venerdì 29 maggio 2020

Quel "mercato del lunedì", tanto atteso e mai arrivato... nel Comune di Piscinola!



Certe volte la storia di una comunità prende una strada che imprevedibilmente porta verso delle méte che non sono quelle attese nel momento iniziale... Basta un elemento non valutato, un anello che non si chiude, ed ecco che ci si ritrova ad affrontare scenari inattesi... Spesso, purtroppo, le ripercussioni di certe scelte, fatte a volte a cuor leggero, si ripercuotono per decenni e anche per secoli...
Questa è la storia di un atto amministrativo, che sanciva la richiesta per un mercato comunale da realizzarsi nel territorio del Comune di Piscinola, da tenersi nel giorno del lunedì, in simbiosi con altri due mercati, nei giorni del mercoledì e del venerdì, rispettivamente nei comuni di Mugnano e di Melito. 
Ricordiamo che Piscinola, al momento dell'Unità di Italia, era un Comune autonomo, con un sindaco e un consiglio comunale eletti. Il Comune di Piscinola era quindi aggregato al Mandamento di Mugnano, a cui facevano parte, oltre allo stesso Comune di Mugnano, anche i comuni di Calvizzano e di Melito. Il Mandamento di Mugnano dipendeva, poi, dal Distretto di Casoria. E' questa la struttura della Provincia di Napoli, ossia della suddivisione amministrativa realizzata dai francesi a inizio '800, durante il periodo del "Decennio Francese" e che è sopravvissuta quasi intatta fino a qualche anno fa: parliamo della Provincia di Napoli. Il Distretto di Casoria costituiva uno dei quattro "Distretti" che componevano la Provincia di Napoli; gli altri tre erano: Napoli, che inglobava tutti i quartieri cittadini, poi il Distretto di Pozzuoli e, infine, il Distretto di Castellammare. Dei quattro Comuni che costituivano il Mandamento di Mugnano, tre sono rimasti Comuni autonomi (Mugnano, Calvizzano e Melito), mentre Piscinola è stato annesso nel Comune di Napoli.


Piscinola vista dall'alto, foto di Ciro Pernice
La richiesta presentata dai Comuni di Piscinola, di Mugnano e di Melito, attraverso la relazione del consigliere Rossi, fece scaturire, come si leggerà, una lunghissima discussione politica e addirittura accese un serio caso di interpretazione delle leggi...! In pratica, nella fattispecie, si metteva in discussione il ruolo centrale avuto dalla Pronvincia, che appariva in tal modo, a detta di qualche consigliere, abbastanza secondario, in rapporto alle decisioni riguardanti la costruzione di mercati e di fiere nel territorio amministrato, che spettava al governo centrale, quasi delegando la Provincia a mero organo consultivo e non deliberativo. 
Purtroppo, come ci risulta ad oggi, quel mercato nel Comune di Piscinola non fu realizzato. La presenza di un mercato comunale avrebbe sicuramente svolto un ruolo trainante per l'economia del territorio, spingendo la formazione di una classe imprenditoriale che a Piscinola è stata sempre assente... Avrebbe sicuramente rafforzata l'autonomia amministrativa, con l'apporto di risorse che avrebbero aiutato a bilanciare le poco floride casse comunali. Il mercato avrebbe quindi garantito la sopravvivenza del Comune di Piscinola.
Probabilmente il processo di annessione del territorio del Comune di Piscinola nel Comune di Napoli, che sarà avviato proprio in quella seduta dell'amministrazione provinciale, segnerà l'arenarsi di questa opera di progresso commerciale ed economico, all'epoca tanto attesa dai cittadini per lo sviluppo del loro territorio. 
Ma questa è un'altra storia, a cui dedicheremo un post approfondito. 
