venerdì 29 marzo 2024

Il "sovrano" di ogni festa ...Ecco sua maestà il forno!


Se volessimo allestire un museo storico-antropologico del nostro territorio, sicuramente nella sua parte centrale dovremmo installare una riproduzione, superba e solenne, nelle sue fattezze antiche, per ricordare l'importanza che ha avuto per le antiche generazioni: ci riferiamo al forno a legna, che un tempo era al centro della vita quotidiana di ogni masseria e di ogni cortile sia di Piscinola che di tanti altri borghi.
Il forno, infatti, era un elemento basilare della società contadina di un tempo e possedeva molteplici correlazioni con diverse discipline umane, come, ad esempio, con l'architettura, con la gastronomia, con la sociologia e soprattutto con la biologia, per la sua elevata azione ecosostenibile, a favore dello sfruttamento e della trasformazione dei rifiuti organici. In merito a quest'ultimo aspetto, è dimostrata la benefica azione esercitata dal forno, durante il suo funzianamento, nel rispetto dell'ambiente... Innanzitutto non produceva inquinanti tossici, ma sono anidride carbonica, tuttavia questa produzione di gas rientrava comunque nell'ambito di un ciclo biologico chiuso, che non apportava l'innalzamento dei valori globali del gas.

La preziosissima opera esercitata dai forni nei tempi andati (assieme ai camini) consisteva nella termodistruzione dei materiali di risulta, che in pratica erano solo organici e assimilabili al legno, alla carta e a fibre vegetali secche derivanti dalle lavorazioni dei legumi e dei cereali.
L'azione dei forni era quindi determinante per quell'epoca, quando i rifiuti urbani erano ridotti al minimo e quelli industriali erano praticamente assenti, il tutto attraverso un ciclo naturale e sostenibile. Ricordiamo anche, come riportato in un precedente post, che molti rifiuti risultanti dalle lavorazioni dei prodotti agricoli erano riutilizzati anche come concime nei campi.
Il forno, che un tempo era capillarmente presente negli antichi palazzi a corte e nelle masserie, aveva una conformazione costruttiva che era il risultato di lentissime stratificazioni storiche avvenute nei secoli, apportate in base alle esperienze maturate dai popoli che si sono succeduti. La forma dell'opera è stata
forse iniziata dai primi popoli conquistatori e da quelli cosiddetti italici: Greci, Etruschi, Osci, Sanniti, ecc.; tuttavia possiamo dire che già ai tempi dei Romani il forno aveva assunto una conformazione costruttiva praticamente definitiva, che come si noterà dalle foto inserite in questo post, non era molto discostante dalla forma assunta ai nostri tempi.
I forni antichi a Napoli e in Campania presentavano una caratteristica fondamentale che era quella di essere realizzati interamente con materiali di terracotta (mattoni e lastre di base) mentre le pietre di tufo erano utilizzate per realizzare la parte portante; un format classico era la realizzazione della superficie della base del forno con lastre di terracotta (dette biscotti), prodotti nelle fornaci della penisola sorrentina, mentre i mattoni potevano provenire sia dall'entroterra casertana che da quella napoletana. Come legante tra questi elementi di costruzione era utilizzato il gesso.
Altra caratteristica importante del forno napoletano era quello di presentare una camera di cottura ampia, a forma circolare, fino a 3 metri di diametro, sormontata da una volta
a sesto ribassato. Tale ampiezza consentiva di contenere fino a 200 e oltre pezzi di pane, in cottura contemporaneamente ...
Spesso anche la parte esterna (quella sormontante la bocca del forno), presentava una volta ad arco, ma più sovente c'era una semplice piattabanda a forma di cassa. Nella parte sottostante alla camera di cottura era poi presente un piccolo ambiente, alto pressappoco un metro, che aveva la funzione di conservazione del legno (legnaia). Una curiosità da dire è che tanti erano coloro che attrezzavano questo piccolo ambiente come pollaio. L'adattamento si mostrava ottimale nel periodo invernale, ma non era indicato nel periodo estivo, a causa della eccessiva temperatura ambientale e la scarsa areazione... 
Poichè la camera di cottura era priva di sfiati, il fumo prodotto durante la combustione della legna veniva veicolato all'esterno della bocca del forno, dove era presente l'imbocco di una canna fumaria.
