domenica 20 gennaio 2019

Il cantastorie della Piedimonte.... Eugenio cu 'e lente!


Ricordare l'umanità che frequentava ogni giorno le corse dei treni della ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife, nonché gli altri mezzi di trasporto dell'epoca, è sempre motivo di nostalgia, perché è stata quella una ricchezza andata perduta per sempre... 
Tanti aneddoti potremmo scrivere, di numerosi episodi accaduti tra gli scompartimenti dei convogli della Piedimonte nel corso dei suoi oltre sessant'anni di esercizio: come di storie di amicizie, di amori, di tradimenti, di litigi, ma anche di personaggi curiosi, che sovente si incontravano a bordo dei treni. Tra questi anche tanti venditori ambulanti e, naturalmente, di musicisti e cantanti, che si improvvisavano mattatori, per poter sbarcare il cosiddetto lunario.
Tra i posteggiatori, oggi diremo "artisti di strada", è doveroso rievocare colui che è unanimamente considerato l'ultimo cantastorie del nostro territorio, degno erede di quella che fu la "Commedia dell'arte italiana", parliamo di Eugenio Pragliola, meglio conosciuto con i suoi due pseudonimi d'arte: "Eugenio cu' 'e lente"... e "Eugenio Cucciariello".
Eugenio, nacque in Brasile, a Rio de Janeiro, nell'anno 1907, da genitori giuglianesi, emigranti in quella nazione in cerca di fortuna. Il padre era un onesto falegname e la madre era casalinga.
Forse il contatto con i fanciulli brasiliani e la cultura carioca, contribuirono non poco a fare accrescere nel bimbo giuglianese, già vivace di natura, l'indole della costante allegria, della musica e del canto.
Nel 1915 la famiglia Pragliola, già diventata numerosa di prole, fece ritorno a Giugliano, perché il genitore, Gennaro, fu richiamato alle armi, proprio con lo scoppio della prima Guerra Mondiale.
A tredici anni, partecipando alla festa patronale a Sant'Antimo, Eugenio, rimase folgorato dall'esibizione di un anziano, che accompagnandosi abilmente con la sua chitarra, improvvisava versi burleschi e ammiccanti, e alla fine notò come venisse premiato dal pubblico, con numerose monete raccolte nel suo piattino. Decise subito che quella doveva essere la sua ambiziosa meta, l'obiettivo delle sue aspirazioni di vita e anche di sopravvivenza... E, infatti, non tardò a realizzarsi, perché a diciott'anni, con i suoi risparmi, riuscì a comprare una fisarmonica, che doveva essere come il "baricentro" della sua nuova vocazione artistica. Doveva poi creare la maschera e un nome d'arte... ma occorsero altri anni, e pure questo traguardo fu raggiunto...
Una bombetta ottocentesca costituiva il suo copricapo, degli occhiali vistosi e senza lenti, erano la sua maschera, e poi un vestito sgualcito e rattoppato, l'abito. Nacque quella maschera che sarà l'emblema di più generazioni, lo spassatempo di tanti viaggiatori, che in oltre mezzo secolo hanno potuto godere e apprezzare le esibizioni con le sue memorabili filastrocche, cunti, gliommeri e falsetti: erano nato "Eugenio cu 'e lente".
Fu soprannominato anche "Eugenio Cucciariello", per via del nomignolo di gioventù che era stato coniato dai ragazzi giuglianesi, unitamente agli altri fratelli. Tutto nacque dal fratello maggiore che faceva di professione il fotografo. Nel suo negozio esponeva foto con primi piani di teste di persone, e gli scugnizzi, quando si fermavano ad ammirare le vetrine, esclamavano, dicendo "che belle coccie", ovvero che belle teste. "Coccia", in vernacolo antico, si riferisce alla testa, da qui per trasposizione gutturale e semantica, divenne il nomignolo di "Cucciariello".
