venerdì 13 ottobre 2023

I Casali di Napoli: numero e distribuzione geografica (parte II)

(segue dalla prima parte)

Il numero dei Casali

Nel corso dei secoli, la funzione politica amministrativa esercitata dai Casali ha acquistato maggiore o minore importanza a seconda delle varie dominazione e delle vicissitudini socio-economiche presenti. Per tali limitazioni gli abitanti hanno goduto di volta in volta di maggiori o minori diritti, benefici e riconoscimenti. In ogni caso, il loro precipuo dovere era quello di rifornire di derrate e di prodotti freschi le truppe di occupazione e gli abitanti di Napoli, oltre a quello di versare gli esosi tributi.
I Casali sorsero nei secoli lungo tre direttrici:
- lungo la costa litorale, fino a Torre Annunziata e alle falde del Vesuvio;
- lungo la Via Capuana, fino ad Atella, S. Antimo ed il territorio della “Liburia”;
- lungo la Via Cumana, fino all’area puteolana.
Un primo elenco delle terre demaniali di Napoli fu fornito alla fine dell’’800, dallo storico napoletano Bartolomeo Capasso, il quale nel suo trattato storico sulla Napoli ducale, intitolato “Monumenta ad Neapoltani Ducatus Historiam Pertimentia…”, numera ben cinquanta Casali. Numero forse leggermente sottostimato a causa delle lacune documentarie, dipendenti dall’ampio periodo storico considerato. Infatti esso abbraccia un arco temporale, che parte dall’VIII sec. e arriva fino all’avvento dei Normanni (1137).
Nel periodo Svevo, negli atti di un ricorso degli abitanti dei Casali al “Tribunale della Magna Curia” di Napoli, contro i “Revocati”, si elencano tutti i Casali all’epoca esistenti. Dalla sentenza, emessa dal Tribunale Regio di Napoli nel 1268, si ricava che i Casali erano trentatré.

Mappa "Napoli e i suoi trentatrè casali, di Luigi Marchese, 1802

Nel “Cedolare Angioino” si elencano ben quarantasei Casali, che sono: Turris Octava (Torre del Greco), Resina, Portici, Sanctus Anellus de Cambrano, Sanctus Georgius, “Sanctus Joannes ad Tuduczulum, Casavaleria, Sirinum (Barra), Sanctus Ciprianus, Ponticellum Magnum et Parvum, Tertium, Porclanum, Sanctus Petrus a Paternum, Porzanum, Casoria, Cantarellum, Afragola, Arcus Pinctua, Casandrinum, Grummum, Arzanum, Casavatore, Lanzasinum, Secundillyanum, Sanctus Severinus, Myanella, Myana, Pollanella, Piscinula, Marianella, Pulbica (Polvica), Playanum (Chiaiano), Vallisanum, Turris Marani, Maranum, Carpignanum, Panicoculum, Malitellum, Caloianum (Qualiano), Planura, Posilipus, Succavus, Fracta Major, Calbiczanum (Calvizzano), Mugnanum e, infine, Malitum.
Di alcuni Casali esistenti nella zona compresa tra Mugnano, Marano, Melito e Piscinola, si hanno solo alcune tracce storiche documentali, come Carpignanum (Carpignano, sito tra Melito e Mugnano), Granianum Pictulum (Gragnanello, sito tra Marano e Calvizzano), Baselica (sito tra Calvizzano e Mugnano), Balusanum o Vallisanum (Vallesana, tra Marano e Chiaiano), Turris Marani (contrada di Marano), Malitellum (Melito Piccolo o Melitello, alle “porte” dell’attuale Melito) e Casolla Valenzana, di ubicazione incerta.

In epoca angioina e aragonese, il numero dei Casali rimase praticamente immutato.
Scipione Mazzella, nella sua opera “Descrittione del Regno di Napoli”, scritta nel 1601, elenca ancora, a distanza di quattro secoli, 43 Casali,
tra i quali quello di “Piscinella”.
Col trascorrere dei decenni molti Casali furono assorbiti da quelli vicini, alcuni di nuova formazione si aggiunsero, mentre altri entrarono presto a far parte del territorio cittadino e altri ancora furono addirittura alienati e venduti. Infatti, nel 1646, anno precedente la rivolta di Masaniello contro il malgoverno Vicereale spagnolo, i Casali si ridussero a trentacinque.
Lo storico napoletano, Giovanni Antonio Summonte, nella sua opera “Historia della Città e Regno di Napoli”, ci informa ampiamente circa il numero dei Casali di Napoli esistenti nell’anno 1675. Così vi leggiamo: “[…]E circa i suoi Casali, che latinamente Vichi o Paghi son detti, che sono di numero di 37, i quali fanno un corpo con la Città godendo anch’essi l’immunità, privilegi, e prerogative di lei, havendo anco luogo in essi Casali la consuetudine Napolitane compilate per ordine di Carlo II. Di questi Casali ve ne sono molti di grandezza, e numero di habitatori a guisa di compilate Città, e sono situati in 4 Regioni, 9 ne sono quasi nel lito del mare, 10 dentro terra, 10 nella montagna da Capo di Chino a Capo di Monte, e 8 nelle pertinentie del monte di

