mercoledì 4 settembre 2013

La piazza contesa e quella senza nome...!!

Via del Plebiscito a Piscinola, angolo con via Miano a Piscinola e Piazza G. B. Tafuri


La piazza principale di Piscinola, ossia l'antico largo che si estende tra la chiesa parrocchiale dedicata al SS. Salvatore e l'edificio storico del Municipio (ex sede del Comune di Piscinola), è intitolata da moltissimi anni ad un certo Giovanni Bernardino Tafuri, originario della Puglia; ma se qualcuno chiedesse chi è stato veramente costui e che rapporti avesse con il nostro quartiere, dalla risposta che ora riceverà, rimarrà sicuramente deluso; perché nulla di tutto quanto pensato o immaginato si sarebbe verificato nella vita di questo personaggio, vissuto nel secolo dei Lumi... 
E' strano a dirsi, ma il suo rapporto con il Casale di Piscinola si limitò ad una semplice epistola di corrispondenza, peraltro non scritta di suo pugno, bensì ricevuta.... 
Un suo amico, anch'egli scrittore, di nome Giacomo Castelli, un giorno divagando sul ruolo e sulla responsabilità avuta dagli storici e dagli studiosi di cose antiche, gli ricordò, scrivendo l'epistola, che uno storico doveva essere obiettivo e scrupoloso, lontano dal commettere errori grossolani o tali da generare dei falsi ripetibili poi "a catena"... Chissà, forse il Castelli aveva già immaginato il contenuto delle opere che andava pubblicando il suo caro amico Bernardino...!
Il Castelli, nella sua missiva, prese a mò di esempio lo storico che nel XVII secolo, ricordando l'impresa del generale condottiero Belisario, che ripopolò Napoli dopo averla distrutta (episodio del 536 d.C., tratto dalla Storia Miscella), confuse la cittadina di Pisciotta, situata in provincia di Salerno, con l'abitato del casale di Piscinola, che invece fu tra quelli che aveva contribuito veramente  al ripopolamento di Napoli. Tutto questo non senza ripercussioni negative sugli altri studiosi e ricercatori, che lo seguirono nell'errore...! 
Ecco uno stralcio finale della epistola...


E P I S T O L A DEL NAPOLETANO GIACOMO CASTELLI
Avvocato Difensore della Città
ALL’ERUDITISSIMO GIOVANNI BERNARDINO TAFURI Patrizio Neretino
Opusc. Tomo XII
GIACOMO                     CASTELLI                     A  GIOVANNI BERNARDINO TAFURI 
SALUTE


La delusione del lettore ora non sarà certamente irrilevante nell'apprendere che questo personaggio (Tafuri), a cui è stata intitolata la piazza centrale di Piscinola, di fatto non ha eseguito niente di significativo per il quartiere o per la sua memoria..., suppongo che questa delusione sarà ancor più forte quando lo stesso lettore saprà che il Tafuri ha conservato nei secoli la triste e singolare nomea di storico erudito, e (ahimè!) di un "falsario" nel narrare i fatti storici.... Attribuzione riportata in diversi testi, antichi e recenti. Anche lo storico napoletano Bartolommeo Capasso fu tra quelli che lo sconfessò, con la pubblicazione della sua famosissima opera, intitolata: "Monumenta ad Neapolitani Ducatus Historiam Pertinentia"...
Ora sarebbe interessante sapere quali furono le motivazioni che spinsero la allora legittimante "Commissione di Toponomastica del Comune di Napoli" a intitolare, nei decenni a cavallo tra gli anni '50 e '60, l'antica piazza allo scrittore pugliese Giovanni Bernardino Tafuri, originario della cittadina di Nardò, in provincia di Lecce!
Rispolveriamo un po' la vita di Bernardino Tafuri.... riportando la recensione pubblicata nell'enciclopedia/dizionario on-line della "Treccani":


