sabato 8 luglio 2023

Scrittore, poeta, musicista, pittore, avvocato, non basta...! Alfonso dei Liguori fu anche un valente conoscitore di architettura!

Per descrivere anche questo campo dell'arte e della tecnica nel quale pure il nostro Santo si destreggiò, ovvero nell'Architettura, dimostrando conoscenze e competenze non da meno degli altri ambiti artistici che sono noti a tutti (musica, scrittura, morale, teologia, pittura, giurisprudenza), abbiamo preso in prestito l'intero l'articolo pubblicato sul sito alfonsiano "Sant'Alfonso e dintorni", nel quale si dimostra, con alcune fonti alla mano, alcune azioni intraprese da Alfonso volte a correggere, a suggerire e anche ad intervenire, con i suoi pareri, durante la costruzioni di alcune case della Congregazione del Santissimo Redentore. Ovviamente in questo post non si vuole dimostrare che Alfonso esercitasse a tempo pieno la professione di architetto, ma che riusciva a interloquire con i tecnici del campo, alla pari per conoscenze e prespicacia. Ecco il testo:

"Un umanista del ‘700 italiano – Alfonso Maria de Liguori
3. S. Alfonso architetto

Anche architetto?
Scrive sempre il Tannoia: «Anche da ragazzo se li destinarono in casa maestri per lo disegno così in pittura, che in architettura… Non fu meno perito nell’architettura. I disegni delle nuove case, anche da lui si delineavano; o perdo meno gli architetti, che avevano le commissioni, sottometter dovevano alla sua censura quanto da essi era stato ideato» (1).
Al di là della testimonianza e di altri rari accenni del suo primo biografo — che oltre a far parte della stessa congregazione, gli era anche contemporaneo — non abbiamo nessun documento sull’attività di sant’Alfonso nelle vesti di architetto. Solo per tradizione — o per deduzione da alcune affermazioni di p. A. Tannoia — possiamo supporre che la casa di Ciorani e quella di Pagani siano state disegnate da lui.
Per la costruzione di Ciorani infatti lo storico alfonsiano è categorico nell’affermare che non c’è stato un architetto né un ingegnere responsabile della fabbrica: «Determinato il sito, si videro uomini e donne di ogni condizione impegnati con gran fervore, chi al trasporto delle pietre, chi dell’arena, chi affannato in formar fornaci, e chi al taglio e al trasporto delle fascine; ed alla rinfusa col popolo anche i medesimi figli del barone, i preti col parroco, e far capo a tutti Alfonso col p. Rossi e Mazzini, e con altri compagni che acquistato aveva. A momenti la fabbrica vedevasi andare innanzi; ma ciò che faceva maraviglia si è che tanti e tanti, senza essere stati discepoli, millantavansi maestri in quell’arte, e dar legge agli altri di pendolo e di livello; voglio dire che tutti fabbricavano, ancorché non atti a quel mestiere» (2).
Al riguardo abbiamo un’interessante osservazione dell’avvocato Cesare Sportelli, prete nel medesimo istituto, morto una diecina d’anni dopo la costruzione di quella casa, e oggi venerato come servo di Dio. Conoscendo com’era stata tirata su, ogni volta che ci passava davanti, con ammirazione mormorava: «Il miracolo si è che (la casa) non rovina e si mantiene».
Abbiamo rintracciato la piantina, delineata personalmente dal de Liguori, del convento e della chiesa di S. Maria della Consolazione di Deliceto (3).
Nessuno si illuda di trovarsi davanti al disegno tecnico di un architetto di professione. Esso però, unito a un paio. di manoscritti autografi, ci dà un’idea di ciò che Alfonso esigeva dagli architetti, quando di essi non si poteva fare a meno, e del controllo minuzioso sul loro lavoro: le case, prima di tutto, dovevano essere estremamente funzionali e adatte ad accogliere un congruo numero di confratelli, ma anche, eventualmente, di ospiti, che di solito erano i partecipanti ai corsi di esercizi spirituali; poi, dovevano essere fabbricate secondo un rigoroso disegno, precisato antecedentemente, che rispecchiasse le disposizioni del Governo; il quale, puntigliosamente contrario a nuove fondazioni di istituti religiosi, nelle costruzioni non doveva trovare nessun motivo per contrastarle o addirittura per sopprimere quelle esistenti (4).
Riguardo alla prima esigenza, proprio sul convento di S. Maria della Consolazione, egli stesso scrive: «In questa Casa poi da noi si (è) accresciuto un altro Corridore dalla parte di Foggia con… stanze; ed altre stanze altrove. Si è anche accresciuta la vigna. S’è fatto il Coro della Chiesa, allargandola. Ivi ora da più anni si danno diverse mute d’Esercizj ogni anno ad Ordinandi, a’ Sacerdoti, e Secolari, che sono arrivati sino al numero di 40, in circa» (5).