Dopo alcuni decenni, la sua voce, un tempo squillante, finì per diventare roca, ma egli riuscì abilmente a rimediare al deficit fonico, aiutandosi con un piccolo megafono portatile: apparecchio diremmo avveniristico, considerando l'epoca... Furono questi gli emblemi della sua maschera, fino a quando l'età e soprattutto il fisico glielo permisero, nella sua lunga e avventurosa esistenza.
Nei primi anni '30, iniziò il suo girovagare per i quartieri di Napoli.
La prima biografia di Eugenio ricorda che l'esordio avvenne in una bettola del quartiere di San Giovanniello, ovvero nei dintorni di Piazza Carlo III. Era quello un luogo frequentato da cocchieri, specialmente appartenenti all'impresa funebre "Bellomunno". Roso dalla atavica fame e dal freddo, improvvisò nella mischia di quel chiassosa comitiva, la recita di "Chisti guagliune 'e San Giuvanniello": una composizione in rima lunga e baciata. Fu il suo primo successo. Fu compensato con un discreto quantitativo di denaro, che portò a casa come un trionfatore...! Ci mancava da tre giorni!
Dopo il successo di San Giovanniello, Eugenio, incoraggiato dal iniziale successo, decise di allargare il raggio di azione delle sue esibizioni, che dovevano restare popolari e svolte nei luoghi di frequentazioni all'aperto o sui mezzi di trasporto. Iniziò a girovagare per diversi paesi e città. Era un continuo susseguirsi di esibizioni, dal mattino fino alla sera inoltrata. Usciva di buon mattino da casa, con la sua inseparabile fisarmonica, e senza meta e senza tempo, girovagava, offrendo il frutto delle sue creazioni, spesso improvvisate, fino ai confini dei paesi dell'hinterland della metropoli.
Fu il tram provinciale, che prendeva al capolinea di Giugliano, il primo bacino della sua utenza, per finire per concentrarsi nel largo del capolinea di Piazza Porta Capuana e poi, a seguire, gli altri mezzi di trasporti provinciali, tram, autobus, ferrovie, tra cui, ovviamente, la nostra Ferrovia Piedimonte.
Arrivarono anche richieste per cerimonie familiari, come sponsali, battesimi, serenate di dichiarazione e promesse di matrimonio. Un po' alla volta il suo personaggio cominciò a diventare popolare e conosciuto, sia dal popolo di bassa estrazione, che da quello cosiddetto "alto locato". Fu un personaggio molto noto, tanto che in città erano in tanti a conoscere il suo motto distico: "Sta arrivanne 'o signore cu 'e lente, 'mmece 'e 'na lira, me dà una 'e trenta...!"
Gli anni passavano e la sua professione di mattatore ambulante riusciva a fornirgli quel minimo di sussistenza, sufficiente per portare avanti la sua famiglia e a sbarcare il cosiddetto lunario. Infatti prese moglie nel 1935, e la famiglia iniziò a ingrandirsi velocemente... Nacquero dal matrimonio ben tredici figli, ma solo otto sopravvissero... Non navigò mai nell'oro, anzi...!
Patì duramente le ristrettezze della seconda Guerra Mondiale, quando fu chiamato alle armi, tra le file della Fanteria; dovette suo malgrado abbandonare la numerosa famiglia nelle mani della povera moglie.
Poi la guerra finì, ma restarono le sue distruzioni e la la misera e la fame che ne seguirono, per un gran lasso di tempo...
Riusciva a vivere con il ricavato dei sui spettacoli ed esibizioni, di quel denaro che il pubblico metteva nel suo cappello, a volte anche copiosamente, come per ringraziarlo per il momento di spensieratezza e di divertimento ricevuti. Il suo pubblico di ogni giorno si componeva di lavoratori, di studenti e di casalinghe, che dai vari paesi dell’entroterra napoletano si recavano nella metropoli, per le loro attività o compere, utilizzando le ferrovie, i tram, gli autobus provinciali e cittadini.