Non sappiamo, inoltre, quale genere di mercato si intendeva richiedere, se promiscuo, di generi alimentari e prodotti per la casa, oppure ittico, come poi fu realizzato a Mugnano, oppure di generi agricoli, come fu realizzato nelle vicine Chiaiano, Marano e Giugliano. Non sappiamo nemmeno il luogo scelto per la sua realizzazione, se stanziale con proprie infrastrutture, oppure provvisionale, in alcune strade e con ambulanti.
Salvatore Fioretto

Ecco il testo che descrive i fatti:

Dagli Atti del Consiglio Provinciale di Napoli

Nella sessione ordinaria del 1861 (Napoli, dalla Stamperia dell’Iride, strada Magnocavallo, 29 -1862) 
Consiglio Provinciale di Napoli
Quarta tornata - Anno milleottocentosessantuno, il giorno dieci settembre in Napoli.
(Da pag. 73 a pag. 82).
[...] Continuando il Segretario, ha riferito che il medesimo sig. Rossi aveva presentate tre proposte accompagnate da tre deliberazioni rendute nei Comuni di Piscinola, Mugnano e Melito per tenersi un mercato rispettivamente nel lunedì, mercoledì e venerdì.
Il Governatore contro tali proposte ha invocato il fine di non ricevere, essendo i mercati riunioni pregiudiziali, o proficue a più centri abitati. Che essi costituiscono tal fatto di esercizio di pubblica amministrazione da dover soggiacere, e per la iniziativa e per lo svolgimento, all’azione Governamentale. Che, occorrendo un processo d’indagini, numerose disposizioni regolamentarie vennero successivamente rendute e vigevano. Che però concessa pure la ipotesi della potestà al Consiglio di versare sopra simili faccende pubbliche, non potevasi sull’affare rendere niuna deliberazione essendo immaturo.
Il Consigliere Cicarelli sorge a dire che la facoltà al Consiglio di conoscere il fatto dei mercati è concessa dal n. 6 dell’art. 168; che la legge concede al Consiglio, e non vuole che le venisse dall’autorità governativa.
Il sig. Imbriani osserva che non può rivocarsi in alcun dubbio che il Consiglio nel simile fatto del mercato non possa che esser richiesto dal Governo, mentre interessando la statuizione di una fiera le convenienze economiche di molti Comuni, vengono colle manifestazioni dirette al Governo dagl’interessi messi in rilievo pugnanti ed opposti interessi. Che tale lotta fornisce una materia essenzialmente economica, e dà occasione di promuovere sottili ricerche che poi rendono necessaria al Governo la condizione di consultare un corpo addetto ed istituito propriamente per ciò.
Che i fatti di fiera non essendo faccende da deliberarsi con la dimanda di farne una non è materia da deliberare. Il processo sopra la dimanda espletato, e che solo il Governo, a tenore degli stabilimenti esistenti, è organo appropriato a poterlo ammanire e ritenere, costituisce la pruova del privilegio d’iniziativa a favore del solo Governo. In altri termini, il quesito di una fiera naturalmente ricade nell’iniziativa unica del Governo, appunto perché mediante le sue pratiche, la dimanda si è convertita in fatto possibile da essere discusso, dopo istruito.
Il sig. Cicarelli riprende a dire che non sia il Consiglio un istituto accademico.
Esso può istruire ed avvisare, rimanendo al Governo accogliere o respingere il parere sull’obietto.
Il Consigliere Avellino reputa la quistione gravissima. Esso ne determina la importanza con due mezzi. Se la facoltà consultiva attribuita al Consiglio con l’articolo 168, fosse a libertà della iniziativa di ciascun Consigliere, sarebbe agevole di temere che non si avesse a rifare la carta topografica del Reame in corti periodi.
