sabato 4 luglio 2020

Ricordando mio Padre...., di mons. Salvatore Nappa

Ho avuto il piacere e l'onore di aver conosciuto e visitato più volte mons. D. Salvatore Nappa, negli ultimi anni della sua vita. Volle conoscermi personalmente, dopo che pubblicai il libro "Piscinola, la terra del Salvatore". Mi mandò a chiamare tramite suo nipote, Salvatore, e devo dire che per me fu davvero un bel incontro, mi accolse nello studio dell'appartamento di Marianella, dove risiedeva. Era allora divenuto da poco parroco emerito di Marianella.
Il tram "38" al capolinea di Piscinola
Poco dopo mi fece pervenire una bella lettera, che conservo gelosamente, dimostrandomi tutto il suo personale apprezzamento e le sue congratulazioni per la riuscita del libro, da me dedicato alla storia di Piscinola.
Seguirono altre mie piacevoli visite. Nell'ultima, fatta pochi mesi prima che monsignore morisse, volli regalargli la prima stampa del mio libro sulla Piedimonte, che gli avevo dedicato, assieme a mia madre.
Un giorno, non ricordo precisamente quando, ritornando da lavoro, a sera, trovai sulla mia scrivania una busta bianca, e dentro un fascicoletto con il frontespizio verde, con sopra stampato il titolo "Ricordando mio padre", Mons. Salvatore Nappa" e con scritto a penna, più sotto: " Mons. Nappa Salvatore, in ricordo".
Questo libretto l'ho tenuto conservato, assieme ai miei ricordi più belli e oggi è saltato fuori, per caso, tra le carte conservate. Mi sono ricordato di tutto quel periodo e ho interpretato questo manoscritto come un desiderio, manifestato dall'"amico" monsignore Salvatore, indirizzato alla mia attenzione, per far conoscere un giorno la storia del suo papà, don Giuseppe Nappa, nato e vissuto a Piscinola.
Il racconto colpisce e emoziona allo stesso tempo, sia per la semplicità della scrittura, e sia per i particolari descritti, riguardanti i luoghi, le usanze e le tradizioni dell'epoca; come pure, il ricordo di feste, di pellegrinaggi, di personaggi del popolo. Bellissimi anche i ricordi particolari di don Beniamino Montesano, della ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife, del Tram, della Banda Musicale di Piscinola e della festa di Piedigrotta... 
Devo dire che esso è il più bel tributo e la più grande riconoscenza che un figlio possa fare a suo padre: parliamo di due grandi personaggi e due grandi piscinolesi!
Ho preferito riportare il racconto integralmente, così come scritto, rispettando l'impostazione data da don Salvatore.
Ecco il racconto di mons. D. Salvatore Nappa: 