Nella piantina si legge chiaramente: «Quarto nuovo cominciato». E a volerlo, è stato proprio lui, come appare dalla citazione precedente, secondo le finalità della fondazione.
Pure per l’altra esigenza, scrupolosamente controllata dal Santo, abbiamo un documento molto eloquente. Si riferisce alla costruzione della casa di Pagani. A causa di essa, il de Liguori fu avvertito dell’uscita di un «dispaccio da S.M. col quale si notificava che su di un esposto di alcuni secolari dell’Università di Pagani, con cui si rappresentava a S.M., d’essersi da’ miei compagni nella costruzione della casa di Nocera ecceduto i limiti dell’Assenso Reale, per essersi fatta a forma di monastero».
La risposta di Alfonso, rimessa al Governatore di Nocera, fu immediata, rispettosa ma decisa. Ne parla lui stesso in una lettera, firmata il 12 marzo 1745, al marchese Gaetano M. Brancone, segretario di Stato per gli Affari ecclesiastici, uomo di gran peso politico negli ambienti governativi e, fortunatamente, sincero amico del p. de Liguori.
In essa, tra l’altro, scrive: «Per non trattenere l’esecuzione degli Ordini Reali ò stimato bene di fare inteso il Sig.re Governatore con una mia di quanto occorreva per la dilucidazione di detto affare, e specificamente l’ò scritto, ch’io non ò mai stimato che quella casa sia fabbricata a forma di Monastero; conforme han similmente stimato tutti: Ingegneri, Religiosi, ed Avvocati. Mentre i Monasterj si specificano da’ Chiostri, chiamati da’ sacri Canoni septa; et in quella casa non vi è neppure ombra di Chiostro.
La divisione poi delle stanze, è certo, che non ha forma di Monastero, poicché queste si fanno per mero commodo de’ soggetti, che vi abitano, conforme si vedono mille case de’ secolari fatte similmente colle stanze divise, e col passetto per entrarvi. Questo è quello, che in sostanza ò notificato al. Sig.re Governatore, e l’istesso ò voluto notificare a V. Eccellenza, acciocché possa liberarci da questa sfacciatissima calunnia de’ nostri contrarj» (6).
Da quanto esposto si deduce che la possibilità di immaginarsi sant’Alfonso Maria de Liguori in uno studio d’architetto, magari in camice da lavoro, fra righe, squadre, ciclografi, parallele, archipenzoli, regoli calcolatori, pantografi, è molto più che fantasiosa! Che poi, frequentemente, egli abbia dovuto affiancare l’opera degli architetti e talvolta, anche se molto raramente, perfino sostituirli per motivi contingenti, è segno di quella sua straordinaria capacità, naturale e acquisita, di orientarsi adeguatamente in tante attività dell’intelligenza umana.
“Si faccia quel che dice l’ingegnere”
«Don Andrea mio, circa la casa d’Iliceto sento che vi sono diverse cose da considerare.
La prima cosa da considerare è, che non conviene dare questo gran rammarico a D. Pietro [Cimafonte], dopo che ci ha con tanto incomodo favorito, e gratis per tanti anni. D. Pietro si è dichiarato che, se in questa cosa non si fa come dice esso, la piglierebbe per aggravio e smacco.
Sento di più che il P. Fiocchi, il P. Cimino e specialmente il P. Mazzini aderiscono a D. Pietro; ed io, in ogni qualunque dubbio minimo che ci sia, dico, come ho detto sempre, che si faccia quel che dice l’ingegnere, e non quel che dicono i nostri Padri, i quali sanno di Morale, ma non di queste cose.
In quanto alli tre cameroni, dicono gl’ingegneri, come sento, che hanno preso la mira che possano dividersi in camere, se vogliamo farle camere.
In quanto alla grada [scalinata], dico già che per ora non si ha da partire; in quanto ad alzare il quarto, sento che anche per ora si ha da scendere qualche grado. Basta: io non sto inteso appieno delle cose, ma affatto non stimo bene che si fabbrichi contro quel che dice D. Pietro. Onde bisognerà almeno che V. R. vada in Napoli prima di fare altrimenti di quel che dice egli, e parli con lui; e dopo si risolverà. Ma io so che D. Pietro è uomo capace e sta inteso delle nostre miserie; onde non credo che voglia ostinarsi a farci fare spese inutili, o incompatibili alle nostre forze…
In quanto a Cimafonte, io non so che rispondergli. Le ragioni che m’avete mandate a dire servirebbero per farlo più impestare; onde ho pensato esser meglio non rispondergli».
Fratello Alfonso (7).