In seconda vista dichiara che la sobrietà del Consiglio di pronunziare sopra fatti che non può volere, ne sostengono la gravità. Il consigliere Goyzueta ha preso a dire: che gli onorevoli Vice-Presidente, e Consigliere Avellino avevano dottamente nel merito svolte le ragioni per le quali alla Autorità governativa competeva la facoltà di chiedere al Consiglio parere, trattandosi, che un Comune domandi voler stabilire nel suo territorio una fiera o mercato, attingendo dette argomentazioni alle fonti del dritto, di cui sono profondi conoscitori; che dopo le osservazioni dei prelodati Consiglieri, egli chiedea la venia al Consiglio per appoggiare le teoriche svolte con l’autorità di due circolari al Ministri di Agricoltura e Commercio dei 6 novembre 1849, e 1° novembre 1850, e decreto dei 20 febbraio 1832 coi quali si prescrive quanto segue: “Le dimande relative allo stabilimento o cambiamento di fiere o mercati debbono essere deliberate dai Consigli Comunali. L’Intendente del Circondario ordina la pubblicazione di tali dimande nei Comuni circonvicini nel raggio di 16 chilometri per lo meno. Il suo decreto designa particolarmente i comuni in cui deve seguire la pubblicazione, fissando quindici giorni di tempo utili per i richiami. Il Segretario d’Intendenza attesterà, mediante certificato, se siano o no insorte opposizioni nei Comuni, ed in caso affermativo unità alle domande ed ai documenti relativi i ricorsi in opposizione. Il Consiglio provinciale prenderà ad esame le deliberazioni dei Comuni, e darà il suo avviso sul merito delle osservazioni degli opponenti. Così regolarizzata la pratica, verrà trasmessa al Ministero delle Finanze il quale provvederà in modo definitivo”.
L’oratore intendeva appieno che quei regolamenti in suo nelle Provincie settentrionali non erano stati finora promulgati nelle meridionali: ma trattandosi di dover commentare una legge a noi venuta dall’Italia superiore è savio metodo ricorrere alle disposizioni date dal Governo, il quale è nel dritto d’interpretare le leggi. Che dall’esposizione di siffatte circolari e decreti sorgeva chiara la idea che il Consiglio fosse chiamato ad emettere il suo parere sull’obietto tosto che veniva dall’Autorità governativa richiesto. Che se altrimenti dovesse procedere, dandosi facoltà al Comune d’interpellare per mezzo di un Consigliere il Consiglio, ne avverrebbe, che questi sarà obbligati a dar fuori un avviso, che forse il Governo metterà in non cale una alla proposta medesima.
Diversi consiglieri fanno rilevare le date degli atti letti e citati all’adunanza dal sig. Goyzueta – cioè 1848 e 1852.
Il sig. Imbriani riprende a dire, che tre facoltà possiede il Consiglio. La deliberativa sulle materie indicate negli otto numeri dell’art. 165. Che in queste materie però soggiace a due limitazioni. Quelle espresse dagli articoli 181 w 182, cioè un bilancio vincolato oltre un quinquennio, ed i nuovi stabilimenti provinciali. La seconda è quella di dar parere. Che questa facoltà non possa esercitarsi che sulla richiesta del Governo. Che ciò sia chiaro perché, se partisse la iniziativa da ciascun Consigliere essa non potrebbe tradursi in un parere. Il Consigliere ed il Consiglio si unificano; e perché il parere, come lo dice la parola, si dà ad altri che lo richiede, così il Consiglio, per poter dirsi di aver dato un parere, bisogna che siaglisi richiesto da altri fuori di sé, ossia fuori dei suoi componenti. La terza facoltà del Consiglio è poi quella di dar voto giusta l’ultimo comma dell’art. 168. Può quindi il Consiglio inoltrare al Governo qualche suo pensamento, ed i suoi bisogni. In tali assunti può da sé iniziare un pensiero. Può il Consiglio manifestare qualsiasi suo bisogno ed aspirazione. Può far voto. 
E’ insufficiente il chiarire, egli dice, poche idee per stabilire la posizione della quistione presente e scernere le ragioni del decidere. Si tratta del voto di un Consiglio comunale perché si stabilisca una fiera od un mercato, ed un Consigliere provinciale ci propone di dare il nostro parere prima che la dimanda passi all’Autorità governativa, la quale solo ha il dritto di statuire una fiera o un mercato. Non cade dubbio alcuno che il Consiglio debba dare il suo parere nel caso di fiera o mercato da stabilirsi, poiché questo dritto gli viene dall’art. 168, comma 6, Legge provinciale. Ma si quistiona se il parere debba essere preventivo o succecutivo alla domanda da farsi al Governo. Io credo che non possa essere che sussecutivo, e non preventivo, invocando i principi della materia, le disposizioni di legge, le ragioni di espedienza.
