sabato 1 febbraio 2020

Una terra di santi... poeti, giuristi e navigatori.: il barone avv. Giambattista Gallotti (V parte)

Continuando la serie delle biografie riguardanti i personaggi che sono nati o hanno trascorso una parte della loro esistenza nell'antico Casale di Piscinola, ricordiamo in questo post la figura del Barone Giambattista Gallotti, che fu celebre giureconsulto del Regno e nominato dal Re Ferdinando I, Soprintendente della Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola.
Il tribunale della Vicaria a Napoli
Del barone Gallotti già avemmo modo di accennare alla sua presenza e alla sua attività a Piscinola, quando descrivemmo la vita del pittore Francesco De Mura e del notaio Michele Valenzia.
Giambattista Gallotti ebbe i natali nel comune di Battaglia, in provincia di Salerno, nell'anno 1718. Suo padre, Carlo, che fu barone dei feudi di Battaglia e di Casaletto, si mostrò sempre un uomo integerrimo e di nobili costumi. 
Dotato fin dalla tenerissima età di grande ingegno, Giambattista si mostrò precocemente sveglio e arguto nell'apprendimento, oltre a essere dotato di carità religiosa nel far del bene; tali doti precoci fecero subito accendere nei genitori la speranza di un fulgido futuro, a lui riservato. 
All'età di venti anni, i genitori concordarono nel trasferire Giambattista nella capitale del Regno e di affidarlo alle cure del cugino, Tommaso Benevento, che era affermato avvocato del foro di Napoli. Anche l'avvocato Tommaso, si distingueva per la sobrietà dello stile di vita e la rigida condotta: cose che destarono forte emulazione nel giovane e contribuirono a plasmare il suo carattere. Dall'avvocato Benevento, Giambattista apprese i primi rudimenti del diritto. Oltre allo studio delle opere più famose degli scrittori greci e latini, il suo interesse si estese, poi, alle opere degli scrittori e poeti della letteratura italiana antica. 
Ritratto del barone Giambattista Gallotti in età senile
Studiò la filosofia, le scienze naturali conosciute nella sua epoca e, quindi, le materie di giurisprudenza. Il diritto naturale, con le istituzioni di Eineccio, gli scritti di Burlemachio, i doveri dell'uomo e del cittadino trattati da Pussendorfio, il diritto della guerra e della pace di Ugon Grozio, il diritto delle genti del Wattel, nonché i trattati giuritici di Seldeni, di Coccei e di Tomasii. Seguirono gli studi del diritto romano, ovvero dello spirito di legislazione di quelli che furono i conquistatori del mondo. Dopo le istituzioni di Giustiniano, affrontò la lettura dei commenti del Vinnio, del Cujaceo, del Perezio, del Goveano, di Noodt, di Brunemanno, di Duareno, di Fabron, di Domat, di Giaconzo e di Dionisio Gotofredi. Continuò con le opere dei giuristi del diritto patrio antico: di Matteo d'Afflitto, di Andrea d'Isernia, Andrea di Capua, di Carlo Tapia, di Rovito, di Marinis e del De Franchis. Studiò il diritto criminale.
Studiò le opere di Anton Mattei, di Beon, di Beccheria e di Romagnosi.
Studiò diritto canonico, immergendosi nello studio e nell'apprendimento attraverso le opere di  Vanespen, Florente, Barbosa, Aluiso, Boemero e Tomasio.
Passò quindi a sperimentare il terreno pratico dell'attività forense, per mettere in pratica l'erudizione appresa nello studio.
"Ed eccolo nell'arido terreno sparso di bronchi e di spine, in cui non di rado l'impostura il cavillo e la mediocrità rapiscono il premio al vero merito e i buoni talenti non possono fare a meno di vedersi trasandati e avviliti ....". (cit.)
Piscinola, Piazza Municipio (oggi piazza B, Tafuri), part. da cartolina d'epoca
Il nostro Gallotti, entrato, per così dire, in quel mare immisurabile dell'attività del Foro, pieno di nobili idee e di coraggio, non si smarrì, ben sapeva che la conquista della fama di "Principe del Foro" dipendeva dalle capacità dell'intelletto e da altri nobili qualità, che non appartengono al resto degli uomini, sapendo che la più essenziale delle cognizioni dell'avvocato doveva essere la conoscenza dello spirito e del cuore umano.
