domenica 11 aprile 2021

Intervista ad una anziana di Piscinola, il 1 maggio 2013...

Piazza B. Tafuri, Congrega e edificio T. Tasso. Creazione grafica di S. Fioretto
In quel primo maggio
2013, giorno di festa civile, al tramonto, passeggiando nel centro storico di Piscinola, in compagnia di una cara amica, incontrammo questa signora anziana, che stava fuori alla sua casa, che era un'antica abitazione con cortile e stanze, al piano basso e al piano superiore; ella ci ospitò con molto entusiasmo, facendoci accomodare nel suo bel cortile, su delle sedie di paglia, e li' ci regalò questa bella e particolare testimonianza della sua adolescenza e quindi della vita a Piscinola negli anni '40 e '50 dello scorso secolo. Ecco il racconto. Tra le parentesi sono riportati dei commenti e delle precisazioni per la pubblicazione.

"Nel 1943 morirono a Piscinola 12 bambini per un bombardamento in vico Primo Plebiscito, mentre due bambini morirono in via Vecchia Miano, a causa dello scoppio di mine che i bambini avevano accidentalmente trovato e fatti esplodere durante i loro giochi. Nell'incidente di via Vecchia Miano un terzo bambino fu ferito, perdendo un occhio.
Palladino Domenico abitava in via Vecchia Miano nel palazzo detto della “Meza capa” (palazzo Di Febbraro), assieme ad altri partigiani, inseguirono un tedesco, il quale salì nell’appartamento, e si nascose sotto il letto, ma nello scontro si spararono a vicenda e morirono insieme (secondo le cronache, in uno stabile in via Vittorio Veneto). Un altro piscinolese, soprannominato "‘o zuoppo", rimase ferito, perché si trovò in mezzo a una sparatoria tra tedeschi e partigiani.
La Piedimonte fu bombardata nella stazione di Secondigliano e ci furono i morti.
Durante la Guerra, con la mia famiglia, assieme a tanti altri, ci recavamo in un rifugio ricavato "dint’o Monte", detto così perchè questo rifugio era stato ricavanto in una cava abbandonata, situata in località Boscariello: stava appena dopo l’incrocio, scendendo, sulla destra della strada, da lì si accedeva al rifugio antiaereo.

La signora maestra Altamura era di Calvizzano e veniva alla scuola Tasso con il treno della Piedimonte. Anche le altre maestre venivano con la Piedimonte, molte da Aversa. Le mie due maestre si chiamavano Vastarella e…(non ricordava il nome). Molte insegnanti dormivano nella casa costruita nell’ex giardino della Piedimonte e lì facevano anche doposcuola.

Palazzo Villa Vittoria, detto "Grammatico" (Foto di repertorio)

Padre Juvè era un monaco (era un gesuita) che organizzava le Missioni, ogni volta metteva le croci in ricordo di quei raduni, come sotto al campanile della chiesa di Piscinola e su via Napoli a Marianella. Convertiva le persone e andava a convincere le persone che si riunivano nei luoghi di gioco ad abbandonare il vizio e a partecipare alle funzioni liturgiche in Chiesa.
Ricordo il vecchio parroco Carandente, originario di Calvizzano, aveva una grande ferita alla testa come il segno di una croce… Poi vennero i due Ferrillo. Angelo, divenuto parroco, e il fratello (era invece il cugino, anche lui di nome Angelo) …., detto “’o piccerillo”, che poi andò a fare il parroco nella parrocchia di Chiaiano.
Con il treno della ferrovia Piedimonte si andava fino a Piedimonte, sotto alla montagna del Matese, dove c’era un tram (?) che portava sul lago del Matese. Spesso ci recavamo anche a Caiazzo. "Come era bello e comodo quel treno, che peccato che lo tolsero da mezzo!".

