venerdì 27 gennaio 2023

L'Università di Piscinola, da Decurionato a Comune, con i nomi dei sindaci eletti...

Carta degli Itinerarj militari da Bologna fino a tutto il Regno di Napoli, inizi '800

Con l'occupazione francese del regno di Napoli (1806-1815) e la nomina di Gioacchino Murat  a Re di Napoli (fu incoronato da Napoleone che era anche suo cognato), ebbero inizio importanti riforme del nuovo Regno, ritenute necessarie dai francesi, in particolare, fu eseguita la riforma della macchina amministrativa, su modello di quanto organizzato in Francia a valle della Rivoluzione Francese (Legge 28 Piovoso, dell'anno VIII), che prevedeva l'abolizione della feudalità e la chiamata delle persone del popolo a coprire le cariche organizzative dello Stato, soprattutto della borghesia e del ceto medio. Fu quindi eseguito un vero e proprio accentramento delle funzioni dello Stato, secondo una conformazione "piramidale", che prevedeva alla sommità il controllo da parte dei vari ministeri e del Re; tale struttura  rimarrà in vigore, seppur con piccole modifiche, anche nella successiva Restaurazione Borbonica, fino all'Unificazione dell'Italia.
I Francesi suddivisero il Regno di Napoli (la Sicilia fu esclusa perché rimasta in mano borbonica) in 14 Province (Napoli, i 3 Abruzzi [Ulteriore I, Ulteriore II e Citerione], Terra di Lavoro, Principato Citerione, Principato Ulteriore, Contado di Molise, la Capitanata, la Terra di Bari, la Terra d'Otranto, Basilicata, la Calabria Citerione e la Calabria Ulteriore).
La Provincia di Napoli, che venne istituita l'8 agosto 1806, fu suddivisa inizialmente in 3 Distretti (Napoli, Pozzuoli e Castellammare di Stabia), ed era amministrata principalmente da due organismi elettivi: da un "Consiglio Provinciale" e da un "Consiglio di Intendenza".
Dal 1809 i Distretti della Provincia di Napoli passarono a quattro, infatti fu aggiunto il Distretto di Casoria, secondo una legge emanata dal Re, Giocchino Murat.
Il Distretto di Casoria era formato da 9 "Mandamenti": Casoria,
Pomigliano d'Arco, Afragola, Frattamaggiore, Arzano, Sant'Antimo, Caivano, Mugnano e Giugliano. Ogni "Mandamento" aveva giurisdizione su un certo numero di Comuni confinanti. Il "Mandamento di Mugnano" amministrava 4 Comuni, ossia: Mugnano, Melito, Calvizzano e Piscinola
Il
“Comune di Piscinola”, come del resto tutti gli altri comuni,
era amministrato da un Sindaco, assistito da due eletti e dal Decurionato; quest’ultimo, in sostanza, corrispondeva a quello che noi oggi chiamiamo il “Consiglio Comunale”.

Gioacchino Murat, re di Napoli

Al Decurionato spettava il compito di curare gli interessi del Comune e nominava il Sindaco ed i due Eletti, fornendo una terna di nomi per ogni carica all'Intendente della Provincia, che poi sceglieva in base alle informazioni ricevute. Di essi, il primo reggeva la Polizia Municipale, mentre il secondo aiutava il Sindaco nell’esercizio delle funzioni amministrative.
Inizialmente i membri del Decurionato erano scelti tra i capi famiglia inseriti negli elenchi dei contribuenti. Nell’ottobre del 1806, tale norma fu modificata istituendo l’elettorato “attivo” e “passivo” su base censitaria.
La nuova norma, infatti, prevedeva che i Decurioni fossero nominati, ovvero tratti a sorte, tra coloro che erano possessori di una rendita fondiaria annua non inferiore a ventiquattro ducati, per i Comuni comprendenti fino a tremila anime (come per il Comune di Piscinola), oppure del doppio per quelli fino a seimila abitanti e del quadruplo per i Comuni da seimila abitanti in poi.