La domanda per una fiera non potendo essere fatta che al Governo il quale deve decidere su di essa, è chiaro che prima della sua presentazione la procedura amministrativa non è ancor cominciata. La domanda presentata al Governo è dunque il primo atto di procedimento, e sopra di esse in linea di espediente pubblico il Governo istruisce, domanda parere, e poi decide. Questa istruzione è conseguenziale alla presentazione, ed è fatta dal Governo. E come prima della nuova legge il Governo dimandava, innanzi di decidere, il parere della Consulta, e poi del Consiglio superiore amministrativo, e talvolta anche della Camera consultiva di Commercio, e per fino delle Società economiche; così al presente sono i Consigli provinciali incaricati di dare parere, e si è imposto l’obbligo al Governo di dimandarlo. A questo modo la legge ha inteso che quest’ultimo interroghi i rappresentanti della Provincia intera in cui si vuole istituire la fiera o mercato, per dare un parere adeguato e ponderato, poiché i Consiglieri eletti dal popolo debbono conoscere i bisogni economici e materiali della Provincia, e provvedere al loro migliore soddisfacimento. Ma questa interrogazione non può essere fatta se non quando al Governo è presentata la dimanda per mercato o fiera, poiché allora solamente l’istruzione comincia, e sino al suo termine continua presso l’Autorità governativa.
L’invio per parere al Consiglio non è (giova ripeterlo) per uno degli atti d’istruzione. Oltre queste ragioni sostanziali che sono fondate sulla costituzione dei poteri pubblici nella loro legittima esplicazione, ve ne sono altre di mera espedienza che non possono andar neglette. Quando l’istruzione è avanzata, quando sono stati raccolti dal Governo ad istanza del Comune richiedente tutti gli elementi di fatto, tutti gli schiarimenti economici intorno alla opportunità della fiera o mercato richiesti – quando in fine si sono esaminati gl’interessi degli altri comuni vicini e questi sono stati sentiti ove abbia fatto mestieri, - allora il processo così compiuto si manda al Consiglio per parere, e quindi questo Consesso può maturamente darlo sopra i dati raccolti nella pratica e trasmessi.
Per siffatte ragioni il sig. Imbriani conchiude che allo stato non vi sia luogo a parere del Consiglio sulla proposta in esame.
Il Consigliere Tito Cacace prende a dire – Che la dimanda fatta dal Consigliere Rossi, fa sorgere l’esame di una quistione assai grave che consiste nel definire le facoltà ed i poteri del Consiglio provinciale.
La legge concede al Consiglio due poteri diversi. In taluni casi il Consiglio delibera, ossia decide in modo assoluti ed irrevocabile sopra alcuni determinati oggetti; in altri casi non delibera, non decide, ma si limita unicamente a dare un parere, una opinione, un avviso, il quale può non essere seguito dall’Autorità governativa.
Questi due poteri del Consiglio sono determinati da due diversi articoli di legge. Nell’art. 165 sono indicati gli oggetto sui quali il Consiglio delibera. Nell’art. 168 sono designanti quelli su cui dà parere. Ora la quistione sta in ciò. Nei casi in cui il Consiglio è chiamato a dar parere può darlo sopra una proposta qualunque, che venga fatta da alcuno di coloro cui la legge la permette, ovvero è limitati l’esercizio di questo dritto al solo caso in cui il suo parere sia chiesto dal Governatore?