Stazione di Giugliano, foto di H. Roherer, 1972

Durante la festa del Salvatore la giuria dei fuochi si metteva sul terrazzo della scuola elementare Torquato Tasso. I fuochisti erano 6, allora erano molti e di più dell’odierna festa del Cuore di Gesù di Mugnano: loro hanno copiato da noi…! A Piscinola venivano per vederli molte persone, anche da fuori Napoli. Erano belli i fuochi, la gente di Piscinola concorrevano tutti alle spese, perche ci tenevano al SS. Salvatore e al loro paese. Non spendevano i soldi per cose inutili e i soldi ci stavano…!
Il lunedì facevano la vendita all’asta e i fuochi. Il martedì c’era il concertino. Prima al concertino partecipavano solo i cantanti maschi, poi, man mano, si aprirono anche alla partecipazione di cantanti donne, vennero: Gloria Cristian, Angela Luce, Maria Paris;  tra i cantanti uomini vennero a cantare: Aurelio Fierro…..
A Pasquetta andavamo alla festa dell’"Archetiello" a Miano, dove si compravano giocattoli semplici e poco costosi. Spesso si ci allungavamo anche alla chiesa che stava giù al Cavone.
Festeggiamenti della Madonna di Loreto in vico Operai, anni '50

Ogni zona di Piscinola aveva una sua festa: ‘o Capo 'a Chianca: il Crocifisso e facevano anche la funzione del Crocifisso; 'a Madonna delle Grazie: la festa della Madonna e facevano ’a funzione di Campoleone; ‘o vvico ‘a Pagliaro: la Madonna de Loreto; ‘o Capo ‘e Coppa: il SS. Sacramento e ‘Mmieza ‘a Piazza: l’Addolorata. Abbascio Miano si festeggiava la Madonna del Carmine e S. Anna. Durante ogni festa si faceva una grande processione, dove i soci delle varie associazioni si vestivano tutti uguali, in abito nero e portavano i fiocchi dello stendardo. Quello del Crocifisso indossavano, come distintivo, oltre a un crocifisso al collo, anche una lampadina rossa all’occhiello.
Con la mia famiglia coltivavamo ben 33 moggi di terreno a Scampia (equivalente della superficie di 10 ettari) e vi accedevamo attraversando via Cupa Acquarola. Il proprietario era un certo sig. Frignano, presidente della Cassa del Mezzogiorno e della Banca dei Paesi Vesuviani. Era chiamato "‘o Signore d’’a terra".  La mia famiglia aveva anche diversi appezzamenti di terreno di proprietà, che dicevamo "‘a terra franca". Il terreno della fondazione Ruggero non fu donato, ma venduto alla fondazione da Ruggero(?), perché i proprietari delle campagne erano tutti “tirati”, e non donavano niente a nessuno!
Spesso portavo liberamente il maiale per le strade, attraversando via Cupa Acquarola e, giunti in campagna, gli davo da mangiare "'e papagne" (dei papaveri) ed altre erbe. Si diceva anche il detto: ‘a ll’Annunziata leva ‘o puorco ‘a dint’’o pprato!
La mucca, quando la portavamo a montarla, si diceva: "porta'’a ‘ntaurà” 'a vacca" (il termine deriverebbe da "tauros"= toro). La gestazione della mucca durava nove mesi e dopo il parto avveniva l'allattamento del vitello; la mucca si faceva accoppiare di nuovo, dopo un anno. Durante la gestazione, la mucca produceva il latte, anche se in quantità ridotta. 
Il latte si beveva appena munto ed era ancora caldo. Mio fratello si fece fare un secchiello dallo stagnaro, detto "Zichibbacco", ricavandolo da una lattina, detta "buatta" e mettendoci anche un manico. Oggi ognuno beve in un bicchiere diverso, e guai se si sospetta che qualcuno l’ha utilizzato, se ne prende un altro pulito…! Prima si beveva tutti in un unico contenitore, conoscenti e estranei, e nessuno mai si è infettato o ha preso malattie...!
Raccolto della Canapa, foto nelle campagne del Casertano