_________
Note
(1) A. Tannoia, op. ,cit., I, p. 8.
(2) A. Tannoia, op. cit., II, p. 109.
(3) Archivio Generale C. SS. R., 050105, SAM 309. Che la cartina sia stata delineata da sant’Alfonso lo afferma il primo biografo del Santo, p. Tannoia (cfr. Spicilegium Historicum C. SS. R., V, 1957, p. 301).
(4) In una lettera scritta dal marchese Gaetano M. Brancone a sant’Alfonso. si trova una delle condizioni per ottenere dal re l’assenso a nuove costruzioni: «che il detto edificio non avesse a tener forma di convento, ma di casa secolaresca per commodo solamente e ritiro de detti Preti, i quali dovessero in tutto e per tutto esser sottoposti a’ Vescovi del luogo come sono i Preti che vivono nelle proprie case» (Spic. Hist., V, 1957, p. 291).
(5) Spicilegium Historicum C. SS. R.,. V, 1957, p. 299.
(6) Analecta C. SS. R., XVII, 1938, pp. 272-273.
(7) S. Alfonso, Lettere, op. cit., I, pp. 579-580.


 .....................................  o  O  o  .......................................

Come è solito fare ogni anno a questa parte, la redazione di Piscinolablog ha dedicato questo post straordinario, durante la pausa estiva, per omaggiare il grande Concittadino e Santo: Alfonso Maria de Liguori, il quale tanto lustro, onore e vanto reca alla sua terra natia: Marianella, e anche a Piscinola, a Chiaiano e a Scampia.
Auguri a Marianella, a tutto il territorio della VIII Municipalità e a tutti i lettori che hanno il nome di "Alfonso".
Auguri a Tutti!

Salvatore Fioretto 



domenica 25 giugno 2023

La devozione alla Madonna delle Grazie. Un culto antico e diffuso!

Vico Equense

Nel descrivere la storia del culto legato alla Madonna delle Grazie, iniziamo col dire che non esiste una solennità specifica prevista nel calendario liturgico, anche se la ricorrenza della "Madonna delle Grazie" o di "Maria SS. delle Grazie" è molto sentita dal popolo dei fedeli, soprattutto quelli dell'Italia centro-meridionale e nelle due isole maggiori. In passato la ricorrenza era abbinata al Lunedì in Albis, successivamente è stata fatta coincidere con la solennità della "Visitazione di Maria SS. a S. Elisabetta" (31 maggio). Tuttavia oggi, in gran parte dei luoghi, nei quali è particolarmente sentito questo culto per la Madonna, la festa resta fissata il 2 luglio. Esistono anche delle realtà locali che festeggiano la ricorrenza mariana nel mese di maggio (9 o 31 maggio). In altre, ancora, la terza domenica dopo la Pentecoste.