 
L'antica denominazione di questo storico largo era invece "Piazza del Municipio", un'attribuzione derivante sicuramente per la vicina presenza dell'edificio comunale, che fu sede del consiglio municipale del Comune di Piscinola, ahimè, fino al lontano 31 dicembre 1865, quando Piscinola fu annessa al Comune di Napoli.
La cosa curiosa da sapersi è quella che all'insigne scienziato, chirurgo, ricercatore scientifico, primario, medico personale di Caruso e deputato della Repubblica Italiana, ovvero all'on. Raffaele Chiarolanza, nato e vissuto a Piscinola proprio davanti alla piazza, a tutt'oggi, non è stato dedicato nemmeno un giardinetto o qualche aiuola del quartiere di Piscinola...!!
Risulta poi, è questo è ancor più grave, che allo stesso professore considerato, nella sua epoca, un luminare della medicina, alla pari di Cardarelli e Giuseppe Moscati, non è stata dedicata nessuna strada o vicolo, anche piccolo, nella intera città di Napoli!
La piazza B. Tafuri è delimitata da un lato dallo spigolo della Arciconfraternita del SS. Sacramento e dall'altro lato dall'uffico Postale, mentre tutto il largo esistente, prospiciente all’edificio ex scuola Torquato Tasso  non ha nessun nome nella toponomastica cittadina. Si, avete inteso bene! Perché tale superficie, che si vede attraversandola tutti i giorni ed è pavimentata e arredata con panchine, con marciapiedi, con aiuole e alberi e con tanto di stazionamento degli autobus di linea AMN, non risulterebbe al Comune di Napoli come una piazza o largo, bensì solo una mera estensione della via Plebiscito a Piscinola. Un vero assurdo!

Racconto brevemente un curioso aneddoto, di un fatto realmente avvenuto... con al centro della storia proprio questo posto di Piscinola...
Nella seconda metà degli anni '60 si verificò a Piscinola un evento curioso a dirsi, diciamo un caso simile alla serie allora in auge: "Peppone e don Camillo", ma condito in salsa prettamente Piscinolese...!
Il prof. on. Raffaele Chiarolanza negli ultmi anni della sua vita.
La sezione locale del Partito Comunista Italiano organizzò..., (udite!) una petizione popolare per sollecitare la dedica di questo lato della piazza di Piscinola, (allora come oggi, in cerca di un nome) al "Papa buono", al secolo Papa Giovanni Roncalli (Giovanni XXIII), per aver promosso, con la sua forte azione pastorale, politica e sociale, la pace in Italia, in Europa e nel mondo. Il Papa era morto da pochi anni, ma era già compianto da tutti gli strati sociali della penisola, da nord a sud e anche dai vari orientamenti politici italiani. Anche da parte di quelli tradizionalmente un po' lontani dalla Chiesa e poco inclini ai messaggi di fede religiosa... 
Papa Giovanni XXIII
A questa iniziativa, strano e curioso a dirsi, si oppose e non appoggiò l'opera, la sola Parrocchia di Piscinola, forse condizionata dalla decisione della stessa Curia Arcivescovile, perchè l'iniziativa del PCI, che divenne un caso da blog  nazionale, pubblicata su molte riviste e periodici, era giudicata come di parte, pretestuosa e addirittura speculativa! La Parrocchia non solo non appoggiò l'iniziativa, ma in un certo senso la ostacolò pure!
Il Comitato per il monumento aveva già messo in cantiere la raccolta dei fondi, l'affidamento degli incarichi per coniare una statua e per far costruire un piedistallo rivestito in marmo. Quindi con il monumento al Papa quel lato della piazza di Piscinola oggi sarebbe stata chiamata... Piazza Giovanni XIII, sicuramente meglio di Via Plebiscito a Piscinola!! 

