione della gallina, asportando le interiora ed eliminando anche il
collo e le zampe. Poi si passava a preparare il ripieno, composto dalle interiora
della stessa gallina, che erano fritte in olio, con l’aggiunta di un uovo, di formaggio
”romano”, di pezzetti di salame, della
mollica di pane bagnato, di un po' di prosciutto, di un po’ di carne macinata e
di un pizzico di pepe e di sale. Questo ripieno si inseriva nel ventre della
gallina, tutto amalgamato e, poi, si cuciva la zona del taglio con ago e filo. La
gallina, così preparata, si poneva in una teglia, aggiungendo un filo d’olio e del
sale e si adagiava nel forno, per il tempo necessario alla sua cottura.
“Lengua ‘e vacca cu’ ‘o limone” (lingua di vacca lessa al limone)
La lingua di vacca veniva bollita a fuoco
lento, fino a cottura. Si eliminava la “pelle”, si tagliava a pezzettini e veniva
condita con sale e limone per essere così servita. Spesso, per preparare questo
piatto, si utilizzava anche la lingua del maiale.
“Ragù, cu’ ‘e tracchiulelle, lengua e zizza ’e vacca” (Ragù con tracchie e mammelle di mucca)
Il ragù era il piatto base della domenica.
Si iniziava a prepararlo di buon mattino in un “pignatiello” di terracotta, facendolo cuocere a fuoco lento, perché
si diceva che doveva “pippettare” e “addensarsi“
lentamente, fino a raggiungere la densità stabilita. Alla base del ragù c’era
la conserva di pomodori, diluita con un poco d’acqua, poi un pezzo di lardo, una
cipolla tagliata a fettine sottili, un pizzico di sale e un pezzo di manzo
sezionato in più parti.
A questi ingredienti si aggiungevano spesso anche pezzi
di tracchiole di maiale (tracchiulelle),
parti di lingua e parti di mammella di mucca (‘a lengua e ‘a zizza ‘e vacca). Sovente, si mettevano a
cuocere nel sugo del ragù anche delle cotiche di maiale (‘a cotene). Per evitare che il ragù bruciasse sul fondo
del tegame (pigliare sotto), si
doveva rigirarlo più volte, con un cucchiaio di legno (cucchiarella). Con il ragù si condiva la pasta proveniente
da Gragnano, tipo “ziti” o “mezzani” o
i casarecci “strangulaprieveti” ed era portata a tavola in “zuppiere” fumanti. Fino agli anni ’50, i maccheroni erano
venduti “sfusi”, adagiati in una
carta azzurra, chiamata, appunto, la “carta
dei maccheroni”. Al tempo dei bombardamenti del 1943, la carta azzurra
della pasta si usava per oscurare le finestre delle case; addirittura qualche
anziano ci ha riferito che essa veniva utilizzata anche per oscurare i fanali
anteriori dei tram.
“Baccalà scaurato” (baccala bollito, condito con limone)
In un tegame si metteva a cuocere il
baccalà tagliato a pezzi grossi, unito ad abbondante quantità d’acqua. Al
termine della cottura si versavano i pezzi di baccalà nei piatti, aggiungendo
un po’ di acqua di cottura e condendo con olio extravergine di oliva e con
sale, limone e aglio.
“Stocco e curuniello scaurati” (stoccafisso e coronello lessi, conditi con limone)
Il procedimento era uguale a quello descritto per il baccalà.
“Fegatielle ‘e puorce” (fegatini di maiale fritti)
Il fegato di maiale si riduceva a
pezzettini e si avvolgeva con quella parte d’interiora che era chiamata “‘a rezza”,
insieme a una foglia di alloro. Si friggeva in olio bollente e si serviva a
tavola caldo con un pizzico di sale.
Involtini di agnello o di gallina (“‘e stentenielli ‘e pucuriello”)
Si preparavano avvolgendo le interiora di agnello (intestini, opportunamente aperti e lavati in acqua corrente), attorno a rametti di prezzemolo, al cui interno, talvolta, si inserivano anche spicchi d’aglio e un pizzico di sale e di pepe; il tutto era poi legato con filo di cotone. Gli involtini così preparati erano messi a cuocere nel sugo del ragù domenicale. Sovente si utilizzavano per questa ricetta anche le interiora di gallina."
Casatiello di Soffritto
Molto probabilmente anche il tortano rustico preparato utilizzando come riempimento il soffritto di maiale risulta essere un piatto tipico di Piscinola, anche se è stato completamente dimenticato.
Nell'anno 2015, nel "sito web" di Luciano Pignataro, fu pubblicato la foto di un tortino rustico, denominato "Casatiello di soffritto di Piscinola", con tanto di ricetta. Il curatore del sito sostenne di aver riprodotto un rustico molto antico, a base di soffritto, ciccioli di maiale e altri ingredienti, tipico del quartiere di Piscinola.
"Casatiello di soffritto di Piscinola"
Al termine di questo post aggiungiamo che negli anni passati le patate venivano poste a cuocere sotto la cenere senza l'ausilio di carta argentata. Dopo la cottura, si eseguiva la loro pulizia con un canovaccio da cucina e poi si eliminava con cautela la pellicina della buccia, evitando di scottarsi...; le patate erano poi gustate aggiungendo solo un po' di sale...
Salvatore Fioretto