giovedì 4 gennaio 2024

Acqua, vento, neve, gelo, freddo e caldo... Condizioni meteo descritte nei termini e nelle espressioni dialettali!

Nevicata alla masseria "Renza Vascio", primavera 1984, foto di Ferdinando Kaiser

Considerando il rapporto così antico e profondo avuto dagli abitanti di questo quartiere con l'acqua, tanto da attribuirvi il toponimo del luogo, di "Piscinola" (sicuramente per la presenza di numerose vasche e cisterne interrate e a cielo aperto), abbiamo pensato di raccogliere in un post tutti i termini, le invocazioni, i "paraustielli" e tant'altro ancora, per dimostrare come l'importanza dell'acqua e più in generale delle condizioni meteoreologiche, abbiano influito in maniera sensibile anche sull'idioma napoletano  con l'uso di termini all'uopo coniati nel linguaggio corrente; nel mentre riscontriamo, poi, che alcuni di essi erano usati esclusivamente solo qui da noi...!
Sicuramente, leggendo questo post, molti lettori ricorderanno, forse anche con un po' di nostalgia, i loro nonni e i loro genitori, quanto erano in vita e citavano questi termini e detti nei loro discorsi...
Buona lettura. 

"Passeggiata sotto la pioggia", dipinto di Cristiano Banti, Pinacoteca Metropolitana "C. Giaquinto" Bari
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Quando nel territorio si verificava un temporale, si usava dire agli assenti, che non avevano assistito all'evento meteo: "è succìeso 'o pata pata 'e ll'acqua!": il termine "Pata pata" è un termine cosiddetto onomatopeico, ovvero ritmato e calzante, ma senza significato, usato solo per sottolineare, forse imitando il rumore dell'effetto, l'avvenimento di qualcosa di stupefacente e di temibile, in questo caso per indicare l'intensità e il fragore della precipitazione...!
In caso di una perturbazione particolarmente copiosa d'acqua, che si manifestava in una durata di tempo breve (oggi diremmo "bomba d'acqua"...), allora si diceva:
"...ha vuttato ll'acqua 'nterra 'a cantero!" oppure "...ha saputo chiovere!" oppure, ancora: "'o Pataterno s'è scurdate 'e ll'acqua!".
Già il presagire dell'imperversare di un temporale era indicato con: "s'è fatt''o cielo niro niro comm''a mezanotte", oppure: "...niro niro comm''a pece" oppure "'sta pe' venì 'na scatastata d''acqua!". Il verificarsi di qualcosa di più violento, soprattutto per il vento forte (evento non raro anche nei tempi antichi, con abbattimento di alberi, che oggi gli esperti metereologi definiscono "tornado"), si descriveva utilizzando il termine di "'o ciclone" oppure "comm''a 'nu ciclone", mentre se l'intensità del maltempo era di intensità minore rispetto ai primi (ai cicloni), si preferiva usare il detto più mite: "'na tempesta d'acqua", eventualmente accompagnato al commento di "se arrevutato 'o tiempo..." oppure "è venuto 'o diluvio 'e ll'acqua!" e anche con: "nu maletiempo ca faceva appaura...!". Quando, poi, queste intense e copiose precipitazioni generavano corsi d'acqua che defluiva nel territorio, lungo le strade in pendenza (le cupe), ecco che si aveva: "a lava 'e ll'acqua" oppure "'nu sciummo d'acqua"; mentre se poi si formavano lungo ai tragitti ampie e stagnanti pozzangare, si diceva che c'era: "o llavarone"... Di contro, quando le precipitazioni erano modeste oppure scarse, i termini usati erano: "'sta schizzecheanno", per indicare poche gocce (schizzi) d'acqua oppure di avere "quatte gocce d'acqua" oppure "chiove fino, fino...", mentre un evento meteo moderatamente intenso, ma di brevissima durata e con bassa quantità di pioggia, era indicato con: "na frusciata d'acqua". Quando, poi, le precipitazioni erano insistenti nella durata, si diceva: "chiove e nun lèva l'acqua a terra".
C'erano, poi, le precipitazioni costanti durante
l'anno, che si verificavano nel corso di alcune fasi del raccolto nei campi, come a maggio, in coincidenza della maturazione delle ciliege; queste ultime e immancabili precipitazioni, che duravano per diversi giorni consecutivi, erano indicate con la frase: "'a trumbea d''e cerase". Mentre, più in generale, i termini utilizzati per indicare l'avvenuta pioggia e la sua conseguente conclusione, erano: "chiùoppete" e "schiùoppete".
Contrariamente alla stagione delle piogge, i periodi di siccità, anche questi non rari in passato, si apostrofavano con: "s'è fatto 'o llastreco 'ncielo!".

