sabato 19 aprile 2014

L'Eremo del Salvatore.... I Camaldoli di Napoli

Si erge maestoso sulla sommità di un alto costone tufaceo che si proietta verso i campi Flegrei, l'Eremo dei Camaldoli è il punto più alto della città di Napoli, raggiunge infatti i 458 metri di altezza sul livello del mare e, per tale motivo, è visibile da ogni punto della città. Non tutti però sanno che gran parte della collina ricade amministrativamente nella VIII Municipalità, infatti i borghi di Nazaret e Santa Croce appartengono al territorio del quartiere di Chiaiano. La chiesa, insieme al convento, è forse il monumento più ricco di storia e di capolavori conservati in questo territorio dell'Area Nord di Napoli. La collina assunse il nome di Camaldoli nel XVI secolo, anche se era già nota ai napoletani per la presenza di una piccola chiesa dedicata al Salvatore, attribuita a S. Gaudioso, vescovo di Bitinia, che nel 493 riparò a Napoli, insieme ad alcuni seguaci, sfuggendo alle persecuzioni di Genserico. 
La nuova chiesa, edificata sulla preesistente ormai in stato di abbandono, fu completata nel 1585 per opera dei monaci fondati da San Romualdo, detti Camaldolesi, che vollero dedicarla al SS. Salvatore in ricordo della prima chiesa napoletana che li accolse, denominata S. Salvatore a Prospetto.
La collina prese il nome di Camaldoli dal luogo toscano ove san Romualdo aveva fondato l'ordine dei Camaldolesi. L'Eremo annesso, intanto, iniziò a ingrandirsi, anche grazie alle cospicue donazioni elargite dalla nobiltà napoletana. Con bolla del 23 novembre 1662, papa Alessandro VII  elevò l'Eremo a Noviziato, che fu considerato il primo del Mezzogiorno. Nel maggio del 1771 papa Clemente XIV lo unì insieme ad altri tre conventi, realizzando la Costituzione Eremita Indipendente.
Purtroppo le sorti del monastero non furono tranquille e non poche volte i monaci dovettero abbandonare il luogo sacro. Infatti, nel 1807, con l'inizio del Decennio Francese, il monastero e la chiesa furono spogliati di ogni bene e i monaci cacciati dal convento. Nel 1820 Ferdinando I concesse agli eremiti di ritornare nel complesso monastico. Ma nel 1866, a causa delle drastiche leggi di soppressione emanate dal governo unitario sabaudo, i Camaldolesi furono di nuovo espropriati di tutti i beni e espulsi di nuovo. Vi ritornarono definitivamente nel 1885, con l'aiuto del cardinale Guglielmo Sanfelice, il quale, intercedendo a loro favore, consentì la restituzione di quanto precedentemente loro tolto.
Nei primi anni del 2000, infine, a causa della drastica riduzione di vocazioni, erano rimasti in soli due monaci, il convento è stato affidato alle suore dell'ordine del SS. Salvatore di Santa Brigida
La chiesa cinquecentesca, in stile tardo-rinascimentale, è attribuita al valente architetto Domenico Fontana. L'elegante torre campanaria e la sobria facciata mettono in evidenza la bellezza del portale barocco in piperno che sovrasta il portone d'ingresso. Una lapide marmorea riporta la dedica al maggior benefattore del tempio, che fu Giovanni d'Avalos, figlio del marchese del Vasto Alfonso, che riposa ai piedi dell'altare: 

IOANI AVALO DE ARAGONA ALFONSI
MARCHIONIS VASTI FILIO FUNDATORI
EREMITAE CAMALDVLENSES
GRATI ANIMI ERGO  P.P.   MDLXXXV
La chiesa è a unica navata, priva del transetto, con sei cappelle su ogni lato con decorazioni e stucchi realizzati praticamente del periodo barocco.
L'altare maggiore, ricco di intarsi marmorei, è opera del poliedrico architetto e scultore bergamasco, cavalier Cosimo Fanzago, attivo in quel periodo in molte fabbriche barocche napoletane, come la Real Cappella del Tesoro di S. Gennaro. Dietro all'altare maggiore si trova il coro ligneo dei monaci, realizzato in noce e radice di ulivo, nell'anno 1792 dall'ebanista Domenico Tarallo. Sui due lati sono presenti due tondi con il volto di Cristo e della Vergine Addolorata. Nella volta del coro è affrescata La visione di San Romualdo, dipinta da Francesco Amendola.
Nella maestosa pala d'altare dell'altare maggiore è rappresentato La Trasfigurazione di Cristo sul Tabor, di dubbia attribuzione, forse opera di Andrea da Salerno. Il dipinto è eseguito in campo d'oro e si ritiene che appartenesse all'antica chiesa di S. Salvatore a Prospetto. Sulle pareti laterali sono presenti quatto grandi tele a olio, raffigurati, rispettivamente: L'allegoria della morte, Il giudizio universale, La gloria del Paradiso e l'allegoria dell'inferno. Nel grande affresco del soffitto della navata è rappresentata, tra lunette, la Gloria di San Romualdo, opera del pittore Angelo Mozzillo.
Nelle lunette sono raffigurati: San Mauro, S. Silvestro Gozzolino, San Bernardo, S. Bernardo de Tolomei, S. Scolastica, S. Celestino V, S. Guglielmo da Vercelli,  S. Giovanni Gualberto e San Benedetto. Tra i capolavori custoditi, ricordiamo L'ultima cena di Massimo Stanzione, La sacra Famiglia ai piedi della croce di Luca Giordano, Il miracolo di S. Bernardino di Giovanni B. Azzolino, La Natività di ignoto, La sacra Famiglia di Ippolito Borghese, l'Assunzione della Vergine di Cesare Fracanzano, L'immacolata Concezione di Luca Giordano, La deposizione di Fabrizio Santafede, La Vergine con il Bambino e i Santi di ignoto.
Molto bella risulta essere la Sala Capitolare, luogo monastico deputato alle letture dei testi sacri; nella maestosa volta è dipinto L'Apoteosi del patriarca San Benedetto, opera del pittore Schiani. La sacrestia si compone di stipiti in noce alti oltre tre metri e sono opera dell'ebanista Gian Domenico Amitrano.
Alle spalle della chiesa ci sono diversi ambienti: il locale denominato infermeria, il refettorio, la biblioteca, la farmacia  (o spezieria) e l'ospizio (ossia la foresteria per gli ospiti). In questo ultimo luogo furono ricevuti, nell'anno 1896, dal cardinale Guglielmo Sanfelice, l'imperatore Guglielmo II di Germania e la consorte Carlotta, in visita a Napoli. Una lapide marmorea ricorda quell'avvenimento.
Molto suggestivo è l'ameno Belvedere, dalla cui postazione si gode una visione panoramica eccezionale e irripetibile del golfo di Napoli e della città, partendo da Gaeta fino a Sorrento e oltre. 
Il convento di compone di numerose casette, che costituivano le celle dei monaci; esse sono disposte in fila ai due lati della chiesa e sono contornate ognuna da un orto e un giardino.
Salvatore Fioretto  
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Buona Pasqua a tutti i lettori dalla redazione di Piscinolablog...






 
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