Non si può ammettere questa seconda opinione senza portare una restrizione all’esercizio de’ dritti del Consiglio, la quale non risulta né dalla lettera, né dallo spirito della legge. Infatti la legge concede la iniziativa delle proposte da sottoporre al Consiglio in prima luogo all’Autorità governativa, indi al Presidente, infine a ciascun Consigliere. Or la proposta può riguardare o un oggetto sul quale il Consiglio delibera, ovvero un oggetto sul quale il Consiglio non è chiamato che a dare un parere, ossia semplice avviso. Limitare adunque il dritto del Consiglio a dare unicamente il suo parere quando il Governatore lo domandi, importa in altri termini restringere il dritto ampio della proposta, che la legge concede ad ogni Consigliere, limitandolo unicamente a quei casi in cui il Consiglio è chiamato a fare una deliberazione, ed escludendolo, in quelli in cui è invitato solamente ad avvisare. In altri termini, converrebbe ammettere il principio che l’art. 168 abbia derogato all’art. 203.
Né questa limitazione può ricavarsi dall’ultimo comma dell’art. 168, il quale anzi conforta sempre più il principio che sostengo. Perciocché mentre la legge enumera gli oggetti sui quali il Consiglio è chiamato a dare un parere, soggiunge poi – e generalmente sugli oggetti sui quali il suo voto…. Va domandato dal Governatore, con che è espresso chiaramente il concetto che la proposta di tutti gli altri oggetti indicati nei diversi numeri di quell’articolo va conceduta a chiunque. E se si concede il dritto alla proposta che viene dall’art. 203, deve di necessità non solo concedersi il dritto, ma imporre al Consiglio il dovere di rispondere sia deliberando, sia semplicemente avvisando. E sarebbe incivile interpretare la legge in modo che apportasse una restrizione all’esercizio di quel fritto, che essa ha inteso di concedere in un modo così assoluto e senza alcuna maniera di restrizione.
Diversi Consiglieri domandarono la parola tuttavia dopo i sei oratori menzionati.
Il Vice-Presidente mette a voti la chiusura, la quale rimase esclusa con 29 voti contro 5.
Il Consigliere Scotti Galletta imprende a sostenere: che la quistione dovea verificarsi sulla vera intelligenza dell’art. 168 della legge del 23 ottobre 1859 – Questo articolo autorizza il Consiglio provinciale a dar parere sopra determinate materie, che in esso sono distinte e indicate.
Ora il Consiglio provinciale, se quando trattasi deliberare, come è sanzionato negli articoli 165 e 166 dell’enunciata legge, è un Collegio attivo, poiché di propria autorità discute e delibera, non è che passivo quando trattasi da dar pareri. Imperocché non si danno pareri di propria volontà, ma bisogna che ne venga fatta la richiesta nei modi conformi alla legge ed alla ragione.
Ma da chi potrà chiedersi un parere al Consiglio? Non certamente da ciascuno del popolo. Ciò sarebbe lo stesso che attribuire un dritto che non danno le leggi. Dall’altra banda non possono chiedersi siffatti pareri da un Consigliere dello stesso Consiglio. Imperocché. Se il Consiglio intero è passivo quando trattasi di dar parere, non potrebbe attribuirsi uno dei suoi membri il dritto di chiedere dal Consiglio stesso. In tal caso si avvererebbe l’inconcepibile assurdo che il Consiglio è passivo e attivo nel tempo stesso. Passivo nel Collegio intero, attivo in ciascuno dei suoi componenti.
Il Consiglio provinciale è un Collegio supremo della Provincia. Dunque non può essere obbligato a dar pareri, né da ciascun popolo, né da alcuna autorità ad esso inferiore. Che vi rimane adunque se non che il Governo? Quindi questo solo può chiedergli pareri, e richiesti a norma del menzionato articolo 168, il Consiglio deve darli sottoponendoli alla decisione del Governo stesso. Allo infuori di questo caso non deve, ne può dare parere alcuno. Il Consigliere Bardi dice che la essenza del positivismo del Consiglio sarebbe sciupata ove si accogliessero dei chiaroscuri per differenziare la seconda delle due potestà sole a cui il Consiglio è assunto, o a rendere deliberazione, o a dare parere. E riflette che la esternazione materiale del pensiero legislativo, che dava il duplice contorno al profilo del Consiglio, quella esternazione n’era la prova. Chiama esternazione come è scritta la compilazione degli articoli. In forma tagliente ed incisa, e con mezzo verso staccato ed isolato, l’articolo 165 dice: il Consiglio delibera. Primo profilo. E parimenti l’articolo 168 ancor più monosillabi, non ripete il Consiglio, e scrive Dà parere. Secondo profilo.
