giovedì 23 novembre 2023

Un atteso ritorno a Piscinola, ...nella terra del Salvatore…!

Fino a un decennio fa, oltre Piscinola, non esisteva nell'Archidiocesi di Napoli nessuna altra parrocchia dedicata al SS. Salvatore. Erano invece per antichità di nomina la vecchia Cattedrale (Ecclesia Sancti Salvatoris), che poi fu rinominata Santa Restituta e l'altro tempio dedicato al Salvatore che è la chiesa facente parte dell’insula monastica dei Camaldoli, tuttavia questa chiesa non è mai stata una parrocchia. La dedicazione della nostra Ecclesia piscinolese al SS. Salvatore è un fatto veramente singolare, innanzitutto per l'antichità del tempio, ma soprattutto per la conseguente elezione del Santo titolare della Chiesa a protettore principale della nascente comunità religiosa piscinolese. Il SS. Salvatore è divenuto, poi nei secoli, anche patrono civico del Casale, prima, e dell'Università dopo, fino a quanto è perdurata l’autonomia amministrativa del Comune di Piscinola (1865).
Singolare è ancor di più il fatto che questa comunità non ha scelto un santo o una santa qualsiasi come protettore o protettrice del luogo, ma il figlio di Dio, cioè Gesù in persona. Non crediamo che fu per il solo e semplice desiderio degli antichi abitanti di avere una protezione esclusiva e privilegiata del proprio Borgo, ma sono state invece le condizioni storiche ad essere determinanti per avere questo privilegio. Probabilmente sono stati i monaci del monastero del Salvatore, sorto sull'isola di Megaride (Castel dell'Ovo), ad aver portato qui da noi il culto nel periodo medioevale.
Le ricerche in merito a questo aspetto sono tuttora in corso... ma è utile evidenziare come la comunità piscinolese, seppur diventata amministrativamente quartiere di Napoli, dal lontano 1866, conservi ancora uno spiccato carattere identitario,  con la conservazione dell'antico toponimo di "Piscinola" e del Santo patrono, il Salvatore.
Anche il sito di ubicazione della Chiesa è particolare e unico... La pianta urbana del centro storico di Piscinola presenta una forma "trilobata", che osservandola appare come una croce stilizzata, avente i tre bracci di diverse dimensioni, due praticamente uguali, mentre uno è diverso ed è più grande: al centro si questa croce simbolica si erge, superbo, il tempio parrocchiale dedicato al SS. Salvatore. Molto probabilmente il primo nucleo del centro abitato di Piscinola è nato proprio attorno alla primitiva chiesa edificata nel luogo, sicuramente più piccola e contenuta di quella che ci appare oggi; tuttavia è storicamente accertato che essa esisteva nei tempi più remoti, prima che avvenisse in maniera lenta e graduale l'urbanizzazione del territorio circostante. La Chiesa, poi, è diventata il baricentro geometrico del Borgo antico, e possiamo dire anche "il suo cuore spirituale"...
Il SS. Salvatore (con il Suo culto e con la Chiesa  dedicata), infatti, è considerato da questa comunità il baricentro della propria vita; la Sua immagine è come se racchiudesse la storia di migliaia e migliaia di persone, che hanno considerato la Sua presenza il punto di riferimento della propria vita: essa rappresenta un valore comunitario, un bene caro e prezioso per tutti...!
