venerdì 13 ottobre 2023

I Casali di Napoli: numero e distribuzione geografica (parte II)

(segue dalla prima parte)

Il numero dei Casali

Nel corso dei secoli, la funzione politica amministrativa esercitata dai Casali ha acquistato maggiore o minore importanza a seconda delle varie dominazione e delle vicissitudini socio-economiche presenti. Per tali limitazioni gli abitanti hanno goduto di volta in volta di maggiori o minori diritti, benefici e riconoscimenti. In ogni caso, il loro precipuo dovere era quello di rifornire di derrate e di prodotti freschi le truppe di occupazione e gli abitanti di Napoli, oltre a quello di versare gli esosi tributi.
I Casali sorsero nei secoli lungo tre direttrici:
- lungo la costa litorale, fino a Torre Annunziata e alle falde del Vesuvio;
- lungo la Via Capuana, fino ad Atella, S. Antimo ed il territorio della “Liburia”;
- lungo la Via Cumana, fino all’area puteolana.
Un primo elenco delle terre demaniali di Napoli fu fornito alla fine dell’’800, dallo storico napoletano Bartolomeo Capasso, il quale nel suo trattato storico sulla Napoli ducale, intitolato “Monumenta ad Neapoltani Ducatus Historiam Pertimentia…”, numera ben cinquanta Casali. Numero forse leggermente sottostimato a causa delle lacune documentarie, dipendenti dall’ampio periodo storico considerato. Infatti esso abbraccia un arco temporale, che parte dall’VIII sec. e arriva fino all’avvento dei Normanni (1137).
Nel periodo Svevo, negli atti di un ricorso degli abitanti dei Casali al “Tribunale della Magna Curia” di Napoli, contro i “Revocati”, si elencano tutti i Casali all’epoca esistenti. Dalla sentenza, emessa dal Tribunale Regio di Napoli nel 1268, si ricava che i Casali erano trentatré.

Mappa "Napoli e i suoi trentatrè casali, di Luigi Marchese, 1802

Nel “Cedolare Angioino” si elencano ben quarantasei Casali, che sono: Turris Octava (Torre del Greco), Resina, Portici, Sanctus Anellus de Cambrano, Sanctus Georgius, “Sanctus Joannes ad Tuduczulum, Casavaleria, Sirinum (Barra), Sanctus Ciprianus, Ponticellum Magnum et Parvum, Tertium, Porclanum, Sanctus Petrus a Paternum, Porzanum, Casoria, Cantarellum, Afragola, Arcus Pinctua, Casandrinum, Grummum, Arzanum, Casavatore, Lanzasinum, Secundillyanum, Sanctus Severinus, Myanella, Myana, Pollanella, Piscinula, Marianella, Pulbica (Polvica), Playanum (Chiaiano), Vallisanum, Turris Marani, Maranum, Carpignanum, Panicoculum, Malitellum, Caloianum (Qualiano), Planura, Posilipus, Succavus, Fracta Major, Calbiczanum (Calvizzano), Mugnanum e, infine, Malitum.
Di alcuni Casali esistenti nella zona compresa tra Mugnano, Marano, Melito e Piscinola, si hanno solo alcune tracce storiche documentali, come Carpignanum (Carpignano, sito tra Melito e Mugnano), Granianum Pictulum (Gragnanello, sito tra Marano e Calvizzano), Baselica (sito tra Calvizzano e Mugnano), Balusanum o Vallisanum (Vallesana, tra Marano e Chiaiano), Turris Marani (contrada di Marano), Malitellum (Melito Piccolo o Melitello, alle “porte” dell’attuale Melito) e Casolla Valenzana, di ubicazione incerta.