Piscinola (Napoli)
Duplice è il significato del titolo conferito alla Madonna "delle Grazie". Il primo è la sua maternità divina, quindi per aver generato la "Divina Grazia", ossia: il Redentore; mentre il secondo, è quello che, per i suoi meriti e per la sua divina maternità, la Vergine costituisce il principale e il potente mezzo di intercessione per ottenere le "Grazie", che i fedeli Le chiedono. La Vergine viene rappresentata con dipinti, affreschi o statue, prevalentemente nell'atto di allattare il bambino Gesù.
Procida

La Madonna delle Grazie è stata dichiarata patrona di tutti gli sciatori, da papa Pio XII, nel 7 gennaio 1955. Viene considerata loro protettrice dai pescatori di Roccella Ionica e di Augusta.
Risulta essere patrona delle seguenti città (l'elenco non esaustivo): Nuoro, Sassari, Faenza, Città di Castello, Benevento, Modica, Verbicaro, Brisighella, Cerreto Sannita, Castelvetere, Velletri, Nettuno, Spezzano, Ferrara, Porto Venere, Minturno, Ravenna, Ascoli Piceno, Grosseto, Augusta, Pesaro, Spezzano, Salza Irpinia, Finale
Casoria
Emilia, Pisticci, Lamezia Terme, Collepasso, Seano, Cambiano, Marconia, Petrosino, Chieri, Casalvecchio, ecc..

Inoltre è stata dichiarata patrona della Toscana, del Sannio e delle Diocesi di Tarquinia-Civitavecchia e di Ferrara-Comacchio.
C'è da aggingere che il culto per la Madonna delle Grazie si è particolarmente intensificato nei secoli passati, in coincidenza delle epidemie pubbliche (peste, colera, ecc.), durante le quali i fedeli accorrevano nei vari santuari a chiedere la liberazione dal morbo; mentre, per ringraziamento, dopo l'epidemia, edificavano chiese e cappelle dedicate alla Vergine.

--------------------------------------  o  O  o  --------------------------------------

Per quanto concerne il culto locale, oltre alla nostra chiesetta di Piscinola, dedicata alla Madonna delle Grazie fin dall'inizio del XVII secolo (a cui in passato questo blog ha dedicato numerosi post storici e di folklore), troviamo le seguenti chiese e cappelle ad essa dedicate, a Napoli, nella Città Metropolitana e in Campania:

Nella città di Napoli:

Giugliano

- A Caponapoli

- A Toledo

- A Porta Piccola (Capodimonte)

- A Soccavo

- Agli Astroni (Agnano)

- All’Arenella (Vomero)

- A Foria (Piazza Cavour)

Pala d'Altare, chiesa di Melito

- Al Boscariello (Chiesetta)

- Al Moiariello (Capodimonte)

- A piazzetta Mondragone

- dei Pescivendoli (via Saverio Baldacchini)

- via S. Atanasio

- Secondigliano (Chiesetta)


Nella Città Metropolitana di Napoli (l'elenco non è esaustivo):

Calvizzano

- Melito

- Afragola

- San Sebastiano al Vesuvio

- Giugliano

- Casoria (2 chiese)

- Portici

- Procida

S. Maria delle Grazie a Foria (Napoli)

- Cardito

- Ischia

- Pozzuoli

- Casalnuovo

- Cercola

- Calvizzano

- Vico Equense

- Torre del Greco

- Massa Lubrense

- Bacoli

- Casola di Napoli

Ischia

- Sorrento

- Trecase

- Agerola

- Pomigliano d’Arco


In Campania (l'elenco non è esaustivo):

- Capua

- Avellino (2 chiese)

- Contursi Terme

Melito

- Macerata Campania

- Cerreto Sannita

- Eboli

- Amalfi

- Maiori

- S. Prisco di Caserta

- Palma Campania

- Nusco

Pozzuoli

- Conca della Campania

- Castelvetere sul Calore

- Carinola

- Alife

- S. Maria Capua V.

- Vietri sul Mare

- Mondragone.