In campagna, seminavamo il granoturco, dopo l'avvenuta raccolta del grano. Si chiamavano i portatori di buoi, con il "prussiano", (aratro) per fare "porche" (solchi). Noi, che seguivamo i buoi, seminavamo i chicchi di granoturco. I buoi venivano da un paese di Caserta.
La Canapa si seminava sul terreno, dopo averlo zappato e "schianiato" (terreno livellato e appianato dalle zolle), a tale scopo tiravamo a mano il "mangano" (una specie di erpice) e nei solchi che si facevano, seminavamo i semi della Canapa. Io ero bravissima a seminare i chicchi, non ne sprecavo nemmeno uno, tutti sistemati nei piccoli solchi formati. Poi i semi si coprivano di terreno, facendo uso dei nostri piedi. Infine, passavamo sulla superficie di terreno un fascio di rametti di erba selvatica, chiamata "‘e fetiente", che uniformava il tutto e rendeva fine la superficie, perché così era richiesto per la coltivazione della Canapa, questo per poter fare germogliare facilmente i semi.
Messa a macero della canapa ai Lagni:i massi appesantivano i fusti in acqua

Quando si raccoglieva la Canapa, la portavamo a macerare ai Lagni (Regi Lagni) e, poi, una volta mecerata e seccata, era riportata nell'aia della nostra masseria, dove si estraevano le fibre dal tessuto degli steli; mentre con “i capizzi”, ossia i fusti della Canapa, si formava il “letto”, sul quale erano messe le mele annurche a maturare e, poi, dopo l'utilizzo, si bruciavano nel camino.
Io spesso estraevo dalle matasse un po’ di Canapa e la portavo a farla tessere nel palazzo Chiarolanza, dove c’erano "‘e vicchiarelle", che avevano un telaio e tessevano dei teli. Non ricordo della produzione del lino a Piscinola.
Nella nostra campagna seminavamo anche i ceci che non venivano alti, ma erano come i piselli nani, però si metteva lo stesso dei supporti in legno per reggerli; i ceci si ricavavano dai baccelli, come avviene per i piselli.
Prima non c’era il frigorifero e per la conservazione durante l'inverno si seccava al sole tutto il raccolto durante l'estate. Con le fave piccole, dette "‘e favielli", oltre a essere utilizzati per concimare la terra, si seccavano e si cuocevano in inverno. I zucchini si facevano a fette e pure erano esposti al sole per essere seccati, erano chiamati "‘e felle".
Anche i pomodori e i peperoni si seccavano e si conservavano per l’inverno, ridotti in polvere. I pomodori si conservavano soprattutto attraverso la produzione di conserve, riempiendo delle bottiglie.
L’urina raccolta nelle stalle, dentro un pozzetto interrato chiamato "pisciniello", era trasportata nei campi, a spalla, dentro un contenitore di legno (detto ‘o varricchione), sostenuto con un asse di legno da due portatori e serviva come concime delle colture
(elemento ricco di azoto e potassio).
Durante i lavori nei campi, agli operai si cucinava "pasta e patate" o "pasta e fagioli" e quindi si portava il pasto in un'unica "zuppiera", racchiusa in un telo. Dalla "zuppiera" mangiavano tutti insieme, ognuno con una propria posata. Si beveva in una grande otre ("mummara") di terracotta, detta "aulara"
(altri chiamavano "‘o Zerretiello"), che era anche molto pesante da portare. L’acqua si manteneva fresca, anche con il caldo estivo.
Chi restava a casa, durante la settimana, mangiava "pasta e patate", "pasta e fagioli", a volte "pasta e ceci", broccoli lessi, rape lesse, e altri piatti semplici. Spesso nel forno a legna si cuoceva un "ruoto di patate" (patate al forno), con l'aggiunta di sugna: non si crederà, ma l’odore genuino e accattivante si diffondeva per tutta Piscinola…!!
Si cucinava condendo le pietanze sempre con sugna e lardo, pochissime volte si utilizzava l’olio d'oliva. Nessuno aveva il colesterolo alto e altre patologie…!
La carne si mangiava solo la domenica e sembrava veramente una festa: Allora si vedeva che era domenica…!.
