venerdì 30 settembre 2022

Il francescano p. Giovanni Russo, attivissimo e prodigo missionario in Albania... riposa a Miano.

Dopo aver pubblicato la vita e le opere del missionario mugnanese, padre Nicola Frascogna, ritorniamo sull'argomento dei personaggi famosi, per aver trovato, proprio in questi giorni, l'interessante biografia di un altro padre missionario, le cui vicende vede interessare il quartiere di Miano, infatti morì a Napoli, nell'anno 1924, ed è sepolto nel cimitero di Miano, ci riferiamo al padre Giovanni Russo, appartenente all'ordine franscescano O.F.M. La biografia, che riportiamo è tratta dal libro di Sosio Capasso: "Due Missionari frattesi: Padre Giovanni Russo e Padre Mario Vergara", ed. Istituto di Studi Atellani, 2003. Ecco il testo, tratto in gran parte dall'opera citata, eliminando solo alcune parti non riguardanti la vita del frate:

"Il Francescano Padre Giovanni Russo nacque a Frattamaggiore il 21 novembre 1831. Il suo paese natale era allora un fiorente casale del Reame di Napoli, sotto la sovranità di Ferdinando II di Borbone. […].
Egli entrò nell’Ordine Francescano, esattamente nella Provincia Minoritica Napoletana di S. Pietro ad Aram, il 3 febbraio 1851. Fu avviato alla vita religiosa da quell’insigne teologo che fu il Padre Provinciale Andrea da Palma. Il giovane Giovanni restò per otto mesi quale alunno nel convento di S. Antonio di Afragola e da qui passò nella diocesi di Nola, nel convento di San Giovanni del Palco di Lauro, ove compì l’anno del noviziato.
Il 20 ottobre 1853 professò solennemente i voti e, quindi, proseguì la sua preparazione nello Studio generale di S. Angelo di Nola, un centro allora veramente prodigioso per la preparazione culturale e religiosa nel meridione d’Italia. Il 10 giugno 1853 Giovanni Russo fu ordinato sacerdote e destinato al convento di S. Pietro ad Aram di Napoli. Qui frequentò la scuola di sacra eloquenza e qui si rivelò la sua vocazione per l’attività missionaria. Il suo vivo desiderio fu accolto dai suoi superiori ed il 14 aprile 1859 fu accolto nel Collegio di S. Pietro a Montorto in Roma e quell’anno stesso, il 10 luglio, destinato alle missioni francescane in Albania. […]

Quando il P. Giovanni Russo giungeva in Albania, nell’aprile del 1859, circa tre anni dopo la conclusione della guerra di Crimea, trovò un paese oppresso dalla miseria e dalla desolazione. Egli fu assegnato alla Prefettura di Kastrati, nell’Archidiocesi di Scutari; in questa zona sarebbe rimasto fino al 1915, per ben 56 anni, dividendo con la povera popolazione locale, senza distinzione religiosa, sofferenze e privazioni di ogni sorta. Destinato alla parrocchia di Podgoritza, fu, poco dopo, colpito da febbri malariche di gravissima intensità, tanto che fu vivamente esortato a fare ritorno in Italia, ma egli oppose il più ostinato rifiuto. Chiese solo di cambiare parrocchia perché più intenso fosse il suo apostolato. La vita in Albania era resa particolarmente difficile dalle frequenti insurrezioni e dalla reazione, sempre feroce, delle autorità turche. «La missione apostolica in Albania dei Frati Francescani – egli scrisse in una sua relazione – conta di più di quattrocento anni di esistenza. Questa missione è composta di più Prefetture, la più estesa di esse è la Prefettura detta di Kastrati ed in questa sono stato io dal 1858 al 1915. Questa Prefettura di Kastrati è composta di dieci parrocchie, che prendono nome dal villaggio in cui vi è la chiesa col missionario, e sono quasi tutte nei monti a levante dell’Albania, meno due, che sono nei piani. I nomi delle parrocchie, ossia dei villaggi, sono: Tribuino, Hoti, Podgorizza, Gruda Triepsci, Koccia, Selze, Vukli, Baiza, Kastrati. Baiza è la più vicina a Scutari ed è la residenza del Prefetto della missione. Le dette parrocchie sono tutte di cattolici, eccettuate poche famiglie musulmane. Hanno una estensione di più leghe, perché ciascun villaggio è lontano dall’altro, ma concatena coi confini, così da formare tutti insieme la frontiera albanese di contro al Montenegro. I suddetti villaggi hanno le case l’una lontana dall’altra e nel centro vi è la chiesa col missionario". […]
 Monti dell'Albania

