sabato 19 luglio 2025

I genitori di Sant'Alfonso.... La breve biografia di Don Giuseppe de Liguori e D. Anna Cavalieri

Approssimandosi la prima festa dell'anno dedicata a Sant'Alfonso Maria de Liguori, che ricorda la sua nascita al cielo, infatti morì il 1 agosto del 1787, Piscinolablog, secondo una consuetudine che ripetiamo ogni anno, dedicando un post alla biografia del Santo nato a Marianella, quest'anno ha scelto un argomento poco trattato dai biografi ma degno di essere ricordato ai lettori e simpatizzanti di storia della nostra terra e in particolare di Marianella, ossia la biografia dei genitori di Sant'Alfonso, che furono il cavaliere e capitano don Giuseppe e la nobildonna Anna Caterina Cavalieri. Questa breve e rara biografia è stata tratta da un articolo scritto da don Francesco Minervino (che fu padre redentorista originario di Marianella), e pubblicato sulle pagine del periodico: "S. Alfonso", nell'anno 1987. 

Ecco il testo:

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I GENITORI DI S. ALFONSO

"La casa è un santuario ove si compiono gli augusti misteri della vita: si dà la esistenza, si nasce, si vive, si muore... E' un giardino dove fioriscono le gioie più care, le virtù cristiane, che impregnano la famiglia del loro grato profumo ... E' un tempio, da cui sale a Dio l'incenso della preghiera, che attira poi su di essa le divine benedizioni.
Fondamento della famiglia sono i genitori, due esseri che Dio chiama a far parte della sua potenza creativa,come strumenti materiali nel mettere al mondo nuove creature umane, di cui Egli si riserva la creazione dell'anima, ad essi lasciando la formazione del corpo.
E' nella famiglia che si promuovono e si sviluppano i germi del bene: i figli seguono l'esempio dei genitori e, se in vita saranno costanti nel servizio di Dio e nella pratica della virtù, si deve appunto alla educazione e formazione ricevute in famiglia.
I genitori di Alfonso erano virtuosi e saggi, e sia il padre che la madre vivevano. di fede e di ardente carità verso Dio e il prossimo. Il figlio non poteva non essere edificato dal loro comportamento per cui, fin all'infanzia, cominciò a progredire nel cammino della virtù e della perfezione. Vogliamo dare uno sguardo a questi pii genitori, per elogiarne le virtù.

IL PADRE

Padre di Alfonso fu il signor de Liguori Giuseppe Felice, di Andrea e Mastrella Gaetana. Nacque a S. Paolo Belsito (Napoli), il 5 febbraio 1670; fu battezzato 1'11 febbraio dello stesso anno; e morì il 15 novembre 1745 a Napoli (Marianella), assistito dal P. Francesco Saverio Rossi espressamente inviato da S. Alfonso impegnato nelle missioni. Fu sepolto nella venerabile congregazione della Misericordia della Parrocchia dei Vergini. Da documenti trovati nell'Archivio di Vienna e da altri rintracciati nell'Archivio di Napoli, possiamo conoscere molte cose riguardanti la sua prima età e il servizio prestato presso la Regia Squadra delle Galere. Il suo bisnonno, D. Giuseppe Antonio de Liguori, era capitano «a guerra» e governatore dell'isola di Nisida. Sulle sue orme, il nonno D. Alfonso de Liguori, era arruolato tra i cavalieri corazzati e, da capitano, prestava servizio nel ducato di Milano; tornato a Napoli, nei torbidi di aprile del 1648, si guadagnò la riconoscenza del re Filippo IV e speciali encomi dal figlio D. Giovanni d'Austria.
Il padre di D. Giuseppe, D. Domenico de Liguori, navigò, col grado di capitano, nel reggimento di D. Giacinto Suardo, raggiungendo nel 1667 il mare Oceano e le coste del Portogallo. Rientrato in patria, sposò a Nola, nel 1668, una vedova, D. Andreana Mastrillo, già madre di una figlia, Eleonora.
Da questo connubio nacquero il primogenito Giuseppe ed, in seguito, le sorelle Geronima ed Ippolita. Senonché, nei primi mesi del 1676 (Giuseppe aveva appena 6 anni), D. Andreana se ne morì, e suo marito passò a seconde nozze con D. Agnese di Franco. L'infanzia dunque di D. Giuseppe fu poco felice, tra una sorellastra più anziana ed una matrigna subentrata alla madre morta. 

