martedì 24 novembre 2015

Piscinola e Marianella... la terra della musica...! (seconda parte)

Prima di continuare la trattazione di "Piscinola e Marianella... la terra della Musica", descrivendo il periodo musicale definito "moderno", che va dalla fine degli anni '50, fino ai nostri giorni, dobbiamo aprire una breve parentesi, descrivendo la musica popolare (o musica folck), espressa nei canti 'a figliola, nei canti 'a fronna, nelle Tammuriate e nelle Villanelle, sempre in rapporto al nostro territorio. 
Musicisti ambulanti, da Pompei, mosaico, 100 a.C. - Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Questi generi musicali possono essere definiti come delle genuine espressioni della civiltà contadina locale, forme musicali (musica e canto) che si sono radicate anche nel nostro territorio, perché se nella vicina Giugliano e nell'agro aversano nascevano e spopolavano le Tarantelle e le Tammuriate, nonché i celebri canti 'a fronna e 'a ffigliola, e se nella capitale del Regno erano le Villanelle ad essere rappresentate nelle case dei nobili e degli aristocratici, possiamo affermare che anche nei nostri antichi Casali di Piscinola e di Marianella, come pure nei Casali ad essi adiacenti, questi generi musicali si diffondevano e venivano tramandati nei secoli dai loro abitanti, indistintamente se popolani o nobili o aristocratici.
I canti 'a figliola deliziavano le scampagnate del popolo e venivano spesso eseguiti in coincidenza di importanti ricorrenze religiose, come, ad esempio, la juta a Montevergine, ossia il pellegrinaggio settembrino al Santuario della Madonna di Montevergine (Avellino), oppure durante la festa dell'Archetiello di Miano o di Sant'Anastasia, nel periodo pasquale. 
Canti 'a figliola

Il canto dedicato alla Mamma Schiavona di Montevergine è generalmente conosciuto per i seguenti versi:
 "Simmo jute e simmo venute
e quante razie c'avimm 'avuto..."
Canto alla Madonna di Montevergine

L'accompagnamento musicale dei canti 'a figliola era eseguito con tammorre, nacchere e a volte con dei rudimentali pifferi. 
Anche con il Carnevale, che iniziava il 17 gennaio (festività di Sant'Antonio Abate) con il rito dell'accensione del grande falò, detto 'o fucarazzo, gli anziani usavano cantare, quasi come in un rituale scaramantico svolto per esorcizzare la morte e le disgrazie, questo canto 'a figliola:
"Carnevale mio è mmuorto!
Ah, si sapevo ca tu murive,
t'accerevo na vallina cennerina,
gioia soja....!".
Altro momento musicale significativo era rappresentato dalla festa della Madonna delle Grazie, il 2 luglio, quando le anziane piscinolesi, devote alla Madonna, cantavano con fede la famosa: "Regina de lu cielo, divina maestà...",  che spesso era introdotta dal seguente canto 'a figliola:
"... E' caduta 'na stella d' 'o cielo e 'mmiez''o mare s'è spampanata, 'a dinto è asciuta 'na piccerella cu 'e ricce 'nfronte  e cu 'e anielle 'e mmane...".

Ecco il testo del canzone: 
Regina de lu cielo
divina maestà
chesta grazia ca te cerco
fammella pe’ pietà (2 v)

Madonna  de la grazia
ca ‘mbraccio puorta grazia
a vuie vengo pe’ grazia
o Maria fance gra’
fance grazia o Maria
comme te fece lu Pateterno
a te fece mamma de Dio
fance grazia o Marì

Fammella o Maria
fammella pe’ carità
pe li doni ca ricevisti
dalla santissima Trinità

Madonna de la grazia…

Scese l’angelo da lu cielo
e te venne a salutà
salutà venne a Maria
e nui cantammo l’Ave Maria...

Regina de lu cielo, divina maestà 

I canti 'a fronna erano spesso improvvisati ed erano eseguiti "a distesa", vale a dire senza l'accompagnamento musicale; erano spesso i contadini a cantarli, nel corso del loro duro lavoro nei campi, durante le fasi della trebbiatura del grano nelle aie oppure nella macerazione della canapa ai Regi Lagni; eventi agresti che facevano da richiamo per gli abitanti dei borghi vicini, con fanciulli, donne e anziani di ogni età che accorrevano e venivano coinvolti in caratteristiche e improvvisate sagre, svolte durante le fasi culminanti dei raccolti, al termine dei quali, anche se esausti, i contadini dividevano con gli ospiti le loro pietanze, accompagnate da un buon vino pere 'e palummo e, poi, tutti insieme cantavano e ballavano al ritmo di tammorre e nacchere
La stessa scena si ripeteva anche dopo la rappresentazione della tragedia sacra dedicata alla Madonna delle Grazie di Piscinola, la sera del 2 luglio, eseguita nei pressi della chiesetta omonima. 

