sabato 16 novembre 2013

Vincenzo Aruta, detto "'o pazzariello", uno spirito geniale...!


Vincenzo Aruta, durante una pausa pranzo di lavoro

Non era proprio un giovanotto di primo pelo nonno Vincenzo Aruta ‘o pazzariello quando fu costretto a partire per la maledetta guerra del ’15/’18: aveva già una moglie, la bella Michela, e una figlia, Angela. L’ultimo anno di quella terribile guerra portò la vittoria dell’Italia ma anche un terribile flagello: l’epidemia di un’influenza mortale, la Spagnola, diffusa in Europa dalle truppe americane. E fu così che, quando ritornò dal fronte, a nonno Vincenzo successe quello che viene descritto in una famosa canzone napoletana: “Nennella toia è morta e sta atterrata”; la giovane moglie era morta, lasciando orfana la piccola Angela. 
La preoccupazione più grande del nonno, distrutto dal dolore, era per la figlioletta: come badare a lei? A chi affidarla durante le lunghe ore di lavoro sui cantieri? Una matrigna non l’ avrebbe trattata male? Fu per questo che amici e parenti gli consigliarono di sposare la sorella della moglie defunta, la diciottenne Anna, detta Nanninella. La giovane cognata non aveva il giudizio e la bellezza della sorella ma possedeva una grande qualità: era la bontà fatta persona, e fu soprattutto questa qualità, che la caratterizzò fino alla morte, a far decidere nonno Vincenzo per il sì.  Il connubio fu saldo, anche se sembrò sempre stranamente assortito: il nonno era un bell’uomo e, soprattutto, era dotato di uno spirito geniale, tanto da diventare uno degli uomini più popolari e amati di Piscinola; la nonna, invece, visse nella sua ombra, dandogli altri nove figli (di cui due, frutto di un parto gemellare, morirono in culla) e, molte volte, nella sua mitezza, subì sorridendo gli scherzi del marito, come quando le fece credere che un cocchiere avesse agganciato, con la sua frusta, la coda di un aeroplano che aveva sollevato fino al cielo carro, cavallo e cocchiere. 
Il pazzariello abitava, con la numerosa famiglia, in un vecchio palazzo situato in via Vittorio Emanuele, tra la sede dell’associazione del Sacramento e la macelleria di Chianculone e, dal balcone della casa, risuonavano spesso in strada le vivaci battute che si scambiavano i genitori, le sei figlie e i due figli minori. Nonno Vincenzo era un abilissimo carpentiere e, grazie alla sua bravura, nel periodo tra le due guerre, il lavoro non gli mancò; anzi, spesso fu chiamato alla realizzazione di importanti opere, anche in altre regioni d’Italia; ma quello che lo rese indimenticabile non fu tanto la sua fama di grande lavoratore quanto quella di animatore nelle più importanti manifestazioni e nelle varie circostanze della vita di quartiere. “Ieri ho chiesto a mia figlia Angela di accorciarmi i pantaloni”, raccontava in tram agli amici, mentre si recavano al lavoro ” Mi ha detto che non poteva perché aveva da fare. Allora l’ho chiesto a Maria, poi a Michela, a Vera, a Pasqualina, a Salva, ma mi hanno dato tutte la stessa risposta. Sono uscito di casa molto dispiaciuto. Poi, le mie figlie, pentite, hanno cambiato idea e, così, senza dirlo alle altre, ognuna di loro mi ha accorciato i pantaloni…e stammatina, invec’e nu cazone, me so’ truvato na mutanda!”; e qui, la gente, che aveva fatto capannello intorno a lui, si spanciava dalle risate; come pure quando tirava fuori dalla tasca una camicina da neonato e vi si soffiava il naso, fingendo che le figlie gliel’ avessero data per errore invece del fazzoletto; o quando iniziava a grattarsi dalla testa ai piedi nel tram affollato, facendo spazio intorno a sé perché chi non lo conosceva bene lo credeva infestato da pulci e pidocchi. 
La famiglia Aruta. Vincenzo Aruta è il primo a destra
Nonno Vincenzo era amante della vita, delle belle donne e del buon vino e non si sottraeva mai agli inviti della collettività piscinolese quando c’era bisogno di un animatore dotato di carattere e di umorismo; il “contranome” che avrebbe, da lui in poi, contraddistinto la sua famiglia fu ‘o pazzariello proprio perché non disdegnò di andare in giro, bardato di tutto punto, a pubblicizzare i nuovi esercizi con delle trovate irresistibili; né mancò mai al suo compito di banditore d’asta, condotto al palco in sella ad un asinello e scortato dalla banda, nel corso della festa del SS. Salvatore; in quelle occasioni, si trasformava in un vero e proprio showman e la folla dei Piscinolesi, anche di quelli più severi, si sganasciava dalle risate; nel corso di una di queste aste, ad esempio, nel presentare alla folla un enorme reggiseno donato da una merceria, lo fece passare come appartenente a Maria, la più prosperosa delle sue belle figlie; inutile dire che le offerte per quel capo di biancheria salirono alle stelle, fra il divertimento generale. 
Poi, purtroppo, nel 1940 arrivò in Italia una nuova terribile guerra e le cose cominciarono ad andar male un po’ per tutti, specialmente per chi lavorava nel campo dell’edilizia perché, ormai, le case non si costruivano, anzi venivano distrutte dalle bombe. Per nonno Vincenzo e per la numerosa famiglia cominciarono tempi molto duri; come in tutte le famiglie in quel triste periodo, furono i giovani a doversi arrangiare come potevano; la fame dilagò e finirono le feste e l’allegria. 
Nel dopoguerra, la patologia cardiaca, di cui nonno Vincenzo soffriva, si aggravò e non gli permise più di condurre la vita di prima. 
Quando, all’inizio degli anni ’50, quest’ uomo indimenticabile morì, al suo funerale partecipò tutto il quartiere, tributandogli un omaggio di lacrime e di affetto. 
Io non ho avuto il piacere di conoscere nonno Vincenzo perché scomparve poco dopo la mia nascita ma vive in me attraverso le infinite leggende che mi sono state raccontate da amici e parenti e attraverso l’eredità, del suo folle e geniale umorismo lasciata ai figli, specialmente a Raffaele, Vera e Tonino, e alla schiera dei nipoti a cui ho l’onore di appartenere.
AnnaMaria Montesano
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