La bocca del forno era chiudibile con un coperchio realizzato in lamiera di acciaio a forma semicircolare, di diametro poco più grande della luce presente, questo per assicurare una sufficiente tenuta. Questo coperchio era munito di un piede di appoggio sempre di acciaio, che veniva anche utilizzato per la presa manuale, durante l'apertura e la chiusura del forno.
Per riscaldare il forno si utilizzavano le famose "fascine", che consistevano in fasci di rami raccolti durante i lavori di potatura degli alberi e delle piante, come ad esempio di pioppi, di viti, di alberi da frutto. Per il legamento delle fascine si usavano rami verdi di salice rosso, di pioppi o di viti. Le fascine avevano la forma a fuso, di diametro pressappoco di 50 cm e di lunghezza variabile, fino a circa 2 metri. La cosa importante era quella che l'avvio della combustione nel forno doveva avvenire al mattino presto, al fine di poter raggiungere la temperatura richiesta al momento di infornare i pezzi di impasto, tale temperatura doveva aggirarsi intorno a 250 °C. Considerato che soprattutto in estate la fermentazione dell'impasto era veloce, a causa dell'alta temperatura ambientale, l'accensione del forno doveva avvenire molto presto, e non era infrequente che si doveva iniziare la procedura già alle 4 del mattino...!
Una cosa importante che bisogna dire è quella che i forni erano considerati dei beni collettivi comunitari, e potevano essere utilizzati da tutte le famiglie abitanti nel cortile o nella masseria dove erano presenti. Tutte queste persone dovevano però concorrere alle spese della manutenzione o al rifacimento. Ovviamente per l'utilizzo del forno si fissava una turnazione e occorreva mettersi d'accordo prima. Chi lo utilizzava doveva approvvigionarsi della legna occorrente e doveva provvedere alla sua pulizia finale.
Una volta raggiunta la temperatura richiesta, si procedeva all'estrazione della cenere formatasi durante la combustione, compreso i tizzoni che erano ancora accesi. In questa fase c'era anche la possibilità di formare il carbone (carbonelle) utile per essere utilizzato per gli usi  domestici, sia per il riscaldamento degli ambienti con bracieri di ottone
('o vrasiero) e sia per l'alimentazione di piccole fornaci ( furnacelle).
Per produrre il carbone si procedeva a separare e a raccogliere i tizzoni attivi in opportuni contenitori metallici a tenuta, muniti di coperchi (perchè si doveva garantire l'assenza di ossigeno nel contenitore), tale contenitore permetteva così di bloccare il completamento della combustione. Dopo il raffreddamento, il carbone era cernito con setacci metallici e conservato in sacchi asciutti per l'uso domestico della famiglia.
Per la pulizia del forno si utilizzava un apposito attrezzo, costituito da un asse di legno terminante all'estremità con una scopa realizzata con foglie di palme secche (scopa di foglie di chamaerops, chiamata in gergo "scopa p''o furno").
Durante l'operazione di pulizia del forno, onde evitare la combustione, la scopa doveva essere ripetutamente bagnata, immergendola in un apposito secchio pieno d'acqua, sistemato ai piedi del forno. Per la gestione del fuoco si utilizzava una specie di pertica di legno (sovente di pioppo o di castagno), sufficientemente lunga per raggiungere tutte le zone dalla camera del forno. Altri due attrezzi utilizzati per l'utilizzo del forno erano: una pertica di legno terminante all'estremita con un uncino, anch'esso di legno; tale attrezzo consentiva di movimentare i pezzi di pane durante la cottura e il relativo prelievo (scazzaturo); e poi c'era la "pianella": un attrezzo che era indispensabile per infornare il pane, composto da un asse di legno, terminante all'estremità con un piatto circolare, sempre di legno. Sopra questo piatto si sistemavano i pezzi di pasta di pane per poterli infornare. Lo spargimento di un velo di farina sulla superficie del piatto era necessario per evitate attaccamento dell'impasto al legno...
Il pane aveva una forma solitamente circolare, ma erano in tanti a utilizzare altre forme, come quella affusolata ('e panielli).
Per preparare l'impasto nei tempi antichi era utilizzata una farina di tipo integrale; col tempo, però, si diffuse anche l'utilizzo di farine raffinate. Il pane prodotto con la farina integrale era chiamato 'o pane 'e rrane... (pane di grano duro).