In questa impervia regione il Padre Giovanni Russo trascorse parte della sua vita, affrontando difficoltà e disagi di ogni genere, percorrendo a piedi o a dorso di mulo distanze rilevanti, spesso superando monti impervi. Privazioni, persecuzioni, angustie erano la norma quotidiana di vita; le minacce di morte frequenti ed il buon frate, per ben due volte, si vide puntare al petto un fucile, ma egli con la bontà e la dolcezza che lo contraddistinguevano, riuscì a disarmare chi lo minacciava e ad indurlo a più miti consigli. La povertà più austera, predicata da San Francesco, fu la sua regola di vita. Il suo amore per le creature non aveva confini ed abbracciava tutte le persone, qualunque fosse la loro nazionalità o la loro fede religiosa.
La sua umiltà non aveva limiti, tanto da indurlo a rifiutare la prefettura apostolica e solamente per non venir meno alla regola dell’ubbidienza, che si era impegnato a professare, accettò la carica di vice prefetto della missione di Kastrati. Diverse volte fu proposto per la nomina a vescovo, ma egli non volle mai accettare, ricorrendo ad ogni sorta di motivazioni per sottrarsi all’alto onore. Non vi fu, nel corso del lungo soggiorno in Albania, epidemia, carestia, guerra che non lo vide in prima linea, pronto a soccorrere, col sacrificio personale, nelle condizioni più disperate, chiunque avesse bisogno di aiuto, fosse cristiano o ottomano. Gli furono necessari ben trent’anni di lavoro, sacrifizi, speranze e delusioni per riuscire a costruire una chiesetta in legno per i fedeli di Vukli. Ma la soddisfazione ed il sollievo furono di breve durata. Proprio in quei giorni, nel 1890, si scatenò una violenta insurrezione degli albanesi contro il giogo ottomano. La reazione turca fu violentissima, decisa a stroncare ogni resistenza. Interi villaggi furono devastati e dati alle fiamme. La Prefettura di Kastrati fu fra le più colpite ed il buon Padre Giovanni non ha pace, instancabilmente, a dorso di un mulo, scortato solamente da un servo fedele, valica i monti, percorre grandi distanze, cercando costantemente di placare gli animi, fermare la violenza, mitigare la reazione delle truppe turche. Quando torna a Vukli tenta inutilmente di salvare la sua chiesetta, issando su di essa una bandiera bianca in segno di pace. Il pericolo è grande e gli stessi insorti lo esortano ad allontanarsi, ma egli ostinatamente dice loro che è venuto per restare e, se necessario, morirà con loro.
I turchi non tardano a giungere e, nella loro furia sanguinaria, incendiano la chiesa. Grande è il dolore del missionario, tanto che il Comandante delle truppe di Costantinopoli, placata la bufera e resosi conto della sincerità, della pietà, del dolore di Padre Giovanni gli promette di adoperarsi perché il governo di Costantinopoli provveda a far riedificare il tempio. Purtroppo lo zelo e le fatiche del santo frate erano destinate a vanificarsi: la chiesetta, due volte distrutta, fu ancora distrutta nel corso di nuove insurrezioni, sempre ferocemente domate.