Non si riteneva un suonatore ambulante, ma un artista che “asceva p’ ‘a campata”. Non studiò mai solfeggio musicale, ma fu un autentico autodidatta; a chi gli chiedeva come riuscisse a saper suonare la fisarmonica, sorridendo, rispondeva, “io non la suono, la straviso”...
Al capolinea di Napoli delle tramvie provinciali, vicino a Porta Capuana, divenne "'O bollettino dei prezzi", ovvero l'annunciatore dei prezzi che i negozianti della zona praticavano per la vendita dei loro prodotti; un po' come faceva, nei secoli trascorsi, la figura storica del "pazzariello" nei vicoli di Napoli. Ovviamente lo spettacolo prevedeva l'alternanza di storielle e aneddoti, rimati e musicati. 
Ma lo spettacolo più esilarante avveniva sui mezzi di viaggio, quando approfittando di curiosità e personaggi che si scorgevano dai finestrini delle vetture, alla vista dei passeggeri, improvvisava battute e strofette rimate, piccanti ed esilaranti. Le sue composizioni in versi non erano astratte; erano sì improvvisate, ma studiate ai luoghi e alle circostanze, infatti non era mai inopportuno e con una semplice e rapida osservazione, riusciva a selezionare il tipo di esibizione che più si addiceva al momento, per poter cogliere con certezza l'approvazione di gran parte del pubblico.
Sia beneditto stu tramme 'e Giugliano,
quanno 'o signore nun è stritto 'e mano,
ma si nun sente e se mena 'ncampana, 
faccio acqua 'a pippa stasera e dimane,
si, mmece site carnale e alla mano,
ve trovo 'o posto, v'acconcio 'o divano,
e gghiate commete fino 'a Giugliano.
Cacciata 'a pezza, si no nun ce apparammo,
nun ce ne jammo,
se nghiomma stu tram...!
Gli anni trascorrevano e la fisarmonica, come un'amante inseparabile, accompagnava il suo vagabondare, assieme alla bombetta, agli occhiali senza lenti e al piccolo megafono. La sua vita fu tutto un girovagare senza mete e pregiudizi: vita affascinante e ammirevole, fatta di interminabili camminate, di paese in paese... 
Anche se era illetterato, era dotato di un'intelligenza ed un acume fuori dal comune, riusciva a memorizzare nomi di personaggi famosi, nomi di città e di nazioni e saperli utilizzare abilmente in filastrocche e stornelli, che sapevano tanto di satira politica e sociale, raccontando in modo sarcastico, curiosità, costumi, vizi, virtù e abitudini della società del tempo.
Alla stessa stregua dei giullari di un tempo, si divertiva nelle sue improvvisazioni a ridicolizzare termini della lingua colta, intercalando a versi e a termini della lingua italiana, frasi in dialetto popolare... In tal moto faceva satira sulla cultura ufficiale e accademica, ergendosi a paladino del dialetto e dimostrando l'efficacia del mezzo espressivo, ovvero di quanto fosse errato relegare il dialetto a forme secondarie di comunicazione. 
Il contenuto delle sue esibizioni umoristiche, miste a satira sociale, non scevri dell'uso di termini poco ortodossi e anche scurrili, riuscivano però a trasmettere contenuti di filosofia di vita, conditi dell'arma di una pungente ironia, che spesso si concludevano, come una lezione di vita finale.
Nel dopoguerra fece coppia fissa con un altro cantastorie, di nome Giovanni 'o buffo, anch'egli originario di Giugliano, che gli farà da spalla per quasi quindici anni. Nella coppia, Eugenio cantava e suonava storielle, come di solito faceva, mentre Giovanni era il comico che si esibiva in "macchiette napoletane". Ovviamente nella coppia artistica, Eugenio brillava di luce propria...
Conobbe e frequentò l'amicizia di molti grandi artisti, come E.A. Mario (Giovanni Ermete Gaeta), Antonio de Curtis, Nino Taranto, Raffaele Viviani, i fratelli De Filippo, e tanti altri, fino ad arrivare al musicologo e compositore Roberto De Simone.