Durante le
feste solenni  dell'anno, come Natale, Santo Stefano, Pasqua, Ascensione e durante le feste patronali, i forni diventavano il "centro" comunitario di ogni masseria o di ogni cortile del Borgo: il luogo adibito alla cottura di numerose pizze, tortani, ruoti di carne o di pesce, e soprattutto di dolci... 

Ovviamente l'emanazione di profumi più variegati, durante la cottura di queste pietanze, completavano la "scena", e il vento contribuiva a trasmettere questi aromi anche a notevole distanza, per tutto il circondario...
Per descrivere le principali pietanze che erano cotte nei forni, iniziamo per primi con i sottoprodotti del pane, che erano le "freselle", i biscotti per fare le zuppe e il pane raffermo grattugiato.
Le "freselle" erano realizzate utilizzando una porzione dell'impasto preparato per produrre il
pane, stabilendo in precedenza le quantità dedicata a esse. Per realizzare le "freselle", si formavano con l'impasto delle ciambelle circolari, di diametro pressappoco di 30 centimetri.  Il procedimento di cottura delle "freselle" prevedeva due fasi. Nella prima fase, le ciambelle erano infornate a seguire i pezzi del pane, riservandone uno spazio libero anteriore alla camera di cottura, prospiciente alla bocca del forno. Appena le ciambelle iniziavano a cuocersi e la loro forma a gonfiarsi, venivano estratte dal forno e, anche se caldissime, erano tagliate a metà, lungo l'asse circonferenziale, in modo da ottenere due semi ciambelle, che poi erano le classiche forme delle freselle.

Le freselle appena formate venivano quindi di nuovo infornate, per far completare la cottura e farle diventare dure e dorate. Un procedimento molto simile avveniva anche per preparare i biscotti duri utilizzati per fare le zuppe.
Il pane grattugiato (grattato) era invece prodotto recuperando il pane raffermo avanzato nel corso delle settimani precedenti. I vari pezzi erano raccolti e infornati sopra appositi vassoi metallici (guantiere). Questa cottura era eseguita solitamente dopo aver estratto il pane. Una volta che i pezzi di pane erano tostati, venivano estratti dal forno e fatti raffreddare; successivamente venivano ridotti in graniglia, usando apposite grattugie manuali (rattacaso).
La regina dei nostri forni è sempre stata la pizza di pomodoro, che qui da noi era preparata disponendo la pasta su delle apposite teglie metalliche (spesso rudimentali e annerite per l'uso continuo)... Sopra la pasta erano sistemati i pomodori freschi (quelli del piennolo), schiacciati a mano, aggiungendo: aglio, basilico e origano, prodotti nei giardini di famiglia. Per condire la pizza era utilizzata la sugna preparata in casa. Questa pizza al pomodoro, preparata in maniera tipicamente contadina, si presentava, in pratica, come una sorta di focaccia, con la pasta abbastanza spessa ma morbida, dal profumo intenso e dal sapore invitante...!!
I tortani e le pizze rustiche, che venivano preparate durante le feste erano di diversi tipi: a Natale, faceva da padrona la pizza di scarole, preparata con l'aggiunta di pinoli, uva passa e alici sotto sale, mentre a Pasqua c'erano: il "casatiello" e la "pizza chiena". Sul casatiello facevano bella mostra le uova sode.
Per le feste patronali erano preparati ruoti con carne di coniglio o di pollo alla cacciatora, oppure l'immancabile cappone o gallina farcita, detta 'a gallina 'mbuttunata. Qualcuno preparava anche anatre ed oche al forno. Per la festa del SS. Salvatore il piatto tipico era i "peperoni imbottiti" (peperoni 'mbuttunati), con carne macinata, uova, uva passa, pinoli, formaggio, prezzemolo e pane raffermo.
Anche i dolci erano cotti nel forno a legna. A Pasqua c'erano le immancabili pastiere di grano e i tortani dolci, mentre a Natale si preparavano i roccocò; a questi ultimi si preferiva dare la forma di biscotti e non tondi. Altri dolci cotti durante l'anno erano le cosiddette 'muniache, che erano dei biscotti dolci e molto fragranti oppure gli ancinetti (biscotti all'anice). Per i rustici non mancavano i saporiti taralli, con sugna, mandorle e pepe (taralli 'nzogna 'e pepe)
Anche la cenere del forno era riutilizzata, sia come concime nei campi e sia come detergente da aggiungere nel bucato dei capi di biancheria (
'a culata).