Or se avesse concepito il terzo profilo, perché non avrebbe il Legislatore continuato lo stesso modo di lineare il disegno?
In altri termini, se la voce voto fosse stato un terzo profilo, l’ultimo comma dell’art. 168 sarebbe compilato così: Lo compila colle stesse parole della legge.
“Art. tot. Dà voto; due punti e da capo con due numeri (1) generalmente sugli oggetti riguardo ai quali il suo voto sia richiesto dalla legge (2) o domandato dal Governo.
Se dunque parere e voto sono le parole di un medesimo art. esse sono due vari suoni, una doppia parola, ma dello stesso ed unico intendimento.
Oltre a tal modo di ragionamento evvi un’altra via.
La seconda delle due facoltà, quella di dar parere trovasi conferita al Consiglio a vantaggio di tre richiedenti: 1.° L’universale. 2.° la legge. 3.° Il Governo.
Contro l’universale sta la eccezione. E perché tre forze sociali addita la legge le annovera secondo la loro serie successiva. 
- Il popolo fa 2) La legge, e l’affida 3) al Governo. Quindi l’articolo menzionando i richiedenti il parere comincia dall’universale, dal popolo, ossia dai suoi mandatari, i Consiglieri.
I Consiglieri possono domandare al Consiglio l’esercizio della sua facoltà di dare parere al Governo sopra un dato obbietto.
Ma questa facoltà dovea limitarsi a quei fatti locali di cui male a proposito si adirebbe il Parlamento, quindi si additano sei fatti di economia locale e provinciale.
Per inversa proseguendo la enumerazione dei capaci a richiedere la facoltà consultiva, si denomina la legge entro i casi previsti e poi il Governo, ma senza alcuna restrizione, perché sarebbe sicuramente il meno che ne vorrebbe abusare.
L’oratore ha poi voluto segnalare all’adunanza che la facoltà deliberativa non era mica limitata dagli articoli 181 e 182 come un oratore aveva dimostrato. La facoltà deliberativa è illimitata sulle materie sottoposte al Consiglio. Che i detti articoli 181 e 182 erano una proroga del mandato che il Principe concedeva ai deliberanti, stando invece degli elettori come supremo collettivo e per patto sociale. Che la facoltà dei Consiglieri di amministrare la Provincia, trovandosi loro conferita per un quinquennio, con atto amministrativo di protrazione di potere doveva legittima col riattingere le facoltà di poter volere.
Dopo l’oratore, il Consigliere Jorio ha dato ulteriori sviluppi alle cose innanzi dette ragionando come segue: A riguardare la quistione da un lato più positivo è mestieri ricordare le parole dell’articolo 203 il paragrafo 6 ed il comma ultimo dell’articolo 168.
L’art. 203 dice “L’iniziativa delle proposte da sottoporsi ai Consigli, spetta indistintamente all’Autorità governativa, ai Presidenti, ed ai Consiglieri.” Dunque han diritto tutti i Consiglieri a prendere la iniziativa di una proposta.
Or cosa importa prendere la iniziativa di una proposta? Non altro che provocare un voto, un parere ed anche una deliberazione, nei limiti delle proprie attribuzioni.Il comma ultimo dell’art. 168, che enumera i casi nei quali è chiamato il Consiglio a dar parere dice “E generalmente sugli oggetti riguardo ai quali il suo voto sia richiesto dalla Legge o dimandato dal Governatore.” Ora in questo articolo la parola voto è presa nel senso lato; quindi comprende anche il parere, sebbene a stretto rigore siavi differenza tra voto e parere.