Fu da alcuni di questi, come Raffaele Viviani, lungamente "corteggiato" e invitato più volte a solcare le tavole del palcoscenico o a recitare in comparse nei loro film cinematografici ma, vuoi la sua vocazione a vagabondare e ad esibirsi all'aperto e vuoi anche alla sorte, non sempre benigna nei confronti del nostro artista, non fu possibile che ciò si avverasse. Fu uno dei pochi artisti che riuscirono a far ridere il grande Totò e per questo fu molto apprezzato e stimato dal comico.
Scriveva il redattore del Mattino, Pietro Treccagnoli, in un articolo sull'edizione del giornale, del 1983, dedicato a Eugenio Pragliola: "...è il poeta dell'oralità e dell'improvvisazione della macchietta, della parola che "ci azzecca", e della botta e risposta". Altro articolo sul Mattino, di Clodomirio Tarsia, così recitava: "(Eugenio) puo' essere considerato l'erede dei cantori-girovaghi della plebe di cui ci hanno tramandato notizie frammentarie e nebulose il Del Tufo, il Basile, lo Sgruttendio e altri poeti del '500".
Gli storici Rossi e D'Errico così definirono il nostro menestrello giuglianese: "...l'ultimo epigono degli improvvisatori vagabondi di quella Campania che conobbe i fliaci e gli autokabdali greci, gli improvvisatori dei fescennini e le maschere dell'Atellana, e poi i comici dell'arte; di quella campana Napoli che ha visto generazione di umile gente improvvisante dinanzi a una sporta di pesce, sopra una fetta di melone, dietro un piatto di cozze."
Eugenio Pragliola, oltre a macchiettista, giullare e posteggiatore, è stato anche poeta e compositore di canzoni. 
Non provvide mai a registrare le sue composizioni, che sono state interpretate e diffuse negli anni da vari interpreti, spesso mancando di citare il loro autore.
Fu sempre amato e stimato dai suoi concittadini, e quest'affetto di simpatia fu ampiamente dimostrato dal popolo di Giugliano, quando con una colletta pubblica, i giuglianesi riuscirono a restituirgli la cara fisarmonica, miserevolmente rubata da alcuni nomadi nel circondario di Giugliano.
A lui sono attribuiti i versi di Trapanarella e quelli della parte finale della celebre Tammurriata nera, opere che furono i "cavalli di battaglia" della Nuova Compagnia di Canto popolare. Come pure, a lui sono attribuiti i versi della bella fiaba in musica: 'A nuvella.
Per quanto riguarda il rapporto di "Eugenio cu 'e lente", con il quartiere di Piscinola e con gli altri centri del circondario a Nord di Napoli, sappiamo che egli, oltre a esibirsi durante sponsali e cerimonie familiari, fu chiamato ripetutamente dal comitato dei festeggiamenti del SS. Salvatore a condurre la vendita all'asta ('a venneta), che si svolgeva il lunedì della festa, prima dell'esibizione dei fuochi pirotecnici. Egli alternava l'annuncio di lotti di prodotti offerti all'asta, con i suoi cunti e filastrocche. 
Ricordo una declamazione che mi è stata raccontata pochi mesi fa: in una vendita all'asta della festa, annunciò l'arrivo di una "zuppiera di gnocchi al ragù", offerti al comitato da mia nonna materna, Maria; così egli declamò: "Tengo stu ruoto 'e gnocche, che vene da 'o furno d''a masseria 'e Vascio Miano, 'nce 'o manna Mariuccia 'a Rossa, 'a mugliera 'e Salvatore 'e Marotta...." ! Ovviamente fu venduto ad un prezzo alto...
Nelle sue esibizioni, Cucciariello usava poi cantare qualche canzone allegra, dopo di che, immancabile, arrivava il "momento cruciale" della richiesta:
"Signure e signurine, ledi e milòrde,
aggiate pacienza, cacciate ‘nu sòrde,
pe chi nun tene na lira ‘e spiccio:
c'hanna ascì ‘e bbolle ‘ncopp''o sasiccio!"

