giovedì 22 agosto 2013

E un uomo vestito di bianco venne tra noi....


Sono in pochi a ricordarlo, eppure non è trascorso moltissimo tempo, appena 23 anni, da quel pomeriggio di sabato, 10 novembre del 1990, quando l'area nord di Napoli si svegliò per un attimo dal decennale torpore e dalla rassegnazione, come per un sussulto e si ripopolò a dismisura, per l'affluenza di tantissima gente, accorsa da ogni caseggiato, piccolo e grande, da ogni quartiere, vicino e lontano, tra sentimenti di stupore e commozione generale... Mai quelle strade e quei lunghi e solitari vialoni avevano registrato tanta gente accalcata e festante...!! Nemmeno in altre occasioni solenni, che seguirono quell'evento epocale.
Il popolare e amato Pontefice, il polacco Karol Wojtyla, dopo aver attraversato le tante nazioni del pianeta e visitato i popoli più disparati sparsi nei 5 continenti, metteva piede nella martoriata terra di Scampia, attraversando (o lambendo) in quel giorno anche i vari quartieri circonvicini (Capodimonte, Frullone, San Rocco, Marianella e Piscinola), in un abbraccio di popolo e alla presenza di autorità civili e militari. Numerosi erano i foto-reporter e giornalisti accreditati, italiani e stranieri.



Il Papa, proveniente da Capodimonte, attraversò Via Santa Maria A Cubito, imboccò Corso Marianella e sostò davanti alla casa Natale di Sant'Alfonso de Liguori. Poco dopo il lungo corteo di auto, capeggiato dalla "papamobile", imboccò piazza Chiesa, Via Bontà e, poi, via G.A. Campano. Attraversando il ponte in mattoni rossi della ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife", fece il solenne ingresso nel rione Scampia, allora denominato ancora "Rione 167 di Secondigliano". Il lungo corteo scorreva tra due ali di folla festante, con sventolio di migliaia di bandierine e fazzoletti bianchi. Molti poliziotti in divisa e in borghese erano disseminati nei punti chiavi, alcuni anche sul ponte della Piedimonte!



La cerimonia ebbe svolgimento nel piazzale posto al centro di Scampia, lo stesso che oggi porta il nome del papa: "Piazza Giovanni Paolo II". Sulla collinetta della odierna Villa Comunale di Scampia fu realizzato un enorme e altissimo palco di legno, con una lunghissima scalinata in gradini, con il seggio papale al centro e a lato una statua di Madonna in marmo bianco. Quella statua, che fu chiamata "Madonna della Speranza", fu poi benedetta dal Papa e fatta divenire simbolo di speranza della "nuova" Scampia. Infatti i giornali di quei giorni riportarono che essa sarebbe stata posta all'ingresso del quartiere e che la denominazione di "Rione Scampia" avrebbe ceduto il posto a quella di "Rione Madonna delle Speranza". Nulla di questo è stato più fatto da allora...!




Il discorso che il Papa pronunciò fu accorato e pieno di punti di esortazione alla speranza e alla rinascita socio-economica, rivolti sia ai cittadini di Scampia e sia a quelli dei quartieri confinanti. Il Suo discorso fu interrotto più volte da applausi scroscianti della folla presente. 
Le foto dell'epoca inquadrano una piazza traboccante di persone e il Papa sul palco e sullo sfondo le vele, emblema del quartiere. La foto a colori qui sopra in quei giorni fece il giro del pianeta!
Salvatore Fioretto
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Del discorso del Papa, che abbiamo trovato, ci piace riportare qualche passaggio significativo:

"Sono lieto di essere fra voi e vi saluto con vivo affetto. Ringrazio il vostro arcivescovo, card. Michele Giordano, che mi ha presentato il duplice volto del vostro quartiere: da una parte gli enormi problemi e le sofferenze che incombono su di voi; dall’altra, la forza d’animo e la speranza cristiana con cui voi affrontate la vita di tutti i giorni.

