sabato 23 novembre 2013

Buon appetito... dai fratelli Sarnacchiaro...!! Di Luigi Sica



I fratelli Sarnacchiaro erano anche loro cantinieri, ma il locale era strutturato a modo di trattoria, nel primo c’era il bancone di mescita dei vini, una cucina in muratura e quello attiguo con grandi tavole da sei posti con tovaglie a quadroni rossi e blu. 
Dal primo locale cucina, si entrava in un minuscolo servizio e mediante tre soli scalini in un cortile all'aperto, interamente coperto da tralci di glicini posti negli angoli del vasto rettangolo. In primavera quei tralci formavano un pergolato così fitto che davano ombra ed era spettacolare, tanto per il colore delicato di viola chiaro quanto per il profumo emanato dai fiori
Era una trattoria rinomata nel borgo ed anche fuori, talvolta di domenica mattina dalla "Piedimonte" sortivano gruppi e famiglie d’avventori che chiedevano l’indicazione della trattoria Sarnacchiaro e noi subito indicavamo l’insegna della farmacia del dott. Chiarolanza, che confinava proprio con la trattoria. 
Ancora oggi che ci penso mi sembra una stranezza come in un villaggio così piccolo ci fossero tante osterie, perché oltre a Don Lorenzo e i fratelli Sarnacchiaro, c’erano ancora la trattoria dei Di Guida in via del Plebiscito e quella dei ‘Carmusine’ in via V. Emanuele.
Brindisi tra amici nel giardino della taverna Sarnacchiaro, foto anni '60
La specialità dei fratelli Sarnacchiaro era la minestra maritata che non descriverò (potete trovarla su Internet), il fritto di anguille, terrine di gnocchi con ragù e il fritto di paranza o all’italiana che comprendeva cervello di manzo, verdure in pastella (come i fiori di zucca ripieni di ricotta), panzarotti di patate, arancini e sartù di riso, la celebre ciambotta estiva, oltre al rinomato coniglio alla cacciatora, pollo fritto con patate o al forno, frittura di baccalà, o bucatini alla scarpariello, le "pizze di maccheroni" o di maltagliati con la salsa di pomodoro e infine l’impagabile e inarrivabile, "risotto con salsicce e friggiarelli", il fegato o il cuore con le cipolle e il sublime spaghetti aglio, olio, prezzemolo e peperoncino, che spesso comportavano una variante, succulenta e divina, con noci nostrane, acciughe in salamoia, pane grattugiato e aspersione di prezzemolo tritato freschissimo, appena colto dalle piantine. Quando cucinavano la minestra maritata, specie nei giorni di Pasqua, molte famiglie ordinavano e ritiravano minestra cotta con carne di pollo podolico, per sei, sette pozioni ed anche di più. Credo che qui avessimo una ricchezza, paragonabile a tanti agriturismi, un tesoro di conoscenze gastronomiche tradizionali, di cui conservo memoria e tuttora propongo ai miei commensali, come gli "spaghetti con le noci", che si rifletteva anche su un possibile indotto, penso anche al vino Fragola e di più al grande vino Per’e palumme, dagli acini leggermente ricurvi che qui era un vitigno spontaneo e del possibile incremento di un Asprino leggermente meno aspro di quello aversano.
Ebbi un barlume di speranza quando, tempo dopo, s’ipotizzò di portare a Piscinola una succursale della scuola alberghiera, poi confinata ad Agnano, navigai non poco con la fantasia, sulla possibilità di introdurre nei piani di studi, queste nostre specialità, così come accaduto con la cucina della costiera sorrentina o di quella puteolana e bacolese, che hanno cambiato con notevole successo la ristorazione nazionale e internazionale con l’apporto delle filiere tradizionali rivisitate in chiave meno grassa. Quest’opportunità di sagre locali, indette da associazioni di concerto con comuni e municipalità, volte alla promulgazione di un’autentica cucina contadina o povera, non è stata mai colta.
Ingresso della taverna: tra i personaggi, il mitico Ziki Baki
Vuoi per la tipica indolenza piscinolese ma soprattutto per l’idiota ignoranza dei nostri politici che non hanno saputo o voluto vedere, anche in queste semplici cose, l’occasione di un diverso possibile sviluppo economico e sociale di Piscinola.
Eppure bastava vedere cosa accadeva nelle plaghe della costiera sorrentina e flegrea in generale ed invece hanno perseverato nell’ignoranza, non credendoci sino in fondo, come sta accadendo nei paesi e piccoli centri dell’area aversana, avellinese e beneventana, dove la ripresa economica si sta realizzando anche mediante una fioritura d’impresa privata che investe in agriturismi ma soprattutto in cantine ristoranti a medio-basso costo, che propongono proprio la riscoperta della tradizionale cucina povera contadina, anche mediante la vendita di salumi, vini, formaggi e prodotti tipici d’artigianato, richiamano sia un turismo mordi e fuggi che stanziale, cose ormai entrate nel costume di molta popolazione nella cosiddetta era del tempo libero.  

Tratto da "Cantine storiche di Piscinola" – parte II, di Luigi Sica
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Banchetto nel giardino della taverna Sarnarchiaro, foto fine anni '60

6 commenti:

  1. Caro Luigi, un racconto davvero " gustoso e succulento". Ricordo bene la cantina dei Sarnacchiaro e la celebrità della sua minestra maritata e tu hai saputo riprodurre odori e sapori di un mondo quasi scomparso con vera maestria. Con affetto. AnnaMaria Montesano.

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  2. grande Giggino tabbaccaro.
    Ci hai fatto riassaporare gusti ormai perduti.
    pasquale di fenzo

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  3. le persone raffigurate nella foto piccola sono, da sinistra:
    Salvatore Silvestri detto Papaccella, Zi chibago e Urzulella (Orsola) Sarnacchiaro. Seduto Aniello 'o cuzzaro.
    pasquale di fenzo

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  4. così vicini e così..sconosciuti! grazie per la preziosa testimonianza. Aurora Giglio

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