Gli antichi e saggi contadini del passato, per loro opportunità, erano abili anche a fare delle previsioni meteo, spesso osservando la direzione del vento, oppure il colore e la forma assunti dalle nuvole, infatti quando il cielo nuvoloso assumeva l'aspetto luminoso di bianco intenso, si interpretava, senza ombra di dubbio, che era giunto il momento di porsi a riparo per l'arrivo di un violento temporale, dicendo: "a sole ghianco fuje da 'o campo!", mentre per le inoffensive nuvole
sparse nel cielo, si pronosticava con: "è sola 'na nuvola 'e passaggio...!"; un'altra previsione utile era quella di valutare l'intensità del vento, pertanto se esso era forte, si diceva: "è viente 'e tempesta!" e, più in generale, si utilizzavano gli scontati epiteti, del tipo: "fa cchiù rammaggio ll'acqua ca 'o ffuoco! oppure "quanno 'o cielo se chiude, 'o Pataterne se scorde 'e ll'acqua...!" oppure "o sole s'è annascuso mmiez''e nnuvole...".
La brina mattutina, riscontrata nel periodo estivo, era chiamata "ll'àcquazza", mentre la gelata che si constatava al mattino nel periodo invernale era detta: "'o masco" oppure "'a maschiata". Un'intensa gelata, distruttrice di raccolti, era apostrofata a malincuore con: "ha fatto 'o ggelo stanotte...! oppure: "'o ggelo ha fatto rammaggio (dal francese antico "damage" o "dammage", che qui sta a significare: ha fatto danni)".
La grandine era la precipitazione più temuta dai contadini, e che chiamavano "'e rànnule". L'approssimarsi di una grandinata, durante un temporale, era esclamanta con la rassegnata e ironica profezia: "'e vviglioche 'e cunfietti...!". Non era insolito che i chicchi di grandine avessero dimensioni ragguardevoli (si verificavano anche nei tempi antichi, quando delle "mutazioni climatiche" nemmeno di parlava...!) e in tal caso si usava dire: "so' rànnule gruosse comm''e nnoci".
I fulmini e i conseguenti tuoni si indicavano con: "'e lampi" oppure "'e saette 'ncielo" e "sta 'ntrunanno".
La giaculatoria invocata dagli anziani durante i temporali particolarmente intensi, con i temuti fulmini, era questa: "tuono e lampe fatte a rasse cheste è a casa e santu Jasse (Biagio). Santu Jasse e San Simone (o San Salvatore) chiesta è a casa e nostro Signore".
L'evento di una precipitazione nevosa, rara per la verità nel nostro territorio (le ultime significative sono state quelle degli anni 1956, 1972, 1984 e 2018), erano apostrofate con: "sciocca" oppure "sta sciùccanno". Mentre per indicare la presenza della nebbia si diceva  "'a neglia" e per marcare la sua intensità, si aggiungeva anche "...è comm''a 'na fùmeta".
Per le folate di vento, era coniato il termine di "vìntiata". Caratteristico e più temuto dai contadini durante i lavori invernali era il vento freddo di "Tramontana", qui chiamato curiosamente come: "'o vìente 'e terra". Mentre l'impercettibile brezza marina, che specie in estate arrivava a lambire anche il nostro territorio, era detta: "aria 'e mmare". Inoltre, il fastidioso Scirocco, quando spirava, era accolto con l'epiteto: "mèna 'o viente 'e scirocche ca 'nfiacchisce 'e coscie...!" Curioso il fatto che, durante la calura estiva, si invocava il refrigerio di un venticello rinfrescante e si diceva: "nun mèna (nun scìoscia) 'nu filo 'e vìento!" oppure "facesse 'na frùsciata 'e vìento!". Quando il vento diventava sostenuto, allora si diceva: "mèna 'nu viente accussì forte ca te taglia 'a faccia!" oppure "'mèna 'nu vìente ca pare che te porta...".
La calura estiva opprimente era chiamata "afa"; nelle giornate estive, quando si prevedevano picchi di temperature alte, si diceva: "'o ssole s'è 'a poco aizato e abbrucia già...!", mentre, durante le lavorazioni nei campi, spesso era necessario porsi a riparo e si diceva: "miettete contra viento" oppure "miettete 'nu poco a 'o frisco 'e ll'ombra".
Gli effetti dell'acqua per le strade e per i camminamenti sterrati era la formazione del fango, che veniva indicato con il termine di: "'a lota", termine poi divenuto anche un aggettivo dispregiativo, proprio per sottolineare, in analogia, qualcosa che appariva fastidioso per lo sporco correlato...
Quando il freddo invernale era valutato grave, si diceva: "fa 'nu friddo oggie che te trase dint''a ll'ossa...!".
Anche per descrivere gli effetti dell'acqua sulle persone erano state coniate espressioni molto
caratteristiche e comuni, come, ad esempio: "te si 'nzuppato d'acqua" oppure "te si 'nfuso comm'a 'nu pullicino" oppure "tengo l'acqua fino a dint''e cazettine" oppure "me pare 'na paparella" oppure "lèvate 'e panne 'nfuse 'a 'ncuollo" e le più antiche: "arreparate, miettete 'nu sacco 'ncuollo" oppure "asciuttete vicino a 'o fuculare", oppure "arreparammece sott''a 'o pagliaro" e, più in generale: "nun te fa chiovere 'ncuollo (o 'ncapa)". Mentre gli effetti sui luoghi erano sottolineati con: "tanto che ha chiuvuto ca se so' appilate tutt''e saittelle!"
Il sopraggiungere dell'invocata acqua, soprattutto dopo la siccità del periodo estivo, era salutato con: "finalmente chiove, accussì s'ammassa 'nu poco
'e povere" oppure "chiove, 'nce vuleva, pecchè 'a terra è arse d'acqua!" e ancora "mo sì che arrìciatammo 'nu poco...".