Mappa di Napoli, di A. R. Zannoni, 1797, acquarellata graficamente

Posillipo, e sono questi: Torre del Greco, la quale si bene vien compresa con il territorio di Napoli, non è altrimenti Casale, ma Castello ben monito, et habitato di persone civili, Torre dell’Annunziata, Resina, Portici, S. Sebastiano, S. Giorgio a Cremano, Ponticello, Varra di Serino e S. Giovanni a Teduccio. Fraola, Casalnuovo, Casoria, Si Pietro a Patierno, Fratta maggiore, Arzano, Casavatore, Grummo, Casandrino e Melito. Marano, Mongano, Panecuocolo, Secondigliano, Chiaiano, Calvizzano, Polveca, Pescinola, Marianella e Miano. Antignano, Arenella, Vommaro, Torricchio, Chianura, S. Strato, Ancarano e Villa di Posillipo”.
Il Galanti nel 1794 distingueva sul territorio di Napoli venti Casali Demaniali e dieci Baronali “[...] restarono soggetti alla servitù feudale[...]”. Piscinola rientrava tra i venti Casali Demaniali.
Il topografo Luigi Marchese fornisce una preziosa testimonianza sui Casali di Napoli in essere al 1802, attraverso la realizzazione di una mappa, dal titolo: “Descrizione del territorio della città di Napoli e dei suoi trentatré Casali”.
Gli ultimi Casali nati in ordine di tempo sono stati: “Casalnuovo”, nel 1488 (sorto sul Casale di Arcora) e “Torre Annunziata”, dichiarato ufficialmente tale nel 1544. (segue nella terza parte) 

Salvatore Fioretto

Mappa del Littorale di Napoli, di A. R. Zannoni, 1797


martedì 10 ottobre 2023

Una "Villa Fiorita" a Piscinola..., la bella storia di una esperienza imprenditoriale vincente!