Giovanissimo, nel 1690-91, decise anch'egli di far parte della milizia, e fu addetto alla galera «Capitana» col semplice incarico di «aventurero» in attesa che restasse libero un posto di ruolo. Visse da allora con pienezza giovanile la carriera militare ove, colla qualifica di «intrattenuto», il 20 agosto 1692, gli fu assegnata la pensione di suo padre.
Avvenne così, dopo qualche anno, il suo matrimonio con D. Anna Caterina Cavalieri da cui ebbe con Alfonso ben 8 figli.

Così descrive il Tannoia (biografo di Alfonso) i suoi sentimenti religiosi: «Unì D. Giuseppe alla nobiltà dei natali un viver esemplare e tutto cristiano; frequentava le chiese e i sacramenti; e fu esente da quei trasporti militari, che talvolta mettono in dimenticanza l'onore di Dio, e la propria anima. Andando in corso colle galere, il suo stanzino sembrava una cella di Camaldolo. Oltre a l'esser piena di immagini sacre, portava con sé quattro statuette, di circa palmi due, di Gesù appassionato, che poi donò al figlio, e ora si venerano nella nostra Casa di Ciorani; cioè Cristo nell'Orto, alla Colonna, mostrato al popolo, e colla Croce sulle spalle; e diceva che, da questa sua devozione a Gesù addolorato, ricevuto aveva delle molte grazie, e singolari».

Certamente, per i suoi obblighi militari e anche per le pubbliche cariche che esercitava, doveva più volte assentarsi di casa, ma quando tornava in famiglia, coadiuvato dalla sua piissima consorte, era tutto dedito a versare nei figli quel complesso di virtù morali e cristiane di cui egli stesso era adorno. E i figli corrispondevano pienamente alle direttive dei genitori: erano coscienti dei propri doveri; temevano Dio e il male; amavano la preghiera; e si preparavano con slancio alla esecuzione di quei disegni, a cui Dio li avrebbe destinati. Alfonso ebbe nel padre un sublime maestro di profonda e soda pietà cristiana.
(Da un'altra fonte sappiamo che Giuseppe de Liguori abitò nella sua dimora di campagna a Marianella fino alla sua morte, dilettandosi a dipingere miniature. n.d.r.).  

LA MADRE

Madre fortunata di Alfonso fu la signora Cavalieri Anna Caterina. Era nata a Napoli, il 24 novembre 1670, da Federico Cavalieri ed Elena di Avenia. A quattro anni, per la morte della madre rimase orfana e, poiché le due sorelle maggiori. Teresa e Cecilia erano entrate nel chiostro delle Cappuccinelle, restò sola in compagnia del padre e dei fratelli. A 14 anni varcò anch'essa la soglia del monastero, ma come educanda, e vi restò fino all'anno 1695 quando, all'altare del Duomo, si unì in matrimonio col giovane patrizio D. Giuseppe de Liguori.