Ricordiamo che in questa Chiesa, al cospetto di questa sacra immagine, si sono svolte le fasi più importanti e decisive della vita comunitaria, con il ciclo della vita di ogni abitante: il Battesimo, la prima Comunione, la Cresima, il Matrimonio, fino al saluto dalla vita dei propri cari. Sulle mura di questo tempio sono virtualmente segnati i passaggi più importanti della vita di ciascun piscinolese e a questo luogo sono legati i tanti ricordi di ciascuno di essi, di eventi e soprattutto il ricordo delle persone care oggi non più presenti.
Il culto del SS. Salvatore qui a Piscinola ha una doppia valenza, perché da un lato Gesù Salvatore viene onorato e adorato (nei Sacramenti), in quanto Persona divina della Trinità, mentre dall’altro lato lo si venera e lo si ama come protettore della comunità locale. Se andiamo indietro nel tempo, per far riscontro alle fonti storiche, osserviamo che in diversi atti di vendita del periodo medioevale viene menzionata la "Terra del Salvatore" e poi, a seguire, la chiesa dedicata al SS. Salvatore (Staurita Plevis Ecclesiae Salvatoris Nostri Ihesu Christi
), stiamo parliamo di un periodo prima dell’anno mille. In un documento del 1223, poi,  l’autore anonimo scrive una testimonianza che esalta questo rapporto antico tra i piscinolesi e il SS. Salvatore, scrivendo di pugno “... i paesani di esso villaggio avuto avessero un culto speciale verso il SS. Salvatore”.
Per i piscinolesi dei decenni passati, il SS. Salvatore rappresentava gli affetti più sentiti e profondi della propria vita, perché racchiudeva nella Sua immagine i ricordi delle generazioni precedenti, i ricordi di famiglia, i ricordi della propria terra…, l'amore per la propria terra!
Quando nel 2010 ho terminato di scrivere il mio libro storico-antropologico su Piscinola, dal titolo: "Piscinola, la terra del Salvatore - Una terra, la sua gente, le sue tradizioni", non ho avuto esitazione a dedicarlo al nostro Protettore. Nel titolo, infatti, si concentrano i nostri valori, che sono a loro volta tra loro legati, ovvero: Piscinola (la comunità),  il Salvatore (il protettore) e la terra, vale a dire l'abitato, assieme alle nostre belle campagne che furono.
Ecco, quando noi diciamo: “Piscinola, è la terra del Salvatore”,  presentiamo la nostra carta d’identità storica, dichiariamo i nostri valori comunitari, i nostri affetti, che sono tutti concentrati in queste tre parole...
Il ricordo più bello che conservo, a distanza di oltre 12 anni da quell'evento letterario del mio libro, è quello che l'avvenuta sua pubblicazione (per espresso desiderio di Padre F. Bianco), fu da me annunciata sull'altare della chiesa del SS. Salvatore, il giorno 6 gennaio 2011, mentre si concludeva la celebrazione liturgica della festività, e ricordo le parole che pronunciai davanti ai presenti, non senza commozione: "Ho il piacere di annunciarvi che è stato pubblicato il mio libro: "Piscinola, la terra del Salvatore"; e la mia gioia è ancor più grande, perché lo comunico oggi, qui, ai piedi del Santissimo Salvatore, protettore storico di Piscinola".
Ricordo quando alla messa pomeridiana del giorno della festa del Salvatore, il 6 agosto, don Francesco Bianco (Padre Bianco), prima di impartire la benedizione, rivolgendo ai presenti, a quanti portavano il nome del Salvatore, gli auguri suoi personali, aggiungeva: “...Voi che portate il Suo nome, onoratelo sempre nella vostra vita, con le vostre opere e azioni...!”; come pure invogliava le giovani coppie in attesa di pargoli, di continuare la tradizione di dare a loro il nome di "Salvatore".