Prima parte: Ricordando mio Padre...
In oratorio a Piscinola
"Mio padre, Nappa Giuseppe, buonanima, nacque a Piscinola nel 1872.
Suo padre si chiamava Salvatore; di lui, mio nonno, ho vaghi ricordi nonostante che negli ultimi anni della sua vita venne a vivere da noi, ma non ho mai conosciuto la nonna "Anna" alla quale mio padre voleva molto bene, a tal punto che accettò di non entrare in convento dai Padri Francescani a Miano.
Che mio padre avesse avuto questa volontà e che fosse impedito dalla mamma me lo confidava spesso e mi raccontava che sognava spesso di passeggiare in quel convento vestito del saio francescano.
Sua mamma, inoltre, gli negò la possibilità di sposarsi al tempo giusto.
Infatti mio padre solo dopo la morte  avvenuta nel 1913, sposò all'età di 41 anni, Russo Teresa, di parecchi anni più giovane, nipote del parroco di Piscinola, Luigi Russo.
La sua vita, fino alla fine, si svolse in piena armonia con tutti e soprattutto con mia madre con la quale mai una parola fuori posto, mai un litigio, seppure piccolo ed insignificante ma sempre disposto ad aiutarla nei giorni più importanti dell'anno.
Fu padre amoroso verso i quattro figli avuti dal matrimonio, il primo Salvatore, morto all'età di appena di due anni, di Anna che sposò nostro cugino Angelo D. M., di me Salvatore, a cui diede il nome del fratellino morto ed infine di Angelo che dopo la guerra in Albania e la lunga prigionia sposò Santina Quinterno.
Mio padre esercitava la professione di barbiere ed era uno dei tre barbieri di Piscinola ed era molto apprezzato.
Esercitò la professione in saloni, cioè bottega, in tre punti diversi della zona, il primo salone in piazza, il secondo a via Miano, nel punto della confluenza tra le due strade, che quando pioveva forte veniva invaso dalle acque che defluivano dai Camaldoli. E fu per questo motivo che fece aggiustare a sue spese il locale al di sotto della abitazione in via S. Salvatore, dove c'era anche il forno per le famiglie del palazzo. Lavoro che costò non poco, ma che ne valse la pena perché gli permise di lavorare a casa, facendo come si dice, allo stesso momento "Casa e bottega".
Ne valse veramente la pena perché, non pagava più la pigione anche se allora essa non era eccessiva, e non veniva più sommersa dalle acque.
A quel tempo i barbieri lavoravano soprattutto il sabato sera e la domenica mattina, non perchè gli uomini non tenessero alla propria pulizia e alla bella presenza, ma perché non avevano i soldi a sufficienza  per radersi ogni giorno non essendoci ancora le "Gilette" e quindi mio padre lavorava fino a tarda sera il sabato e la domenica mattina con questa novità unica al mondo. Infatti la domenica mattina mentre era intento a esercitare il proprio lavoro, al suono della campana che annunciava l'inizio della Messa di mezzogiorno non solo lasciava tutti i clienti in attesa del proprio turno ma anche quello seduto sulla sedia grande anche se con la barba fatta a metà e scappava in chiesa, perché non voleva rimanere senza aver ascoltato la S. Messa, anche se gli era impossibile entrare, perché al quel tempo la chiesa si riempiva, per l'ultima Messa, non solo donne, ma anche di uomini e molti di essi compreso mio padre rimanevano sul sagrato ad assistere alla funzione religiosa.   
monsignore Nappa ai tempi del seminario
Certamente questo strano comportamento ci preoccupava, perché persavamo che i clienti, trattati a quel modo, se ne andassero, ma non era così, tutti rimanevano ad aspettarlo e tutti ritornavano la settimana successiva.
A confermare la religiosità di mio padre devo dire che egli, ogni mattina non solo partecipava alla S. Messa ma la serviva perché allora c'era bisogno dell'inserviente.
Una volta mi raccontò che una mattina, mentre stava in ginocchio servendo regolarmente la Messa fu chiamato dal parroco Gallo, mentre celebrava, il quale si era fermato e volle sapere da lui se aveva detto le parole della consacrazione, perché si era sentito male e avendone avuto la conferma, acquistò sicurezza e continuò la celebrazione.