Era convinto, infatti, che il primo dovere dell'avvocato era quello di saper conoscere gli uomini, essere istruito delle loro virtù, dei loro vizi, delle loro debolezze;  essere dotato della più vasta intelligenza, del più facile discernimento e della capacità di conoscere e saper applicare le regole e i principi legali ai casi particolari. Per quanto concerne le virtù del cuore, l'avvocato, per il Gallotti, doveva essere pronto a sacrificare con generosità la propria libertà, essere disposto a sormontare gli ostacoli che possono presentarsi, avere uno zelo ardente nel difendere l'infelice e l'innocente e, ancora, avere una nobile franchezza, saper coltivare il linguaggio della verità e, non ultimo, avere un disinteresse a tutta prova: tutto questo doveva contribuire a non alterare la grandezza di animo che deve caratterizzare il giureconsulto.
La Sua vasta conoscenza e l'intelligenza gli avvalsero la stima dei più ragguardevoli magistrati del Foro, dei colleghi e di quanti lo conobbero e lo frequentarono. Tale statura mantenne negli anni, sempre privo di lusinghe, d'ipocrisia, di sfrenato orgoglio, anche quando gli affidarono importati cause per controversie di natura feudali, ecclesiastiche, "fedecommessarie" e "consuetudinarie".
Nell'intendo di servire con umiltà la sua Patria, egli, privatamente, nella sua casa, offriva lezioni di diritto, con amore e passione, a una schiera di giovani allievi, bramosi di apprendere la nobile materia del diritto, della quale, Gallotti, ne era depositario e cultore.
A tutti destava ammirazione vedere il precettore essere attorniato da giovani studenti, che seguivano il maestro con interesse e questo li ripagava di limpidissima e chiara esposizione, li illuminava, li arricchiva e li temprava... Dai sui studenti uscirono giureconsulti di grande fama, tra cui: Vincenzo Aloi e Giuseppe Cappelli, quest'ultimo già consigliere della Suprema Corte di Giustizia.
La Sua notorietà talmente che si diffuse e fu apprezzata che il sovrano Ferdinando I, lo nominò, a giusto vedere, giudice della Gran Camera della Vicaria. Ma egli, sempre di animo modesto, ringraziò il monarca per l'onore concesso e rinunciò alla carica, preferendo dedicare tutto il suo tempo alla difesa dei diritti sacri dell'uomo, a difendere i suoi clienti e a guidare i suoi studenti.
Chiesa del SS. Salvatore parte absidale
Ciononostante, lo stesso re, Ferdinando I, lo assegnò al governo del Banco di San Giacomo e, poco dopo, lo nominò soprintendente della Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola. E per quest'ultimo tempio, il Gallotti si prodigò non poco, e ci riuscì, a condurre a termine il suo restauro, dato che al momento della sua investitura la chiesa si presentava praticamente nello stato cadente. C'è da aggiungere che, contrariamente ai tanti, che pur prodigandosi per risolvere i problemi, chiedono in cambio compensi o favori, il Gallotti non solo rifiutò i compensi spettanti, ma addirittura ci rimise anche del denaro dalla propria tasca...!
Fu amico del notaio Michele Valenzia di Piscinola e del celebre pittore Francesco de Mura. Fu, quindi, nominato dal De Mura esecutore del legato che egli concesse, con testamento, alla chiesa del SS. SalvatoreNel testo estrapolato dal testamento, che qui riportiamo in parte, si noti la ricorrente menzione dell’avvocato Giambattista Gallotti, dichiarato dal De Mura, suo "carissimo amico e compadre”... ecco il testo:
…Ogni dubbio si debba sciogliere e, dichiarare dal suddetto Sig.r Avvocato D. Gio: Battista Gallotti a chi ho comunicata tutta la mia volontà, e che mi ha consigliato nel presente mio Testamento, e la dichiarazione facienda dal medesimo, si abbia come parte del presente mio Testamento, e si debba ad unguem osservare ed eseguire dal detto mio Erede, atteso così è mia volontà. 
Piscinola Lì undici Ottobre millesettecento ottanta. Io Francesco di Mura ho disposto come sopra.
