venerdì 7 novembre 2025

La conservazione della frutta per la stagione invernale... una tecnica dei tempi passati!



Con l'avvento degli elettrodomestici la vita è stata completamente rivoluzionata, tante lavorazioni sono state modificate come la conservazione dei cibi e delle vivande. In passato per avere la frutta fresca disponibile nel periodo invernale era un privilegio concesso a pochissimi. La massa della popolazione si era "ingegnata" a superare questa limitazione escogitando alcune tecniche di conservazione e soprattutto selezionando il tipo di frutta disponibile nel periodo invernale. Gli antichi usavano quindi conservare la frutta appendendola ancora legata ai rami, sulle pareti  sommitali dei balconi, oppure sotto pergolati, archi e mansarde ("suppigni") delle proprie abitazioni, purchè essi si presentassero asciutti e ben ventilati. Ancora oggi non è raro vedere dei balconi allestiti con questo tipo di frutta appesa.
La varierà di frutta maggiormente utilizzata, oltre a essere quella tipica della stagione autunnale, doveva essere sana e raccolta in maniera precoce rispetto alla maturazione; tra queste troviamo i cachi, i meloni, l'uva da tavola e i sorbi. Tra le qualità di cachi (il nome botanico è "Diospyros", da cui "Diospiro")), c'era anche la varietà detta "a vaniglia" e, ancora, una varietà che producevano frutti minuscoli, addensati a grappoli, posti all'estremità di rami. Di questa tipologia si appendeva un ramo intero, che conteneva almeno dieci-quindici frutti (detto "frasca"). 
I meloni maggiormente utilizzati era quelli chiamati "mellune 'e pane", a superficie ruvida, di colore verde scuro, ma si utilizzavano anche quelli di colore giallo, chiamati "Cantalupo" o anche "Capuaniello".
I sorbi (dette "Sovere") erano quelli più ricercati. C'era la varietà locale chiamata "Natalina", perche i frutti completavano l'"ammezzimento" e quindi potevano essere gustati, a partire dal Natale seguente.

Tipico balconcino napoletano, foto di F. Kaiser

Per l'uva da tavola, si utilizzava la qualità "Pizzutello" o "Zicca 'e vacca" (Zibibbo), perché i chicchi erano più consistenti e duri delle altre qualità e duravano più a lungo. Ma c'era anche chi appendeva uva "Fragola" nera, e l'uva da vino per ricavarne dell'"uva passa" per utilizzo in cucina: allo scopo si sceglievano  le pigne più belle e integre. Tra le varierà di uva locale troviamo: "Perepalummo" (Piedirosso), "Mangiaguerra" e "Pisciazzella", ma c'era anche chi appendeva altre varietà di uva, come: "Falanghina", "Uva rosa", "Catalanesca" e la varietà bianca, detta "Francese".

Non era raro vedere tra la frutta appesa anche mazzetti di melograni e mele.
Anche i pomodori erano conservati "a pennoli" (ossia appesi tramite una cordicella). La varietà più utilizzata era quella che oggi chiamiamo "vesuviani", che un tempo qui si chiamavano pomodori "cu 'o pizzutiello", essi venivano prodotti negli orti e nelle campagne piscinolesi e dintorni. 

Avevano la prerogativa di essere molto più saporiti, perché erano coltivati con assenza di irrigazioni, ma solo con il microclima locale, che consentiva breve precipitazioni piovose, cadenzate nei mesi di coltivazione. E poi venivano concimati con lo stellatico proveniente dalle stalle locali.
Gli altri ortaggi che venivano appesi "a piennoli", troviamo: le cipolle, gli agli, i mazzetti di origano e i peperoncini piccanti.
 
Ringraziamo il fotografo Ferdinando Kaiser per averci trasmesso la foto che è stata inserita in questo post.
 
Salvatore Fioretto 

 

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