Piazza Giovanni Bernardino Tafuri (già Piazza Municipio)
Il progetto era pronto ed era stata individuata anche un'area della piazza da trasformare ad aiuola, con sopra il monumento contestato.
Non sappiamo perchè l'iniziativa si arenò, forse perchè iniziò a prendere fiamma quel famoso movimento di protesta, che fu chiamato "Sessantotto"... e quei problemi  presero sicuramente il sopravvento alle effimere discussioni nostrane, giudicate fin troppo locali...!
E' stato per me interessante e bello apprendere, a distanza di tempo, che una nobile e simbolica iniziativa abbia avuto i natali proprio in questo piccolo borgo di periferia e sia balzata alla cronaca nazionale, accendendo tanto interesse su Piscinola... Se allora fosse stato realizzato quel monumento, sarebbe stato indubbiamente un bell'esempio di riappacificazione sociale... Ma la storia ha fatto un corso ben diverso...! Peccato per il monumento e per la nostra Piazza...!

Credo che è giunto il fatidico momento di dedicare la "Piazza senza nome" all'emerito prof. Raffaele Chiarolanza, medico, scienziato e deputato della Repubblica... o è ancora presto...!?
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

Scorcio della via Plebiscito e veduta dall'alto tratte da "Google Map"

domenica 1 settembre 2013

Miseno nelle tradizioni della mia terra....!


Tante volte mi sono chiesto come mai la cittadina di Mugnano di Napoli avesse un'antica tradizione per il commercio del pesce fresco... Sono le cittadine che si affacciano sul mare ad avere sviluppate queste tradizioni ed usanze e mai (per quanto ne sappia)  quelle con vocazioni agricole, specie se situate nell'entroterra, in aperta campagna e con scarse vie di comunicazioni... Questa tradizione anomala esisterebbe quindi solo a Mugnano ed è, infatti, tanto radicata da avere da tempo immemorabile un mercato ittico, conosciuto in tutto il circondario a nord di Napoli e fino all'intera Provincia. 
Veduta di Miliscola e Miseno 


Anche Frattamaggiore aveva sviluppata fino a pochi decenni fa la tradizione e l'arte di realizzare i cordami di canapa, usanza legata soprattutto alle origini marinare della popolazione, come a breve spiegherò.
Miseno, chiesetta ricostruita sul luogo dove erano venerate le reliquie di S. Sossio
Da diverse estate mi reco al mare a Miseno, negli stabilimenti balneari lì presenti e, spesso, ascoltando l'idioma degli abitanti dell'area puteolana ho potuto riscontrare come la loro inflessione dialettale del parlato e le espressioni gutturali sono molto simili a quelle dei Frattesi, dei Mugnanesi e anche dei Maranesi. Leggendo un po’ la storia dei Campi Flegrei si può dedurre che Miseno, Cuma e Pozzuoli furono a metà nel IX secolo invase e distrutte dai Saraceni provenienti dal mare e che gli abitanti di queste cittadine, fuggendo nell'entroterra della Liburia e dell'Agro napoletano, si spinsero ancora oltre, per trovare un luogo sicuro e protetto, fino a insediarsi in un bosco fitto di vegetazione, che fu per questo motivo chiamato "Fracta" e poi successivamente trasformato in "Fratta". Forse già conoscevano in precedenza quel luogo, per l'approvvigionamento della Canapa, con la quale realizzavano le corde per le loro imbarcazioni. Nei secoli seguenti si distinsero due abitati, uno grande e uno piccolo, al punto da indicarli per distinguerli, in Fracta Majore e Fracta Pictula (piccola). Frattamaggiore e Frattaminore di oggi.
Capo Miseno
In questa riflessione ho pensato anche alla presenza della chiesetta piscinolese dedicata a San Sossio, che le fonti storiche riportano nelle carte celebrate, fin dal IX secolo. Una mappa del Valmagini, risalente all'inizio 1800, riporta evidenziata la chiesetta di san Sossio nella antica località chiamata Piscinella, ossia nei pressi del locus della primitiva Piscinula. Quindi la chiesetta in parola doveva trovarsi nei pressi della via cupa Perillo, pressappoco dove esiste oggi la caserma dei Vigili del Fuoco di Scampia. Dopo queste premesse introduttive, e pensandoci bene, esisterebbe (il condizionale è però d'obbligo) un legame storico che unirebbe questi quattro siti: Miseno-Pozzuoli, Mugnano, Piscinola (chiesetta di S. Sossio) e Frattamaggiore (Città Misenate)...
Analizziamo la mia ipotesi...