Il barone Salvatore Gallotti
Il pittore Francesco De Mura tanto apprezzava le qualità umane e spirituali del barone Gallotti, che gli volle regalare il crocifisso conservato nella sua casa, con questa disposizione: “Ed oltre a ciò Lego a beneficio dello stesso avvocato Sig.r Gio: Battista Gallotti il mio Crocifisso, che conservo in uno Scarabatto nella stanza del mio Letto, unito collo stesso Scarabatto ed altro di suo ornamento, acciò si ricordi dell’Anima mia”. Risultano aggiunti poi altri codicilli al testamento, il 16 luglio 1782. 
Le ultime volontà del pittore, sempre menzionando Gallotti, concludono, dicendo: “Lascio Esecutori di questo mio ultimo testamento L’ill.re Marchese Presidente della regia Camera della Sommaria, Sig.r Don Angelo Granito, L’Ill.re Marchesino D. Giovanni Granito e L’Avv. Sig.re D. Gio: Battista Gallotti.
Non sappiamo quanti figli ebbe Giambattista e nemmeno il nome della consorte, sappiamo però che il più celebre dei suoi figli fu Salvatore, che seguì le orme paterne di giureconsulto e di filosofo. Salvatore Gallotti nacque a Napoli nell'anno 1775, fu subito affidato al precettore Vincenzo De Verio, seguirono gli insegnamenti del padre, Giambattista, svolti tra le mura domestiche, poi del domenicano Minasi e di Marino Guarano. Fu dal Sovrano nominato giudice, prima del tribunale civile di Cosenza e, poi, di quello di Napoli. Fu nominato anche presidente dell'Accademia di Giurisprudenza a Napoli. Viene ricordato per essere stato uno dei primi commentatori delle opere di Giambattista Vico.
Ritornando a Giambattista Gallotti, sappiamo che fu un fervidissimo credente cattolico. Egli mise, sopra ogni cosa della vita, la religione, considerando che ogni verità è emanata da Dio, che è la verità infinita... Suo il nobile pensiero secondo il quale: ...laddove non vi è Dio, non vi è verità...! Le dottrine filosofiche ammortiscono e disseccano la vita, esse tutto tolgono all'uomo, eccetto la miseria... e lo conducono alla tomba assieme all'inquietudine e ai rimorsi. Da tali principi trasse una pietà solida e illuminata, che fu esempio per tutti.
Fu semplice come la verità, saggio come la legge, disinteressato come la giustizia; non si macchiò mai di alcuna onta di scandalo e non inseguì desideri di una falsa gloria.
Opera scritta da Giambattista Gallotti
Quando si avvicinarono gli ultimi momenti della sua vita, seppe attendere il giorno estremo con serenità, con confidenza e con attesa del giusto. Ripeteva spesso: "Paventi colui, che spandendo un velo sulla ragione, fabbricossi un sistema mostruoso, non ravvisò che un circolo eterno di cose, si atterrò sul sostegno delle sue infelicità, e fu così stolto, che assoggettandosi all'impero del capriccio e della forza, rendette assolute e sovrane tutte le voglie della natura peccatrice. Questo uomo tradì sé stesso, dissimulò e compresse i moti benefici del suo cuore, e gittandosi in una notte eterna e dubbiosa, ricusò sin nel sepolcro il conforto de' miseri, la speranza". (cit.)
Con queste frasi volle ricevere l'estrema unzione nella chiesa e, dopo aver dato l'ultimo saluto e benedizione ai suoi amati figlioli, carico di meriti e consumato dagli acciacchi e dagli anni, morì nel mese di giugno del 1799.
Non ci sono prervenute molte opere di Gallotti, ma coloro che hanno potuto leggere i suoi scritti di natura legale, si sono resi conto dello spessore del sommo giureconsulto. 
Coltivò in vita sua tantissime amicizie, perlopiù di persone che vivevano al di fuori dei confini del Regno. Alla sua dipartita furono in tantissimi a ricordarlo e a rimpiangerlo.
Gran parte di questa biografia sul barone Giambattista Gallotti è stata tratta dal discorso funebre, scritto dall'amico Nicola Morelli di Gregorio.
Salvatore Fioretto