sabato 27 gennaio 2018

Pioppi e Salici, per una terra feconda di essenze, al servizio dell'uomo


"Finalmente raggiungemmo la pianura di Capua … Nel pomeriggio ci si aprì innanzi una bella campagna tutta in piano…. I pioppi sono piantati in fila nei campi, e sui rami bene sviluppati si arrampicano le viti…. Le viti sono d’un vigore e d’un’altezza straordinaria, i pampini ondeggiano come una rete fra pioppo e pioppo.”

J. W. Goethe
E’ il commento che Johann Wolfang von Goethe riportava nella sua opera “Viaggio in Italia”, opera scritta tra il 1813 e il 1817, che descrive il resoconto di un Grand Tour eseguito in Italia, tra il 3 settembre 1786 e il 18 giugno 1788.
Con questo autorevole commento del celebre scrittore e poeta tedesco, dedicato alla nostra Campania Felix, introduciamo l’argomento di questo post, che è dedicato a due essenze botaniche illustri, possiamo dire autoctone del territorio, in quanto già esistenti ai tempi degli Etruschi e poi, degli Osci, dei Greci, dei Romani, dei Goti, dei Bizantini, dei Longobardi e, via dicendo, fino al secolo scorso: parliamo del Pioppo e del Salice Rosso, appartenenti alla famiglia delle Salicaceae. 
Il termine botanico del Pioppo è Populus, che vorrebbe significare, secondo alcuni: “Popolo dei fiumi”, e deriverebbe dal fatto che esso predilige i luoghi umidi e trova il suo habitat naturale lungo i corsi dei fiumi, dove nasce spontaneo o viene intensamente coltivato, come in Pianura Padana.
Veduta di Napoli dalle colline, di Kiep, amico di viaggio di Goethe, 1787
Per un’essenza antica, ovviamente, non potevano mancare delle leggende mitologiche ad essa legate.
Per il Pioppo Nero: Fetonte, figlio del Sole e dell'oceanina Climene, chiese al padre di poter utilizzare il carro solare. Purtroppo avendone perso il controllo, tanto da rischiare la distruzione della Terra, il padre celeste fu costretto a colpirlo, facendolo precipitare nel fiume Eridiano. Le sorelle, le Eliadi, disperate furono trasformate in funerei Pioppi Neri, da cui colano lacrime che si induriscono al sole, l'ambra. Per tal motivo, il Pioppo Nero fu sempre considerato un albero funerario, sacro alla Madre Terra.
In epoca storica "Gaia" era ancora consultata a Egira, in Acaia, toponimo che significava “il luogo dei neri pioppi“. Qui le sacerdotesse bevevano sangue di toro, veleno letale per tutti gli altri mortali. Ulisse nei corso del suo viaggio nell'Aldilà si imbatte nei Pioppi Neri del bosco di Persefone, insieme con i salici, ad indicare la soglia che divide i vivi dai morti.
Veduta dall'alto di Piscinola, con diversi appezzamenti coltivati a vigneti e pioppi, anno 1943 ca.
Il simbolismo funereo del Pioppo Nero è riconducibile alla Terra e al ciclo di vita-morte-vita. Il pioppo era sacro anche a Zeus (Giove nella latinità). La tradizione narra che le foglie che erano poste verso l'interno della testa conservarono il loro colore, mentre le altre si scurirono per il fumo degli inferi: perciò esso divenne il simbolo della dualità che vi è in ogni cosa, in linea ancora una volta con Madre Terra