Il locale "Villa Fiorita", situato in via Vittorio Veneto, a Piscinola (per noi abitanti ”Miez''a via nova”), fu aperto nel 1960 su idea di mio padre Raffaele Silvestri, che trasformò il tanto amato orto di mia madre, per tutti la signora Bianchina, in sala di ricevimento. Fu un successo, c’era sempre il pieno e spesso si doveva rifiutare qualche matrimonio perché il locale era già prenotato.
La formula organizzativa era quella del "catering", che non corrispondeva effettivamente a quella odierna, non era una ditta specializzata che portava dolciumi e rustici, ma c’erano tutti prodotti fatti in casa che arrivavano in grosse ceste di vimini coperte con tovaglie da tavola. Andavano per la maggiore i biscotti chiamate “anginetti”, durissimi, coperti con glassa di zucchero, c’erano poi le pignolate, sempre biscotti dolci con pinoli. Ho provato ad assaggiarli ma per me erano immangiabili. Non potevano mancare i taralli sugna e pepe e il casatiello. Anche la torta nuziale era fatta in casa e spesso era un regalo di qualche invitata più esperta.
Tutto lo smistamento del commestibile e delle bevande avveniva nel cantinato adibito a sala organizzativa, dove i camerieri, vestiti con camicia bianca e papillon, sistemavano, pulivano, preparavano i vassoi per portare il buffet ai tavoli. Tutto questo io lo osservavo dal mio balcone posto al piano ammezzato perché, quando era in procinto l’arrivo degli invitati, mia madre ci proibiva di scendere perché non voleva che potessimo infastidire gli invitati e gli sposi. All’epoca eravamo quattro marmocchi uno più piccolo dell’altro, per quegli anni, dopo ne sono nati altri tre, sette figli in tutto, belle famiglie numerose di una volta! Durante lo svolgimento della cerimonia, ci era concesso di guardare attraverso i vetri chiusi del balcone, a patto che non litigassimo a chi doveva stare più avanti. Alla fine della serata, invece c’era di nuovo via libera e io scendevo nel cantinato, dove c’era un assordante rumore di bicchieri e di coppe di alluminio che venivano lavati dai camerieri alla velocità della luce. L’odore del vermouth si espandeva per tutta la sala e io ero incuriosita da questa bevanda che i grandi gradivano molto, infatti c’erano sulle mensole tantissime bottiglie vuote, per cui una sera, di nascosto, mi rubai una coppa da cui aveva bevuto qualche invitato, ma per me al momento non era un problema, e finalmente assaggiai quel liquido che sembrava profumato ma al sapore mi risultò imbevibile e capii che i grandi avevano dei gusti orrendi! Accanto al cantinato, mio padre aveva trasformato il rifugio notturno delle galline in spogliatoi, qui gli sposi si cambiavano di abito per indossare il vestito per il viaggio di nozze. Poiché ero una bambina un po’ irrequieta, un giorno pensai che avrei voluto vedere la vestizione degli sposi e sbirciai lo spogliatoio della sposa ma fui subito beccata e rimandata da mia madre che non riusciva a spiegarsi in che modo ero riuscita ad evadere la sua sorveglianza. Penso che qualche schiaffetto ci fu!
Che malinconia vedere ora il mio cantinato pieno di cose inutili e impolverate, senza più quella vitalità, quelle voci, quei rumori che suscitavano tanta allegria.
Ricordo i preparativi che venivano fatti al mattino, da un ragazzo di nome Vincenzo che sistemava le sedie, adornava i tavoli con fiori sempre freschi. Adoravo il pomeriggio perché arrivavano i musicanti per le prove e mi intrufolavo tra i tavoli per ascoltare la musica... Mio padre aveva pensato a tutto e per i giorni di pioggia aveva comprato dei tendoni che scorrevano lateralmente sui binari.
Il nome “Villa Fiorita” fu scelto da mia madre che ha sempre avuto il pollice verde e una passione per i fiori, ce n’erano tanti, soprattutto rose, ortensie e gerani che ancora ci sono. Fece arrivare da Sorrento dei vasi di maiolica bellissimi e tutti colorati in cui piantò delle cigas per rendere l’ambiente elegante e raffinato. L’attività si è svolta fino al 1966 quando i miei genitori, nonostante una folta clientela, decisero di chiudere perché troppo impegnativa.
Mi è pesato per molto tempo quel silenzio che, all’improvviso, assordava il mio giardino.

Tina Silvestri

Se i lettori volessero qui condividere il ricordo di un loro evento familiare svolto in questo locale, potranno inviarci i loro scritti nei commenti di Piscinolablog e, magari, corredati anche di foto.
Ringraziamo l'insegnante, Tina Silvestri, per averci trasmesso questo suo bel racconto, che pubblichiamo con piacere per i lettori di Piscinolablog. Villa Fiorita fu una delle poche esperienze imprenditoriali che risultarono vincenti nel quartiere di Piscinola, durante il cosiddetto "Boom Economico"; peccato che sia durata solo pochi anni.

S.F.

venerdì 6 ottobre 2023

Vittorio Avolio, ciclista per amore... in ricordo!