La pasta si faceva in casa con farina e uova, e si formavano "le pettule"
(specie di sfoglie di pasta per fare delle fettuccine).
Stazione di Santa Maria C. Vetere, S. Andrea de Lagni
Poi si tagliavano e si mettevano a seccare su un asse di legno, appoggiato tra due sedie. Si preparava il ragù mettendo dentro due salsicce di maiale. L’olio  era utilizzato qualche volta e si andava a prenderlo a Caiazzo.
Nel forno a legna, dopo aver sfornato il pane, si mettevano a cuocere anche le cotogne e le mele.
La "quagliata" era un formaggio molto liquido, realizzato con il latte avanzato; questo formaggio si rapprendeva mettendo dentro il "caglio". Il "caglio" ci veniva dato dai caprari, e in cambio noi li facevamo accedere
nelle nostre terre, per far pascolare le loro pecore e capre. Il "caglio" era usato un poco alla volta, ogni volta che si faceva il formaggio della "quagliata". Sovente la "quagliata" si portava anche nei campi e si mangiava in mezzo a due fette di pane.
Spesso, quando si era nei campi, anche i pomodori si mangiavano schiacciati in mezzo al pane. Non si lavava niente!
I ravanelli si raccoglievano dal terreno, si pulivano, strofinandoli sui vestiti e si mangiavano così… Oggi invece utilizzano l’Amuchina per disinfettare…, hii!
Non esistevano i frigo, la roba si metteva al fresco, nel pozzo. Oggi vanno a vedere le scadenze delle uova, allora si raccoglievano nei pagliai a decine e decine e mica si sapeva di preciso da quando stavano in quel luogo…?
Le nostre mele, dette "Austegne", erano molto saporite, e maturavano a fine di agosto: erano piccoline, bianche, con macchioline rosse. Non si sono viste più da anni...!
Seminavamo una qualità di patate che erano dette "Ghianculelle", avevano la pasta bianchissima, che non si sono viste più da allora! C’erano anche la qualità dette "‘e Riccioni".
Le patate per la semina non si compravano, ma ogni anno si conservava una certa quantità, di ogni qualità, per utilizzarle nella semina dell’anno seguente.
Con uva "Tindarella" usavamo colorare e dosare il vino. Il vino era buono e durava tutto l’anno.
Da ragazza eseguivo anch'io i lavori nei campi particolarmente faticosi, come l’irrorazione delle viti, con pompa a mano, utilizzando calce e "Verderame". Il "Verderame" e la calce si facevano sciogliere nell’acqua, dal giorno prima.
In via Cupa Acquarola molti andavano a fare i bisogni all'aperto, perché non c’erano i bagni pubblici.
Quando pioveva molti realizzavano delle specie di canalizzazioni, con piccoli argini di terreno, per incanalare quell’acqua concimata nei loro campi…
Prima il netturbino comunale
(forse anche di ditta appaltante) andava per tutte le case, con il sacco a tracolla, scendendo e salendo scale dei palazzi; i rifiuti si mettevano dentro a un carro detto "carrone", che aveva le sponde alte e si portavano via. Per avere quel rifiuto, che serviva a concimare i campi, si doveva pagare!
I rifiuti si deponevano prima in cumuli, in un posto specifico, per farli fermentare, e si diceva "'a 'ntufà"; quando erano "maturi", si distribuivano per i campi, prima di zappare (in pratica, da noi si eseguiva la raccolta differenziata e si realizzava quello che oggi chiamano "Compost", già prima della seconda Guerra Mondiale..!).
La "Maternità" in via Vittorio Veneto occupava tutto il primo piano del palazzo, lì si curavano e si visitavano le madri incinte o allattanti e i bambini piccoli. La chiusero negli anni cinquanta, perché la struttura fu spostata nel vecchio Municipio in piazza Tafuri: la nuova sede si trovava dietro la scala al piano terra del cortile"

Purtroppo, da qualche anno, la cara anziana piscinolese ci ha lasciati, resteranno di lei questi belli e nitidi ricordi, scritti e conservati nelle pagine di questo blog, per tutti coloro che vorranno leggerli in futuro.
Ciao, cara G. L.

Salvatore Fioretto