 via Cupa Grande-ponte Ferrovia Piedimonte d'Alife, anni '70, foto giornale L'Unità

Mentre al sopraggiungere del bel tempo, dopo un temporale, si diceva: "s'è schiarato 'o cielo!" oppure "s'è araputo 'o cielo...!".
Concludendo, per sottolineare che forse la mutevolezza del clima non è poi un fenomeno solo dei nostri tempi, gli antichi usavano già dire in passato: "se so' cagnate 'e staggione!" e, ancora: "nun è cchiù 'o tiempo 'e 'na vota!"...

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Auguriamo ancora ai cari lettori un buon anno 2024, aggiungendo l'augurio, stando in tema di questo post: "...che schiarasse 'na bella ghiurnata!"

Salvatore Fioretto

Ringraziamo per la cortese collaborazione, l'amico Pasquale di Fenzo. Ringraziamo Ferdinando Kaiser per averci fornito la foto della masseria Renza Vascio.


Via Cupa Grande (Miano) e relativo ponte della Piedimonte, durante un allagamento, anni '70


Alveo dei Camaldoli con pineta, presso Mugnano-Calvizzano, anni '70 ca.

Il rispetto degli animali e della natura.... di Salvatore Scarpato

Publichiamo con molto piacere questo bel racconto scritto da Salvatore Scarpato; è una storia realmente accaduta a Piscinola, nell'estate del 1963 ed è narrata dal protagonista con un lessicale fluido, semplice e appassionato, come un dipinto di letteratura...