--------------------------------------  o  O  o  --------------------------------------

M. SS. delle Grazie in S. Pietro Martire (Na)

A termine di questo post dedicato alla ricorrenza annuale della Madonna delle Grazie, ci piace raccontare la leggenda legata all'antico dipinto del ‘400, conservato a Napoli, nella chiesa universitaria di San Pietro Martire (Cappella interna), in Piazza Ruggero Bonghi, che riprendiamo dal sito web dedicato: “La prodigiosa immagine di Maria SS.ma delle Grazie originariamente apparteneva ad una pia donna di Vico Equense. Un giorno a questa parve udire dall'Immagine l'invito a portarla in una Chiesa di Napoli, dove avrebbe elargito più numerose grazie. Così, il 23 dicembre 1442, col quadro e le masserizie si trasferì in barca a Napoli e approdò a Porta di Massa. Non conoscendo la Chiesa prescelta dalla Vergine, caricò tutto su un carro e lasciò che i buoi che lo trainavano andassero da soli. Essi si fermarono dinanzi alla Chiesa di S. Pietro Martire, appartenente ai Frati Domenicani. La donna raccontò l'ispirazione avuta e l'immagine fu solennemente accolta nel tempio. Da 5 secoli la devozione dei napoletani non è venuta meno e la Vergine ha elargito numerose grazie.
Il 26 settembre 1802 l'immagine fu solennemente incoronata dal Capitolo Vaticano. Durante l'ultima guerra una bomba quasi distrusse la cappella dov'era esposta l'immagine, ma questa fu trovata intatta tra le macerie.

Un'altra leggenda, sempre legata a questa immagine sacra, narra che essa fu riprodotta in copia da un affresco, che fu scoperto in maniera prodigiosa, su un antico muro abbandonato. La scoperta fu resa possibile grazie a un fascio di luce che fu notato da alcune persone, proveniente dall'oscurità dell'anfratto, dove esso era nascosto. Grazie a questa scoperta, alla riproduzione su tavola e al suo trasferimento nella chiesa di S. Pietro a Napoli, l'icona della Madonna fu oggetto di numerosi prodigi, tanto da essere nominata dal papa Urbano VIII, in un suo scritto, soprattutto per l'intenso pellegrinaggio dei devoti.

Con questo post, unico pubblicato nel mese di luglio, ricordiamo il decennale di pubblicazioni di "Piscinolablog". Il primo post inaugurale fu infatti pubblicato il 4 luglio 2013 primo post inaugurale 2013 . Auguri a tutta la redazione e a tutti i lettori di "Piscinolablog".

Salvatore Fioretto 

S. Maria delle Grazie a Caponapoli (Napoli)

sabato 10 giugno 2023

Della serie i racconti della Piedimonte... Alla conquista del Ponte di Capodichino...!

Questo post descrive un'altra bella esperienza vissuta assieme agli amici dell'Associazione "G.A.F.A." (Gruppo Amici della Ferrovia Alifana), svoltasi a principio dell'estate 2010, avente per oggetto la riscoperta degli antichi impianti ferroviari sopravvissuti nella nostra zona.
Oggi a distanza di tredici anni da quell'evento, che sottolineo fu estemporaneo, perchè per nulla organizzato, possiamo dire che esso fu unico e irripetibile, perché capitato a pochissimi altri appassionati e curiosi,
considerando anche l'ingeneroso epilogo subito dal ponte di Capodichino...!

 ..........................  o  O  o  ........................