Cappella del Tesoro di San Gennaro, "Sossio e Gennaro", affresco del Domenichino.
Per farlo dobbiamo risalire alla storia dei primi anni del Cristianesimo in Campania... Per chi non lo sapesse, San Sossio Diacono era amico fraterno di San Gennaro Vescovo ed era nativo della città di Miseno. Quando fu incarcerato a Pozzuoli, perché tradito dai pagani, San Gennaro si recò a visitare Sossio in carcere e professando anch'egli la sua fede cristiana, morirono insieme decapitati preso la Solfatara. I martiri furono poi sepolti in un luogo clandestino, nei pressi dell'Agro Marcianum (forse nei pressi di Fuorigrotta). 
Con la proclamazione dell'Editto di Milano da parte dell'imperatore Costantino I (313 d.C.), editto che tollerava il cristianesimo e i cristiani, i Misenati ed i Napoletani prelevarono i resti dei rispettivi concittadini e li traslarono nelle loro diocesi. Quindi San Sossio fu sepolto nella chiesa di Miseno, mentre San Gennaro fu riposto nelle Catacombe di Capodimonte. Nell'ultima scorreria dei Saraceni, avvenuta alla metà del IX secolo, la cittadina di Miseno fu distrutta e le reliquie di San Sossio rimasero ivi sepolte sotto i resti della chiesa di Miseno che le venerava. I Misenati, come già detto, fuggirono nell'entroterra per cercare un luogo sicuro. E' probabile che un gruppetto dei fuggitivi portò con sè nella fuga qualche piccola reliquia del martire e che poi, trovando rifugio, si stabilì a metà strada, presso la località Piscinella, che allora doveva essere già popolata. 
Particolare della mappa del Valmagini, di inizio '800

Per custodire questa ipotetica reliquia o magari solo per perpetuare il culto del Martire, è fondato supporre che la piccola comunità abbia edificato e dedicato a San Sossio una chiesetta, in piena e aperta campagna, altrimenti non si spiegherebbe l'attribuzione del titolo del Santo alla nostra chiesetta, proprio nel IX secolo, in un sito distante oltre 25 chilometri da Miseno e senza alcun legame storico con questo Santo e Miseno...! 
Le reliquie di san Sossio, che restarono sepolte e dimenticate sotto le macerie della chiesa di Miseno per diversi decenni, furono poi ritrovate per caso da alcuni monaci benedettini Napoletani, intorno all'anno 902 e traslate solennemente a Napoli, nel loro convento. Successivamente a partire dal 1494 fu edificata nel centro di Napoli una grande basilica, che prese il nome di "Santi Severino e Sossio".
Anche la cittadina di Frattamaggiore, che nel frattempo si era sviluppata e aveva avuto l'insediamento di una comunità di monaci Benedettini, aveva edificato una basilica  dedicata in onore del suo patrono, San Sossio appunto. I Frattesi ebbero modo di chiedere ai napoletani,  rivendicando le loro origini flegree, che le reliquie del loro protettore fossero traslate a Frattamaggiore, cosa che poi avvenne il XXXI maggio1807. Il corteo solenne, partendo dalla cattedrale di Napoli, si fermò una notte nella zona di Capodichino e proseguì la mattina seguente per la cittadina frattese, dove le reliquie furono accolte trionfalmente dai cittadini.  
Della nostra chiesa di San Sossio si sono perse le tracce a partire dalla fine del 1800. Ebbe nei secoli  momenti di splendore, divenendo anche Estaurita. Probabilmente fu distrutta durante qualche terremoto e non più ricostruita oppure caduta in abbandono e trasformata per farne altro uso, tipo: deposito agricolo o abitazioni. 
Quindi l'antica tradizione mugnanese per il commercio ittico sarebbe un retaggio storico risalente all'origine della diaspora misenate, perchè è altrettanto fondata l'ipotesi che un gruppo di misenati si sia stabilito anche in quel luogo, contInuando le proprie costumanze. 
Intanto il mercato ittico di Mugnano si è sviluppato molto negli ultimi tempi, tanto da abbandonare alcuni decenni fa la sede storica, in via Mercato Vecchio e trasferirsi nella nuova struttura situata nei pressi della circumvallazione esterna, vicino alla stazione della MetroCampania di Mugnano.
L'odierno mercato ittico di Mugnano
Ancora oggi tutti possono notare, la somiglianza gutturale dell'idioma dei Frattesi, dei Mugnanesi, dei Maranesi, dei Cumani, dei Puteolani e dei Misenati, tutti accomunati probabilmente dalle stesse origini flegree.