Roccocò a forma di biscotti
Il forno era utilizzato anche per la produzione dell'acqua calda, sfruttando il calore latente che veniva immagazzinato nei mattoni anche per molte ore dopo la cottura del pane. L'acqua era contenuta dentro a dei pentoloni che riuscivano ad entrare attraverso la bocca del forno.
Il forno, infine, era utilizzato anche per cuocere preliminarmente alcuni alimenti che poi erano conservati, come i pomodori, i peperoni e la frutta (mele cotogne e prugne).

La redazione di Piscinolablog augura Buona Pasqua a tutti i lettori e simpatizzanti!

Salvatore Fioretto


venerdì 22 marzo 2024

Quella Santa Visita a Piscinola , dell'anno 1542.... condotta dall'arciv. Francesco Carafa

Foto facciata della cattedrale di Napoli, fine '800

Molte informazioni storiche sullo stato degli antichi Casali di Napoli provengono dalle "Relazioni di Sante Visite", scritte a partire dal XVI secolo, da parte degli arcivescovi della Arcidiocesi di Napoli, quando periodicamente questi si recavano in visita pastorale presso le parrocchie di ogni Casale dell'epoca e facevano registrare quanto rilevavano nel corso delle loro interrogazioni. Il primo documento del genere, pervenuto ai nostri giorni, risale all'anno 1542, ed è stato redatto dai "commissari" al seguito dell'arcivescovo di Napoli, Francesco Carafa. Il testo è stato pubblicato anastaticamente nell'anno 1983, col titolo di "Il Liber Visitationis". Iniziamo col descrivere i contenuti della Santa Visita condotta dal Carafa nella chiesa parrocchiale del Casale di Piscinola, dedicata al Santissimo Salvatore, avvenuta a metà di agosto dell'anno 1542.

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Piscinola, Chiesa di San Salvatore