In epoca angioina e aragonese, il numero dei Casali rimase praticamente immutato.
Scipione Mazzella, nella sua opera “Descrittione del Regno di Napoli”, scritta nel 1601, elenca ancora, a distanza di quattro secoli, 43 Casali,
tra i quali quello di “Piscinella”.
Col trascorrere dei decenni molti Casali furono assorbiti da quelli vicini, alcuni di nuova formazione si aggiunsero, mentre altri entrarono presto a far parte del territorio cittadino e altri ancora furono addirittura alienati e venduti. Infatti, nel 1646, anno precedente la rivolta di Masaniello contro il malgoverno Vicereale spagnolo, i Casali si ridussero a trentacinque.
Lo storico napoletano, Giovanni Antonio Summonte, nella sua opera “Historia della Città e Regno di Napoli”, ci informa ampiamente circa il numero dei Casali di Napoli esistenti nell’anno 1675. Così vi leggiamo: “[…]E circa i suoi Casali, che latinamente Vichi o Paghi son detti, che sono di numero di 37, i quali fanno un corpo con la Città godendo anch’essi l’immunità, privilegi, e prerogative di lei, havendo anco luogo in essi Casali la consuetudine Napolitane compilate per ordine di Carlo II. Di questi Casali ve ne sono molti di grandezza, e numero di habitatori a guisa di compilate Città, e sono situati in 4 Regioni, 9 ne sono quasi nel lito del mare, 10 dentro terra, 10 nella montagna da Capo di Chino a Capo di Monte, e 8 nelle pertinentie del monte di

Mappa di Napoli, di A. R. Zannoni, 1797, acquarellata graficamente

Posillipo, e sono questi: Torre del Greco, la quale si bene vien compresa con il territorio di Napoli, non è altrimenti Casale, ma Castello ben monito, et habitato di persone civili, Torre dell’Annunziata, Resina, Portici, S. Sebastiano, S. Giorgio a Cremano, Ponticello, Varra di Serino e S. Giovanni a Teduccio. Fraola, Casalnuovo, Casoria, Si Pietro a Patierno, Fratta maggiore, Arzano, Casavatore, Grummo, Casandrino e Melito. Marano, Mongano, Panecuocolo, Secondigliano, Chiaiano, Calvizzano, Polveca, Pescinola, Marianella e Miano. Antignano, Arenella, Vommaro, Torricchio, Chianura, S. Strato, Ancarano e Villa di Posillipo”.
Il Galanti nel 1794 distingueva sul territorio di Napoli venti Casali Demaniali e dieci Baronali “[...] restarono soggetti alla servitù feudale[...]”. Piscinola rientrava tra i venti Casali Demaniali.
Il topografo Luigi Marchese fornisce una preziosa testimonianza sui Casali di Napoli in essere al 1802, attraverso la realizzazione di una mappa, dal titolo: “Descrizione del territorio della città di Napoli e dei suoi trentatré Casali”.
Gli ultimi Casali nati in ordine di tempo sono stati: “Casalnuovo”, nel 1488 (sorto sul Casale di Arcora) e “Torre Annunziata”, dichiarato ufficialmente tale nel 1544. (segue nella terza parte) 

Salvatore Fioretto

Mappa del Littorale di Napoli, di A. R. Zannoni, 1797


martedì 10 ottobre 2023

Una "Villa Fiorita" a Piscinola..., la bella storia di una esperienza imprenditoriale vincente!