Spesso, nel pomeriggio, quando ritornavo da lavoro con la mia auto, ero solito percorrere viale Umberto Maddalena, a Capodichino. Durante questo percorso, la vista dei tralicci superstiti della ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife (che si possono osservare ancora oggi, sul lato sinistro della carreggiata), immancabilmente mi ispiravano tanti cari ricordi, con al centro il magico trenino...
I
l primo di questi tralicci (ancora oggi presente ai margini del viottolo interno che un tempo collegava al deposito della "Ferrarelle"), risulta essere molto antico, perché presenta la mensola ricurva  all'estremità. Esso risale, infatti, ai primi anni di costruzione e di esercizio della ferrovia, quando furono messi in campo dalla compagnia francese "C.F.M.I." (Chemins de Fer du Midi et de Italie), intorno all'anno 1905... Oltre a questo particolare traliccio, sono presenti almeno altri cinque o sei tralicci supersiti, disposti lungo il tragitto che mena verso il ponte di Capodichino. Questi tralicci, purtroppo (come risulta anche oggi), giacevano da anni in mezzo a "montagne" di rovi infestanti, che rendevano impenetrabile l'area e non lasciavano intravedere i binari e la massicciata...
Un pomeriggio di quell'estate 2010 (credo che eravamo nel mese di giugno), sempre al mio viaggio di ritorno dal lavoro, mi accorsi che le erbacce erano state asportate e si intravedevano bene i binari della linea ferroviaria!
Informai subito i miei amici del G.A.F.A. (Gruppo Amici della Ferrovia Alifana) della novità e subito mi adoperai per organizzare un sopralluogo di ricognizione...
Scelsi un giorno infrasettimanale, verso il tramonto, di quello che doveva essere uno spensierato e assolato mese di giugno. 
Rispose all’appello solo l'amico Biagio, perchè gli altri soci avevano degli impegni e non potevano partecipare nell'immediato. Insieme a Biagio organizzammo quindi l’ispezione, utilizzando degli insoliti mezzi di ricognizione: le nostre montain bike...!
Partimmo dalle nostre rispettive abitazioni ed ecco che, in un batter d'occhio, entusiasti, ci trovammo all'avanscoperta, nel sito inesplorato! Credo che agli occhi di qualche abitante del posto dovemmo apparire proprio come due "Indiana Jones", per il nostro insolito e curioso
modo di procedere durante l'escursione... Raggiungemmo il sito accedendo dalla strada pubblica e, poi, attraverso una stradina collegante alcuni caseggiati e fabbricati industriali, posti a ridosso di Calata Capodichino.
L'area di sedime della vecchia linea ferroviaria era delimitata da un muretto di cemento, che da un lato era sormontato da una cancellata, mentre, dalla parte opposta, era più basso e privo di recinzione e risultava quindi valicabile... Riuscimmo a superarlo, ma non senza fatica, soprattutto per il pesante carico determinato dalle nostre biciclette, che trasportavano "a spalla"...
Una volta superato il muretto, come per magia, c
i trovammo sui binari della ferrovia!
Iniziammo a camminare, ancora increduli, sulle pietre della antica massicciata, che stranamente si presentava ancora bianca; tuttavia, i binari erano alquanto arrugginiti. Molte traversine di legno erano marce e diverse erano come disintegrate. Sul selciato c'erano molti chiodi e piastre di blocco delle rotaie, pure esse arrugginite (queste piastre di serraggio sono chiamate in gergo ferroviario "chiavarde"), tuttavia molte di queste erano ancora in buono stato...
Provvedemmo a recuperarne alcune, considerandole come nostro "bottino" d’escursione...! Recuperammo anche due chiodi d'acciaio, che un tempo erano infissi nel centro di ciascuna traversina di legno. Sulla testa di ogni chiodo era stampigliato l’anno di installazione della traversina. Nel nostro caso si leggeva ancora bene il numero “72” (ossia posate in opera nell'anno 1972)!
I binari in questo tratto di ferrovia non erano più paralleli, forse perché i  pesanti mezzi utilizzati per la bonifica dell'area dalle piante infestanti, avevano urtato in più punti le rotaie, facendole deformare.
Proseguimmo l’ispezione diretti verso la mèta ambita, che era rappresentata dal ponte ferroviario di Capodichino!
Prima del ponte, incrociammo lo scheletro di una pensilina di acciaio, posta sulla banchina di quella che un tempo rappresentò la fermata facoltativa di Capodichino.
La struttura conservava ancora il cartello di acciaio, con sopra scritto "Fermata Facoltativa". Altro elemento che destò la nostra attenzione, sempre perché a noi sconosciuta, fu una scala in muratura, scavata nel terrapieno, che un tempo permetteva l’accesso ai viaggiatori, direttamente dalla strada Calata Capodichino. La scala  terminava con un cancello in ferro, che dava direttamente sul marciapiede della strada.
Pochi passi ancora e ci trovammo finalmente sul mitico ponte!
Tutto si presentava stranamente in ordine, come se qualche ora prima fosse transitato il treno della Piedimonte! Il piano di calpestio era stato pulito, le traversine di legno, ancora ben conservate, erano curiosamente poste in asse ai binari e incastonate nella struttura di cemento del ponte.