"Lo stesso giorno (tra il 17 e il 19 agosto 1542),
i suddetti signori commissari, in visita, si recarono alla chiesa parrocchiale sotto il nome di San Salvatore, edificata all'interno del detto Casale, il cui rettore è don Baldassarre Pepe. 
Produsse le lettere di provvedimento fatte a sé dal suddetto Reverendissimo, dal quale si provvide alla detta cappella allora vacante per le dimissioni del don Michele Ritis, alla mera collazione del detto R.mo, come risulta dalle medesime lettere, sotto il sigillo del detto tribunale, sotto l'atto d'accusa del giorno 17 luglio 1542 (della 15^ Indizione).
Quando gli fu chiesto che cosa avesse all'ingresso, rispose che per detta cappella aveva cioè il sottoscritto.
In primo luogo, la rendita annua di cinque ducati e quindici grani, che veniva pagata dal magnifico Geronimo Carmignano in base ad un certo appezzamento di cinque moggi di terreno nel Casale, indicato con lo Perillo, accanto ai beni del magnifico Raimondo de Luna, accanto ad altri beni del suo d. Geronimo, accanto alla proprietà del nobile barone Poderico e altri. Allo stesso modo,
Ritratto dell'arcivescovo Francesco Carafa
l'affitto annuo di nove carlini e mezzo, che Daniele de Lisa pagava per un certo terreno di una misura o press’a poco nel detto Casale, dove si dice a la Zafarana, secondo i beni dello stesso Daniele e secondo la merce d. Ecco Pietro Ranuzzo (pagava) parimenti l'affitto annuo di cinque ducati e mezzo, che qui pagano, dà in proprietà a Giovannino Gaudino per conto di due piccoli cinque moggi e mezzo di terreno situati nello stesso Casale (villa) di Piscinola, prossimi ai beni dell'ottimo Conte di Trivento, secondo i beni di donna Eleonora Bos', accanto ai beni di Antonello Fioretto (o forse Fiorillo n.d.r.), la strada pubblica e altri confini. (Include) Anche l'affitto annuo di nove tareni, che pagava don Loynes. Anche l'affitto annuo di nove tareni, che pagava don Luigi de Alandro a causa di una certa casa in detto Casale, accanto ad altri beni di detto Luigi, accanto ai beni di Lionetto de Lionetti. Anche l'affitto annuo di sette tareni, che Lionetto pagava a Sarnataro per una certa casa sita nel medesimo Casale, accanto agli altri beni di detto Lionetto, accanto ai beni di Luigi de Alandro. Inoltre, l'affitto annuo di sei carlini, che viene pagato dagli eredi del patrimonio di Domenico de Lisa, per un certo casolare situato nello stesso Casale, accanto ad altri beni erede dei ricchi, alla strada pubblica e ad altri confini.

Ugualmente l'affitto annuo di quattro tareni, che mastro Giovanni Mandro paga per il sito di una certa casa nel Casale di Mariglianella (forse Marianella), accanto ai beni della confraternita di S. Giovanni, accanto ai beni di Domenico Caso, la pubblica via e altri confini.
Anche l'affitto annuo di cinque grani, che viene pagato dai maestri, dagli amministratori e intendenti della confraternita della chiesa di San Giovanni, del detto Casale di Marianella, per l'ubicazione di una certa casa nel detto Casale di Marianella, accanto alla chiesa di San Giovanni del detto casale. Inoltre l'affitto annuo di quattro tareni e mezzo, che pagava a Luca de Lisa a causa di una certa sorgente, o giardino verde situato nello stesso Casale, accanto ad altra proprietà con luce sulla strada vicina. Inoltre una certa casa terranea con un certo giardino situata nello stesso Casale, accanto alla suddetta chiesa. Prende ancora per un certo orto sito nel Casale, appresso al muro della detta chiesa di San Salvatore, confinante con la strada della Chiesa ed altri. Del quale orticello si paga una tassa annua di cinque carlini al detto rettore Costantino Testa.
Nella detta chiesa sono i seguenti beni, cioè: una croce d'argento; una coppa d'argento; un pianeta di velluto cremisi e l'altro di stoffa d’Olanda; con una camicia e un mantello; quattro tovaglioli che sono acquistati attraverso l'elemosina, dagli uomini dell'Università (governo del Casale n.d.r.).
Don Antonino Ristaldo (o Ristaino), cappellano di detta chiesa, fu esaminato e approvato riguardo alla celebrazione della messa, al ministero dei sacramenti ecclesiastici, all'ascolto delle confessioni e ad altri compiti propri di qualsiasi sacerdote idoneo."

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Ecco il testo originario, scritto in latino (con una traccia in napoletano (sic!)):

Piscinula, Ecclesia Sancti Salvatoris

Eodem die 

Prefati dd. commissarii, visitando, accesserunt ad parrocchialem ecclesiam sub vocabulo Sancti Salvatoris, constructam intus dictam villam, cuius rectore est donnus Baldaxar Pepe.