Il tempo di raccoglimento e di preghiera trascorso tra le Figlie di S. Francesco non poté non incidere sulla fisionomia spirituale e morale della futura madre di Alfonso. Anima e fulcro di quella educazione fu la devozione verso la Madonna, che doveva trasfondere nel cuore del suo primogenito. Il Tannoia così scrive di lei: « Fu dama troppo cara a Dio, e di un merito assai singolare ... , donna di orazione ... , sollecita per la cura dei figli e nel soddisfare i doveri di sposa».
Nemica del lusso, del teatro e dei civili convegni, amava come una religiosa claustrale il raccoglimento interiore. La chiesa era il ritrovo del suo spirito anelante alle promesse eterne; e il focolare domestico era il nido del suo cuore. Riteneva la Messa come il sole della sua giornata; e nella recita del Breviario ritrovava la rugiada rinfrescante il suo cammino spirituale.
Ogni giorno, quando la orazione non le sottraeva totalmente il tempo, usciva di casa e si portava a visitare le case oscure e lercie dei poveri, gentile dispensatrice di danaro, di cibo e di conforti religiosi.
Nell'autunno del 1755, D. Anna, più che ottuagenaria, si avvicinò alla fine.
Venti anni prima, aveva scritto al figlio missionario: «Spero a Dio che voi mi avete a chiudere gli occhi quando muoro». Ed il santo mai dimenticò questo pio desiderio. «Se in morte di mio padre - diceva- ho rifiutato di portarmi in Napoli, facendo a Dio un sacrificio di quel che per natura era dovuto, nella morte di mia madre, se sono in tempo opportuno, non avrò cuore di non essere a consolarla».
Nel novembre dello stesso anno 1775, in procinto di partire con una ventina di compagni per la grande missione di Benevento, si fermò Alfonso tre giorni a Napoli accanto al capezzale della mamma: riprese poi il suo posto, colla benedizione di sua madre, per seguire i missionari. La notizia della morte gli giunse mentre si stava a desinare. «Benedetto Dio sempre - esclamò - E' andata in Paradiso mia madre».
Fu sepolta nella Real Arciconfraternita dei Nobili di Montecalvario sotto l'egida della Immacolata. Lasciava alla Chiesa quel suo primogenito figlio, il cui nome doveva tramandarsi nei secoli come l'impareggiabile cantore delle Glorie di Maria.

Furono questi i genitori di Alfonso: ai loro esempi e alla formazione ricevuta in famiglia deve gran parte della sua santità."

P. Francesco Minervino

(Dal periodico “S. ALFONSO”  Anno I • N. 2 • Mag.-Giug. 1987 -Periodico bimestrale della Parrocchia S. Alfonso)


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In occasione della festività di San Alfonso la redazione di Piscinolablog porge gli auguri di buon onomastico a tutti i lettori che si chiamano Alfonso e gli auguri all'intera comunità di Marianella e di Pagani.

S. F. 




sabato 5 luglio 2025

Storia di un operaio specializzato nella Piscinola degli anni sessanta. Un Viaggio tra amore, tradizione, innovazione... di Vittorio Selis

Le mie lezioni di International business di post graduate master iniziano sempre con la diapositiva che parla di amore in generale e poi per il proprio lavoro. Solo chi ama può andare oltre il 2+2=4. Dovendo parlare dei guanti fatti a mano, di Piscinola e del Made in Italy ho chiesto a una bella persona di raccontarmi in breve il suo rapporto iniziale con il suo mondo del lavoro. Con gioia il sig. Gianni Giannattasio mi ha inviato alcune foto, il suo libretto di lavoro e una breve storia facendo un meraviglioso tuffo nel suo passato. 

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“Dopo il collegio istituto San Paolo Pozzuoli. Frequento la scuola media al V. Emanuele a o Dante. Poi passo al V. Emanuele a san Sebastiano, dove abbandono nel secondo trimestre per un grave incidente occorsomi. Si spezzò la riga da disegno in legno e ho perso il cristallino occhio dx. All’epoca non c’era la possibilità dell’impianto del cristallino e ho tirato avanti così sino ad oggi. 
Da quel momento ho dovuto imparare un mestiere e mio padre della P.S. 
Lui mi indirizzò verso il lavoro che faceva e che amava, prima di andare in guerra. Andai a imparare il mestiere a casa di un operaio finito, Gianni Noviello, e li rimasi fino ai 16 anni, senza mai prendere una lira di paga... Un po' per i racconti nostalgici di mio padre, un po' per quelli di Noviello, ogni volta che incontravo qualcuno o vedevo un'attrice o un personaggio famoso ero sempre attirato dalle sue mani. Dalle mani riuscivo a capire il suo carattere. Le sue mani mi dicevano se era un egoista o un altruista, se era di animo nobile o un amante dell'apparire. E le mani vestite dai guanti erano un vero spettacolo per gli amanti dell'arte come me. Non c'era abito che poteva ritenersi completo se non prevedeva un bel paio di guanti. Così un giorno, smettendo di studiare, mi misi a fare i guanti con altissima professionalità e amore. Volevo vestire tantissime mani rendendole ancora più nobili;  così ogni giorno partivo da Fuorigrotta per andare a scuola a Piscinola, dopo aver terminato con il mio primo maestro, anzi secondo, se considero mio padre. Il mio primo arrivo a Piscinola sembrava un sogno. Tutto mi appariva verde e ben ordinato. Le persone che incontravo furono tutte molto gentili nel darmi le indicazioni richieste. Ogni successivo viaggio da Fuorigrotta a Piscinola era sempre ricco di novità quando attraversavo piazza Dante o costeggiavo il bosco di Capodimonte” mi ha raccontato Gianni Giannattasio sulla sua intrigante gioventù da guantaio. 