Dalle parole che abbiamo ascoltato emerge un quadro della situazione, nella quale vi trovate a vivere, che impressiona e preoccupa. Sì, non è facile la vostra esistenza! La carenza di strutture e di servizi, persino indispensabili, sembra ormai diventata cronica; la mancanza di case obbliga tanti di voi a vivere in alloggi di estrema precarietà, in condizioni che non favoriscono certamente il dovuto rispetto della dignità dell’uomo. Sempre più acuta diventa la crisi dell’occupazione con le negative conseguenze legate al lavoro nero e a quello minorile. Troppi ragazzi, poi, abbandonano precariamente la scuola senz’altra prospettiva che la strada, spesso solo palestra di delinquenza e di devianza sociale. A ciò si assommano il diffondersi del vizio, il dilagare della tossicodipendenza e dell’alcol, l’acuirsi del fenomeno della criminalità e della violenza anche di stampo camorristico.


Ma non bisogna arrendersi al male! Mai! Il bene, se voluto con forza, forse fa meno rumore, ma è più efficace e può compiere prodigi. Se la situazione permane difficile, e per alcuni aspetti anche drammatica, è possibile, anzi è doveroso cambiarla, per creare un futuro migliore per voi e per i vostri figli. Perseverate, però, nel vostro impegno. Ringrazio pure il giovane che ha parlato a nome vostro, esponendo motivi e finalità che animano il vostro impegno.


Carissimi, sono qui con voi per incoraggiarvi a perseverare con slancio rinnovato. La concordia e la pace che voi desiderate, il progresso nella libertà e nel rispetto reciproco che voi ricercate, la sicurezza dai pericoli fisici e morali e le condizioni di decoroso lavoro che costituiscono la vostra preoccupazione quotidiana, sono beni che Dio vuole per voi e per tutti gli uomini. Gesù Cristo, che ha voluto condividere la nostra condizione umana, è in grado di comprendere le vostre preoccupazioni e di venire in aiuto a quelli che lo invocano.


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2. Di questo sviluppo gli artefici principali siete voi stessi e nessuno potrà sostituire il vostro impegno di crescita comunitaria in tutte le direzioni nelle quali si svolge la vita quotidiana e si costruisce la storia di una popolazione. Ciò non significa che non sia compito dello Stato e delle sue istituzioni provvedere a fornirvi i mezzi necessari, a creare le condizioni idonee, a eliminare ostacoli e impedimenti, per tutto ciò che supera le possibilità e anche le responsabilità dei singoli e dei gruppi intermedi. Ma non molto varrebbe anche il massimo intervento delle pubbliche istituzioni senza la collaborazione di tutti, senza l’apporto delle virtù morali e civili, senza il rispetto e la cura delle strutture e degli ambienti, insomma senza l’impegno di tutti e di ciascuno nell’osservanza delle leggi che regolano la vita civile.


In questo vostro impegno, che non può essere sostituito da nessuno, un rilievo particolarissimo assume l’educazione, la formazione umana e cristiana dei figli, dalla prima età fino alla giovinezza, poiché essi sono gravemente esposti ai rischi della devianza: bisogna formare uomini e donne di forte personalità, artefici di un’umanità nuova. Il futuro del vostro quartiere dipende in gran parte dalla riuscita di questo impegno formativo.

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5. In occasione di questa mia visita in mezzo a voi desidero porre alcuni segni di speranza: la benedizione della prima pietra destinata alla costruzione della Chiesa parrocchiale dedicata a san Giuseppe Moscati in questo quartiere e un’altra per la parrocchia a Villaricca; la benedizione delle prime pietre di due centri sociali diretti rispettivamente dalla comunità dei Padri Gesuiti, e dalla comunità di Sant’Egidio operanti nel vostro quartiere. Sono i segni dell’impegno della Chiesa, e vogliono essere un invito e uno stimolo per le pubbliche amministrazioni, affinché anch’esse, a loro volta, pongano in essere con rinnovato slancio, i segni che sono di loro propria competenza.


Desidero infine, con un particolare atto di affidamento alla Madonna, porre il vostro quartiere sotto la protezione della Madre di Dio. Benedirò tra poco una sua statua, che ce la presenta come Madre della Speranza. Posta all’ingresso del quartiere, essa ricordi a tutti gli abitanti la sua materna protezione, ma anche gli impegni di vita cristiana da essi assunti.