Il locale "Villa Fiorita", situato in via Vittorio Veneto, a Piscinola (per noi abitanti ”Miez''a via nova”), fu aperto nel 1960 su idea di mio padre Raffaele Silvestri, che trasformò il tanto amato orto di mia madre, per tutti la signora Bianchina, in sala di ricevimento. Fu un successo, c’era sempre il pieno e spesso si doveva rifiutare qualche matrimonio perché il locale era già prenotato.
La formula organizzativa era quella del "catering", che non corrispondeva effettivamente a quella odierna, non era una ditta specializzata che portava dolciumi e rustici, ma c’erano tutti prodotti fatti in casa che arrivavano in grosse ceste di vimini coperte con tovaglie da tavola. Andavano per la maggiore i biscotti chiamate “anginetti”, durissimi, coperti con glassa di zucchero, c’erano poi le pignolate, sempre biscotti dolci con pinoli. Ho provato ad assaggiarli ma per me erano immangiabili. Non potevano mancare i taralli sugna e pepe e il casatiello. Anche la torta nuziale era fatta in casa e spesso era un regalo di qualche invitata più esperta.
Tutto lo smistamento del commestibile e delle bevande avveniva nel cantinato adibito a sala organizzativa, dove i camerieri, vestiti con camicia bianca e papillon, sistemavano, pulivano, preparavano i vassoi per portare il buffet ai tavoli. Tutto questo io lo osservavo dal mio balcone posto al piano ammezzato perché, quando era in procinto l’arrivo degli invitati, mia madre ci proibiva di scendere perché non voleva che potessimo infastidire gli invitati e gli sposi. All’epoca eravamo quattro marmocchi uno più piccolo dell’altro, per quegli anni, dopo ne sono nati altri tre, sette figli in tutto, belle famiglie numerose di una volta! Durante lo svolgimento della cerimonia, ci era concesso di guardare attraverso i vetri chiusi del balcone, a patto che non litigassimo a chi doveva stare più avanti. Alla fine della serata, invece c’era di nuovo via libera e io scendevo nel cantinato, dove c’era un assordante rumore di bicchieri e di coppe di alluminio che venivano lavati dai camerieri alla velocità della luce. L’odore del vermouth si espandeva per tutta la sala e io ero incuriosita da questa bevanda che i grandi gradivano molto, infatti c’erano sulle mensole tantissime bottiglie vuote, per cui una sera, di nascosto, mi rubai una coppa da cui aveva bevuto qualche invitato, ma per me al momento non era un problema, e finalmente assaggiai quel liquido che sembrava profumato ma al sapore mi risultò imbevibile e capii che i grandi avevano dei gusti orrendi! Accanto al cantinato, mio padre aveva trasformato il rifugio notturno delle galline in spogliatoi, qui gli sposi si cambiavano di abito per indossare il vestito per il viaggio di nozze. Poiché ero una bambina un po’ irrequieta, un giorno pensai che avrei voluto vedere la vestizione degli sposi e sbirciai lo spogliatoio della sposa ma fui subito beccata e rimandata da mia madre che non riusciva a spiegarsi in che modo ero riuscita ad evadere la sua sorveglianza. Penso che qualche schiaffetto ci fu!
Che malinconia vedere ora il mio cantinato pieno di cose inutili e impolverate, senza più quella vitalità, quelle voci, quei rumori che suscitavano tanta allegria.
Ricordo i preparativi che venivano fatti al mattino, da un ragazzo di nome Vincenzo che sistemava le sedie, adornava i tavoli con fiori sempre freschi. Adoravo il pomeriggio perché arrivavano i musicanti per le prove e mi intrufolavo tra i tavoli per ascoltare la musica... Mio padre aveva pensato a tutto e per i giorni di pioggia aveva comprato dei tendoni che scorrevano lateralmente sui binari.
Il nome “Villa Fiorita” fu scelto da mia madre che ha sempre avuto il pollice verde e una passione per i fiori, ce n’erano tanti, soprattutto rose, ortensie e gerani che ancora ci sono. Fece arrivare da Sorrento dei vasi di maiolica bellissimi e tutti colorati in cui piantò delle cigas per rendere l’ambiente elegante e raffinato. L’attività si è svolta fino al 1966 quando i miei genitori, nonostante una folta clientela, decisero di chiudere perché troppo impegnativa.
Mi è pesato per molto tempo quel silenzio che, all’improvviso, assordava il mio giardino.

Tina Silvestri

Se i lettori volessero qui condividere il ricordo di un loro evento familiare svolto in questo locale, potranno inviarci i loro scritti nei commenti di Piscinolablog e, magari, corredati anche di foto.
Ringraziamo l'insegnante, Tina Silvestri, per averci trasmesso questo suo bel racconto, che pubblichiamo con piacere per i lettori di Piscinolablog. Villa Fiorita fu una delle poche esperienze imprenditoriali che risultarono vincenti nel quartiere di Piscinola, durante il cosiddetto "Boom Economico"; peccato che sia durata solo pochi anni.

S.F.