Dopo queste considerazioni, tratte un po' tra la deduzione, il paragone e l'intuito..., ipotizzando il percorso effettuato dai misenati in fuga, ho disegnato una linea immaginaria tra i siti di "Miseno-Cuma" e Frattamaggiore e si puo' facilmente vedere che questa linea passa proprio nelle vicinanze delle località di Marano, Mugnano e Piscinola-Scampia... 
Certo che occorreranno indagini approfondite e riscontri storici ineluttabili, ma la base di partenza dell'ipotesi non è infondata... Sarei molto grato se qualche lettore potesse fornire un contributo alla ricerca...
Non ci resta che augurarci una "buona ricerca"...! 

 
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

Tramonto a Capo Miseno... (Foto tratta da Internet, di autore ignoto)



sabato 31 agosto 2013

"Luisella 'a pisciavinnela..." (Luisa la pescivendola)




In ricordo dell'umanità di un tempo che animava le strade del quartiere di Piscinola.

Eravamo alla metà anni settanta e a Piscinola, diversamente da oggi, non c'erano negozianti stabili che vendevano il pesce fresco. La distribuzione al dettaglio dei prodotti ittici, come avveniva in ogni rione di Napoli, era appannaggio di piccoli ambulanti, i quali, con carrettini trainati a mano, percorrevano le strade di Piscinola con le loro inconfondibili voci di richiamo, diventate poi simboli e oleografie della città.... Il pesce venduto proveniva da Mugnano che da tempo immemorabile aveva il suo mercato Ittico... 
Oggi, a distanza di decenni, ricordo una donna energica, piccola di statura, sempre vestita di nero per i suoi lutti, ma di una personalità forte ed esuberante, una donna di altri tempi..., si chiamava Luisella ed era originaria di Mugnano. Aveva preso in fitto un piccolo basso, in dialetto si direbbe molto semplicemente un "pertuso"... verso la parte bassa del quartiere, contrada chiamata da secoli dagli antichi abitanti con il toponimo di: Abbascio Miano. Quel locale le era necessario per riparare durante la notte le sue “spaselle” di castagno (cassettine di legno per contenere ed esporre il pesce) e il suo carrettino di legno, che lei ogni giorno trainava, con non poca fatica, a forza delle sue piccole braccia, su e giù tra "Cape e coppe" e "Abbascio Miano"... 
Non so nemmeno se fosse sposata e se avesse figli; lei conosceva mia madre e aveva con lei un buon rapporto di amicizia, forse si conoscevano fin dalla loro gioventù. Luisella comprava all'ingrosso il pesce fresco al mercato ittico di Mugnano, che una volta si faceva al termine dell'odierna Via Aldo Moro, per poi venderlo a dettaglio nei suoi inconfondibili "cuoppetielli" di carta gialla..., le "fredde" e inquinanti bustine di plastica, in uso oggi per contenere il pesce, allora non si sapeva nemmeno cosa fossero..!
Lei, a piedi e da sola, percorreva ogni giorno, di buon ora, con il suo carrettino o con grandi cesti, la strada solitaria che da Mugnano raggiungeva Piscinola: oggi si chiama Via Cupa Perillo. Nel ritornare a sera a casa, prendeva una delle corse della mitica ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife... 