Che la proposta di cui si discute rientri nei casi nei quali è richiesto il parere è indubitato, bastando leggere il paragrafo 6 dell’art. 168.
Se dunque la iniziativa delle proposte è data a qualsiasi  Consigliere; se con ogni proposta può provocarsi un voto, un parere, una deliberazione nei limiti delle proprie attribuzioni; se nell’articolo testé citato è adoperata nel medesimo senso la parola voto e parere; se il parere che si richiede al Consiglio cade sur un caso tassativamente preveduto nel detto paragrafo 6, non si saprebbe vedere per qual ragione debba limitarsi la facoltà del Consiglio a dar parere nei soli casi che ne venga richiesto dal Governo.
Né vale l’osservare che la dignità del Consiglio ne scapiterebbe quando il parere emesso non venisse secondato dal Governo, poiché lo stesso potrebbe avvenire allorché si emettesse sulla proposta di quest’ultimo, che per fermo non sarebbe vincolato da siffatto parere.
Sembra dunque evidente che non al solo Governo sia dato richiedere parere ma a tutti i Consiglieri.
Il Consigliere Praus osserva; che volendo far seguito alle idee svolte dagli onorevoli oratori, sulla parte per così dire formale della quistione promossa, cioè, se siavi sinonimia o distinzione tra le voci voto ed avviso per inferirne se il Consiglio avesse ad attendere che solo dal Potere governativo gliene venisse la richiesta, o da qualunque del popolo, pensa che la discettazione potrebbe rendersi più facile quando si ponga mente alla natura ed indole della proposta che è venuta fatta dal Consigliere Rossi, val dire la domanda di una fiera o di un mercato per taluni Comuni. La creazione, egli dice, di una fiera o di un mercato è il risultato di un calcolo economico; la circolazione, il credito, la riproduzione, fonti comuni della ricchezza, trovano il loro mezzo nel ravvicinamento degli uomini in un luogo ove si operi la permutazione dei prodotti del lavoro, della industria, della agricoltura, della pastorizia. 
Un paese, un villaggio stesso può trovarsi in condizioni tali d’aver uopo dello stabilimento di un centro di circolazione, ove la facile ripercussione della offerta e della richiesta tenga vivo il movimento permutativo delle produzioni di ogni maniera; la posizione topografica, il grado di attività personale degli abitatori, i rapporti coi circostanti paesi, sono altrettanti elementi che ne provano il bisogno. Surto questo bisogno sotto forma imponente e vitale, ha dovuto sorgere ad un tempo il dritto di farlo giungere fin dove s’incontra il modo prossimo di adempirlo, vale a dire la Potestà governativa; il veicolo legittimo a tal uopo non può essere che questo Consiglio provinciale: dunque se la iniziativa si prende da un organo legittimo, qual è un Consigliere, il Consesso non può a meno di avvisare anche su convenienza a priori o astratta dalla proposta. E sarebbe strano pretendere che solo dal Governo venisse tale iniziativa, quando non si voglia imprimere il tipo dell’assolutismo sul Governo libero, che s’ispira normalmente nei bisogni e nella volontà del popolo.
Indi il sig. Giura appoggia, e più svolge quanto il Consigliere Nardi aveva notato sulla compilazione dell’art. 168 e si accorda a dire che voto e parere sonosi adibiti nello stesso significato e non per conferire due distinte facoltà.
Il Consigliere Ascia dice: che il restringere le facoltà concesse al Consiglio provinciale dall’art. 168, limitandole a dar parere sugli oggetti cui vien domandato dal Governatore, l’è disconoscere il dettato degli articoli 163, 203, 204, 165 e 168.
Ha soggiunto che a niuno è dato limitare, e restringere le attribuzioni di un ente politico se dalla legge non risultano tali restrizioni.
Le lezioni degli art. 165 e 168, sono uniformi nel concetto, e se differiscono, il divario sta nelle attribuzioni.