Eugenio Pragliola morì poverissimo, nella sua modesta abitazione di Giugliano, accudito dall'affetto dei suoi familiari ed amici, nel giugno dell'anno 1989.

Consegniamo oggi alla storia della Piedimonte e del quartiere di Piscinola, nonché dell'intero territorio dell'Area Nord di Napoli, la maschera e il poeta, che ha allietato con le sue esilaranti esibizioni tante generazioni passate, perché i giovani, che non l'hanno conosciuto, possano coltivarne la memoria, sperando nella nascita futura di altri artisti, degni continuatori di quella nobile e antichissima arte popolare: del "Mattatore di strada".
Salvatore Fioretto


La biografia e le opere di Eugenio Pragliola sono state tratte dal bel libro di Domenico Maisto: "Eugenio Cuccianiello, vita e versi di un vagabondo", Giugliano ed. 1989, a cui si rimanda l'approfondimento e la lettura, al lettore interessato. 

I contenuti di opere e di foto, che sono stati liberamente utilizzati per la composizione di questo post, concorrono alla libera diffusione della cultura, senza altri fini e scopi di lucro.

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Ecco alcune composizioni di poesie o di cunti scritti da Eugenio Pragliola, o meglio "Eugenio cu 'e lente":

L’entrata
Signurì buongiorno eccellenze
con insistenza
all’apparire della mia presenza
dopo una lunga assenza
addò nisciuno me penza
faccio appello alla vostra indulgenza
E dimostratemi ‘nu poco ‘e benevolenza.
Ma speriamo a San Crescenzo,
a San Vincenzo
e a San Leonardo
io dimane faccio ‘a partenza:
vaco a Milano e a Firenze,
a Cosenza e a Faenza.
Vaco add’’o generale a chiedere ‘a cunvalescenza
Che me leva a dint’’e penitenze,
d’’e riebbete e d’’e malepatenze,
siete pregati ‘e fa ‘nu poco ‘e silenzio
pecchè parla l’onorevole Pall’’e Renza!

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‘O Brindisi
Questo si chiama vino vinisti:
è meglio a venì add’’o canteniere che add’’o farmacista.
Ringraziammo primmo a Gesù Cristo
‘e chesta bella comitiva c’aggio visto,
po’ ringraziammo ‘e maste, ‘e pezziente, ‘e artiste
a fore d’’e prievete, ‘e miedeche, ll’avvocate
‘e schiattamuorte, ‘e farmaciste.

Vino vinosse:
‘a carne ‘e piecore è tutt’ossa,
iette a Fratta ‘a festa ‘e Sante Sossio,
e pe’ fa’ na mossa
a ‘na femmena rossa
me venette ‘na scossa
peggio ‘e ‘na mossa,
me truvaie cu’’e mmane ‘ncoppa ‘a fossa.

Con permessso
I’ nun v’’o dicesse
E quaccheduno ‘e vuie me rispunnesse
Ca ‘i nun vence ‘a scummessa.
Addimanno a vuie: - Si ‘i nun m’’o bevesse
‘i che figura facesse?
Rispunniteme vuie stesse!
“’A figura d’’o fesso!”
“E vuiue site ‘o stesso!”

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Chesta è ‘a vita
Chesta è ‘a vita
chi chiagne e chi ride,
oggi è cchiù difficile ‘a campare
ed è cchiù facile ‘a morire,
perciò mangiammo e bevimmo
e a chill’atu munno che cacchio n’avimmo?
Tanta superbia ca tenimmo
ma sapite nuie chi simmo?
Simme nate cu’ ‘nu poche ‘e suzzimma,
perciò quanno murimmo
roppe ‘e ventiquatt’ore già fetimmo.

Sei possidente
Sei benestante
E possiedi miliardi e milioni
t’’e schiaffe ‘nfaccia ‘e pantaloni:
pure se si’ marchese, re o barone,
Dante Alighieri o Guglielmo Marconi
quanno vene ‘a nas’’e cane nun tene ragione,
e ce se po’ piglia’ ‘na soddisfazione
ienno a Bellumunno e a Furgione.