Fratelli e sorelle carissimi, incoraggio voi e tutti gli abitanti dei quartieri periferici della città ad andare avanti con fiducia nel nome del Signore. Vi esprimo ancora una volta il mio speciale affetto e vi offro una benedizione apostolica insieme con tutti i cardinali e i vescovi qui presenti, come segno della benedizione della santissima Trinità.

p. Giovanni Paolo II



lunedì 19 agosto 2013

Piedirosso? No, meglio " 'O Pere 'e palummo"....!



Secondo gli esperti del campo e gli addetti ai lavori quella di quest'anno sarà un'annata eccellente per la produzione vinicola. Il caldo poco tropicale di questi mesi estivi, accompagnato da una primavera alquanto piovosa, hanno permesso la produzione di uve interessanti, per qualità e quantità, tali da poter definire l'anno di produzione, che volge al compimento, uno di quelli eccellenti ... da annoverare negli annali dell'enologia italiana degli ultimi decenni, naturalmente incrociamo sempre le  dita...!
Sappiamo tutti che la penisola italiana è densamente coltivata con tantissime varietà di vitigni, alcuni storici e millenari e altri frutti di incroci e/o di importazioni, ad ogni modo, la coltivazione delle viti in Italia risale a tempi remotissimi, ancor prima della venuta dei Greci e dei Romani...! La nostra regione, poi, non è da meno delle altre, con importantissime varietà di vitigni autoctoni coltivati, che producono eccellenti qualità di uve e, poi, vini apprezzati in tutto il mondo, sia dagli esperti enologi, che da semplici "utenti" della tavola... 
Tra i territori ameni della regione Campania, rinomati in campo enologico per essere stati altresì "baciati" dalla natura e dal sole, a fare da padrone troviamo sicuramente i Campi Flegrei, con la fascia costiera e l'isola d'Ischia. 
Un tempo, non tanto lontano, anche la zona intorno Napoli, in particolare il territorio "affacciato" ai Campi Flegrei, con la fascia compresa  tra i Camaldoli, Capodimonte, Piscinola, Marianella, Marano e Mugnano, aveva diffusa la coltivazione di variegate qualità di vitigni autoctoni, tra i quali a fare da padrone c'erano il "Piedirosso" e la "Falanghina", ma si trovavano anche altre varietà di vitigni minori, come le qualità denominate: "Mangiaguerra", "Suricillo", "Parasacca", "Marsigliese", "Asprinio" e tante altre ancora. I vitigni erano favoriti soprattutto dal microclima e dalla morfologia del terreno, che presentava, e presenta ancor oggi, in alcune isole sopravvissute alla distruzione, gli stessi caratteri fisici e naturali del territorio dei Campi Flegrei. Questi vitigni, e in particolare il "Piedirosso", producevano dei prelibati vini, apprezzati fin dall'antichità, soprattutto dai Romani e poi diffusi e noti in tutto il mondo allora scoperto. 


(Vite maritata al pioppo, con disposizione a ventaglio)