Particolare della Tavola Strozzi, veduta di Napoli

Qui produxit literas provisionis sibi facte per prefatum R.mum, per quem provisum fuit de ditta capella vacante tunc per resignationem d. Michaelis Ritii, ad meram collationem prefati R.mi, prout constat per easdem literas, sigillo dicte curie impendente munitas, sub die XVII mensis iulii XV indictionis, 1542. Interrogatus quos introytus habeat, respondit quod ratione dicte capelle habet infrascriptos, videlicet. In primis annuum redditum ducatorum quinque et granorum quindecim, quem solvit magnificus Hieronimus Carmignanus ratione cuiusdam petii terre modiorum quinque siti indicta villa, ubi dicitur a lo Perillo, iuxta bona magnifici Raimundi de Luna, iuxta alia bona ipsius d. Hieronimi, iuxta bona magnifici Baronis Puderici et alios confines. Item annuum redditum carlenorum novem cum dimidio, quem sibi solvit Daniel de Risa ratione cuiusdam terre modii unius vel circa site in ditta villa, ubi dicitur a la Zafarana, iuxta bona ipsius Danielis et iuxta bona d. lo. Petride Ranuzo. Item annuum redditum ducatorum quinque cum dimidio, quem solvunt here des condam lohannelli Gaudini ratione duorum petiorum terre modiorum quinque cum dimidio sitorum in eadem villa Piscinule, iuxta bona excellentis comitis Triventi, iuxta bona d. Elienore Bos', iuxta bona Antonelli Fioretto, viam publicam et alios confines. Item annuum redditum tarenorum novem, quem solvit d. Loynes. Item annuum redditum tarenorum novem, quem solvit d. Loysius de Alando ratione cuiusdam domus site in dicta villa, iuxta alia bona dicti Loysii, iuxta bona Lionecti de Lionecto. Item annuum redditum tarenorum septem, quem solvit Ionectus Sarnetano ratione cuiusdam domus site in eadem villa, iuxta alia bona dicti Lionecti, iuxta bona Loysii de Alando. Item annuum redditum carlenorum sex, quem solvunt heredes condam Minici de Lisa ratione cuiusdam casaleni siti in eadem villa, iuxta alia bona dittorum heredum, viam publicam et alios confines. Item annuum redditum tarenorum quatuor, quem solvit magister Ioannes Mandro ratione cuiusdam domus site in villa Mariglianelle, iuxta bona confratemitatis Sancti loannis, iuxta bona Minici Caso, viam publicam et alios confines. Item annuum redditum granorum quinque, quem solvunt magistri et yconomi et procuratores confratemitatis ecclesie Sancti Joannis, de ditta villa Marianelle, ratione cuiusdam domus site in dicta villa Marianelle, iuxta ecclesiam Sancti Ioannis de ditta villa. Item annuum redditum tarenorum quatuor cum dimidio, quem solvit Luchas de Lisa ratione cuiusdam orti, seu viridarii siti in eadem villa, iuxta alia bona ipsius Luce et viam vicinalem. Item quedam domus terranea cum quodam orticello sita in eadem villa, iuxta predictam ecclesiam. Item quoddam orticellum situm in villae adem iuxta parietem dicte ecclesie Sancti Salvatoris, viam puplicam et alios confines. De quo orticello solvit annuum censum carlenorum quinque ditto rettori Constantinus Testa.

Altare della chiesa, foto risalente a metà '900

In dicta ecclesia sunt infrascripta bona, videlicet: una croce de argento; uno calice d’argento; una pianeta de velluto carmosino et un altra de tela de Alanda; uno cammiso et ammicto; quattro tovaglie. Quale robbe sono state facte per li homini de la università de elemosina. Fuit examinatus donnus Antoninus Ristaldus capellanus in ditta ecclesia, et approbatus quoad celebrazionem misse, et ecclesiastica sacramenta ministrare, et  confessiones audire, et alia spettantia et pertinentia ad quemlibet idoneum sacerdotem.

 

Dalla lettura del testo antico si apprende che all'epoca della Santa Visita, la Chiesa del SS. Salvatore era sotto la guida spirituale del parroco don Antonio Ristaldo (o Ristaino), mentre era amministrata da un rettore, il cui nome era don Baldassarre Pepe, subentrato al dimissionario don Michele Ritis. Sono poi descritte le diverse proprietà e le rendite che all'epoca godeva la chiesa, frutto di lasciti e di donativi, oltre agli arredi sacri e alle suppellettili utilizzate per i riti. Interessante è anche la menzione di alcune località antiche di Piscinola, riportate per descrivere i cespiti, tra le quali: Perillo, Zafarana, e di Marianella. Da notare ancora la ricorrente identificazione del "Casale", con l'arcaico toponimo di "Villa".
Ritoneremo sull'argomento, trascrivendo i rapporti della Sante Visite che hanno riguardato la Parrocchia di Marianella, quella di Miano e di altre vicine. 

