sabato 10 febbraio 2018

Ferrovia e paesaggio: matrimonio perfetto! Cinque anni dal libro...


In occasione del quinto anniversario della prima stampa del libro sulla ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife", eseguita nel 2013, durante i festeggiamenti del Centenario della ferrovia, ho pensato di pubblicare uno stralcio rappresentativo del libro, ovvero il primo capitolo di "Ricordi d'infanzia", e quello finale di "Note conclusive".
Ricordi d'infanzia:
"Spesso sento riaffiorare nella mia mente i ricordi della mia infanzia… 
Come si fa a non ricordare la vecchia ferrovia Piedimonte…?!
Non ricordo quando l'ho vista la prima volta. Si può dire che l'ho sentita e vista da sempre come un oggetto familiare, di cui non temere, già ai tempi della mia tenera età: essa, infatti, è sempre stata presente negli avvenimenti della mia infanzia e della mia vita.
Sono di origini contadine e abito fin dalla nascita nel quartiere di Piscinola, luogo che almeno fino a quaranta anni fa era ancora un dolcissimo borgo dell'hinterland di Napoli, dove la natura e l'alternarsi delle stagioni segnavano lo scandire del tempo ed era abitato da gente semplice e genuina.
Piscinola allora si presentava ancora come un borgo, di antichissime tradizioni agricole e non solo, con tanto di banda musicale, festa patronale e amore per il buon vino e la cucina contadina, un po’ come tutti gli altri centri vicini. Ebbene in questo luogo, dalle caratteristiche un po’ bucoliche, la costruzione e l'esercizio della "Piedimonte" rappresentò, nel primo decennio del ‘900, la testimonianza del diffondersi del progresso: s'intende quello "buono" ed "intelligente", che ne risvegliò con il suo "via vai" quotidiano il ritmo di sviluppo un po’ lento.
Stazione di Giugliano, anno 1974, foto di Rohrer
Essa contribuì non poco alla diffusione della cultura e della solidarietà tra gli abitanti della sterminata provincia a nord di Napoli; favorì senza dubbio l'arricchimento culturale di quelli che erano additati dai benpensanti cittadini, come "provinciali" ('e cafoni).
Il nuovo mezzo di comunicazione contribuì ad appianare le differenze sociali, facendo sentire le popolazioni appartenenti ad un’unica grande metropoli, ricca di fascino, storia e cultura. Non per niente Piazza Carlo III, terminale primitivo della ferrovia di origini francese era un po’ il cuore del centro antico di Napoli, il baricentro del sogno europeo di Carlo III di Borbone, quando costruì il Reale Ospizio dei Poveri.
La mia campagna che fu acquistata da mio nonno Salvatore, nel 1925, era stata divisa in due proprio dalla linea ferrata, al momento della sua costruzione (Napoli - Capua) che, come è noto, fu inaugurata nel marzo 1913.
Le rotaie si adagiavano su regolari traversine di rovere, sostenute da una massicciata in rilevato biancastra, che solcava, spesso in rettilineo, il verde intenso e ricco della campagna napoletana, composta da tanti alberi da frutta, rigogliosa e lussureggiante.
Ricordo i "pasteni” di mele Annurche di Mugnano, i "pasteni” di cachi (le famose “legnasante” di Mugnano e Calvizzano), i ciliegeti di Chiaiano, i “pasteni” di pesche e “percoche" di Scampia (un tempo Scampia era la piana agricola di Piscinola) ma, soprattutto, ricordo i cachi maturi e dorati, che rimanevano sugli alberi spogli di foglie, fino all’approssimarsi del Natale, quando la campagna diveniva tutta brulla, in attesa dell'inverno.
Poi tutto ritornava uguale a prima, in un alternarsi periodico e costante. Così ogni anno...! E chissà da quanti secoli prima, fino ad allora...!
In primavera era uno spettacolo straordinario! La campagna si colorava di fiori variopinti (il rosa delle pesche, il giallo delle rape, il bianco dei ciliegi, delle prugne e delle pere. Poi, quando i petali cadevano a terra, spesso il vento li risolleva, generando un fantastico paesaggio con fiocchi di neve colorata, che si spostava qua e là, trascinata dal vento...
Veramente un sogno...!
Stazione di Scalo Merci (via D. Bosco), fotogramma tratto dal film "Napoli, sole mio"
Il treno attraversava questo paesaggio, dove era difficile scorgere case, talmente che era sconfinato e denso di verde. Solo i raggi del sole, spesso al mattino, penetravano a tratti nella vegetazione, generando continui flash di luce, che illuminavano l'interno dei vagoni e irradiavano il volto e gli occhi dei viaggiatori.
Non c'erano recinzioni tra la linea ferrata e la campagna circostante, era un tutt'uno: una simbiosi quasi perfetta, che non stonava, anzi, incantava a vederla, specialmente quando d'estate il sole picchiava a mezzogiorno, e faceva sembrare ancora più bianca e splendente la massicciata di brecce bianche.
Stazione di S. Maria Capua Vetere - S. Andrea
I vari poderi, che costeggiavano la linea della "Piedimonte", erano collegati tra loro da viottoli sterrati, che attraversavano i binari in più punti, attraverso dei passi carrai, anche se  essi nacquero come pedonali.
Erano realizzati con del pietrischetto giallastro, cosparso e battuto a livello delle rotaie, per permettere l'attraversamento di carriole e biciclette. Ai margini dei passi erano sistemate quattro colonne di marmo bianco, di forma cilindrica, alte quasi un metro e poste a coppie: una coppia di fronte all'altra; ogni coppia di colonne erano collegate tra loro con doppie catena.
Dopo alcuni anni le catene scomparvero, non si sa per mano di chi... Sicuramente queste erano di intralcio all'attraversamento dei binari con mezzi rotabili.
Ai lati della linea ferrata c'erano poi due camminamenti, sempre in terreno battuto, larghi circa mezzo metro ognuno, che venivano chiamati dai contadini “'o lemmate" (forse dal termine "limite") ed erano utilizzati dai guardiani cantonieri della "Piedimonte", per eseguire l'ispezione giornaliera dei binari, a bordo delle loro biciclette.
Ricordo ancora il guardiano del lotto, che sorvegliava la nostra zona; strinse una bella amicizia con mio padre. Si prestava volentieri a dare anche un'occhiata al nostro poderino e, frequentemente, papà gli regalava della frutta.
La "Piedimonte" scandiva con il suo passaggio il passare del tempo: veniva usata da molti concittadini come un orologio sonoro, in maniera simile alle campane della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, protettore di Piscinola. Infatti quando si era nei campi non portavano con essi orologi e, unitamente alla posizione del sole, costituiva un modo semplice per stabilire l’ora.
Foto ricordo a bordo della elettromotrice E2, 2009
Mia madre ricordava a memoria l'orario dei treni e sapeva dire velocemente a quale corsa apparteneva la vettura in transito. Infatti quando il treno "transitava" si sentiva un tremolio non indifferente al solaio di casa nostra e si sentiva pure lo stridore delle ruote, quando i convogli frenavano. Spesso il treno emetteva qualche fischio per segnalare il suo imminente transito alla vicina stazione di Piscinola, distante appena duecento metri da casa nostra.
Le prime corse avvenivano intorno alle sei del mattino e le ultime verso le nove-dieci di sera. Ricordo che quando il treno transitava la sera inoltrata, soprattutto in estate, si diffondevano fasci di luce provenienti dai fanali in testa al locomotore. Essi illuminavano a tratti la campagna ed il paesaggio notturno: disegnava, qua e là, ombre mobili un po’ fantastiche, in base ai cespugli ed ai fusti d'albero, che incrociava il fascio di luce. D'inverno, invece, i fari si vedevano netti, a causa della scarsità della vegetazione."
 