"Il 5 agosto del 1963, a Piscinola, quartiere ancora abbastanza rurale di Napoli, si organizzò, come dalla notte dei tempi, una fiera degli animali, chiaramente un orrore per me che sono un animalista, ma forse anche da questo episodio nasce la prima pietra dell’edificio della mia vita. Andai a questa baraonda di confusione con il mio amico di sempre Luigi Gala ("di sempre" non è un solo modo di dire e vi assicuro che senza di lui non sarei potuto andare da nessuna parte).

Una fiera di animali d'epoca, da una foto di repertorio

Chi mi conosce sa il perché, chi non mi conosce guardi il film “Il mio piede sinistro" oppure legga il libro omonimo. Un giorno vi racconterò anche di Luigi detto Ciccio, non vi sono film su di lui, ma è un eroe, almeno lo era da bambino. Gigi, scherzo: chi nasce eroe rimane tale.
Ci faceva impressione, ci faceva orrore tutto ciò ma non riuscivamo a mettere a fuoco il perché... Intanto bisogna dire che noi con pochi altri bambini evitavamo di ammazzare come purtroppo facevano altri, qualsiasi cosa si muovesse (spero si siano ravveduti). Una lucertola o una farfalla per Giggi e me erano solo fonte di curiosità, tutta infantile e mai crudeltà. E come non ricordare l'ambito: il Re Babbacano? Un lucertolone da torturare senza pietà. Pochi di noi preferivano ben altro che fargli del male, il babbacano era un lucertolone autoctono(?) di Piscinola. Forse.

Durante il cammino nel deserto d’amore per gli animali venimmo attratti da una fetenzia di vocione trombante che pubblicizzava come una novità assoluta e divertente i pulcini colorati, a 20 lire l’uno. Così, per istinto, abbiamo pensato che quelli finalmente erano tutt’altro che cose brutte, erano colorati e questo ci rendeva felici, tanto che bisognava che questa nostra felicità venisse condivisa da chi ci voleva bene, per affermare, a modo nostro, che il bene che avevano riposto in noi non era un vuoto a perdere, ma un bene a rendere...
Mettemmo insieme i nostri averi, svuotando le tasche dei nostri corti pantaloni dal contenuto in soldi; ne volevamo sei, ma ahimè i soldi a mala appena bastavano per cinque, allora bastò niente per decidere per quattro pulcini, avremmo fatto due a testa: due alla sua mamma, due alla mia nonna.
Io vivevo gran parte della mia vita ancora da nonna, in un casolare in aperta campagna. Mia nonna lavorava come mezzadra, i miei la sera erano sempre presenti, ma il resto della giornata lavoravano nel commercio del baccalà.
Appena giunti da nonna, con fare deciso e felice gli mostrammo i quattro pulcini colorati, invitandola a scegliere quelli che più la facessero contenta. La nonna cambiò espressione, da contenta di vederci a un fare serio, ma di una serietà severa. Con il suo indice mi puntò il nasino, e in maniera che non ammetteva replica alcuna, disse… "NUJE 'E PULLE OGNI TANTO 'NCE MANGIAMMO MA MAJE 'E SFUTTIMME"...! (Traduco: noi i polli in caso di estrema fame possiamo anche mangiarli, ma lungi da noi togliergli la dignità nel prenderli in giro). Sì, li avevano pitturati con della vernice che certamente gli dava sofferenze atroci e ciò da un un punto di vista ci fece star male, ma dall'altra parte ci fece capire che nessun essere vivente può essere trattato senza dignità.
Ci mettemmo a piangere e chiedemmo un aiuto. Nonna ci aiutò, infatti li sequestrò tutti e quattro, invitandoci a vedere il giorno dopo se era stata capace di curarli e magari guarirli. Con pazienza ci raccontò che aveva usato dell’olio di lino per ripulirli e poi li lasciò liberi di crescere nell'aia. Ancora la ringrazio per questo insegnamento che cerco di trasmettere in modo particolare ai bambini che frequento."

Salvatore Scarpato 

Ringraziamo l'amico Salvatore per questo suo bel racconto e per averci autorizzato alla sua pubblicazione su Piscinolablog.

S.F.