Se diversamente il Legislatore avesse voluto avrebbe fatto di meno di dettagliare l’eccezione sugli oggetti, come dal n.1 a 6 dell’art. 168, bastando per regola l’ultimo comma di quell’art. che li avrebbe compresi nella generica espressione, “E generalmente sugli oggetti, riguardi a’ quali il suo voto sia domandato dal Governatore”.
Arroge che precisamente dall’ultimo comma del detto articolo viene espresso non solo che il Governatore su qualunque oggetto può domandar parere al Consiglio, ma che questo Consiglio è tenuto a darlo anche per quelli contemplati dalla Legge. Quando verrebbero esclusi quelli distinti dall’articolo 168, si escluderebbero gli oggetti su cui la legge è richiesto il Consiglio: in questo modo patentemente si violerebbe la legge.
Rispondendo poi alle due obbiezioni: che se si accordasse ad un Consigliere il dritto di domandar parere, spesso il Consiglio sarebbe inceppato a profferirlo per mancanza d’istruzioni, e che potendosi dare un parere non accetto al Governo si scemerebbe la dignità; ha risposto: che alla prima obbiezione risponde l’art. 204 che prevede i mezzi come istruirsi un Consiglio su di un oggetto su cui è chiamato o a deliberare o a dar parere; che per la seconda dignità del Consiglio è preservata dall’art. 163, ed è salva quando si espongono i bisogni della Provincia al Governo, adempiendosi al più sacro dei mandati che dal popolo viene affidato, cioè quello di appoggiarlo col suo parere quante volte colle sue deliberazioni non può giovarlo.
Indi il sig. Ambrogi dice: non essere accettevole la distinzione da qualche onorevole Consigliere sostenuta, che l’art. 168 racchiude due facoltà, l’una di dar parere, l’altra di fornire un voto; che il legislatore ha usato l’una e l’altra voce indistintamente, perché comunamente si compenetrano; - che se filologicamente parlando avvi una capillare distinzione, questa che trasfonde più rigore all’una delle due voci, ché il voto a stretto dire non è che la emanazione di un giudizio, esclude recisamente la conseguenza che verrebbe irarsene. Di vero, se il legislatore pel caso del voto ha fatto espressa abilità al Governatore di domandarlo, ed in quello del parere, val dire di una opinione, si è tenuto silenzioso, sorge chiaro che un quest’ultimo non abbia voluto quella restrizione che taluni componenti del Consiglio han sostenuta.
E più tardi di rimando alle osservazioni del Governatore, faceva riflettere che se questa autorità giudicava che il Consiglio per mancanza di elementi, che solo dal potere governativo potevano essere somministrati, si trovava in condizioni di non potere dar parere, se non quando dal Governo venisse chiesto, era chiaro che implicitamente riconosceva non venir meno al Consiglio la potenza legale per dar parere anche sulla richiesta di altri; che tenuta vera questa potenza, non poteva escludersi  la facoltà nel Consiglio di richiedere tutte quelle dilucidazioni che poteva giudicare necessarie per dare esatto e coscienzioso il suo parere; che se il fine debba conseguirsi, i mezzi debbono essere di necessità conceduti: né essere esatto il dire che tacendo la legge sulla concessione dei mezzi debba ritenersi ristretta una facoltà ampiamente e lucidamente attribuita.
Dopo ulteriori sviluppi alle cose già motivate all’adunanza dai Consiglieri Amato e Cicarelli, il Governatore ha reinserito sulle cose da lui in principio trattate.
Messa ai voti la seguente proposizione: se un Consigliere poteva fare proposte al Consiglio onde provocarne un parere; è accolta affermativamente con venticinque voti favorevoli contro nove.
Venne quindi firmato l’ordine del giorno per la tornata del 12 settembre.                      
Seguono le firme.

Mappa della Provincia di Napoli, di Marzolla. Le linee rosse indicano la suddvisione dei quattro Circondari.