Ormai è quasi diventato il motto di "Piscinolablog": "Piscinola è la terra della musica..., e anche la terra dello sport...!" Tra le pubblicazioni di questo blog contiamo, infatti, un nutrito numero di post dedicati agli sportivi originari del quartiere, che si sono affermati nelle varie discipline, tra cui: il Basket, la Boxe, l'Atletica e ovviamente il Ciclismo. E proprio di quest'ultima disciplina sportiva, quella del Ciclismo, intendiamo oggi tessere le lodi per un altro atleta piscinolese, che ha onorato la sua terra nello "sport delle due ruote", non solo in ambito regionale, ma anche in tante competizioni disputate al di fuori della regione Campania, ci riferiamo al ciclista, pluricampione, Vittorio Avolio!
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Vittorio Avolio nacque a Piscinola; durante l'adolescenza e la sua giovinezza, abitò con la famiglia in uno stabile situato in via Vittorio Emanuele (detto 'o Capo 'e Coppa). Il padre, Francesco, fu musicista della banda musicale di Piscinola, suonando la tromba. Da sempre appassionato di sport, Vittorio intraprese la carriera ciclistica, anche se in tarda età, intorno ai quarant'anni, coniugandola con i suoi impegni lavorativi, ma non accusò mai per questa il gap dell'età anagrafica e degli impegni. Iniziò a gareggiare quindi da cicloamatore, ma dimostrò di avere una spiccata attitudine alle competizioni, vincendo praticamente da subito i tanti tornei a cui partecipava, gareggiando e confrontandosi, senza timore, con i cicloamatori più forti dell'epoca, specie con quelli che avevano fatto la storia del ciclismo agonistico campano.
Avolio ha gareggiato nei tornei assieme a tanti ciclisti veterani, tra cui diversi sportivi che erano originari del quartiere di Piscinola (quartiere che ha sempre manifestato una spiccata vocazione sportiva per la bicicletta). Ricordiamo: Raffaele Riccio, Giovanni Ciaramella e, poi, Salvatore de Novellis, Pino Cutolo, Antonio Cardinale (che fu suo maestro nella specialità "Cross"), i fratelli Terracciano, i fratelli Grassia, Pasquale Barra, Mimmo Tranchese, Franco D'amore, e tanti altri.
Il nostro corridore piscinolese ha vinto tantissime competizioni, in quanto era molto veloce; tante vittorie sono state da lui coronate anche al di fuori della Regione Campania, particolarmente nelle gare svoltesi in Puglia, in Calabria e nel Lazio. Unico suo rammarico fu quello che, pur partecipando alle gare organizzate a Piscinola, suo quartiere natale e a Melito, suo quartiere d'adozione (dove risiedeva dopo il matrimonio), non riuscì a raggiungere la vetta del traguardo da vincitore; insomma, un "Nemo propheta in patria".
Avolio ha vinto diverse maglie di campione regionale, sia nella specialità "Strada" che in quella del "Cross", facendo "doppietta" di vittorie, negli anni 1983 e 1985.
Una vittoria che ricordò sempre tra le più belle conquistate, fu quella al "Campionato Regionale di Paestum", dove vinse in volata, dopo una fuga di 50 km, e un testa a testa finale con il corridore Saverio Cascone!
Uomo semplice e generoso, gran lavoratore e amante della famiglia, Vittorio Avolio si è spento alcuni anni fa, nel comune di Melito, dove risiedeva.
Vittorio ha trasmesso la passione per la bike anche ai suoi figli. Alessando, ricalca da tempo le orme del papà, infatti, l'ultima vittoria è stata colta domenica scorsa, 1 ottobre, a Paestum, dove ha conquistato il titolo di "campione di ciclismo nazionale Acli", vincendo sul rettilineo dei templi di Paestum, proprio dove il papà Vittorio ebbe l'apoteosi delle sue vittorie... Ed è vero, come dice il detto: "Buon sangue non mente"...!
L'altro figlio di Avolio, Rosario, anche lui ciclista per passione, ha fondato ed è presidente dell'associazione sportiva: "I Cavalieri di Melito" e promuove la cultura dello sport del ciclismo. L'associazione ha già organizzato diversi tornei per amatori e dilettanti. Ammirevole è l'organizzazione dei due Memorial, con raduno sportivo e corsa, dedicati al padre Vittorio: il primo, nel 2021, intitolato: "In giro con Vittorio" e, il secondo, nel 2022, intitolato "Cicloscalata dell'Eremo".
Nel primo "Memorial", che ha visto la partecipazione di un numeroso
gruppo di ciclisti, ha avuto per tappa la direttrice: Melito-Scampia-Piscinola, con traguardo in piazza Bernardino Tafuri, davanti al sagrato della Chiesa del SS. Salvatore.
La “Cicloscalata dell’Eremo” disputata nel 2022, che ha visto un numero di partecipanti più che raddoppiato, è stato il primo evento ciclistico entrato a far parte della campagna: “Pedalando verso il futuro” di Oceanus, l’organizzazione internazionale, che dal 2022 ha scelto Napoli per promuovere l’uso della bicicletta come mezzo alternativo di trasporto urbano, attraverso eventi e tour su tutto il territorio nazionale, chiedendo alle Amministrazioni Pubbliche di prendere provvedimenti per favorire e tutelare l’utilizzo della bicicletta per una mobilità ecosostenibile.
In conclusione, ecco due interviste rilasciate da Rosario Avolio e pubblicate in due siti web ("Napoli Tagged" e "Sportflash24"): Promuovere la bicicletta come mezzo di trasporto, oltre che come uno sport altamente formativo per i nostri giovani, è un po’ una missione di famiglia un obiettivo trasmesso da mio padre e condiviso con tanti amici e appassionati che partecipando all’evento del 23 ottobre saranno protagonisti di questo messaggio di cambiamento e attenzione verso un nuovo modo di spostarsi e vivere il tempo libero sul nostro territorio” (anno 2022).
“La partecipazione di tanti amici, provenienti da più province della nostra regione, è la dimostrazione che la passione per la bicicletta, che mio padre ha trasmesso a me e ai miei fratelli, è qualcosa che va oltre il risultato, perché ci insegna a soffrire, a stare insieme. E’ un qualcosa di eccezionale, che lega tutti noi nel rispetto reciproco.
Ieri mattina, partendo da Melito, abbiamo toccato Aversa, Lusciano, Parete, Giugliano, Qualiano, Calvizzano, Marano, Chiaiano e poi siamo arrivati a Piscinola. Papà ha gareggiato, e molto spesso ha vinto, belle corse in quasi tutti questi centri, ma mai a Piscinola e Melito. Per la serie… ‘Nemo Propheta in Patria’, ma soprattutto perché, negli anni in cui lui correva, non ne sono state organizzate. Grazie a questa 1^ edizione della manifestazione ‘In giro con Vittorio’, però, papà ha vinto sia a Melito che a Piscinola. E spero che da lassù… sia contento di questa cosa”. (anno 2021)