Ma roppe pure cu’ ‘e diece cavalli
e ‘a cascia ‘e noce
‘e rrote ‘e attone,
trenta muonece e quaranta ghirlande,
ricche e pezziente
avimma i’ tutti ‘o campusanto,
lo disse il grande attore Totò,
soldato e caporale,
colonnello e generale:
là, simmo tutt’uguale.

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Saluto Finale
Stateve buone è fernuto ‘ò pruciesso
nun ve scurdate d’’a vecchia prumessa
e ‘e sorde vuoste menateme appriesso;
si nun m’’e ddate io perdo ‘a scummessa
e a’ casa miglierema m’acchiappa e me sfessa.
 
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‘A pimmicia 
L’ata matina, m’aizo d’’o lietto,
Vaco vedenno: ‘na pimmicia mpietto…!
A me stu fatto me pare strane,
Chella è cchiù grossa ‘e ‘na zecca ‘e ‘nu cane…

‘Nce metto ‘o “bob”, a naftalina,
l’insetticida, cu ‘a creolina,
‘nu poco ‘e povere ‘e pennicilline,
Vaco vedenno…, sta aret’’e rine…!

‘A iere matine, sta piezz’ ‘e fetente,
s’era ‘nfizzata dint’’a stecche d’’e lente,
l’aggio pigliata cu delicatezza
l’aggio vuttata dint’’a munnezza!!

Mo, finalmente, che pace beata,
che soddisfazione che m’aggio pigliata,…
mo, quase quase, sto’ ancora in mutande,
e vaco a stappà ‘na butteglia ‘e spumante…!

Guardo ‘o rilorgio, so’ ancora le sette,
me ne torno di nuovo a letto;
ma non appena me so’ cuccato:
”…. è a stessa pimmicia, o chesta ne è nata…!?”

Mo piglio ‘na mazza, mo piglio ‘o martiello,
neh, quanno torno sta ncopp’’o cappiello!
‘nce tiro ‘na mazza, na martellate,
ma sulo ‘o cappiello m’aggia nguaiate…!

M’appiccio ‘a luce, m’arape ‘o balcone,
po’ pe’ ntramente me ’nfilo ‘o cazone,
ma non appena me piglio ‘a giacchetta,
neh, chella me sponte ‘a dint’’a vrachetta...!

Ih! comme corre sta piezz’‘e fetente,
”Ma dimme nu poco, tenisse ‘a patente!?”
Ih! comme corre pe’ mmiez’‘e scale,
“’A Pimmicia, parola mia, te mann’’o spidale…!”

Po’, finalmente, l’aggio acchiappiate,
‘a copp’’a fenesta l’aggio vuttate…!
Si, ora è questione d’onore,
“Neh, ‘a Pimmicia, issa piglià ‘a ascensore…!?”

Che solitudine, chesta matine,
senza ‘na pimmicia arete ‘e rine,
quasi quasi, mi alzo dal letto,
e ce ne cerco una, ‘o signore ‘e rimpetto…!!

'a Pimmice 

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E queste i canti attribuiti a Eugenio Pragliola: 

 'A Nuvella
 https://www.youtube.com/watch?v=XnubAO69RYA



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Trapanarella
Trapanarella cu 'o trapanaturo
e trápana 'a mamma e 'a figlia pure...
e, trapanianno, 'mmiez'a sti guaje,
canto 'a canzona d''a cuccuvaja...

Na signurina cammina p''a strata,
nu giuvinotto lle fa na guardata...
e chella che sùbbeto è femmena onesta,
aret''o purtone, s'aíza 'a vesta!

San Genná', pènzace tu,
ca tanto d''e ccorne 'un se campa cchiù!

Nu prèvete, 'ncopp'a ll'altare maggiore,
mme pare nu santo prerecatore,
ma quanno va dint''a sacrestia,
vò' mille lire p''Avummaria...

San Genná', tu vide a chiste?
'mbrogliano pure a Giesù Cristo!

E nuce, nucelle e castagne 'nfurnate...
quanta paíse aggiu curriate...
'A Torre d''o Grieco e 'Annunziata
e quanta guaje ch'aggio truvato...
e quanta defiette ch'aggiu 'ncantate!...