Luisella era anche un piccolo corriere...; allora i telefoni privati non erano molto diffusi, anzi nessuno li aveva in Provincia e quelli pubblici non servivano a molto, se non ci si metteva daccordo sull'ora di chiamata... Molte persone originarie di Mugnano oppure che avevano parenti a Mugnano, si affidavano alla sua preziosa "opera comunicatrice" e quindi lei provvedeva a scambiare i messaggi di conoscenti su e giù, facendo da spola tra Mugnano e Piscinola. 
Ricordo la "voce caratteristica" che lei emetteva a mo' di richiamo per pubblicizzare il pesce fresco, inutile dire che non capivo niente di quello che diceva..., ma quella era la sua voce inconfondibile e tutti la riconoscevano come la voce di Luisella 'a pisciavinnela.... I prodotti venduti erano sempre freschi e la sua clientela selezionata e affezionata. 
Ero ancora un bambino quando lei girovagava per Piscinola e aveva già oltrepassato abbondantemente i 50 anni. 
Quando chiusero via Vecchia Miano, per permettere la ricostruzione delle abitazioni del “Dopoterremoto”... o meglio, quando distrussero l'umanità che era presente in Abbascio Miano..., non l'ho incontrata più. Non so se sia morta e nemmeno come ha trascorso questi anni della sua vita. 
Luisella era una donna energica, fiera, combattiva, una delle classiche donne del meridione, che hanno fatto onore e grande l'Italia e Napoli nel dopoguerra. 
Grazie Luisella, grande donna del Sud, ti voglio bene, ovunque tu sia....!
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

La prima foto in alto è stata tratta dal web, mentre la seconda (quella stilizzata con un programma di grafica), è l'antica colombaia presente nel giardino del seicentesco "Palazzo Grammatico" a Piscinola.

mercoledì 28 agosto 2013

Quando in collina si andava in tram...!

E venne la moda dilagante degli autobus su gomma..., ossia dei mezzi  di trasporto collettivi che i napoletani in fondo in fondo non hanno mai amato tanto e che forse, per paradigma o per ilarità prettamente partenopea, essi continuano ancora oggi a identificarli impropriamente con il termine anglosassone di "Pullman", con la storpiatura di "'e purmanne" (come si sa il termine "Pullman" identifica gli autobus turistici... o addirittura le carrozze ferroviarie...).
Accadde che in pieno Boom Economico, il propagarsi del servizio di trasporto su gomma mise in crisi e chiuse l'epoca d'oro dei trasporti cittadini su ferro, i famosi Tramway: mezzi di trasporto che avevano caratterizzato la società di fine ottocento e la prima metà del secolo successivo, oltre che la vita di moltissime generazioni. Con i tram si era arrivati ad estendere il trasporto pubblico nelle città in maniera capillare e su larga scala, anche in ambito extraurbano e provinciale. Purtroppo dobbiamo dire che furono soprattutto le ragioni politiche ed economiche ad influenzare questa metamorfosi, che oggi, nelle grandi metropoli e a distanza di poco più di 50 anni, sicuramente non piace più a nessuno...!