Ma dove andavano i guanti fatti con arte e amore da Gianni, oggi simpatico ottantenne? Dalle passerelle dell'alta moda alle mani dei lavoratori delle fabbriche dove ha lavorato, tra cui la Excelsior di via Veneto, la Sogip dell'allora via Miano Agnano, sempre nel quartiere Piscinola, il guanto è stato da sempre molto più di un semplice accessorio: è stato ed è un simbolo di eleganza, protezione e status. E quando si parla di guanti fatti a mano, si evoca un universo di maestria artigianale che affonda le radici in secoli di storia, una tradizione viva ancora oggi in diverse parti del mondo e, naturalmente, a Napoli.

LA TRADIZIONE DEL GUANTO ARTIGIANALE NEL MONDO

Il guanto fatto a mano vanta una storia ricca e diversificata a livello globale. Dalle intricate lavorazioni in pelle dei paesi arabi ai robusti guanti da lavoro dell'Europa settentrionale, ogni cultura ha sviluppato le proprie tecniche e stili, anche se lo stile napoletano è stato sempre imitato, ma mai superato. La produzione artigianale di guanti è spesso legata a determinate regioni geografiche, dove la disponibilità di materie prime di qualità (come pelli pregiate) e la trasmissione generazionale di competenze hanno permesso il fiorire di vere e proprie scuole. Paesi come la Francia (in particolare la città di Millau), l'Inghilterra (con le sue tradizionali guantiere) e gli Stati Uniti (per i guanti da sport e lavoro) hanno una lunga e prestigiosa tradizione nel settore. Questi mercati sono spesso caratterizzati da un'alta attenzione alla qualità, alla durata e al design, con prodotti che si posizionano nella fascia alta del lusso o della specializzazione 

L'ECCELLENZA ITALIANA, NAPOLI CAPITALE MONDIALE DEL GUANTO

In Italia, il guanto fatto a mano trova la sua massima espressione, con una tradizione che si distingue per l'eleganza, la cura dei dettagli e la qualità dei materiali. Tra le regioni italiane, la Campania, e in particolare Napoli, con i quartieri Piscinola e Sanità, è stata per secoli il cuore pulsante della produzione guantaia, guadagnandosi il titolo di "capitale mondiale del guanto". La storia dei guantai napoletani è una narrazione affascinante di abilità tramandate di padre in figlio. Già nel XVIII secolo, la produzione era fiorente, e nel corso del XIX e XX secolo Napoli divenne un punto di riferimento internazionale per la fornitura di guanti a corti reali, teatri e case di moda. Ciò che distingueva i guanti napoletani, e quelli di Piscinola, era la meticolosità nella scelta delle pelli (agnello, capretto, cervo, ma anche tessuti pregiati), la precisione del taglio, e la complessità delle cuciture, spesso realizzate a mano con tecniche come il punto catenella o il punto a rovescio. Ogni guanto era un'opera d'arte, modellata per adattarsi perfettamente alla mano, unendo comfort e raffinatezza.

LE ANTICHE FABBRICHE DI PISCINOLA: Un Distretto Storico

Nel cuore della tradizione guantaia napoletana, come detto, il quartiere di Piscinola ha giocato un ruolo di primaria importanza non solo per il nostro caro Gianni Giannattasio, ma anche per il noto musicista Pino Ciccarelli che dedicò una sublime musica al Cinema Selis:

https://www.youtube.com/watch?v=rCouOBXjgDM...