'E culamappate só 'e Veneziane,
'e magnapulenta sóngo 'e Milano,
'e meglie cantante stanno a Giugliano,
e 'e tirapistole stanno a Casale...

'E ffacce toste sóngo italiane,
'e cchiù mafiuse só' siciliane,
'e po' 'e sbruffune óongo 'e Rumane,
'e ffemmene belle só' napulitane,
e 'e mmazze 'e scopa só' americane....

'E 'mbrogliamestiere só' ll'ingegnere,
'e 'mbrogliamalate só' ll'avvucate,
'e priévete fanno 'e zucalanterne
e 'e cchiù mariuole stann'ô guverno!

San Genná', dice ca sí...
chi 'o ssape comme va a ferní!

Na signurina, a via dei Mille,
s'ha misa 'a parrucca 'a copp'ê capille...
Quanno va â casa se magna 'e ppurpette
e chi tene famma guarda 'e rimpetto...

Nu giuvinotto, cu 'e sòrde d''o pato,
s'accatta 'o cazone 'mpusumato...
po' va dint''a machina, allero allero,
e vò' mená sotto a chi va a père...

'E ccunuscite a sti milorde,
chille stanno 'nguajate 'e sorde...
'e pate só' tanta scurnacchiate...
e campano 'ncopp''a famme 'e ll'ate....

San Genná', pènzace tu,
ca tanto d''e 'mbruoglie 'un se campa cchiù!


............

Mme ne vaco pe' sott''o muro,
e sento 'addore d''e maccarune...

Mme ne vaco pe' Qualiano,
e sento 'addore d''e ppatane...

Mme ne vaco p''o Granatiéllo,
e sento 'addore d''e friariélle...

Ma si vaco add''o putecaro,
tutte cosa va cchiù caro...

Ma vedite quando maje
'sta miseria va aumentanno...

e aumenta ogge,
aumenta dimane,
e doppodimane...
sabato sí
e dummeneca no...

Chi fatica se more 'e famma
na vota ca sí

e na vota ca no...

..............................O...........................

Tammuriata Nera
(strofe finali)
......
'E signurine 'e Caprichine
Fanno ammore cu 'e marrucchine,
'e marrucchine se vottano 'e lanze,
E 'e signurine cu 'e panze annanze.
American espresso,
Damme 'o dollaro ca vaco 'e pressa
Sinò vene 'a pulisse,
Mette 'e mmane addò vò isse.
Aieressera a piazza Dante
'o stommaco mio era vacante,
Si nun era po’ contrabbando,
Ì' mò già stevo 'o campusanto.
E levate 'a pistuldà
Uè e levate 'a pistuldà,
E pisti pakin mama
E levate 'a pistuldà.
'E signurine napulitane
Fanno 'e figlie cu 'e 'mericane,
Nce vedimme ogge o dimane
Mmiezo Porta Capuana.
Sigarette papà
Caramelle mammà,
Biscuit bambino
Dduie dollare 'e signurine.
E Ciurcillo 'o viecchio pazzo
S’è arrubbato 'e matarazze
E ll'America pe' dispietto
Ce ha sceppato 'e pile 'a pietto.
Aieressera magnai pellecchie
'e capille 'ncopp’’e recchie
E capille e capille
E 'o decotto 'e camumilla...
'O decotto,'o decotto
E 'a fresella cu 'a carna cotta,
'a fresella 'a fresella
E zì moneco ten’’a zella...
 

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"Signuri, buongiorno Eccellenza
che dopo una lunga assenza,
all’apparire della mia presenza, 
con insistenza, 
faccio appello alla vostra indulgenza,
che mi dimostrarono tante di quelle benevolenze, in conseguenza ne sono a conoscenza,
che nisciuno e’ vuie me penza.
Ma speriamo a San Crescenzo,
a sant’Enzo e a San Vincenzo, 
aspetto o’ trammo per Firenze,
aggia ì a Piacenza, a Cosenza e a Faenza
a truvà a sorema Vicenza 
e fratamo Crescenzo…".