Ringraziamo Rosario Avolio, per averci fornito diversi articoli di giornali, le foto e altre notizie, che sono state utilissime per la redazione di questo post dedicato al grande campione di "casa nostra."
Salvatore Fioretto
 

 
 


sabato 30 settembre 2023

I Casali di Napoli: le origini...(parte I)

Tabula Choronographica Neapolitani Ducatus, di Bartholomeo Capasso
Ritornando alla "grande storia" del nostro territorio, che poi è comune a tutta la provincia di Napoli e all'Italia meridionale, descriveremo l'origine e lo sviluppo delle istituzioni amministrative chiamate "Casali", che tanto lustro diedero al nostro territorio e alla nobile Capitale. Tanti furono gli studiosi e gli storici che si dedicarono con passione a questa materia, tra i quali ricordiamo: Giovanni A. Summonte,
G. M. Galanti, Lorenzo Giustiniani, Antonio Chiarito, Bartolommeo Capasso, Domenico Chianese e Cesare de Seta, tanto per citare i più importanti.
La trattazione storica viene suddivisa per questioni di spazio in quattro parti, ecco la prima parte.

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L’origine dei Casali

Particolare della mappa di B. Capasso, copia a mano a cura S. Fioretto

In antichità i primi insediamenti agricoli sorti attorno alla città di Napoli erano detti “Pagus” e indicavano villaggi di tipo rurale oppure erano detti “Villa” e indicavano gli stabilimenti agricoli con annesse abitazioni patrizie. In seguito, sempre per indicare i primi insediamenti, fu usato anche il termine barbaro di “Vicus”.
Il termine di “Casale” si pensa che derivi dalla parola “Casati”: allocuzione usata tra i secoli VIII e IX, in riferimento alla presenza di “Terzatori”, i quali erano i primitivi abitanti dediti a vigilare e a coltivare la terra a loro affidata e denominati così in ragione della regola stabilita per la suddivisione dei beni e dei raccolti. 

Tra i Casali vicini a Napoli e la linea di fortificazione presente attorno alla città, si contrapponevano i “Castra” od “Oppida”, che avevano invece delle funzioni difensive della città. Non dimentichiamo che per tale scopo difensivo, nei tempi più antichi del ducato napoletano, fu tracciato anche uno sbarramento artificiale, chiamato "Fossato Napoli", che
nel lembo di territorio più vicino a noi, si sviluppava attraversando i casali di Melito e Mugnano (l'etimologia del toponimo di Melito (Mellito) risalirebbe proprio al termine arcaico di "Fossato").
La necessità di raggrupparsi per migliorare la sicurezza e, nello stesso tempo, il bisogno di essere vicino ai terreni da coltivare, spinse i contadini che abitavano in povere abitazioni sparse nelle campagne, a concentrarsi in caseggiati o villaggi, intorno alle primitive chiese presenti o intorno a palazzi feudali.