In quest'area, anche grazie ai contributi governativi, sorsero numerose fabbriche di guanti, vere e proprie eccellenze artigianali che davano lavoro a centinaia di persone. Queste manifatture erano caratterizzate da un'organizzazione del lavoro altamente specializzata, con sarti, tagliatori, cucitori e rifinitori che collaboravano per creare prodotti di altissima qualità. 
Le fabbriche di Piscinola non erano solo luoghi di produzione, ma veri e propri centri di formazione dove le nuove generazioni apprendevano i segreti del mestiere. La produzione, anche di bellissime calzature fatte a mano, era spesso orientata all'export, con clienti in tutto il mondo che riconoscevano il valore e l'unicità del "Made in Naples". Piscinola era per molti apprendisti come Gianni una vera terra promessa. Quella straordinaria zona sfiorata dalla Piedimonte d'Alife aveva la Virtus Piscinola, gli Showmen di Mario Musella, James Senese, Paranza di Gennaro Silvestri, Wanted Group, Enzo Avitabile e tanti altri. Molti dopo il lavoro vedevano un bel film all'Arena Azzurra, dopo trasformata in Cinema Teatro Selis, o in altre sale della zona. In pochissimi metri c'erano ben quattro cinematografi e sempre tutti pieni. Ma il terremoto del 1980 fu un vero spartiacque per quello che era e quello che sarebbe poi arrivato. Chiuse il Cinema Teatro Selis e chiusero molte fabbriche, non solo di guanti artigianali.

DAI FASTI DEL PASSATO ALLA REALTA' ATTUALE: Sfide e Opportunità

Oggi, il settore del guanto fatto a mano, sia a livello globale che in Italia, affronta nuove sfide e opportunità. La globalizzazione, la concorrenza dei prodotti a basso costo e i cambiamenti nelle abitudini di consumo hanno ridotto il numero delle aziende e degli artigiani. Molte delle antiche fabbriche di Piscinola non esistono più, e la trasmissione delle competenze è diventata più complessa. Tuttavia, il settore sta vivendo una fase di rinascita, spinta dalla crescente domanda di prodotti di lusso, personalizzati e sostenibili. I guanti fatti a mano, con la loro intrinseca unicità e durata, rispondono perfettamente a queste nuove esigenze.

DATI ECONOMICI E OCCUPAZIONE DEL GUANTO FATTO A MANO:

È difficile fornire dati economici precisi e aggiornati esclusivamente sul settore dei guanti fatti a mano a livello mondiale, in quanto spesso rientra in categorie più ampie come "abbigliamento e accessori in pelle" o "artigianato di lusso". Il nostro caro Gianni Giannattasio, vero protagonista di questo breve articolo, ci racconta: “I prezzi del 1960? So solo che all’eta di venti anni l’articolo di mia produzione lo vendevo a 700 lire, a causa della eccessiva offerta, invece di 800 lire”. 
Tuttavia, si stima che il mercato globale dei beni di lusso, in cui i guanti di alta qualità si inseriscono, continui a crescere, trainato dai consumi asiatici e dalla ricerca di esclusività. In Italia, il settore dell'artigianato della pelle, che include la guanteria, contribuisce in modo significativo all'economia nazionale. Sebbene il numero di addetti diretti alla produzione di guanti sia diminuito rispetto al passato, le aziende rimanenti sono spesso realtà di nicchia, con un'alta specializzazione e un forte orientamento all'export. L'occupazione nel settore, seppur ridotta, è caratterizzata da una manodopera altamente qualificata, che detiene competenze uniche e difficilmente replicabili. Molte piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, continuano a operare, mantenendo viva la tradizione e cercando di innovare per adattarsi alle esigenze del mercato. La formazione di nuove generazioni di artigiani è una sfida cruciale per il futuro del settore. Ci saranno altri Gianni innamorati delle mani elegantemente vestite?