Padre Giovanni dimorò ancora cinque anni in Albania e furono ancora anni di avvenimenti tragici e di gravi sofferenze. Nel 1910 gli Albanesi tentarono ancora di insorgere, ma i Turchi repressero i moti e costrinsero i ribelli a consegnare le armi. Nel 1911 la guerra italo-turca incoraggiò nuovi tentativi di rivolta ai quali Costantinopoli tentò prima di convincere alla pacificazione, poi, non ottenendo risultati positivi, inviò cinque battaglioni di militari che, però, non conoscendo le insidie di quelle difficili località, caddero in imboscate e furono sterminati. Allora la Turchia inviò un poderoso esercito, ben addestrato alle manovre fra i monti; l’invasione si proponeva non solo di scoraggiare gli albanesi, ma anche di indurre l’ostile Montenegro a più miti consigli. La repressione ottomana fu tremenda, interi villaggi furono saccheggiati e dati alle fiamme, le chiese sistematicamente distrutte, gli Albanesi che riuscirono a sfuggire alla strage trovarono rifugio nel Montenegro. Il Padre Giovanni riuscì fortunatamente a riparare nel villaggio di Triepsci, ove trovò altri cinque missionari parroci nella Prefettura della quale faceva parte anche lui.
Finalmente il 1 Agosto 1912 vi fu l’armistizio ed i ribelli, senza deporre le armi, potettero tornare nei loro villaggi. Il vecchio missionario fu felice di rivedere i suoi figli, ma la vista delle devastazioni compiute era desolante. «Io fui il primo ad arrivare nella mia parrocchia di Vukli il 4 agosto 1912 – egli scrive nella sua relazione –. Il mio villaggio, come tutti gli altri, era invaso dall’esercito turco in piede di guerra e proprio nel mio villaggio vi era il quartiere generale del Comandante Generalissimo poco discosto dalla Chiesa. Appena mi presentai tutti i Pascià nonché il Generalissimo mi abbracciarono e mi baciarono. Dopo di essermi riposato e dopo d’avermi confortato col caffè ed altro, mi dissero che fino alla loro partenza sarei stato ospite gradito e che non avessi pensato a nulla. Posero due tende a mia disposizione e mi fornirono delle cose più necessarie. Io pranzavo e cenavo con loro». Tanta considerazione da parte dei turchi era dovuta alla grande pietà e disponibilità caritativa che Padre Giovanni usava verso tutti, senza discriminazione alcuna né di nazionalità, né di religione. L’alto comando turco, rientrando in patria, lasciò al missionario tutte le proprie provviste e una notevole quantità di legname da baracche, che furono una vera provvidenza per la povera gente del posto. Il padre Giovanni, in riconoscimento della sua alta opera umanitaria, ricevette importanti decorazioni dal governo turco. Successivamente gli Ottomani furono costretti dalle pressioni internazionali ad indennizzare gli albanesi dei danni subiti. 
Così il missionario narra l’evento inatteso e sorprendente: «I cattolici albanesi di tutte le parrocchie della Prefettura di Kastrati, ricevuta tutta quella provvidenza di danaro, subito diedero mano ciascuno a fare ricovero per la famiglia; chi una casa a pianterreno, chi una comoda capanna. “Anche io, con le tavole ricevute dai turchi e con altro legname, feci una grande e comoda capanna da starci benissimo. Più feci una piccola cappella all’aperto da contenere il solo celebrante con l’inserviente. Il vescovo ed altri benefattori di Scutari mi provvidero del più necessario al mio ministero. Dopo assestatomi con la testa e non pensando che più sì rinnovassero simili uragani, mi diedi con tutta lena a fabbricare la chiesa e l’ospizio migliori di prima e a gloria di Dio ci ero riuscito dopo quattro mesi. Poco mancava al compimento, cioè il soffitto e le finestre, mentre tutto il materiale occorrente era pronto sul piazzale e dentro la chiesa». Ma i guai non erano finiti: scoppiò la guerra balcanica ed i montenegrini circondarono d’assedio Scutari, compiendo devastazioni e stragi orrende. Con il sopravvenire della pace, si verificarono notevoli mutamenti nella sistemazione del territorio. Quasi tutte le parrocchie della Prefettura di Kastrati si trovarono sotto la potestà