Tarantella Giuglianese

Serenata
Spesso i contadini che coltivavano i fondi e gli apprezzamenti del territorio, come quelli della piana dello Scampia, comunicavano tra loro a distanza, improvvisando canti a distesa. Lo stesso veniva fatto dai parenti dei detenuti all'esterno delle carceri cittadine, i quali per comunicare, componevano all'istante canti in napoletano stretto, per non farsi comprendere dai secondini. Questi canti iniziavano sovente con i versi: "fronne 'e limone", oppure "frunnella aruta"..., da cui deriva il detto popolare, ancora in uso: "cantà 'a fronna 'e limone..."
Qui la musica ha sempre accompagnato ogni fase della vita degli abitanti di questo territorio!
Tarantella
Le serenate agli sposi erano organizzate dal compare di anello, che assoldava una piccola orchestrina con cantante, che dopo il banchetto allietavano gli sposi, già appartati nella loro nuova casa, per iniziare i famosi "'lli otti ggiorni"...
Altra occasione per "portare la serenata" era la ricorrenza dell'onomastico, quando il festeggiato era svegliato dal canto della solita orchestrina che si posizionava di buon mattino, fuori all'uscio di casa... La cosa stupefacente era quella che questi musicisti ricordavano a memoria tutti i nomi degli abitanti e la loro abitazione...!
Altri tipi di canti popolari erano le "ninna nanne": dolci cantilene eseguite a ritmo lento e senza musica, cantate ai pargoli dalle mamme o dalle anziane nonne, con temi quasi sempre fantastici.
Anche le veglie funebri rappresentavano, strano a dirsi, un altro momento di espressione musicale popolare, un genere proprio, composto da una sequela di nenie, con soggetto lugubre e mesto, alternate dal pianto.
Queste nenie erano eseguite dai parenti o dai conoscenti stretti del defunto; spesso erano anche chiamate delle donne che cantavano e piangevano proprio per la circostanza. Il canto funebre ha origini antiche, sicuramente derivante dal culto dei morti, tramandato dai popoli ellenici sbarcati sulle nostre coste.


La canzone napoletana ha avuto le sue fasi embrionali proprio negli antichi Casali, infatti, nella vicina Antignano, già nel 1200, la musica popolare esprimeva i primi capolavori, nei canti di protesta, come il celebre Canto delle Lavandaie del Vomero. 

Canto delle lavandaie del Vomero

Anche Piscinola, Marianella e tutta la cinta a nord di Napoli, un tempo era un territorio con una folta presenza di lavandaie:  si può constatarlo osservando le foto di inizio secolo che mostrano questi borghi con la presenza di numerosi filari di indumenti esposti ad asciugare al sole, sia nelle corti dei palazzi che nelle aie delle masserie. Sicuramente le antiche mura di questi borghi hanno ascoltato il dolce e perenne canto delle lavannarelle di Piscinola e di Marianella, che cantavano canzoni di protesta sociale, come appunto questa celebre del duecento, che recriminava al malgoverno angioino la mancata concessione di quattro appezzamenti di terra da coltivare (muccatura), come anzitempo promessi... 
Il termine antico "muccatura", ossia fazzoletto, era utilizzato fino a pochi decenni fa in questi luoghi e quasi del tutto abbandonato nel centro cittadino, questo per dimostrare che la tradizione contadina è stata condizionante per questo genere musicale antico, antesignano della canzone classica napoletana.
Nei secoli che seguirono furono le Villanelle a reggere il passo della tradizione musicale e a segnare l'evoluzione del canto popolare, precursore della melodia partenopea; canti resi celebri in tutto il mondo grazie alla pregevole opera di recupero e di pubblicazione condotta, nella prima metà del XIX secolo, dal compositore, nonché editore di origini parigine: Guglielmo Cottrau (Parigi, 1797 Napoli, 1847), opera poi continuata dal figlio napoletano: Teodoro Cottrau (Napoli, 1827 - Napoli 1879), anche lui valente compositore di canzoni napoletane (Addio 'a Napoli, La Sorrentina, Lo zoccolaro, Santa Lucia (barcarola), ecc.).
Le Villanelle sono dei piccoli capolavori di musica rinascimentale, definita anche musica popolare colta, esse sono la descrizione in versi e musica di eventi di vita comune oppure dell'amore mostrato per una donna; sono opere sempre ambientate in un contado agreste, semplice e genuino. Basti citare la Villanella del XVI secolo, attribuita a Velardeniello, dal titolo "Boccuccia de 'no pierzeco apreturo...", oppure l'altra anonima, sempre del XVI secolo, di "Si lli ffemmine...", per apprezzare la bellezza di queste composizioni, accompagnate dalla musica soave e dal canto che descrive in maniera "quasi pittorica" il paesaggio, sicuramente adiacente alla città di Napoli. 
Boccuccia de lu pierzeco apreturo 

Si lli ffemmine... 

Purtroppo molte Villanelle, altrettanto belle e celebri, restano anonime, senza conoscere né il nome degli autori e né i luoghi di ambientazione.
Questo patrimonio musicale costituisce le fondamenta e la stratificazione storica che il nostro territorio ha modellato nei caratteri della sua cultura, esso rappresenta il retaggio storico-antropologico che ha favorito il particolare attaccamento alla musica manifestato dai suoi abitanti, in ogni periodo storico e per ogni genere musicale.
Salvatore Fioretto 


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