Inoltre sempre che poteva e lo poteva facilmente era presente in chiesa per accompagnare i canti suonando l'organo. Non era un grande maestro di musica, ma sapeva intonare ed eseguire tutti i canti religiosi senza difficoltà e per questo motivo era riconosciuto come organista ufficiale della parrocchia (del SS. Salvatore). Per questa sua attività riceveva anche la retribuzione che gli tornò utile quando non potette più lavorare e che gli permise di tirare avanti anche se con chiara ed evidente difficoltà.
Erano per me gli anni del seminario.
Mio padre sempre che il lavoro glielo permetteva non mancava mai alle grandi e speciali manifestazioni religiose, come ad esempio, i pellegrinaggi che ogni anno Mons. Trigilio organizzava per Pompei ed a proposito ricordo che un anno in cui partecipò anche la banda di Piscinola, e per recarci a Pompei, ci servimmo della Piedimonte d'Alife, fino a Piazza Carlo III e poi dovendo prendere la Circumvesuviana, percorremmo a piedi Corso Garibaldi alle 7 del mattino con la banda in testa tra la meraviglia della gente, che al nostro passare veniva svegliata dalla musica e dai canti e si affacciava ai balconi.
Cartolina celebreativa centenario ferrovia Napoli-Piedimonte, di Zacarias Cerezo
Ogni anno l'11 maggio insieme a tutta la famiglia papà si recava in pellegrinaggio a S. Antimo (Napoli), paese però della diocesi di Aversa. Di questo Santo egli fu assai devoto e riconoscente, perché quando si ammalò e stette in fin di vita gli fu proposto di raccomandarsi a questo Santo, di cui gli fu dato anche il quadro, egli veramente si raccomandò e stette bene, per cui ogni anno e spesso a piedi ci si recava a ringraziare il Santo, e quando divenni sacerdote volle che una delle prime Messe la celebrassi proprio nella bella chiesa di S. Antimo.
Nella sua vita mai dimenticò di recitare il Santo Rosario ogni giorno e forse più volte al giorno.
Ricordo che durante l'inverno la sera ci radunava tutti attorno al braciere e prima di andare a letto si recitava il Rosario.
Ricordo ancora che in estate, di pomeriggio soleva passeggiare fino alla chiesetta della Madonna delle Grazie recitando il Rosario e trovandomi a giocare al pallone con gli altri ragazzi, fermava il gioco e ci mandava a casa perché non voleva che sudassimo.
Ma questa sua religiosità questa sua devozione non la teneva solo per se. Essendo uno dei tre barbieri di Piscinola e avendo a che fare con molti uomini, faceva il missionario, non solo raccomandando loro, con il suo esempio, di non mancare mai alla S. Messa alla domenica, ma spesso facendo la predica, ed una sua espressione che ancora oggi ricordo bene era "Mondo, Demonio e Carne" da cui bisognava guardarsi bene.
Era davvero un uomo di preghiera e per tale la gente lo conosceva, tanto che ancora oggi, persone che lo hanno conosciuto ricordano la sua religiosità e la mitezza d'animo.
Un'altra espressione a lui molto cara e che ripeteva spesso, era che il barbiere per intrattenere i clienti doveva essere o un "Buon Parlatore" e lo era come abbiamo visto, o un "Buon Giocatore" o un "Buon Suonatore". 
Un buon giocatore non so se lo era, ma ricordo le interminabili partite a carte che faceva con "Mastro Mimmo" il signor Domenico del quale conservo un ottimo ricordo perché d'accordo con la moglie, una santa donna, mi fecero due regali a me molto graditi, il libro del "Divino Ufficio" al momento dell'ordinazione suddiaconale  e il camice bianco al momento della mia ordinazione sacerdotale.
Un buon suonatore lo era, come vedremo anche in seguito, ma adesso mi piace ricordare quando intratteneva i propri clienti, che usavano il salone anche per riposarsi, al suono della chitarra, strumento che suonava benissimo.
Non solo la suonava per accompagnare canzoni napoletane cantate da don Luigi Sica, ma anche suonando arie tratte dalle famose opere liriche. Ricordo che amava suonare principalmente il quarto atto della Traviata.
Non nascondo che anche a me piaceva tanto e voglio pensare che il mio amore per la musica classica me lo abbia trasmesso proprio lui, amore che conservo inalterato, tanto che ancora oggi amo trascorrere ore ad ascoltare la musica.
Prima di terminare questa prima parte nella quale ho parlato degli aspetto religiosi e cristiani, ricordo che pur sapendo che avrei continuato gli studi, fui avviato al suo mestiere facendo le prime barbe all'età di circa 10 anni a due clienti, che ricordo bene e ogni volta mi pagavano mezza lira. Smisi di farlo solo quando cominciai a frequentare la prima ginnasiale a Napoli.