C'ERA UNA VOLTA LA PRODUZIONE ARTIGIANALE DEL GUANTO

E' ancora Gianni Giannattasio che, facendo un tuffo nel passato, ci dona alcuni dettagli: "Cosi, dopo la fine dell’ultima guerra, gli abitanti del quartiere piano piano misero in atto le loro conoscenze in materia, e in quel momento la voglia e la necessità di ricominciare, fecero in modo che in ogni casa ci fosse almeno una persona dedita a questa attività che dava la possibilità di sopravvivere. I pellami vengono comprati grezzi, poi conciati prevalentemente al cromo e raffinati. In ultimo tinti secondo le richieste. La lavorazione inizia con il taglio dei pellami e per la migliore resa, viene effettuata da lavoranti più esperti. I vari pezzi ricavati dal taglio, vengono lavorati e portati alle varie misure delle mani, 8-7 ecc…. Ed è qui che cominciava il mio lavoro di smussatura e tiratura, consistente nel dare forma e giusta misura al pezzo di pelle che iniziava ad avere una sua forma di guanto. Questi pezzi venivano raggruppati insieme e chiamati partite di 60 paia. Per guadagnare bisognava lavorarne almeno una partita al giorno, il lavoro era svolto per otto ore sempre in piedi. Dopo i controlli del capo reparto, le partite venivano fustellate ed avviate al ricamo e cucitura, apparecchiatura e scatolate. Per fare tutto ciò il guanto passava per una decina di mani femminili. Questa era la lavorazione nello stabilimento di Piscinola, mentre alla Sanità tutto il lavoro si faceva casa per casa e il sabato si andava a consegnare alla fabbrica e si veniva pagati per il lavoro effettuato. Non esistevano ne inquadramento ne paghe fisse. E dalla realtà della Sanità quando il comparto cominciava a crescere, i piccoli imprenditori del quartiere, aiutati da alcune leggi create per chi dava lavoro, vennero incentivati a presentare progetti tutti finanziati dallo Stato. Cosi in via Vittorio Veneto 148 a Piscinola nasce l’Excelsior di Murolo, in via Miano Agnano attuale via Ianfolla nasce lo stabilimento di Tortora, etc.

IL FUTURO DEL GUANTO FATTO A MANO: tra Tradizione e Innovazione

Il futuro del guanto fatto a mano risiede nella capacità di coniugare la tradizione con l'innovazione. Le aziende superstiti di Napoli e di altre regioni guantaie stanno investendo in strategie di marketing digitale, e-commerce e personalizzazione per raggiungere un pubblico più ampio. La sostenibilità e la tracciabilità delle materie prime stanno diventando fattori sempre più importanti per i consumatori. Il guanto fatto a mano, sia esso un capolavoro di eleganza o un robusto accessorio da lavoro, continua a incarnare valori di qualità, durabilità e bellezza intrinseca. È un'arte che non solo veste le mani, ma narra storie di maestria, passione e un legame indissolubile con la tradizione. Un'arte che, a Napoli e nel mondo, è destinata a non scomparire, ma a evolversi, continuando a incantare e proteggere le mani di chi apprezza il vero valore del "fatto a mano". The Insight Partners dice “il mercato dei guanti industriali è stato valutato a 9.174,06 milioni di dollari nel 2021 e si prevede che raggiungerà 16.119,54 milioni di dollari entro il 2028; si prevede che crescerà a un CAGR del 7,5% dal 2021 al 2028”. 
Riuscirà Napoli a incunearsi di nuovo da protagonista ritagliandosi una fetta dell'International business dei guanti, sia industriali che fatti a mano, ridando lavoro a migliaia di giovani di nuovo anche a Piscinola? 

Vittorio Selis 


Ringraziamo l'amico Vittorio Selis per averci condiviso questo interessante post di storia piscinolese, dedicato alla manifattura dei guanti, che un tempo era molto fiorente nel territorio ed era vanto e lustro della Piscinola imprenditoriale e lavoratrice.

S.F. 



sabato 21 giugno 2025

La processione del “Corpus Domini” una bella tradizione molto sentita anche del nostro quartiere...