Anche Napoli fu interessata, fin dalla fine del secolo scorso, da una costante e poi rapida diffusione della rete tranviaria, realizzata interessando ogni quartiere, ogni località della città, anche la più lontana e periferica del suo circondario, come le colline e la parte litorale.
Il tram divenne, con i suoi impianti, un elemento di arredo urbano, un componente del paesaggio e della stessa iconografia oleografica della città; moltissime sono, infatti, le cartoline d'epoca che raffigurano strade e facciate di monumenti napoletani con in primo piano o sullo sfondo, il passaggio o lo stazionamento di tram. 
(Lavoratori del deposito del Garrittone posano vicino al muro del Bosco di Capodimonte)  
Nel mondo della musica e della canzone popolare, il tram è stato più volte un elemento caratterizzante, quasi scenografico del racconto, come la celebre canzone di Armando Gill, intitolata "Primma, Siconda e Terza", (conosciuta più come "'O tram d''a Turretta", con il ritornello ripetitivo "'e allora...?". Anche nella cinematografia, infine, il tram ha fatto da sfondo alle scene di molti set di film cittadini, come ad esempio quello famoso: "Napoli milionaria", dove i due protagonisti principali, che erano Totò ed Eduardo, erano dei tramvieri, entrambi alle prese con il servizio, la guerra, i problemi familiari quotidiani e anche sociali.
La rete cittadina, nata inizialmente con carrozze a trazione a cavalli, identificati con il termine inglese "Omnibus" (carrozze che si muovono senza binari), si sviluppò e fu ampliata, poi, con i "tram a cavallo" (ossia con carrozze "incanalate" su binari).
La rete, già abbastanza abbastanza ramificata, fu elettrificata a partire dai primi anni del 1900. Essa continuò a svilupparsi, negli anni a seguire, grazie all'opera  di investitori stranieri, particolarmente da parte della Societè Anonyme des Tramways Napolitains (SATN). La ramificazione e lo sviluppo della rete crebbe ancora, fino agli inizi della prima guerra mondiale, tanto da raggiungere anche quei luoghi ritenuti difficilmente accessibili a causa della tortuosità delle strade o per il notevole dislivello presente, come la Sanità, il nuovo rione del Vomero, Capodimonte, Capodichino, ecc.
(Nelle due foto sotto,  tram sulla strada Provinciale Marano Giugliano, oggi corso Italia)
La periferia Nord, come quella Est e Ovest di Napoli, fu caratterizzata da importanti investimenti da parte di altre società straniere. La linea tramviaria extraurbana più antica, costruita sempre dalla (SATN), fu la celeberrima "Museo- Torretta-Pozzuoli", linea poi prolungata fino al Museo Nazionale; essa fu realizzata fin dalla costruzione con la trazione a vapore, con cremagliera e poi elettrificata. Nella zona nord, area che ci riguarda in particolare, la Societè Anonyme de Tramways du Nord de Naples inaugurò, nel lontano 1889, le "Tramvie del Nord", poi divenute "Tramvie di Capodimonte", costruite inizialmente con trazione a vapore. 

Furono realizzate i primi rami delle linee denominate: "Museo-Porta Grande di Capodimonte" e "Museo-Garrittone di Capodimonte". Successivamente la Società gerente fallì e cedette, nel 1896, la concessione dell'esercizio alla neocostituita Società Anonyme Belge de Tramays (SABT), che provvide al completamento della linea e alla realizzazione di tre direttrici di traffico principali, chiamate: "Museo Miano", "Museo Marano-Giugliano" e "Museo Porta Grande". Nei primi anni del 1900 le linee furono completamente elettrificate.
Le direttrici per Giugliano e per Miano si arricchirono negli anni di importanti bretelle, e prolungamenti, che interessarono i centri abitati vicini. Le prime furono le bretelle per Marano e Mugnano e il prolungamento per Secondigliano, seguì nel tempo anche la bretella per Piscinola. Ma di queste ne parleremo in un altro post "ad hoc".
All'inizio della guerra mondiale la "SABT" disponeva di cinque linee che erano:
1 Museo-Porta Grande
2 Museo-Porta Piccola
3 Museo-Miano-Secondigliano
4 Museo-Marano-Giugliano
5 Museo-Marano

Al capolinea del Museo, che si trovava all'altezza della chiesa di S. Teresa degli Scalzi,  era previsto l'interscambio con la rete tramviaria cittadina, con la navetta "Pessina-Piazza Dante". Il deposito-officina delle vetture tramviarie fu realizzato al Garrittone, esattamente dove esiste l'attuale deposito della ANM.