Fuochi pirotecnici del 6 agosto 2023, foto di D. Buonpane

E ricordo anche le celebrazioni del giorno della festa, sempre del 6 agosto, presiedute nel mattino dall’altro grande sacerdote piscinolese, don Salvatore Nappa, il quale nell'omelia, a margine del breve commento alla pagina del Vangelo del giorno, che narrava l’episodio della Trasfigurazione, prendeva a raccontare diversi episodi della sua vita, che erano legati alla storia di Piscinola e menzionava anche diversi abitanti che già avevano lasciato il loro cammino di vita.

Oggi, che la bellissima immagine settecentesca del SS. Salvatore ritorna a risplendere, dopo l'avvenuto suo restauro, più bella di prima, radiosa e benedicente dall'alto della Chiesa parrocchiale di Piscinola, questi ricordi che ho cercato di rinverdire si fanno più belli e commoventi e sono sicuro che sarà cosi anche per i futuri piscinolesi che ci seguiranno nel tempo, i quali ricorderanno a loro volta questi momenti forti della vita comunitaria, nelle loro rimembranze dei prossimi decenni.

Evviva sempre il Santissimo Salvatore, protettore secolare di Piscinola!!

Salvatore Fioretto

Fuochi pirotecnici al termine dei festeggiamenti del SS. Salvatore del 6 agosto 2023, foto di T. Silvestri

venerdì 27 ottobre 2023

La storia dei Casali di Napoli: la restaurazione Borbonica e l'abolizione (parte IV)

(Segue dalla III parte)

Mappa della città di Napoli e dei suoi luoghi ameni e famosi
La situazione amministrativa del Regno di Napoli cambiò con la conquista da parte dell'esercito francese (Decennio Francese, 1806-1815). Il nuovo sovrano, Giuseppe Bonaparte (re di Napoli dal 1806 al 1808), istituì nel territorio conquistato (vedi post dedicato), un nuovo ordinamento amministrativo, basato sui dettami rivoluzionari transalpini. Furono quindi istituite le Province, i Distretti e i Circondari.
I francesi eseguirono anche un altro riordino amministrativo, introducendo al posto delle Università, i "Decurionati", che erano degli organismi simili ai "Comuni", come li intendiamo noi oggi. Non conosciamo ancora, tuttavia, l'anno preciso corrispondente al passaggio del Casale di Piscinola a "Università", ovvero Comune amministrativamente indipendente dalla Capitale.
I francesi riformarono anche i "Sedili" nella Città di Napoli e nel Regno, con le relative regole di elezione e di partecipazione, non più di appannaggio dell'aristocrazia.
Con le cosiddette "Leggi eversive della nobiltà" (2 agosto 1806), i francesi abolirono definitivamente il feudalesimo nel Regno di Napoli.
Tuttavia, con la "Restaurazione Borbonica" (1815) l'organizzazione amministrativa del Regno non fu stravolta, furono infatti conservate le Provincie e gli altri organismi, seppur ritornando a far uso negli atti legislativi di Stato del termine di Casale (dal libro: “Notiziario della produzione delle province del Regno di Napoli”, di Vincenzo C. Celestino, nel 1816, risulta che Napoli contava trentasei Casali). Deduciamo che ciò avvenne solo ai fini daziari, perchè le Università (che diventarono Comuni) continuarono a svolgere le proprie attività; intatti, conosciamo i nomi dei sindaci eletti in ambito del Comune di Piscinola (vedi post dedicato).
Interessante è la riorganizzazione fiscale (daziaria) voluta dal re Ferdinando IV (decreto n.1219 del 9 gennaio 1827), con la quale venne istituito il “Muro daziario” (detto Muro Finanziere) e la suddivisione della cinta territoriale attorno alla Capitale, in due categorie di Casali, definiti: “Capo-Casali” e “Casali di mezzo”. Piscinola, insieme a Marianella, appartenevano al gruppo dei “Casali di mezzo”.
Regio Decreto del 9 gennaio 1827