Via Vittorio Emanuele, cappella del SS. Sacramento

La festa del Corpus Domini che già veniva celebrata in Belgio fu istituita solennemente e estesa alla Chiesa Universale da papa Urbano IV, l'anno dopo che venne riconosciuto ufficialmente il miracolo eucaristico che si verificò a Bolsena, nella chiesa di Santa Cristina, nell'anno 1263.  Si racconta che un sacerdote Boemo, chiamato Pietro da Praga, nel mentre si recava a Roma in pellegrinaggio, si fermò in quella chiesa per celebrare la Messa. Dopo l'avvenuta consacrazione, al momento di spezzare l'ostia, fu constatato l'emissione di sangue dalla particola, che fu così copioso, tanto da macchiare il Corporale, ovvero il fazzoletto bianco che si usa mettere ancora oggi sull'altare ad ogni messa. Il "Corporale" fu poi portato nel duomo di Orvieto, dove è conservato nella cappella chiamata appunto "del Corporale", mentre le reliquie del vino e dell'ostia consacrati, sono conservati a Lanciano. 
La festa che un tempo si celebrava solennemente il giovedì dopo la domenica dedicata alla SS. Trinità, culminava con la processione del SS. Sacramento, molto sentita anche a Piscinola, a cui partecipava tantissima gente. Una testimonianza di questa particolare devozione era la bellissima cappella stradale che un tempo si poteva ammirare sulla facciata del fabbricato che si trovava proprio all'inizio del vico I Risorgimento. L'affresco contenuto in questa edicola raffigurava un bel Cristo risorto, ai cui piedi erano inginocchiati due incappucciati della congregazione del SS. Sacramento (chiamati "Paputi"), mentre alcuni angeli in volo mostravano un calice e l'ostia.

Ecco il ricordo della processione tratto dal libro "Piscinola la terra del Salvatore". 

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"Merita una menzione particolare l’annuale processione del “Corpus Domini”, organizzata dalla Congrega del SS. Sacramento. Durante la processione partecipava il Parroco che portava, sotto ad un pallio, l’ostensorio d’argento, contenente un’ostia consacrata (il “Santissimo”). Partecipavano alla processione la banda musicale di Piscinola, tutte le Associazioni Cattoliche, i bambini della prima comunione, i ragazzi dell’oratorio e tutta la comunità ecclesiale. La processione seguiva lo stesso percorso dei festeggiamenti in onore del SS. Salvatore, con la particolarità che essa durava non meno di cinque ore, perché percorreva anche tutte le stradine ed i viottoli del paese. C’era poi l’usanza, tramandata dagli antichi devoti, che in ogni cortile e in ogni masseria venisse realizzato una sorta di altarino, detto “Altare di accoglienza al SS. Sacramento”. Questi altari erano addobbati con fiori e candele ed erano eretti in segno di omaggio alla processione, ma anche per invocare delle grazie particolari. 
Si faceva a gara tra gli abitanti delle varie strade per realizzare gli altari più sontuosi e belli. Spesso si eseguivano delle vere e proprie “macchine da festa”. Quando la processione giungeva in prossimità di questi simulacri, il sacerdote abbandonava momentaneamente il pallio e si recava nel cortile per benedire l’altare eretto. Il presule recitava poi in quel luogo una breve preghiera e impartiva la benedizione ai presenti. Per riparare il sacerdote in quel breve tragitto, si utilizzava un ombrello circolare, realizzato con tessuto di seta finissima (di colore giallo e bianco) e orlato con ricami e finiture in oro.
Anche durante questa processione le donne esponevano dai balconi le più belle coperte ricamate. Ogni donna di Piscinola sceglieva dal corredo di sposa la coperta che conservata gelosamente per la circostanza, a volte anche con una certa vanità, che oltrepassava i valori religiosi. 
Poi venivano lanciati dalle finestre e dai balconi petali di fiori e foglie profumate di stagione. Gli abitanti dei piani bassi, invece, si avvicinavano al sacerdote e lanciavano con riverenza e adorazione i petali dei fiori verso l’ostensorio. Durante lo svolgimento della processione si facevano esplodere anche mortaletti e fuochi pirotecnici. Quando la processione arrivava in piazza, il “comitato dei festeggiamenti” issava la “bandiera”, tra gli applausi dei partecipanti. La “bandiera” era un grosso quadro con l’immagine del SS. Salvatore. Simboleggiava l’impegno assunto dal “comitato” di preparare i festeggiamenti nel corso di quell’anno. Il quadro, circondato da lampadine, rimaneva esposto fino al giorno di inizio della festa."

Salvatore Fioretto 

Cortile di via Vittorio Emanuele, foto prima della distruzione avvenuta a metà anni '80