Salvatore Fioretto

Il testo della relazione di Santa Visita è stato tratto dal libro "Il Liber Visitationis", di Francesco Carafa nella Diocesi di Napoli, 1542-1543", pubblicato a cura di mons. Antonio Illibato, nell'anno 1983 (Roma, Ediz. Storia e Letteratura), già direttore responsabile dell'Archivio Diocesano di Napoli, recentemente scomparso. 

venerdì 15 marzo 2024

I feudatari del Casale di Marianella, dal 1391...

Il Duca di Marianella, don Antonio Barrile
Della storia e delle vicende degli antichi e nobilissimi Casali di Napoli abbiamo già dato ampio spazio alla trattazione nei tre post pubblicati nei mesi scorsi, oggi ritorniamo sul tema per dedicarci alla descrizione più particolareggiata, esaminando l'excursus storico che riguarda uno dei Casali più vicino al nostro territorio, quello di Marianella, divenuto celebre, non solo per essere stato il feudo di importanti famiglie nobili "di piazza" della Capitale del Regno, ma anche la dimora, per la villeggiatura e lo svago, di altre famiglie nobili che non furono feudatarie di esso, come la famiglia De Liguori.

Procediamo in ordine cronologico, in base alle notizie storiche recuperate, precisando che l'elenco a tutt'oggi è parzialmente incompleto, perchè argomento ancora oggetto di ricerche e di approfondimenti storici. Ma come sempre facciamo, man mano che recupereremo altre notizie, nel tempo che seguirà, provvederemo ad aggiornare questo post. 


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Stemma famiglia Grisone

Famiglia Grisone (dal 1391)

-  Don Angelo Grisone, figlio di Leone, ricevette in dono, già dall'anno 1391, dal Re Ludovico d’Angiò, le baronie di Marianella, Calvi e Carinola. Angelo Grisone fu creato Luogotenente della Camera e sposò Antonia, la figlia di Cola d'Alagni, e sorella della celebre donna Lucrezia Romana.


Famiglia Carafa della Stadera (dal 1561)

Stemma famiglia Carafa della Stadera

   Don Giovan Tommaso Carafa della Stadera, conte di Ruvo, con atto del 27 giugno 1561 diventò Barone di Marinella. Per conoscere altre notizie storiche riguardanti questa nobile famiglia, marchesi di Marianella, rimandiamo il lettore alle vicende raccontate nel precedente post pubblicato:

 

 

Famiglia  Vitagliano  (prima del 1600?)

Don Scipione Vitagliano, probabilmente, come risulterebbe da alcune fonti storiche, fu barone di Marianella
Stemma famiglia Vitagliano
, prima dell'anno 1600. Fu tra l'altro anche barone di Ginosa, Pamarico, Auletta. Carinola, Montescaglioso. Tuttavia il patronato di questa famiglia su Marianella è ancora oggetto di approfondimento.




Famiglia Sanseverino (dal 1595)

Stemma famiglia Sanseverino

Don Francesco Sanseverino,  già Barone di Càlvera, per lascito dell'avo paterno Francesco Teodoro Sanseverino, sappiamo che "nell'anno 1595 comprò la Terra di Marianella presso Napoli". Impalmò con nozze la nobildonna Caterina Caracciolo dei Signori di Marsicovetere.

   Donna Porzia Sanseverino ereditò alla morte del genitore una parte dei beni, divenendo Baronessa di Càlvera e Duchessa di Marianella. Nell’anno 1640 sposò don Francesco Sanseverino, Duca di San Donato, Barone di Policastrello e di Roggiano. Quest'ultimo morì assassinato il 10 agosto 1648.      
 