("Regresso" di Capodimonte, il toponimo "Regresso" si riferisce sicuramente alla presenza degli scambi tramviari e alle manovre dei tram, per deviare o invertire la marcia.  Nella foto sottostante tram a Calvizzano)

Nel 1929, in pieno ventennio fascista, la concessione passò alla società ATCN (Azienda Trasporti Comunali di Napoli), secondo la politica messa in auge da Mussolini di allontanare le compagnie investitrici straniere. La neocostituita Società comunale provvide a rendere autonomo l'esercizio della linea dai tram cittadini, realizzando il "sospirato" prolungamento verso Piazza Dante, ove i binari si poterono innestare nel grande anello dell'emiciclo, attorno al monumento di Dante Alighieri.

La Linea per Marano-Giugliano, realizzata a binario unico, si sviluppava su un lato della via provinciale Santa Maria a Cubito e poi su quello della strada provinciale Marano Giugliano, attraversando, con fermate stabilite, le località di Frullone, Marianella, Chiaiano, Mugnano, Marano, Calvizzano e Giugliano. A Giugliano e a Secondigliano era possibile eseguire l'intercambio con la linea della Tramvia Provinciale, diretta inizialmente ad Aversa e, in un secondo momento, fino a Casal di Principe; ma si poteva raggiungere il centro cittadino e le altre linee tramviare provinciali dirette a Caivano, Afragola, Grumo e Frattamaggiore.  (Nella foto sopra tram all'ingresso del vecchio deposito del Garrittone, nella foto che segue, tram al corso Amedeo di Savoia)
La trazione elettrica era erogata a una tensione continua di 600 V. I tram possedevano la doppia cabina di guida, con singolo trolley girevole per la captazione della corrente. Le vetture delle Tramvie di Capodimonte erano verniciate in maniera diversa da quelle dei tram cittadini, avevano infatti una fascia orizzontale di colore chiaro, posta su ogni lato della livrea. Spesso era prevista, aggianciata al convoglio della motrice, una seconda vettura rimorchiata, detta anche "folle".
L'esercizio fu  sospeso durante la seconda guerra mondiale per il bombardamento ai ponti del "Bellaria" e di "San Rocco Nuovo", ma riprese alcuni anni dopo, assicurando lo sviluppo dei quartieri periferici collinari. Le linee furono rinominate con i numeri: "60", "61", 62, 63, "37", "38".
Nel 1954 il Comune di Napoli diede il primo "colpo mortale" alla vita delle "Tramvie di Capodimonte", eliminando il fascio dei binari di piazza Dante e facendo così arretrare il capolinea cittadino al corso Amedeo di Savoia. 
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

(Nella foto precedente tram cittadino con il numero 62, al "Regresso" di Capodimonte; nella foto che segue, terminale delle tramvie di Capodimonte arretrato al Corso Amedeo di Savoia)
Purtroppo il 15 marzo del 1960 l'amministrazione comunale di Napoli e quelle degli altri Comuni a Nord della città decisero di eliminare interamente le tramvie di Capodimonte, sostituendo il servizio con autobus su gomma, che ironia della sorte furono denominate come i vecchi tram, aggiungendo "1" davanti alla numerazione, infatti si ebbero le famose linee, della neocostituita ATAN, identificate con: "160", "161", "162", "163" e "137".

 
Nel seguito alcune foto di vetture all'interno dell'antico deposito dei tram al Garrittone: