mercoledì 19 novembre 2014

Quei moretti e accattoncelli di Ludovico....



Ci sono dei personaggi che con il loro operato, già in vita, hanno travalicato i giudizi di auliche commissioni e quelli di giudici eletti e,  in anticipo sui tempi, hanno raccolto il consenso e l'apprezzamento unanime da parte dell'opinione pubblica che, contrariamente a quanti molti pensano, non è mai insensibile e indifferente al valore e alla grandezza d'ingegno dei grandi e sa discernere quello che è buono e meritevole da quello che è artificioso e fuggevole... Così, "un grande uomo" fu considerato già ai suoi tempi il personaggio che qui stiamo a ricordare, del quale mostreremo e racconteremo, non tanto l'alto profilo spirituale, che certamente fu encomiabile, ma soprattutto il suo incessante impegno sociale e filantropico, dedicando tutta la sua esistenza ed energia verso i ragazzi abbandonati, gli anziani, i poveri ed i disabili... parliamo di Arcangelo Palmentieri, meglio conosciuto con il nome di fra Ludovico da Casoria. Il tributo è doveroso, in quanto Ludovico svolse gran parte delle sue opere caritatevoli nel territorio a Nord di Napoli: oltre a Casoria, sua città natale, anche a Piscinola, a Capodimonte, allo Scudillo e in tanti altri siti ancora. L'occasione del momento è poi particolarmente propizia, apprestandosi domenica prossima ad essere solennemente ufficializzata da Papa Francesco in piazza S. Pietro a Roma, la sua definitiva canonizzazione. 
Arcangelo Palmentieri nacque nel Comune di Casoria (allora Decurionato francese), il giorno 11 marzo 1814, in una famiglia povera; infatti il padre, Vincenzo, faceva il venditore di vino e la madre, Candida Zenga, era una semplice casalinga. Pur frequentando la scuola e nonostante egli avesse una particolare predisposizione e passione per lo studio, fu già in tenera età indirizzato dal padre a svolgere la dura mansione di apprendista in una bottega di falegname: la famiglia era numerosa e c'era bisogno anche del suo piccolo contributo economico per il suo sostentamento... A 16 anni un forte dolore incrinò la sua spensierata giovinezza, per la perdita della cara madre, che spirò a soli 52 anni, mentre il padre si risposò presto, dopo appena nove mesi di lutto.
Padre Ludovico tra i suoi moretti
La matrigna prese inizialmente a cuore Arcangelo e assecondò presso il genitore al desiderio del ragazzo di farsi prete. Ella stessa garantì per la rendita che doveva essere assicurata in diocesi al giovane seminarista, per poter essere ammesso agli studi di teologia. Dopo impreviste avversioni che ben presto sorsero in famiglia, Arcangelo riuscì a essere accolto come novizio nell'Ordine dei Frati Minori, dapprima nel convento di San Giovanni del Palco in Taurano (Avellino), poi presso gli istituti di Sant'Antonio ad Afragola e in San Angelo a Nola e, infine, nello stesso convento di San Pietro ad Aram di Napoli.
Fu ordinato sacerdote a Napoli, il 4 giugno 1837, prendendo il nome di "fra Ludovico" e, a seguire, l'attribuzione della città di nascita, ossia "da Casoria", secondo la regola secolare dell'ordine serafico francescano.
Inizialmente si dedicò allo studio e all'insegnamento della chimica, della matematica e della fisica in molte scuole pubbliche e private del napoletano, ruolo che svolse per ben venti anni. Per le sue capacità e doti intellettuali, nel 1841 gli fu affidato l'insegnamento di filosofia e matematica da impartire ai frati novizi del convento di San Pietro ad Aram; qui ebbe a ricoprire anche i ruoli di "frate guardiano" e "Vicario" della Provincia dell'Ordine. Fu insegnante nella scuola elementare di Piscinola per molti anni. Sappiamo che l'incarico gli fu affidato dalla Deputazione del Circondario di Casoria, che giurisdizionalmente era all'epoca competente sul Mandamento di Mugnano e quindi sul territorio del Comune di Piscinola.
L'11 novembre 1848 ci fu un episodio che cambiò radicalmente la vita di Ludovico, nel corso di un preghiera nella chiesa delle Sacramentine in Napoli, fu colto da una specie di attacco epilettico, che egli stesso definì "lavacro", a seguito del quale cadde a terra quasi tramortito. Per lui si trattò invece di una visione profetica, attraverso la quale capì chiaramente quella che da quel momento sarebbe stata la sua vita futura...
Padre Ludovico predica in una chiesa di Napoli
La prima iniziativa di carità che intraprese fu quella di aprire un'infermeria per i frati e per i poveri nel convento di San Pietro ad Aram. S'improvvisò, poi, questuante di carbone per alimentare la cucina del convento e per approvvigionare i medicinali e altro materiale occorrente per la farmacia stessa. Riguardo alla carità e alle opere di assistenza agli ammalati, così spesso si esprimeva: "Un paese dove non c'è un ospedale per i poveri è un paese morto. Non mi piace una Congregazione del Terz'Ordine senza un'opera di carità. Nei paesi la Congregazione deve erigere, mantenere, assistere un piccolo ospedale, un'infermeria per la povera gente che muore sulla paglia, abbandonata e senza soccorso. Ogni terziario deve dare una camicia, un lenzuolo e si fa il guardaroba per l'Ospedale dei poverelli". 
E poi ancora, "Dite a un povero malato che sta sulla paglia: Confessati! Non capisce! Egli sente i dolori della sua infermità, le angustie della sua miseria e non capisce altro. Ma se voi lo levate dalla paglia e lo mettete sopra un buon letto, con lenzuola pulite, gli mutate la camicia sudicia e gli date una tazza di brodo, una minestra, un pezzo di carne, egli si solleva e si sente rivivere. Dopo gli parlate di Dio, di Gesù Cristo e gli dite: Ti vuoi confessare? Quegli piange, si confessa e benedice Iddio ".
Ma ben presto si affacciò nella sua vita lo spirito missionario. L'ispirazione l'ebbe durante un incontro  con il sacerdote di Genova, tale G. B. Olivieri, avvenuto in via Toledo a Napoli. Ad accompagnare il sacerdote genovese c'erano due ragazzi di colore che egli aveva riscattato dalla schiavitù.
Padre Ludovico tra gli "accattoncelli", i moretti e i frati bigi
Ludovico ne rimase colpito ed ammirato e decise da allora di iniziare a riscattare anch'egli tanti bimbi negri, destinati ad essere venduti come schiavi. Affibbiò a questi ragazzi il nome affettuoso di "moretti". Gli balenò subito nella mente un progetto più grande del primo, ossia quello di creare un'opera interamente dedita al riscatto dei ragazzi africani. L'opera avrebbe, poi, provveduto alla loro formazione, attraverso un percorso stabilito, da svolgersi in determinate strutture, da reperire nel Regno di Napoli, onde aiutarli a diventare, secondo le loro intime aspirazioni, dei bravi missionari, dei bravi sacerdoti, ma anche dei bravi padri di famiglia. Al termine del percorso formativo sarebbero poi stati rimandati nelle loro terre d'origine, continuando lì la loro opera o professione. Il Suo motto, che spesso ripeteva, era "Sarà l'Africa a convertire l'Africa!"; in pratica lo stesso obiettivo che l'amico di Ludovico, che fu Daniele Comboni (fondatore dei Comboniani), andava anch'egli contestualmente perseguendo in quel periodo storico.
Targa coniata dal Comune di Napoli ed esposta nell'ospizio a Posillipo
Il progetto di formazione di Ludovico fu presto presentato al re Ferdinando II, che non solo ebbe l'approvazione, nel febbraio 1856, ma gli fu posto anche il "sigillo della protezione reale". Infatti più volte re Ferdinando concesse a padre Ludovico cospicui fondi per il riscatto di tanti giovani "moretti".
Riuscì, poi, grazie al generoso aiuto di alcuni devoti amici facoltosi, ad acquistare una villa con giardino annesso, esistente presso la località dello Scudillo di Capodimonte, che egli chiamò affettuosamente La Palma. La struttura fu poi destinata ad essere l'educandato dei "moretti" e anche il suo primo convento.
Ben presto i giovani "moretti" riscattati divennero così numerosi che la struttura della Palma risultò essere insufficiente e fu il re di Napoli, Francesco II di Borbone, a concedere a padre Ludovico un'altra struttura nel centro cittadino, per poter proseguire la sua opera caricatevole.
Il centro storico di Casoria con i tram provinciali, foto di fine '800
Padre Ludovico estese la sua missione anche verso le bimbe di colore, che chiamò "morette", e per tal proposito fu aiutato da una suora di origini fiorentine, al secolo Anna Maria Fiorelli Lapini, che poi divenne fondatrice delle suore Stimmatine. Il collegio delle "morette" fu realizzato in una struttura edificata al Tondo di Capodimonte, per volontà della pia regina, Maria Cristina di Savoia e fu solennemente inaugurata nel mese di maggio del 1859. La struttura comprendeva due collegi e una chiesa che, allora come oggi, delimitano il Tondo.
Il suo impegno si estese anche nella società e nella vita culturale del suo tempo, infatti nel 1864 fondò a Napoli il periodico La Carità e un'Accademia di religione e scienze, ottenendo il consenso e l'adesione di molti uomini di cultura e di scienza.
Nel 1866 fondò il collegio scolastico per l'istruzione dei giovani napoletani, che fu chiamato La Carità, tra i suoi insigni frequentatori ricordiamo lo storico Benedetto Croce, all'epoca ragazzo già orfano di entrambi i genitori, a causa del terremoto di Casamicciola.

Biglietto stampato dall'istituto retto dai Frati Bigi a Roma
Promosse e realizzò numerose opere di beneficenza in favore di bambini orfani, sordomuti, rachitici, sofferenti e poveri in genere, fondando diversi orfanotrofi, convitti, scuole, ospedali e finanche ospizi per anziani.
Opera di Assisi per i ragazzi sordomuti
Tra l'anno 1859 e l'anno 1862 Ludovico fondò, a sostegno delle sue opere caritatevoli ed assistenziali, due importanti congregazioni: la Congregazione dei Frati della Carità, detti «Frati Bigi» e la Congregazione delle Suore Francescane Elisabettine. Fondò con spirito instancabile (tanto da meritare l'appellativo alle sue opere di "Carità sfrenata"), numerosissime case di accoglienza, di studio e di formazione professionale per giovani abbandonati, in particolare per gli scugnizzi, che egli stesso raccoglieva a centinaia dalle strade. I ragazzi, che affidava ai sui Frati Bigi o alle Suore Elisabettiane, li chiamava, bonariamente, "Accattoncelli" e "Accattoncelle". Tanti furono i centri di accoglienza che nacquero "a macchia di leopardo", sia in città che nel suo immediato contado: come a Piscinola, a Procida, a Capodimonte..., e in tantissimi  altri posti ancora; anche fuori Napoli, tanti ne furono, che lo stesso padre Ludovico negli anni ne dimenticava l'esistenza... Infatti egli rispondeva a chi chiedeva quanti erano i centri da lui fondati: "Non lo so. Io, vede, son fatto così. Quando un'istituzione è riuscita a camminare con i suoi piedi, non ci penso più! Passo a fondare qualche altra cosa e di quelle non mi ricordo più. Son tante, uh! ".
Raffigurazione di un episodio della vita di Fra Ludovico da Casoria
Altri centri furono fondati a Roma  e persino ad Assisi, per l'assistenza e la formazione dei ragazzi ciechi e sordomuti.
A dimostrare il costo e i sacrifici patiti per realizzare le Sue opere, bisogna anche dire che talvolta non sempre queste avevano il successo sperato. Ricordiamo infatti l'amarezza che provò per l'insuccesso raccolto nel 1861, quando, pur avviando l'opera missionaria in Africa, nella località a sud di Assuan, chiamata Scellal, assieme a tre giovani sacerdoti missionari africani, non riuscì a gestirla alla meglio e secondo le sue aspettative. Dovette presto, Suo malgrado, rinunciarvi e ritornare mestamente in Italia. La nuova casa missionaria africana era costituita da un ospedale, un laboratorio d'arti e mestieri e da una scuola in lingua araba e in italiano. 
Ludovico da Casoria fu amico intimo e spirituale di Bartolo Longo e di Caterina Volpicelli e fu tra gli amici sostenitori ad incoraggiare l'avvocato Longo per la costruzione del Santuario e della cittadella mariana di Pompei.
Negli ultimi anni della sua vita fondò a Posillipo un ospizio per anziani marinai, nel quale si ritirò in vecchia e morì serenamente nel mattino del 30 marzo 1885.
I suoi resti riposano nella Chiesa dell'Ospizio di Posillipo, fuori alla quale si erge maestoso il monumento da lui voluto, che raffigura il Poverello di Assisi che abbraccia Giotto, Dante e Petrarca, glorie italiane che furono anch'essi Terziari Francescani.  
Non sappiamo con precisione quale struttura del Comune di Piscinola fu attrezzata per ospitare i giovani "Accattoncelli" del territorio, ma una flebile linea guida ci porta a pensare, seppur con le dovute riserve, all'edificio sito in via del Plebiscito a Piscinola, da tempo indicato dagli anziani come la vecchia scuola elementare. Indagheremo per sapere  notizie più attendibili, suffragate però da riscontri storici.
Il presente post, dedicato alla figura di Fra Ludovico da Casoria, vuole essere un omaggio a un personaggio che tanto ha speso nella sua vita, in termini di tempo ed energie, per la crescita civile, economica e culturale di Napoli e in particolare anche del quartiere di Piscinola.
Salvatore Fioretto

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

Si ringrazia la maestra Giulia Biancardi per la cortese collaborazione.

Monumento dedicato a San Francesco nel piazzale dell'ospizio dei marinai a Posillipo
Altre vedute dell'ospizio per gli anziani marinai a Posillipo








Immagine di San Ludovico da Casoria
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

martedì 11 novembre 2014

Un medico deputato... Raffaele Chiarolanza!

"Nemo propheta in patria"...! (Nessuno è mai profeta nella sua patria), così recita pressappoco un passo del Vangelo di Luca, riferendosi a una frase detta da Gesù Cristo; questa massima la prendiamo qui in prestito proprio per sintetizzare il trattamento ricevuto dal personaggio che ci apprestiamo a ricordare e lo diciamo senza clamore, solo per sottolineare la superficialità con cui, dopo tanti anni, e ancora ai nostri tempi, vengono trattati eminentissimi personaggi della nostra storia, che tanto lustro hanno dato innanzitutto al nostro quartiere, e, poi, alla città di Napoli, alla Campania, all'Italia e all'Europa. Mi riferisco alle opere e alla personalità del grande medico e dell'erudito scienziato, il professor Raffaele Chiarolanza.  
Il prof. Chiarolanza in una foto ritratto
Chiarolanza nacque a Piscinola, allora Villaggio di Napoli (annesso al quartiere di San Carlo All'arena), il 17 settembre 1881, da Vincenzo, insegnante e da Maria A. Di Febbraro, casalinga. 
Fin da fanciullo si dedicò con assiduità e perspicacia agli studi ordinari presso la scuola elementare di Piscinola. Compì in città gli studi secondari, frequentando il Liceo e conseguendo la "Licenza liceale d'onore".
Si iscrisse subito alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Napoli, presso la quale ebbe insegnanti di valore, del calibro di G. Pascale, N. Pane, G. Paladino, e altri. Si distinse subito nello studio accademico, vincendo finanche una borsa di studio per meriti scolastici. Conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia, col massimo dei voti e con la lode accademica finale, il 31 luglio 1905.
Prestò subito servizio come assistente volontario nell'ospedale di Loreto a Napoli, nel biennio 1905-1906. Ma già nel corso del 1907 il prof. Antonino D'Antona lo volle con sè come assistente ordinario presso la Clinica Chirurgica dell'Università di Napoli. Nel 1908 vinse una borsa di studio di perfezionamento all'estero, che lo consentì di frequentare le più prestigiose università e tanti laboratori di ricerca europei, allora in auge: toccò prima Berlino, frequentando il "Königliches Institut für Infektionskrankheiten", ove conobbe i proff. Von Wassermann e J. Koch, coi quali lavorò fianco a fianco, poi si diresse presso il laboratorio "Charlottenburg - Westendkrankenhaus", diretto dal prof. E. Grawitz. Seguì Londra, conoscendo sir A. E. Wright e altre tappe ancora. Dopo questa significativa esperienza formativa, Chiarolanza ritornò a Napoli e riprese la sua attività medica, presso la Clinica Chirurgica dell'ospedale napoletano.
Biglietto di visita del dott. prof. comm. Raffaele Chiarolanza
A partire dall'anno 1911 e fino al 1915, divenne Aiutante Medico presso la stessa struttura. Nel 1910 si perfezionò nella libera docenza in Patologia Speciale Chirurgica, raccogliendo la cattedra ai corsi d'insegnamento universitario pareggiati; finalmente, nel 1914 ottenne la meritata cattedra in "Clinica Chirurgica". 
Tra gli anni 1913-15 fu chiamato dal direttore dell'Ospedale Loreto, vale a dire dal già famoso prof. Giovanni Pascale, alla supplenza degli insegnamenti di Semeiotica e Clinica Chirurgica.
Fu militare durante la Prima Guerra Mondiale, prestando servizio come ufficiale medico (Maggiore) nella citta di Alessandria, dirigendo sia le sezioni ospedaliere militarizzate e sia lo stesso ospedale militare, denominato "De Amicis". 
Finita la guerra ritornò a Napoli e poco tempo dopo divenne chirurgo ordinario, prima nell'ospedale di Loreto e poi nel vecchio ospedale Pellegrini, situato nell'antico quartiere della Pignasecca.
Chiesa della Real Arciconfraternita dei Pellegrini, ubicata all'interno dell'ospedale
Nel 1933 vinse il concorso di direttore medico presso lo stesso ospedale Pellegrini, ruolo che mantenne, svolgendo con esemplare servizio e con spirito di sacrificio, per ben dieci anni, senza interruzioni.
E' famoso l'avvenimento che lo vide coinvolto, dimostrando tutta la sua valenza di integerrimo chirurgo; infatti quando, nel 4 agosto 1943, l'ospedale Pellegrini da lui diretto fu bombardato dagli aerei americani, egli non si perse d'animo e mentre cadevano ancora le bombe distruttive sulla città di Napoli, continuò i numerosissimi suoi interventi operatori, svolti sotto una tenda da campo, fatta da lui allestire, alla men peggio, al centro del cortile dell'ospedale. Quanti napoletani sono stati allora salvati grazie all'opera di Chiarolanza!!
Raffaele Chiarolanza, oltre a essere un ottimo chirurgo, esperto e abile nell'operare, fu soprattutto un eccellente ricercatore medico. Già a partire dal conseguimento della laurea, grazie alle esperienze degli studi compiuti all'estero, ebbe modo di pubblicare il frutto delle sue ricerche su importanti argomenti medico-scientifici, tra i quali i trattati di batteriologia, di istologia e di ematologia. 
Durante la sua attività universitaria si applicò in numerosi studi e ricerche riguardanti gli argomenti di diagnostica e di tecnica chirurgica. Pubblicò, infatti, i suoi lavori su diverse riviste edite da importanti società scientifiche dell'epoca, sia italiane che europee. Si occupò, tra l'altro, degli interventi di chirurgia plastica e di ricostruzioni facciali, del trattamento della tubercolosi, dei tumori dell'apparato respiratorio e intestinale, delle cisti, delle fistole ossee, delle artriti purulente, ecc. Fece esperienze, pubblicando gli studi, sulla chirurgia del simpatico, sul pneumotorace artificiale, delle cisti del pancreas, delle embolie post-operatorie. Ebbe modo di relazionare anche sui vantaggi e sulle controindicazioni dell'anestesia locale, nonché sul trattamento e le cure delle temutissime fratture alla colonna vertebrale.
Il celebre tenore Enrico Caruso
Fu medico chirurgo e specialista molto noto e apprezzatissimo in città, alla pari di Giuseppe Moscati e di Antonio Cardarelli, infatti, oltre a esserne il medico personale, fu chiamato assieme a questi luminari per un disperato consulto medico al famoso cantante Enrico Caruso, ormai morente in una suite dell'Hotel Vesuvio, tra il 1 e il 2 agosto 1921. Chiarolanza ne stilò anche il referto di morte. Dopo i funerali instaurò un'accesissima discussione medica con i colleghi statunitensi, riguardo alle cure mediche prestate in USA al cantante, da lui reputate non all'altezza della situazione clinica del paziente.
Il prof. Chiarolanza ebbe modo di impegnarsi anche in campo sociale e politico, infatti nel primo dopoguerra frequentò attivamente la vita politica, seppur ancora circoscritta a livello locale e cittadino.
Il 28 luglio 1920 fu tra i fondatori della sezione napoletana della Democrazia Sociale, di cui fu eletto segretario politico. Nelle elezioni comunali del 1920, il Suo partito conquistò la maggioranza al Comune di Napoli. Nell'amministrazione di quel quinquennio, che fu diretta dal sindaco Russo, Raffaele Chiarolanza fu nominato assessore, carica che mantenne almeno fino all'aprile del 1921. Durante il Ventennio fu un dichiarato antifascista ed è annoverato tra i personaggi della cultura napoletana che nel 1925 firmarono il Manifesto Croce. Il manifesto fu un'iniziativa di provocazione antifascista, organizzata dallo storico Benedetto Croce, in risposta ad un analogo manifesto firmato da personaggi filo-fascisti. Non si iscrisse mai al PNF, nonostante fosse un obbligo imposto dal regime per chi svolgeva compiti e mansioni sociali.
Lo storico Benedetto Croce
Terminata la seconda guerra mondiale il Professore rivolse la sua attenzione ai problemi lamentati dalla classe medica, che fino a quel tempo non godeva praticamente di nessuna tutela sociale. Fu inizialmente commissario del disciolto sindacato dei medici di Napoli; tra le prime battaglie sindacali, egli promosse azioni a protezione e a garanzia sociale per quei medici che avevano ricoperto cariche politiche sotto il regime fascista, allora esposti a discriminazioni. Con la ricostruzione dell'Ordine dei Medici di Napoli, avvenuta tra il 1945 e il 1946, fu eletto presidente; carica mantenuta, eccetto per un triennio, fino all'anno 1966. 
Dal 1946 al 1967 partecipò ai lavori del Comitato Centrale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, nella quale fu eletto segretario dal 1950 al 1952. Nel 1953 fu eletto presidente della stessa Federazione, carica mantenuta, ininterrottamente, fino all'anno 1964. Alla scadenza del mandato fu nominato, poi, presidente onorario a vita. 
Dedicò molto del suo tempo alla riorganizzazione del settore assistenziale e sanitario della classe medica e si adoperò molto affinché venisse riconosciuta un'assicurazione contro le malattie professionali e, soprattutto, l'assistenza assicurativa ai figli dei medici rimasti orfani, con la costituzione di un apposito Ente assistenziale.
Nei decenni seguenti fu eletto più volte consigliere al Comune di Napoli, nelle file del Partito Nazionale Monarchico (PNM), che a Napoli era coordinato da Achille Lauro. Nel giugno 1953 fu eletto deputato al Parlamento per la II Legislatura repubblicana. Nella III Legislatura (1958-63), subentrò come "primo non eletto" a un deputato deceduto nel 1959. Nella IV Legislatura (1963-68) venne confermato deputato per il partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, a cui aveva nel frattempo aderito. 
Simbolo stilizzato dell'Ordine dei Medici
Come deputato parlamentare, Chiarolanza diede una grande spinta e il suo contributo per la regolamentazione legislativa nel settore ospedaliero e sanitario, quindi completò la sua azione a favore della previdenza e per l'assistenza della classe medica, che culminò con la fondazione dell'E.N.P.A.M. (Ente Nazionale Previdenza e Assistenza Medica), nel quale egli fu eletto primo presidente e poi ne conservò, dopo il mandato, la carica di consigliere direttivo. 
Presentò anche il disegno di legge, che fu poi convertito in legge, a tutela degli operatori sanitari lesi dalle radiazioni durante lo svolgimento del servizio: la legge porta il suo nome.
Fu membro del Consiglio Superiore di Sanità, dal 1952 al 1964. 
Notevole è stato anche l'impegno giornalistico di Raffaele Chiarolanza; giusto per citarne alcune opere: fondò e diresse per circa venti anni il periodico Risveglio sanitario, nell'anno 1951 fondò l'Associazione A.S.M.I. (Associazione Stampa Medica Italiana), che aderì alla Federazione Italiana della Stampa. Rifondò il periodico Bollettino ufficiale dell'Ordine dei medici di Napoli. Nell'anno 1964 fondò il settimanale Il Medico d'Italia, che fu considerato l'organo ufficiale di stampa della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici. Potenziò la rivista medica, già preesistente, intitolata Federazione Medica.

Aderì, infine, a numerose società scientifiche, fra le quali: la Società italiana di chirurgia e la Società nazionale di scienze e arti, la Société internationale de chirurgie, l'International College of Surgeons, l'Association française de chirurgie et d'orthopédie, e altre ancora.
Morì nella sua abitazione in via Costantinopoli, la sera dell'11 marzo 1969.
Foto del prof. on. Raffaele Chiarolanza
Per il quartiere natale di Piscinola, Chiarolanza mostrò il suo impegno politico-amministrativo, interessandosi a diversi suoi problemi, soprattutto a livello urbanistico, fu promotore tra l'altro per la realizzazione delle case popolari dell'IACP e per la costruzione dell'asse viario, che secondo le intenzioni progettuali iniziali, doveva collegare via Vittorio Veneto con Piazza B. Tafuri. Tale opera rimase incompiuta per sopraggiunti problemi, pare di ordine amministrativo. 
Secondo una fonte testimoniale, da accertare ancora, pare che Chiarolanza sia stato tra i promotori, presso gli allora governanti fascisti, per la costruzione dell'imponente edificio della scuola Torquato Tasso: opera poi completata nel 1929 (ma attendiamo i riscontri storici).
Concludendo e ricollegandoci alla massima citata all'inizio di questo scritto: "Nemo propheta in patria"..., al prof. Chiarolanza Raffaele non è stato dedicato nemmeno un vico, non diciamo di Piscinola..., ma nella intera città di Napoli! 
Questa grave lacuna attende ancora una riparazione storica...!
Salvatore Fioretto
Molte notizie contenute in questo post sono state tratte dalla biografia inserita nell'enciclopedia Treccani,  a cura di Arnaldo Cantani. 