Il Pioppo Bianco, invece, è ricordato nel mondo ellenistico con il termine di Leuke. Leuke, era una meravigliosa ninfa, per sfuggire ad Ade, perdutamente innamorato di lei, tanto che la voleva per sé, si trasformò in un Pioppo bianco, che il "Signore dell’Oltretomba" portò nel suo mondo e pose accanto alla magica fonte Mnemosine, ovvero la Fonte della Memoria, la cui acqua poteva far accedere i degni defunti all’immortalità (gli eroi)
Filari di viti maritate a Pioppi, in una campagna di Piscinola, 1991
Eracle (Ercole della latinità), per riuscire la sua dodicesima fatica, che era rappresentata dalla discesa agli inferi (Ade) e dal combattimento contro un gigante, si cinge la testa di una corona di rami di Pioppo Bianco (Leuke), raccolto accanto alla fonte Mnemosine. L'allegoria viene interpretata come la rinascita avvenuta attraverso il passaggio nel regno oscuro e la conoscenza ottenuta attraverso la morte momentanea...
Originario dell’emisfero occidentale, il genere “Populus” comprende un discreto numero di sottospecie, tutte relativamente frequenti nei boschi di pianura, ma anche in quota; tra queste: Pioppo Nero (Populus nigra), Pioppo Bianco (Populus alba), Pioppo Trémolo (Populus tremula), Pioppo Gatterino (Populus canescens); per alcune di queste, oltre a raggiungere importanti altezze della chioma (fino a 20 metri), possono vegetare fino e oltre i 200 anni.
Nel nostro territorio hanno trovato vita fertile due specie molto longeve: il Pioppo Gatterino, utilizzato per produrre steli e pali di sostegno e il Pioppo Nero, usato per produrre i legacci per fissare i tralci delle Viti; quest’ultimo si è evoluto nei secoli in una varietà tutta locale, che verrebbe identificato con il termine di Pioppo Campano.
Pioppo secolare (Gatterino) in una campagna di Piscinola, foto anno 1987
Il principale utilizzo di queste essenze è stato quello di sostegno alla coltivazioni delle viti, di produzione di legna da ardere e di tanti altri piccoli utilizzi durante le attività umane, che meglio tratteremo nel continuo del discorso.
La tecnica agricola di sostegno della Vite al Pioppo risale al periodo etrusco e viene detta "Vite Maritata al Pioppo". La disposizione dei pioppi in fila, chiamata in gergo tecnico “Piantata”, era realizzata impiantando alberi di Pioppo in maniera alternata a dei sostegni a palo provenienti dalla potatura delle sue chiome (Spalatrune); questi ultimi venivano sostituiti ogni paio d'anni. Le viti venivano piantate a gruppo di 5-6 per postazione e portate alte, raggiungendo altezze considerevoli, fino e oltre 10 metri...
I tralci delle viti, tesi tra due Pioppi contigui, erano disposti “a filare”, ossia a pettine oppure, come nell’aversano, "a ventaglio" (Uva Asprinio). Questa disposizione (ne  abbiamo parlato più diffusamente nel post dedicato al Piedirosso), favoriva la coltivazione intensiva del fondo, sia con impianto di alberi da frutta (pesco, albicocco e pruno) e sia con la semina di cereali ed ortaggi ad uso domestico, dato che la distanza di due filari adiacenti era di almeno 10 metri.
Pioppo secolare (Nero) in una campagna di Piscinola, foto anno 1987
La tecnica d'impianto “Vite maritata al Pioppo” è antichissima, infatti, introdotta dai Greci, era già largamente diffusa ai tempi dei Romani, come lo attesta lo storico Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale” (Historia Naturalis), dove racconta che: “nell’agro campano le viti si maritano al pioppo; avvinghiate alle piante coniugi e salendo su di esse di ramo in ramo… ne raggiungono la sommità ad un’altezza tale, che il contratto di chi viene ingaggiato per la vendemmia prevede (in caso di caduta mortale) il risarcimento delle spese per il funerale e la sepoltura.
I Pioppi, trascorsa una decade dall’impianto, iniziavano a produrre gli steli comunemente utilizzati dagli antichi contadini come sostegni ai tralci di Vite oppure, come pali da recinzione o semplicemente come legna da ardere. I rami più piccoli (furcine) erano utilizzati sostenere il bucato messo ad asciugare su corde, nel bel mezzo delle aie dei cortili e delle masserie. Il taglio dei rami veniva fatto con una specie di macete, che si chiamava “curtellaccio”.
Praticamente per il Pioppo succedeva un po’ come il maiale, non si buttava via niente...
Particolare legatura della Vite al Pioppo con giunco di Salice (foto repertorio)
Oltre al variegato uso dei tronchi, che abbiamo sopra descritto, i rami (frasche) erano utilizzati per sostenere i legumi: come piselli, fagiolini rampicanti e anche i pomodoro e, una volta secchi, venivano raccolti e legati in fasci, dette (fascine), utilizzate per alimentare i forni domestici, per la cottura di pizze e di pane casareccio. Gli avanzi dal taglio dei rami (tacche) si raccoglievano in sporte e servivano a conservare il fuoco nel camino durante le serate invernali.
Gli assi piccoli diventavano manici di attrezzi agricoli, piccoli e grandi. Per rendere il legno più forte e resistente agli insetti e alla umidità, si eseguiva un trattamento particolare, ma molto semplice. Dopo la potatura, nella fase di Luna crescente (int’‘a criscenza), si scorzavano per bene i tronchi e si lasciavano asciugare al sole. Diventavano durissimi, più leggeri e durevoli per parecchi anni.
Funghi di Pioppo (foto di repertorio)
I funghi prodotti sui tronchi secchi di Pioppo, detti comunemente “Piopparelli”, sono una vera prelibatezza, per profumo e per sapore. Si sviluppano a tarda estate, dopo i primi temporali o in primavera. Erano le cavità formatesi sulle cime dei pioppi secolari (chiamate in gergo locale “Scafonge”) a essere il luogo ideale per la produzione dei funghi, favoriti dal particolare ambiente, molto umido e ricco di humus. Infatti dentro queste cavità avveniva la marcescenza del fogliame, caduto durante l’autunno precedente, con il contributo dell'acqua piovana che vi stagnava. L’immagine che si presentava al ricercatore di funghi era davvero eccezionale..., un profumatissimo e compatto strato bianco, rappresentato dai cappelli di tantissimi funghi accostati gli uni agli altri, senza vuoti... Una sensazione bellissima!
Salice Rosso innestato sulla chioma di un Pioppo. Piscinola, anno 2009
Un timidissimo roditore, che abitava sulle chiome e nelle cavità dei Pioppi era chiamato dai contadini: 'o Valerio, ed era ghiotto di uva fragola (fravulella) e di noci.
Una nota merita anche il Salice rosso (Salix Purpurea), utilizzato per la produzione di legacci, per il fissaggio dei tralci delle viti ai tutori. Spesso i Salici erano innestati sulla sommità dei Pioppi, con due vantaggi: la produzione annua di legacci e il contenimento dello sviluppo del tronco e delle radici del Pioppo e, quindi, la minore interferenza alle viti impiantate alla base del tronco.
Era bello osservare il paesaggio del territorio in inverno, sovente dai finestrini del treno della Piedimonte, durante i suoi viaggi..., si era particolarmente colpiti dalla presenza dei Salici Rossi che, con il loro bel coloro giallo oro, si distinguevano, a macchia di leopardo, nel paesaggio brullo, sterminato, tra Pioppi e Viti, disseminato qua e là di piccole masserie...