Nel decreto menzionato si disciplinava e si sanzionava l’applicazione dei tributi ai prodotti della terra soggetti al dazio, in modo particolare al vino ed ai cereali. La suddivisione dei Casali era esclusivamente legata alla funzione esattoriale dei dazi, infatti presso i “Capo-Casali”, ossia nei Casali posti nella cintura più esterna della capitale, erano presenti gli uffici di riscossione.
Nella tabella (che si legge qui sopra) è riportato parte del testo del decreto/regolamento menzionato, con l'elenco dettagliato dei "Capo-Casali" e dei "Casali di mezzo". Durante questo periodo detti territori continuarono ad essere esentati, come la Capitale (Napoli), dal pagamento del “tributo certo” (l’antico “focatico”), ma pagavano gli “Arrendamenti” ed i diritti doganali, oltre a soddisfare ai propri bisogni con gabelle interne e “diritti di passo”.
Il Muro Finanziere, progettato nel 1820 da Stefano Gasse (dal leggere il post dedicato), si componeva di una cortina di tufo, lunga circa sedici miglia e alta cinque metri. Attraverso 19 varchi, realizzati in corrispondenza di alcune strade importanti, erano posti gli uffici designati alla riscossione dei dazi, chiamati “Posti e Barriere Doganali” (detti "Sbarre").
Mappa della città di Napoli. con evidenziato il "Muro Finanziere"
La costruzione del muro fu iniziata intorno all’anno 1827 e durò sette anni. I “Posti” e le “Barriere”  doganali più vicini al nostro territorio furono realizzati alla “Porta di Miano” del Boschetto di Capodimonte (“Barriera del Bellaria”), a Capodichino, presso l’attuale Piazza G. Di Vittorio (“Barriera la Rotonda”), ai Ponti Rossi e nei pressi del sobborgo di San Rocco, con i posti doganali chiamati “della Pagliara” e “del Bellocchio”; questi ultimi due forse ubicati nei pressi del ponte di San Rocco.

Il Muro Finanziere costituì, a tutti gli effetti, il nuovo confine della Capitale con le Università o i Casali periferici.
C'è da aggiungere che con il Decennio Francese, tra il 1806 ed il 1815, furono urbanizzati molti Casali che non erano diventati Università, tra cui Miano, Marianella e S. Croce. In effetti, per quanto riguarda Marianella e alcuni Casali vicini ad essa, abbiamo trovato delle testimonianze che dimostrerebbero
Mappa della Provincia di Napoli, di L. Marzolla
un transitorio e breve ripristino delle condizioni di autonomia amministrativa (università o casale), a partire dalla "Restaurazione Borbonica", tuttavia occorrerà eseguire una ricerca particolareggiata per registrare i vari passaggi amministrativi avvenuti a loro carico, nel corso del cinquantennio che ha preceduto la nascita del Regno Sabaudo.

Il territorio dell'ex Casale di Piscinola, divenuto "Comune di Piscinola",  passò, come è noto, sotto la giurisdizione del Comune di Napoli, a partire dal 1 gennaio 1866. Seguiranno la stessa sorte gli altri ex Casali, anch'essi divenuti Comuni autonomi (come: Chiaiano, Secondigliano, Soccavo, Pianura, ecc.), durante il cosiddetto “ventennio” fascista (nel biennio 1925-1926), finendo anch'essi accorpati al Comune di Napoli.
Il  progetto
fascista mirava a realizzare la cosiddetta "Grande Napoli", ossia la terza città dell'Impero con oltre un milione di abitanti..., ma questo obiettivo politico non fu mai raggiunto, almeno fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale!
Nel 1925 fu abolito definitivamente il Muro Finanziere.
Il resto è storia dei nostri tempi...

Questi sconvolgimenti amministrativi, partiti flebilmente fin dai primi decenni dell''800 (e completati nel '900), segnarono l’inizio della rapida decadenza di quei siti che un tempo costituirono i vecchi e gloriosi Casali, con la conseguente e progressiva perdita d’identità, per un territorio ricco di tradizioni secolari e degne di rispetto. 
Salvatore Fioretto 
 
Le notizie riportate in questa breve trattazione storica sui Casali di Napoli (in IV parti), sono state in gran parte tratte dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010, nel quale è possibile, attraverso le note, risalire alle fonti storiche.