Il termine "Piedirosso" deriva dalla denominazione data dai Romani a questo vitigno, che era di "Columbina Purpurea", ossia "Rosso di Colombo", o meglio, un appellativo riferito all'aspetto di colore presentato dal piede del piccione: un colore prossimo al rosso scarlatto. I Romani, infatti, paragonavano il colore assunto dal raspo delle pigne di uva con il colore assunto dalle zampe dei colombi... Anche il colore del vino, una volta raffinato, presentava dei riflessi vermigli, trasparenti alla luce, paragonati da questi al rosso scarlatto... 
Dalle nostre parti questo vitigno è stato sempre chiamato, sin dai tempi più antichi, "Pere 'e Palummo", termine che rappresenta una degradazione della lingua napoletana alla denominazione latina di "Columbina Purpurea". Una curiosità importante da dire è quella che questo vitigno, autoctono, ossia legato al territorio dei Campi Flegrei e dintorni, cresce e dimora ancora oggi in maniera naturale, ossia senza l'ausilio dei "portainnesti", è un motivo c'è ...!
Il "portainnesto" fu introdotto agli inizi Novecento del secolo scorso, quando in Europa si sviluppò una sconvolgente epidemia patogena delle viti, chiamata "Fillossera", che attaccò tutti i vitigni europei, minando alla base delle radici la loro sopravvivenza. La "Fillossera", infatti, è una malattia che attacca le radici delle viti, conducendole rapidamente alla distruzione. Non esisteva allora (e non esiste nemmeno oggi) una cura per difendere le viti da questa malattia. I botanici e gli agronomi europei dell'epoca ne studiarono tante e alla fine si inventarono un escamotage per difendere tutte le qualità autoctone della "Vitis Vinerea" (ossa della vite Europea), soprattutto quelle francesi e italiane, che erano le più numerose e minacciate dalla virulente patologia: introdussero dall'America dei "portainnesti" di "Vitis Lambrusca", ossia della "Vite Americana", le cui radici resistevano benissimo all'epidemia di "Fillossera". Furono innestati sopra queste viti tutte le qualità autoctone europee, salvandole da sicura distruzione. In questo scenario di allora, ci fu una eccezione..., proprio nella Provincia di Napoli!!  
I vitigni di "Piedirosso", "Falanghina" e altri minori, infatti, si salvarono dalla epidemia, naturalmente, senza l'ausilio del "portainnesto": il motivo è facile da dedurre: perché le caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche del terreno, che è di origine e composizione vulcanica (pozzolanica), protesse i vitigni e non favorì la trasmissione della malattia alle radici delle viti. Tutt'oggi la propagazione delle viti nella nostra provincia, avviene per "propaggine" e per "talea", come da millenni a questa parte, senza "portainnesto"! 
Per quelli che non lo sanno, precisiamo che la "propaggine" consiste nell'inserire un tralcio della vite madre direttamente nel terreno, per farlo radicare, mentre la "talea" è la propagazione attraverso segmenti di tralci di viti, messi a dimora nei vivai.
Nella nostra zona il metodo di coltivazione delle viti era caratteristico ed è stato denominato dagli esperti "Alla Etrusca", che a differenza dell'altro tipo, detto "Alla Greca", consisteva nell'"accoppiare" le viti a degli alberi di Pioppo, disposti in filari e quindi utilizzati come supporto alle stesse viti. Questo tipo di disposizione delle viti coi pioppi viene chiamata anche con l'allocuzione: "Vite maritata ai pioppi". La tecnica di coltivazione, chiaramente di tipo "intensivo", permetteva di poter sviluppare in altezza le viti e di conseguenza avere un maggiore spazio di terreno alla base, utile per poter coltivare i cereali, gli ortaggi e gli alberi da frutta. L'altezza dei filari poteva arrivare anche a 8-10 metri! Ancora oggi si può ammirare questa tecnica nel territorio Aversano, perché utilizzata per l'Asprinio o l'uva Fragola.
(Filare di Piedirosso a Piscinola, in una foto del 2005)
L'ultima curiosità è quella che l'uva Fragola, volgarmente detta "Fravulella", è uno di quei vitigni americani, di cui abbiamo parlato sopra, introdotti in Europa per far fronte all'epidemia della "Fillossera".  
Esso fu, poi, molto apprezzato per la prelibatezza dell'uva e per il profumo e il sapore fruttato del vino e quindi coltivato in larga scala, soprattutto nella provincia di Napoli. Il vino è stato prodotto in gran quantità in passato, ma lo è ancora oggi, come pure il consumo dell'uva "da tavola"... Negli anni '30, durante la dittatura fascista, fu promulgato un Regio Decreto con il quale si proibiva la coltivazione di questo vitigno, chiamato anche "Uva Isabella" e la produzione del vino chiamato "Fravulella". Forse tale divieto aveva lo scopo di difendere le qualità autoctone dei vitigni italiani dall'invasione straniera...; tuttavia, in barba a questo divieto, la coltivazione delle viti di "Fravulella" non è mai cessata in Campania e tutt'oggi si può osservare ancora una consistente quantità di uva Fragola in vendita sui banchi dei mercati ortofrutticoli...! 
Purtroppo l'espansione della Metropoli e l'urbanizzazione intensa del territorio, hanno decretato la scomparsa quasi totale di queste antichissime testimonianze botaniche del passato nei quartieri a nord di Napoli.

Ci auguriamo anche quest'anno una buona vendemmia, inneggiando, con un forte "cin cin", quella che si prospetta un'ottima annata di vino!!
Salvatore Fioretto 
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
(Filare di Piedirosso a Piscinola, in una foto del 2005)