 

Stemma famiglia Barrile

Famiglia Barrile (dal 1635)   

Don Antonio Barrile, già signore delle terre lucane dell'Accettura, Gorgoglione, Spinoso e Guardia Perticara, già componente dell'Ufficio di Segretario del Supremo e Regio Collaterale Consiglio del Regno di Napoli,  acquistò nell'anno 1635, il titolo di duca di Marianella, mentre ereditò dal padre: Caivano e Sant’Angelo. Alla sua morte i beni passarono in eredità alle due figlie, Silvia e Vittoria. A Donna Silvia Barrile passò, quindi, il Principato di Sant’Arcangelo, il ducato di Marianella e quello di Caivano.

 

Famiglia Spinelli Barrile (dal 1662)

  Don Tommaso Francesco II Spinelli, già Marchese di Fuscaldo, Signore di Guardia, Pantano e San Marco e Gran Giustiziere del Regno di Napoli dal 1684, Principe di Sant'Arcangelo, sposò in prime nozze, nell'anno 1662, Donna Silvia Barrile, che come si è visto era principessa di Sant'Angelo, duchessa di Caivano e di Marianella. Alla morte prematura di quest'ultima, avvenuta nell'anno 1672, Don Tommaso Francesco ereditò gli interi feudi portati in dote dalla moglie. 

   Da questo momento, con la morte della principessa Barrile, il feudo di Marianella, assieme agli altri titoli, furono ereditati dai primogeniti della famiglia, che prenderanno il patronimico di entrambe le Casate: Spinelli e Barrile, secondo una successione cronologica:

   Don Giovanni Battista Spinelli Barrile, nato nell'anno 1666. Dal 1689 ricoprì la carica di Gran Giustiziere del Regno di Napoli. Morì nel 1696.

  Don Tommaso Francesco Spinelli Barrile, nato nel 1689. Dal 1696 ricoprì la carica di Gran Giustiziere del Regno di Napoli. Nell'anno 1708 sposò Donna Carlotta Spinelli Savelli, figlia del Principe di Cariati. Morì nel 1768.


Don Tommaso Spinelli Barrile, nato nell'anno 1743; fu anche lui Gran Giustiziere del Regno di Napoli fino alla soppressione dell'ufficio avvenuta nell'anno 1806. Nell'anno 1772 sposò Donna Eleonora Caracciolo, figlia del Duca di San Vito. Morì nell'anno 1830.

   Don Gennaro Spinelli Barrile, nato nell'anno 1780. Nell'anno 1808 fu nominato Maestro delle Cerimonie del Re Giuseppe Bonaparte. Fu nominato ancora Ministro plenipotenziario del Re Gioacchino Murat al Congresso di Vienna, Inviato straordinario a Vienna nel 1820, Ministro degli Esteri e Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno delle Due Sicilie nel 1848. Nel 1803, sposò sua cognata Donna Cristina Spinelli Savelli, Principessa di Cariati, Duchessa di Seminara e Contessa di Santa Cristina e Oppido. Morì nell'anno 1851.

 
Dopo l'abolizione dei Sedili, nell'anno 1800, per disposizione del re Ferdinando IV, la famiglia Spinelli, come le altre famiglie citate, furono iscritte nel "Libro d'Oro della Nobiltà napoletana", tuttavia i componenti della famiglia Spinelli continuarono a fregiarsi del titolo di "Duca di Marianella", assieme agli altri titoli detenuti.
Con l'avvento della dominazione Napoleonica, Marianella fu tra i primi Casali a diventare "Villaggio" di Napoli e ad essere annesso al quartiere napoletano di San Carlo All'Arena, già nell'anno 1809. Seguiranno dei brevi periodi, dopo l'avvenuta Restaurazione Borbonica, quando Marianella assieme a Miano, divenne Comune autonomo, ma con l'Unità d'Italia essa fu definitivamente inglobata nella futura "Grande Napoli", come avvenne per Piscinola (1866) e per tanti altri ex Casali.

Salvatore Fioretto 

Antica stampa, intitolata: il Duca di Marianella