Pianta topografica della città e territorio di Napoli, di Luigi Marchese, 1803
 

sabato 21 ottobre 2023

La storia dei Casali di Napoli: Piscinola gode lo status di Casale Regio Demaniale... parte III

(Segue dalla II parte) Il “Cedolare Angioino” fornisce notizie preziose circa le imposte applicate ai vari Casali. Infatti la somma dei tributi da questi versati, al periodo risalente il testo, era di 186 once, contro le 506 once, corrisposte all’erario dagli abitanti della città di Napoli.
Con il trascorrere dei secoli, i Casali Demaniali godettero di un’ampia autonomia amministrativa nei confronti della corona e della curia vescovile. In alcuni di essi, già trasformati in “Università”, erano presenti forme di autogoverno e di assistenza, attraverso propri sindaci o eletti, che amministravano i Casali in modo del tutto indipendente, provvedendo ai bisogni dei cittadini con gabelle sui prodotti e pedaggi sui trasporti.
La giurisdizione della città consisteva nell’amministrare l’Annona e alcuni dazi promiscui. Esisteva un ispettore (“Giustiziere della Grassa”), assistito da un suo designato (“Catapano”), che avevano il compito di visitare i Casali per vigilare sulla qualità e sul prezzo imposto al pane e ad altri prodotti.
Al fisco si pagava il “Focatico”, che nel 1442 ammontava a un ducato per ogni nucleo familiare. Comunque i Casali Demaniali dovettero considerarsi privilegiati rispetto a quelli baronali, perché ricevevano una giustizia più obiettiva ed equa.

Ritratto giovanile di Ferdinando III detto il Cattolico

Alfonso D’Aragona, detto il Magnanimo, inasprì il sistema fiscale per compensare il deficit contratto dalla Corona durante le guerre e a causa della magnanimità con cui Egli dispensava favori e beni. Il re, con editto del 1443, dispose il censimento ai fini fiscali della popolazione dei Casali e della città, detto “Numerazione dei focolari” e stabilì che la tassa pagata da ogni “focolare” ammontasse a 42 carlini. Dal pagamento di questa tassa furono esonerati parecchi Casali intorno alla città di Napoli, insieme agli abitanti della stessa capitale. Riporta Nicola Del Prezzo: “Il timore di sommosse doveva comunque esserci, visto che in primis ad essere esentati erano i cittadini della capitale”.
Durante la dominazione Aragonese, il re di Napoli, Ferdinando III detto “Il Cattolico” (Ferdinando II d’Aragona), concesse, in data 15 ottobre 1505, il privilegio alla città di Napoli di non vendere o donare ad alcuna persona i suoi Casali.
Nell’opera: “Nuova, e perfettissima descrizione del Regno di Napoli, diuiso in dodici provincie, nella quale brevemente si tratta della città di Napoli, e delle cose più notabili…”, di Enrico Bacco Alemanno, edita nel 1629, si riporta la seguente testimonianza: “NAPOLI: città inclita, capo del Regno, per privilegio che tiene, non si numera, né anco tutti i suoi casali che sono quarantatré, per dodici miglia intorno, però non pagano cosa alcuna. […] Seguono i NOMI DEI CASALI della città di Napoli, quali per privilegio, che tiene detta città, non pagano pagamenti fiscali, né altro. San Pietro a Patierno, La Fragola, Lo Salice, Casalnuovo, Fratta Maiore, Grummo, Pescinola, […]”.