Carlo I d'Angiò, facciata Palazzo reale Napoli

Nacquero così i Casali. Il processo fu lento e graduale nel corso dei secoli e si stabilizzò in seguito alla pace avvenuta tra i Napoletani e i Longobardi, cioè verso la fine del VII secolo.
Questo evento storico diede pace e tranquillità a un vasto territorio fertile: la “Liburia”. Lo storico Bartolommeo Capasso scrive a tal proposito: “Lenta e graduale dovette essere a mio credere l’origine di tutti i villaggi della Liburia che durante il Medioevo sursero nell’agro napoletano ed aversano […]”.
In età Normanna, molti Casali perdettero la loro autonomia, diventando “Casali Feudali” (o Infeudati), perché dipendenti da feudatari. Mentre, altri Casali, come quello di Piscinola, divennero “Casali Demaniali”, dipendenti cioè dal Demanio.
Gli Svevi, diversamente, inasprirono l’imposizione fiscale. Il re Federico II stabilì una tassa di tre tarì all’anno per ogni abitante e fece compilare un elenco dei Casali e dei loro abitanti.
In questo periodo, con l’unificazione del Regno, venne a mancare il bisogno di difesa dei “Castra” e da allora in poi il termine corrente per indicare i territori confinanti con la città rimase solo quello di “Casale”. Di questi elenchi, come abbiamo già riferito, ne rimane una copia quattrocentesca, chiamato il “Cedolare Angioino”. 


Durante il periodo Normanno-Svevo, molti Casali, tra i quali il Casale di Piscinola, acquistarono una certa autonomia amministrativa, tuttavia, furono sempre obbligati a pagare le varie gabelle, tra cui: la tassa di uso dei campi per il pascolo (nonostante avesse l’accesso alle aree demaniali), la tassa del “Macellatico” sulle carni, la tassa del “Plateatico” sull’occupazione di suolo pubblico, il “Catapania” sui pesi e sulle misure e la “Portolania” sui passi e sulle strade, oltre alla tassa per la manutenzione delle fortificazioni (mura cittadine).
Gli Angioini continuarono questa politica esattiva, obbligando il pagamento delle tasse anche agli abitanti dei Casali, che si erano trasferiti a Napoli per evitarne il pagamento. Quest’ultimi venivano chiamati “Revocati”. Tale politica favorì il ritorno di questi cittadini ai loro Casali di origine.
In questo periodo l’imposizione fiscale si mostrò molto gravosa, tanto che molti contadini per poter sopravvivere, furono costretti a vendere tutto il loro raccolto in città. Le tasse erano raccolte direttamente dalla Regia Corte, mediante i “Catapani” ed i “Baglivi”. In epoche successive furono i nobili ad avere questo privilegio, dopo aver comprato il “servizio” ad un’asta pubblica.
Solo i “Casali Demaniali”, che intanto furono chiamati “Regi”, pur con le limitazioni accennate, avevano la prerogativa di amministrarsi autonomamente, con la libera facoltà di raccogliere in esclusiva i tributi.
La trasformazione dei Casali di Napoli nello status di “Casali Regi” avvenne dopo la vittoria degli Angioini sugli Svevi, a Benevento nel 1266. Carlo I d’Angiò, prima di partire per Palermo, fece generose concessioni a coloro che gli avevano mostrato devozione e avevano collaborato per la conquista del Regno. L’elenco fu trascritto in un libro chiamato “Liber Donationum” e fu affidato a un cavaliere di nome Giozzolino della Marra.
Tra le concessioni e le donazioni di feudi, è da segnalare la scrittura relativa ai Casali di Napoli: “[…] diede molte castella nell’uno, e nell’altro Reame a Gerardo, e Bertrando di Artus, e a Rinaldo e Pietro di Cauda, anch’essi cavalieri francesi della provincia di Borgogna, Specchio, Castel Pagano, San Lotterio e la Volturana, e tutti i casali di Napoli, sotto nome di Governatore Regio, per la vita di uno di essi […]".
Anche il Casale di Piscinola passò allo status di “Casale Regio” e, come gli altri Casali Regi, godeva delle stesse prerogative della città di Napoli, dipendendo solo dall’autorità reale.
Non sappiamo invece quando i Casali divennero “Università”, ossia Comune (
Universitas - Commune), tuttavia già in alcuni documenti del 1542 al loro toponimo è associato il termine di “Universitas”. (continua nella seconda parte)

Salvatore Fioretto