Campagna nella provincia di Napoli con pioppi secolari, foto sulla copertina dell'LP del complesso "Napoli Centrale"
A distanza di decenni le campagne sono scomparse ed il paesaggio, una volta lussureggiante di verde e fertilissimo, è solo un dolce nostalgico ricordo, eppure ancora oggi questo antico albero, che tanto ha dato al nostro territorio, continua a riprodursi spontaneamente... Sembrerebbe una considerazione sentimentalistica, e in parte lo è, ma chiunque può constatarlo, osservando sulle scarpate delle strade o nelle aiuole abbandonate l'inusuale presenza di questi alberi pieni di piccole foglie brulicanti al leggero soffiar del vento. 
Il Pioppo è intimamente legato alle sorti di questa terra, nel bene e nel male, come lo consideravano gli antichi: l'impersonificazione della Madre Terra e lo spartiacque tra il bene e il male, il passaggio tra il passato ed il futuro, per donare la conoscenza attraverso il passaggio generazionale... !
Salvatore Fioretto

Le foto inserite in questo post sono in parte personali dell'autore, mentre altre sono state tratte da alcuni siti Internet e liberamente pubblicate in questo  blog, senza scopo di lucro, ma solo per la libera diffusione della cultura. E' vietata la riproduzione e la pubblicazione, senza le necessarie autorizzazioni.

Foto di una campagna di Piscinola con viti e pioppi, anno 2007

4 commenti:

  1. è sempre un piacere leggerti, a tratti sei poetico

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  2. Complimenti e grazie per l’ottimo articolo. Il migliore che ho trovato in rete sia per poetica, sia per la conoscenza agraria e botanica dell’argomento. Mi ha fatto ritornare al periodo della mia infanzia (anni 80’) e la mia terra ora un po’ lontana (vivo nelle Marche). Ricordo sempre la bellezza e la verticalità delle alberate ancora frequenti in quegli anni che insieme alle lunghe file di noci sugli “stradoni” differenziavano il paesaggio un po’ monotono della pianura e divenivano riferimenti e “stelle polari” per il ritorno se ci allontanavamo troppo nelle nostre scorribande tra i campi. Ricordo anche il particolare odore delle gemme del pioppo quando si schiudevano a marzo e le essudazioni appiccicose della linfa ma soprattutto le vertigini e la paura quando ci toccava dover raggiungere le “scafonge” più alte ( da noi si chiamano “carafocciole”) per raccogliere i funghi oppure per ripulire le capitozzature dei pioppi, delle vere e proprie sfide con se stessi, tuttavia tra il rischio probabile di cadere e la certezza di una scarica di calci nel sedere in caso di disobbedienza (...ah, i padri di una volta)si preferiva la prima opzione.Io personalmente anziché usare lo scalillo preferivo raggiungere le cime attraverso il tronco e le liane della vite . Oggi il paesaggio agrario dell’agro aversano e molto cambiato, pioppi e noci ombriferi sono rari, gli stradoni più aridi e polverosi e troppo spesso disseminati di discariche. I contadini per viltà o disinteresse non hanno saputo difendere il loro tesoro e ciò è imperdonabile. Grazie di nuovo.

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  3. Grazie caro lettore, seguici ancora. p.s. Le foto che hai notato nel post sono i miei pioppi, direttamente curati e sistemati da me nell'età della giovinezza, oggi dolce ricordo.

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