Ringraziamo Vincenzo Tomo per la sua collaborazione.

N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

martedì 4 novembre 2014

Campo di Marte... un sito reale...

La facciata della chiesa dell'Immacolata in una cartolina dell'800
Già avemmo modo di parlare qualche settimana fa del celebre Campo di Marte esistente a Capodichino: un'estesa plaga pianeggiante, confinante con i Casali di San Pietro a Patierno e Secondigliano. 
Al Campo di Marte si solevano organizzare nei secoli scorsi parate militari e corse di cavalli, soprattutto nel corso del 1800
Nel 1856 le cronache qui registrarono un avvenimento cruento e stupefacente allo stesso tempo, forse rasentando il fanatismo e la propaganda politica di comodo... Infatti, in questo luogo del Campo di Marte, il re Ferdinando II scampò (si disse miracolosamente!) a un attentato compiuto ad opera di un soldato borbonico sovversivo...
La facciata della chiesa parrocchiale dell'Immacolata
Era l'8 dicembre 1856, giorno dedicato all'Immacolata Concezione (la festa fu solennizzata due anni addietro da papa Pio IX, l'8 dicembre 1854, con la proclamazione del Dogma dell'Immacolata), quando il re decise di partecipare, come era suo solito fare, alle manovre militari che si tenevano periodicamente in questo ampio campo, attrezzato per le parate militari. Sovente era lo stesso sovrano a comandare le truppe, considerando queste esercitazioni come delle vere e proprie operazioni militari.  
Nel corso della sfilata delle truppe, che seguì la fine delle esercitazioni, un soldato di leva appena arruolato nelle truppe borboniche, di nome Milano Agesilao, ruppe le righe e attentò alla vita del sovrano, che in quel momento si trovava a cavallo, sferrando un colpo di baionetta. Agesilao aveva 26 anni, proveniva da San Benedetto Ullano, un paesino calabrese in provincia di Cosenza e apparteneva ad una famiglia di origine greco-albanese. 
Piazza Capodichino, a sinistra la facciata della chiesa dell'Immacolata, anni '60
Fu un ufficiale della Guardia Reale, di nome Francesco La Tour, che con un lampo di genio riuscì a disarmare l'attentatore, rendendolo inoffensivo ed evitando danni sicuramente ben più gravi per il sovrano. Il soldato fu subito arrestato e condotto in carcere. Il re se la cavò con una leggera ferita al fianco ed ebbe la forza di continuare la parata, incurante delle possibili conseguenze alla sua salute. Al termine del cerimoniale fece ritorno al palazzo reale, dove fu assistito e curato. 
Ritratto di Agesilao Milano
Cinque giorni dopo l'attentato, il 13 dicembre, il soldato Milano Agesilao fu condannato a morte e la sentenza fu subito eseguita per impiccagione nel largo fuori Porta Capuana. Le sue ultime parole furono inneggianti la libertà e l'Italia.
Alcuni episodi concomitanti, che si verificarono in quel giorno, furono ritenuti soprannaturali e interpretati dal popolino come premonitori dell'attentato... Infatti pare che nella mattina dell’attentato, un tal frate di sant’Antimo, di nome fra Luigi, sostando in preghiera davanti all'altare della Madonna, ebbe una visione della Vergine che gli presagiva l'attentato al sovrano. Riferì tutto al suo frate guardiano, chiedendo di avvisare a sua volta la gendarmeria di palazzo reale e di far sapere al Re di non andare al Campo, perché la sua vita era in grave pericolo. Il frate guardiano, che si chiamava fra Angelo di Napoli, si recò subito a palazzo reale e ottenne l'udienza reale.  
La scena dell'attentato al Campo di Marte in una stampa dell'epoca
Ferdinando II non volle ascoltare minimamente le parole del frate, che lo scongiuravano a recarsi alla prevista parata. Confermò quindi la sua presenza alla cerimonia militare, anche se la segnalazione lo aiutò a restare vigile durante lo svolgersi della parata; infatti ebbe un guizzo che lo aiutò a schivare i colpi dell'attentatore... 
Particolare con la scena dell'attentato
Dopo lo scampato pericolo, il re decise di far innalzare una chiesa in quel luogo, dedicandola in ringraziamento alla Madonna Immacolata, verso la quale si mostrò grato per la grazia ricevuta. 
Dal canto suo, Agesilao divenne un eroe acclamato durante la conquista garibaldina. Alla madre fu riconosciuto un vitalizio dai governanti del nuovo Regno. Sono noti anche alcuni scritti e delle poesie del patriota, attraverso le quali egli esprime i suoi pensieri politici ed i suoi ideali.
Il 13 luglio 1857 l'Arcivescovo di Napoli, il card. Sisto Riario Sforza, benedisse e posò la prima pietra della costruenda chiesa, con il titolo dato di "Vergine Santissima Immacolata". L'evento fu immortalato dal celebre pittore di casa reale, Salvatore Fergola, in un bel quadro oggi conservato nel museo di San Martino.
Piazza Capodichino modificata con la stele dedicata ai caduti.
La facciata del tempio si compone di due ordini di lesene, realizzate in stucco, sormontate da un grande timpano triangolare, dentro il quale è stato poi riportato un bassorilievo in stucco raffigurante l'Immacolata,  mentre, in due nicchie laterali, sono state sistemate le statue in gesso di S. Pietro e S. Paolo. Sopra il portale d'ingresso, si legge la seguente iscrizione di dedica fatta scrivere in ex voto da Ferdinando II: "IMMACULATAE DEIPARAE VIRGINI DICATUM".  La chiesa unizialmente fu chiamata anche della "Glorietta al Campo di Marte".
Salvatore Fergola, posa della prima pietra della Chiesa al Campo di Marte
Purtroppo  la costruzione della chiesa subì diverse sospensioni e ritardi nel completamento, a causa della conquista del Regno da parte dei Savoia e del processo di annessione all'Italia. La chiesa fu completata nel 1863, anche se con forme non rispettose delle linee progettuali iniziali. La stessa facciata è stata nel corso del tempo affiancata da alcuni edifici di civili abitazioni, che l'hanno privata della visione integrale del suo bel campanile posteriore. Nel 1945, e ancora nei decenni seguenti, la chiesa ha subito importanti interventi per ampliamenti e restauri. Furono in particolare realizzate le cappelle laterali.
Piazza Capodichino e il tempietto della dogana, foto di inizio '900
Nella chiesa sono conservate diverse statue antiche di santi, in particolare una statua lignea di san Michele Arcangelo del '700, proveniente dalla chiesetta omonima degli Edbomandari, distrutta per realizzare la Salita di Capodichino e la statua dell'Immacolata Concezione, opera di Francesco Caputo.
Salvatore Fioretto 
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