Traliccio superstite a Capodichino, ricostruzione della linea elettrica  (2010)
Altro elemento che suscitò la nostra attenzione fu la presenza, quasi completa, di tutti i tralicci della linea elettrica aerea: alcuni erano di tipo classico, con le mensole a forma di "Lamba", mentre altri erano del tipo "senza mensola". Questi ultimi, ovvero i tralicci privi di mensole, avevano solo la parte verticale e servivano a tesare, attraverso un cavo metallico, il filo elettrico strisciante, perché così avveniva nei tratti in curva. In serie al cavo tirante era un tempo interposto un isolatore di porcellana, di color marrone scuro.
Procedemmo ad attraversare lentamente e con cautela il ponte; non nascondo che avevamo un certo timore, pensando che il ponte stava lì, senza manutenzione, da oltre quarant'anni anni, tuttavia la voglia di continuare l’ispezione fu più forte dei nostri timori…!
Più avanti, oltre il ponte, il binari scomparivano interrati, anche se era conservata la sagoma in rilevato, che fu la sede della linea ferrata.
Altra interessante scoperta fu la presenza, dopo il tratto in curva, di un'arcata di mattoni rossi, di costruzione simile a quella dei ponti della ferrovia; tale struttura era stata realizzata quasi sicuramente per compensare il dislivello del terreno, permettendo di valicare con il ponte in ferro, via Cupa Santa Cesarea. Sopra a questa struttura in mattoni (che appariva alla vista come un ponte), c’erano accumulate decine di traversine di legno. Osservandole, apparivano come in una "scena", nella quale era stato fermato il tempo...; come se qualcuno le avesse depositate in quel luogo temporaneamente, in attesa di una loro immediata ricollocazione...
Facemmo diverse foto di ricordo di tutte quelle scoperte, per mostrarle agli altri soci, sul forum del G.A.F.A.
Al ritorno, sul ponte, fummo assaliti da uno sciame di api... Sembrava che queste protestassero contro la nostra invasione! Chissà da quanti anni quel luogo era rimasto isolato e incontaminato! Per fortuna non ci fecero niente.
Nei mesi che seguirono ritornammo a ispezionare il ponte di Capodichino e le aree adiacenti, anche con il segretario Pasquale.
Capitò in quel periodo anche un'altra interessante scoperta. Grazie sempre al mio intuito, scorgemmo dalla strada le due estremità dei binari, che si trovavano nel lato opposto all’attraversamento di Cupa Santa Cesarea, ossia al di là del ponte in ferro che un tempo attraversava la strada. Riuscimmo a esplorare l'area di posa dei binari, accedendo attraverso il cortile di un condominio adiacente. Ricordo che chiedemmo il permesso ad alcuni abitanti che si trovavano affacciati ai balconi, presentandoci come soci dell’associazione GAFA.
Questi ci autorizzarono con molta generosità. Valicammo quindi una specie di terrapieno, delimitato da un muro di contenimento, ed ecco che anche in quel sito si presentò, davanti ai nostri occhi, un bel tratto di binari, lungo circa 70 metri, discretamente conservato, sicuramente meglio del precedente sito. Addirittura il sole luccicava sulla superficie delle rotaie (come si puo' notare dalla foto pubblicata). Anche per questa scoperta, eseguimmo delle foto ricordo.
Quando terminammo l'ispezione, salutammo con molta riconoscenza i nostri benefattori..., eravamo felici...!
Restammo ammirati per l'ospitalità ricevuta da quelle persone, che pur non conoscendoci, ci consentirono di accedere al sito, attraverso l'area condominiale. Spesso la gente si mostra diffidente, soprattutto quando ci presentiamo come soci appassionati della ferrovia Piedimonte, ma in quella circostanza fu tutto ben diverso…! Grazie ancora cari amici!

Salvatore Fioretto