Stazione di Aversa, della nuova ferrovia "Piscinola-Aversa"

Note conclusive: 
"Concludo questo mio racconto, scritto per celebrare il Centenario della inaugurazione della Ferrovia ”Napoli Piedimonte”, incentrato sui miei ricordi, riguardanti la cara e vecchia “Piedimonte”, con l’inserimento in “Appendice” di una serie di scritti e racconti di altri autori, dedicati alla mia cara ferrovia.
Spesso chi prende delle decisioni così importanti, quali quelle di sopprimere una linea ferroviaria, esegue solo una valutazione sistemica (costi-benefici), ma non valuta o addirittura ignora i valori umani ed i sentimenti di cui essa è portatrice nel contesto sociale di appartenenza.
Non viene mai valutato il valore culturale ed etico che si cela dietro a semplici impianti e traversine. Le ferrovie sono a tutti gli effetti parti integranti del tessuto urbano, al quale appartengono a pieno titolo. Le loro vestigia sono dei siti di archeologia industriale e come tali vanno protetti e conservati. 
Per quanto riguarda la “Piedimonte”, ci resta l’orgoglio di condividerne la memoria e la consapevolezza di conservarla come un vanto tra i nostri ricordi più belli.
Tanti auguri ancora “Piedimonte”: lunga vita alla “nuova”!" 
Salvatore Fioretto

Il contenuto di questo post è stato tratto dal libro "C'era una volta la Piedimonte", di S. Fioretto, stampato dalla casa tipografica "Athena", nella riedizione dell'anno 2014.

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