Seconda Parte:  "Sempre insieme a mio padre"

Come già descritto in precedenza non solo accompagnavo papà alle varie ricorrenze religiose ai vari pellegrinaggi ma ogni volta che potevo mi portava con sè.
Ricordo che ogni lunedì mattina, essendo giornata di riposo per i barbieri, tolto il necessario dal guadagno settimanale e consegnatolo a mia madre "Teresa" ci recavamo a depositare le poche lire rimaste, anche perché non teneva niente per se non avendo alcun vizio, sulla banca di Roma al Corso Secondigliano, essendo questa l'unica Banca della zona.
Ci si andava a piedi, non solo perché era difficile prendere il tram, ma anche perché si preferiva camminare. Da ricordare che il tram a Piscinola fu messo alla fine degli anni venti e faceva il servizio navetta fino a Miano e solo dopo un po' di tempo fu portato a piazza Dante.
Al ritorno, non mancava mai di portarmi nella pasticceria "Sacra" a Piazza Secondigliano e mi comprava una sfogliatella che io mangiavo con immenso piacere, tanto mi piaceva che lo spinsi a promettermi di portarmi a Napoli, in una famosa pasticceria, farmi sedere a tavolino e farmi mettere davanti un piatto pieno di sfogliatelle e vedere se ero capace di mangiarle tutte.
La promessa divenne realtà e dopo un poco di tempo, sempre di lunedì, mi portò a Napoli in via Costantinopoli, angolo via Foria, mi fece sedere e chiese per me un vassoio di sfogliatelle mettendomi alla prova.
Don Beniamino Montesano, con la famiglia Silvestri
La prima la mangiai con la stessa voracità come facevo a Secondigliano e con la stessa voracità iniziai a mangiare la seconda, ma la terza nonostante gli incitamenti di papà non riuscii a finirla, così tornammo a casa, lui contento per aver mantenuto la promessa, io perché avevo soddisfatto il mio desiderio.
Un'altra promessa mantenuta fu quella di portarmi a vedere la festa di Piedigrotta.
La sera del 6 settembre 1929 mi disse - vieni con me andiamo a Piedigrotta - Così ci incamminammo e a piedi arrivammo a Napoli, così per la prima volta vidi i carri allegorici, ascoltai le nuove canzoni e mi resi conto della gioia della gente che faceva di tutto per divertirsi. Ricordo che tanta era la folla che non riuscimmo ad arrivare alla chiesa di Piedigrotta ma ci dovemmo fermare a Piazza S. Ferdinando; contenti sempre a piedi ritornammo a casa: era passata mezzanotte.
Altri piacevoli ricordi sono legati alla sua passione per la musica.
A quei tempi, erano gli anni 1920-1930, non essendoci grandi svaghi, come oggi, si svolgevano durante i matrimoni i "Festini" dove si usava intrattenere gli invitati con piccole orchestrine e papà, essendo come abbiamo detto un ottimo suonatore di chitarra, insieme ad un certo "Lorenzo", che suonava il violino, a "Don Beniamino" (don Beniamino Montesano) un impiegato comunale che suonava benissimo il mandolino ed un cantante "Vincenzo" detto "a Scignella", formarono un "Concertino" che essendo l'unico della zona allietava i vari matrimoni e mio padre mi portava sempre con se con sommo piacere.
Mon. D. Salvatore Nappa nell'anniv. di sacerdozio
Piacere, perché mi piaceva molto ascoltare la musica e le canzoni napoletane ma anche perché era una delle poche occasioni per mangiare taralli, anginetti e biscottini vari.
Ricordo che ogni volta i "maestri" di musica smettevano di suonare per assaggiare qualche dolcetto venivano richiamati perché dovevano suonare e non mangiare.
Un altro ricordo, è legato alle rappresentazioni teatrali, che si tenevano a Piscinola nei locali dell'ex municipio, dove c'era una grande sala con palcoscenico e dove una piccola compagnia, portava in scena il soggetto di una canzone napoletana, accompagnati da papà che suonava la chitarra e da don Beniamino che suonava il mandolino, ed io che, come sempre, accompagnavo papà, ero seduto in prima fila e mi divertivo da matto a quelle battute che ancora oggi ricordo, come ricordo questi attori improvvisati.
Per Piscinola e i piscinolesi a quel tempo era l'unico divertimento.
In seguito quel locale servì ai giovani dell'azione cattolica per rappresentare "La Cantata dei Pastori".
Durante la guerra, nel 1943 quando arrivarono gli americani quella sala venne requisita e trasformata in cucina e sala mensa dove ricordo che anch'io di tanto in tanto andavo a mangiare portato da un tenente di cui ero diventato amico. Così finirono anche le compagnie teatrali a Piscinola.
Ricordo ancora, che quando ci si recava a Secondigliano, sempre invitati dal sig. Lorenzo, per qualche festino, al ritorno sempre a piedi dovendo passare vicino al cimitero di Miano, papà mi copriva gli occhi o con la giacca o con le mani ed insieme recitavamo le preghiere dei morti.
Ricordo ancora, che quando si andava a Miano per qualche serata di festa si terminava sempre con il "Ruoto di Stocco" piatto tipico della zona perché a Miano c'erano anche molti rivenditori di questo pesce.
L'unica volta che si venne a Marianella fu per la festa di S. Alfonso.
Ricordo che il concertino venne organizzato da Nappa Salvatore, non io, ma il figlio di zio Federico fratello di papà.
A quei tempi dovettimo sottostare ad alcune regole imposte dalla Curia Arcivescovile. Le regole era queste: 1) il concertino non poteva essere fatto nei tre giorni di festa cioè il sabato, la domenica e il lunedì ma solo il martedì. 2) al concertino non potevano intervenire cantanti donne e non poteva esssere svolto nella piazza principale e così venne fatto sul ponte di Marianella. Tutto fu rispettato e fu una bella festa.
Al termine di questo racconto storico ma soprattutto filiale nel quale ho voluto ricordare  alcuni momenti a me più cari della vita di mio padre mi sento pienamente soddisfatto perché ho adempiuto ad una promessa fatta a me stesso molto tempo fa cioè quella di far conoscere il suo grande amore per la religione e la preghiera e la sua collaborazione e sacrificio nel farmi diventare sacerdote con l'aiuto del Signore e del Suo esempio.
Adesso sento il dovere di dire con tutto il cuore "GRAZIE PAPA'"
Che il TUO esempio serva soprattutto ai nostri familiari e a quanti ti conobbero e ti stimarono."
Mons. Don Salvatore Nappa


Concludo questo post, ringraziando ancora Don Salvatore, per tutto il suo affetto dimostrato alla mia persona. 
Ringrazio, infine, l'amico Salvatore Nappa, nipote del monsignore, e tutta la famiglia Nappa, per avermi autorizzato alla pubblicazione del testo.
S.F.

Il lettore interessato potrà trovare la biografia di don Salvatore Nappa, attraverso questo link: Monsignore-che-amava-la-sua terra


2 commenti:

  1. Bellissimo racconto Salvatore... rappresenta un ottimo spaccato della Napoli di un tempo: i valori, i colori, i sentimenti...
    È stata davvero una bella iniziativa postarlo.
    Buongiorno serata

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