Una delle mappe elaborate da GiovanBattista Porpora, nel 1779
Durante il periodo di Viceregno spagnolo, a causa delle ristrettezze economiche della Corona spagnola, sempre alle prese con estenuanti guerre e spese militari, fu presa la decisione di vendere i Casali. Decisione maturata formalmente nel dicembre del 1619. A nulla valsero le istanze presentate alla Regia Camera della Sommaria, dal Procuratore Francesco Tedaro, che appellandosi al privilegio concesso nel 1505 da Ferdinando III “Il Cattolico”, domandò che non si mettessero in vendita i Casali.
Tra il 1620 ed il 1637 molti Casali furono venduti dal Viceré spagnolo ai baroni locali, suscitando vivaci proteste tra gli abitanti.
Il 15 giugno del 1637 gli abitanti dei Casali si sollevarono tutti uniti, in un’accesa protesa contro l’ordine del Viceré di Napoli, Don Ramiro de Guzman duca di Medina del Las Torres (al trono per conto del re Filppo IV di Spagna). Alla protesta parteciparono trentadue Casali, tra i quali Piscinola. Nonostante il tumulto, la Regia Camera della Sommaria, competente del Foro Feudale, non tenne alcun conto delle richieste e delle rimostranze dei Casali e quindi ratificò la decisione vicereale.
Molti Casali, per non cadere nelle mani dei baroni, furono costretti ad esercitare lo strumento dello “Ius Praelationis”, ossia la possibilità di ritornare allo status di “Regio Demanio” pagando alla Regia Camera, nell’arco di un anno, lo stesso prezzo di vendita offerto dai baroni. Non tutti i Casali riuscirono però a “riscattarsi”.
I Casali che si “riscattarono” passarono sotto lo stato di “Casale Autonomo”, detto anche “Communità” (ossia Comune) ed erano governati dall’assemblea delle famiglie, che poi regolavano i loro rapporti fiscali con il governo centrale, attraverso un Procuratore del Regno.
Sappiamo per certo che nel 1637 il Casale di Piscinola si oppose al progetto del Viceré di vendere il Casale al principe di Cardito. In quel periodo Piscinola contava 129 nuclei familiari, ogni nucleo era chiamato “fuoco” e si componeva mediamente di 5 persone.
Intanto, nell’anno 1647, la città di Napoli fu chiamata a “donare” un milione di ducati richiesti dalla maestà cattolica, Filippo IV. La “Piazza della città” stabilì di applicare una gabella sulla farina, divisa in maniera diversa tra la Città e i Casali del Distretto. Per far fronte alla nuova gabella, i Casali dovevano sborsare 3 carlini a tomolo di farina, mentre la città di Napoli un solo carlino a tomolo.
Per il Casale di Piscinola la gabella fu valutata 1.822,75 ducati e fu anticipata con un prestito, dai signori Alessandro Brancaccio e Alfonso de Liguori (trisavolo di Sant’Alfonso), attraverso il patto “quandocunque” (pagamento in qualunque tempo), in base alla propria disponibilità. A causa di questo debito contratto, il Casale di Piscinola ritornò ad essere a rischio di vendita.
Il problema della vendita dei Casali fu molto sentito dalla popolazione locale, fino al punto che, durante i moti del 1647, Masaniello impose nel trattato firmato con il Viceré Duca De Arcos (detto “Capitoli”), l’impegno di non vendere in futuro i Casali.
Al capitolo 43 di questo Trattato si legge: “Item, che tutti li Casali di questa Fidelissima Città in ogni futuro tempo debbiano essere, e stare in demanio, non obstante qualsivoglia alineatione, vendita, o donatione in contrario fatta, le quali si declarano nulle, anche in conformità delle Gratie sopra ciò fatte per lo Serenissimo Re Cattolico, confermate per la Cesarea Maestà di Carlo V”.
Dopo la morte di Masaniello il problema si ripresentò, infatti in un documento datato 17 dicembre 1669 si ricava che il principe di Cardito arrivò a offrire ben 22 ducati per “fuoco”, “[...]senza le giurisdizioni delle eccellentissime Portolania e Cacia[...]”(termini usati per indicare i tributi sulla concessione degli spazi pubblici e sul commercio dei formaggi). Anche un certo “signore”, di nome Pisani, offrì un’alta cifra per l’acquisto di tutti i Casali messi in vendita, tra cui quelli di Piscinola e di Marianella.
Per la transazione di Piscinola furono offerti fino a 2875 ducati (rif. Consiglio Collaterale Consultarum, Vol. 10). La vendita di Piscinola e degli altri Casali, non ebbe però luogo.
Nel 1678 le Università di Secondigliano, Casavatore, S. Pietro, Piscinola, Marianella, Barra, Soccavo fecero richiesta di restare nel Demanio, offrendo di pagare 25 ducati a “fuoco”.
Alla fine si ebbero delle transazioni per ogni Casale. A conferma di ciò sappiamo, attraverso una “Consulta” dello stesso anno 1678, che i Casali sopra menzionati appartenevano ancora al Demano (ASN Sommaria Consultationum Vol. 76 fl. 253 t.).
Nel 1679 il Casale di Piscinola riuscì finalmente a “riscattarsi” ed a rimanere nel Regio-Demanio; purtroppo così non avvenne per Marianella e Miano. Ecco quanto scriverà l’Avv. Rossi, due secoli dopo a tal proposito: “Nel 1679, il Casale di Piscinola per sottrarsi alla Jattura di essere venduto come le altre terre demaniali, e cadere sotto il giogo dei Baroni, pagò alla Regia Corte di Sua Maestà Cattolica Carlo II, la somma di duc. 3800, come da istrumento per Notar Paolo Giuseppe Russo in Napoli”.
Mappa di Napoli e dei suoi 33 casali, di Luigi Marchese, 1804