montenegrina, proprio la più odiata dagli Albanesi. Vi furono nuove insurrezioni e nuove devastazioni. Le cittadine turche di Plave e Gusigne furono devastate e saccheggiate dai montenegrini. Gli abitanti di Rapscia, Trabuino e Gruda, con i loro parroci, furono costretti all’esilio. Le minuscole città turche di Plave e Guisigne furono occupate dai soldati del Montenegro e distrutte. Gli abitanti costretti alla fuga; i pochi rimasti dovettero abiurare alla loro religione. Tre parrocchie restavano ancora libere, Vukli, Seize e Nikei; Vukli e Nikei erano curate dal Padre Giovanni. Questi villaggi erano abitati dai cosiddetti Clementi, perché discendenti da un Clemente. Questa popolazione fu la più perseguitata dal Montenegro. In proposito il nostro buon missionario così si esprime: «Il Montenegro sapendo che i Clementi non avevano nessun aiuto da nessuna parte, il 3 settembre 1913 sul far del giorno si presentò con poderoso esercito a questi tre villaggi, li attaccò con cannoni e mitragliatrici… I Clementi resistettero per poco, lasciando alcuni morti; ma soverchiati dalla forza maggiore dovettero fuggire. Presero le loro famiglie e qualche capo di bestiame e via per i monti disastrosi e sentieri difficili per portarsi a Scutari due giorni distante: una carovana di gente e di bestie che faceva pietà ed in mezzo a questa carovana mi trovavo io, il mio ausiliare e il servo col mio cavallo. Arrivato di sera alla cima di un alto monte, chiamato Kappa, il quale domina tutte e tre le parrocchie, vidi un incendio universale che sembrava un inferno … Dopo due giorni e due notti all’aperto arrivai nel convento di Scutari, dove trovai quasi tutti gli altri missionari della Prefettura di Kastrati».
Il lungo e fecondo soggiorno di Padre Giovanni Russo in Albania stava per concludersi. Dopo oltre un cinquantennio di proficuo apostolato in un paese povero e difficile quale era ed è l’Albania, il buon frate fu richiamato in Italia per un meritato riposo. Aveva ben 84 anni ed era giusto che, al tramonto di una vita tanto operosa e tanto ben spesa al servizio della fede e della Chiesa, egli rivedesse la patria, tornasse nei luoghi ove aveva tanto devotamente indossato il saio francescano e dove era stato ordinato tanto felicemente sacerdote. Fu destinato al convento di S. Maria Immacolata della Palma in Napoli (quartiere Sanità n.d.r.) e quivi visse ancora nove anni. [...]
Si spense il 24 settembre 1924 e riposa nel cimitero di Miano. Il nostro auspicio è che l’opera altamente benemerita di questo francescano, tanto modesto quanto illustre, non sia dimenticata e la città, che ebbe l’onore di dargli i natali, lo tragga dalla dimenticanza nella quale è ingiustamente caduto e lo onori come uno dei suoi più illustri figli".

Aggiungiamo alla biografia di sopra, che il padre Russo ebbe a rifiutare anche la nomina vescovile presso la cattedrale di Durazzo.
Speriamo anche noi, come auspica l'autore del testo, dott. Sosio Capasso, che le opere e la vita di padre Giovanni Russo siano da esempio per quanti sapranno apprezzare la grandezza umana di questo frate, assieme a quelle di tanti altri umili padri missionari, di qualsiasi ordine monastico appartengano, i quali per amore della fede e per aiutare i più poveri ed emarginati, hanno dato e danno ancora oggi, esempio di coerenza e di grande testimonianza, rischiando spesso anche la propria vita.
Siamo certi che il sacrificio
e le opere di Padre Giovanni Russo non saranno mai dimenticate!

S. Fioretto

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