Restando ancora in tema di gabelle, in uno scritto dell’anno 1647, tratto dalle determinazioni del Consiglio Collaterale (Vol. 179 fl. 124), firmato da un certo Ribera, apprendiamo una notizia relativa alla soluzione del problema dell’acquisto della farina a 2822 ducati per tarì e all’esenzione dalla gabella sul “Panizandi”: “…li ha fatto grazia di donarli il jus panizandi e fattala esempte da nisse imposizioni et pagamento ad essa Vendita, e poiché Em.mo Signoro, desidera essa Vindita tra i suoi cittadini offertare detto Jus Panizandi et per fare una poteca di Pizzicheria per detto effetto”. Con questo atto, il principe De Luna aveva ceduto al Casale di Piscinola il diritto di esenzione dalle gabelle sulla panificazione. Fu stabilito che la linea di confine di esenzione dall’”Arrendamento della farina” (cioè la gabella sulla farina) passasse a valle dello stesso palazzo “De Luna”.
Singolare fu la controversia sorta nel 1700, tra il governatore dell’Arrendamento della farina e alcuni nobili che avevano le loro masserie nel territorio piscinolese, tra cui gli eredi di Don Francesco de’ Liguoro, l’Abate Don Carlo Carafa, il marchese Don Danzi principe di Belvedere, il dottor Bartolomeo Imparato e i monasteri di S. Agostino alla Zecca e di S. Giovanni a Carbonara; la controversia mirava a stabilire se i cespiti rientrassero o meno nel territorio di esenzione dalla gabella.
In diverse occasioni, proprio per queste controversie, su richiesta dei vari governatori degli “Arrendamenti”, si verificarono gli esatti confini della città con i Casali, per determinare le zone di esenzione dalle imposte, apponendo anche dei “termini” sulla linea di “confinazione”.
A tal fine, nel 1776, il governatore dell’”Arrendamento della farina”, affidò l’incarico all’ingegnere Camerale Giambattista Porpora, di redigere una “Mappa generale della confinazione” tra Napoli ed i Casali circostanti.
L’opera fu completata nel 1779 e comprendeva sedici mappe dipinte a tempera e un manoscritto introduttivo, oggi conservati nella Biblioteca della
Società di Storia Patria.
Col trascorrere del tempo divennero sempre più numerosi i Casali che erano diventati Universitas (cioè Comune) ed avevano dei Sindaci o Eletti.
Con la dinastia dei Borboni la situazione amministrativa dei Casali rimase immutata, fino all’avvento dei Francesi. (continua nella IV parte)

Salvatore Fioretto