L'Albero della Libertà in un dipinto dell''800

L’età minima per essere eletti Decurione era di ventuno anni. Nel 1808 le norme elettive furono ulteriormente riformate, inserendo la possibilità di eleggere tra le cariche (decurionati, sindaco e due eletti) anche rappresentanti delle arti e dei mestieri.
Il numero dei Decurioni dipendeva dalla densità della popolazione del Comune. Nei Comuni con meno di tremila abitanti, come Piscinola, potevano essere eletti fino a dieci Decurioni.
Si arrivava fino a un massimo di trenta membri, per quei Comuni con più di 10.000 abitanti (infatti la norma prevedeva tre membri eletti ogni 1000 abitanti).
Un’altra condizione che sanciva la validità del Decurionato era quella che un terzo del numero dei Decurioni sapesse leggere e scrivere.
La sessione ordinaria del Decurionato cadeva nel mese di maggio di ogni anno. In tale assemblea si eleggevano gli amministratori e i deputati della “Revisione dei Conti Consuntivi” e si formava lo “Stato discusso” delle entrate e delle spese, ossia quello che oggi chiamiamo “Bilancio”.

Timbro utilizzato dai francesi nel Decennio

Quest’ultimo andava trasmesso all’Intendente della Provincia che poteva approvarlo o sanzionarlo. Le entrate erano costituite per lo più da rendite patrimoniali derivate dall’affitto di beni patrimoniali o demaniali.
I Comuni che non riuscivano a finanziarsi attraverso le rendite patrimoniali potevano ricorrere ai “proventi giurisdizionali”, ai “dazi di consumo”, ai “grani addizionali” e alle “privative”.
I “proventi giurisdizionali” erano le multe applicate dalla polizia municipale e rurale, ma anche i diritti dei posti fissi nelle strade del Comune e i diritti dei “pesi e misure”.

Timbro del Comune di Piscinola nel Decennio Francese

I “dazi di consumo” erano le imposte indirette sui consumi, riscosse durante la circolazione di un bene da un Comune all’altro, mentre, i “grani addizionali” erano le sovraimposte aggiunte su imposte già riscosse.
Le “privative” erano le concessioni date a un singolo soggetto per l’esclusiva vendita di un dato bene. Le spese erano divise in ordinarie e straordinarie.

Le prime, di quantificazione certa, riguardavano gli stipendi dei dipendenti, il mantenimento delle scuole comunali, la manutenzione delle proprietà e delle opere pubbliche, i pubblici servizi e altro.

Timbro del Comune di Piscinola con la Restaurazione

Il Sindaco era la principale autorità del Comune, che amministrava l’Ente insieme ai due Eletti e al Decurionato. Egli poteva disporre della forza interna o militare che possedeva il Comune, ma era comunque subordinato al “Sotto Intendente” (del Distretto di competenza), suo superiore diretto.

Nei Comuni dove non c’erano agenti dell’amministrazione militare, il Sindaco era anche Commissario di Guerra. Era, inoltre, “Membro nato” delle Commissioni e dei Consigli di Amministrazione degli stabilimenti pubblici; presidiava il Decurionato e ne faceva eseguire le deliberazioni, dopo che avevano ottenuto “La superiore approvazione.

Lapide toponomastica posta all'ingresso di Mugnano, che riporta le antiche ripartizioni







La validità delle assemblee decurionali era confermata con la presenza di almeno 2/3 dei suoi componenti. Il Sindaco rimaneva in carica 2 anni (per i comuni fino a 6000 abitanti) oppure 3, per quelli con maggior numero di abitanti. La sua elezione avveniva nella prima settimana di settembre, durante la riunione del Decurionato, sempre proponendo una rosa di tre nomi.
In caso di assenza o suo impedimento, il Sindaco era sostituito dal Secondo Eletto.

Abbiamo trovato il nome dei sindaci eletti nel Comune di Piscinola, dal 1809 al 1865, ecco l'elenco suddivisi per periodi:

"Periodo del Decennio Francese":
-dal 1809 al 1811   Carmine Danese,

-dal 1812 al 1813   Gennaro Cuozzo,

-dal 1814 al 1815   Francesco Antonio Piccirillo.

"Periodo della Restaurazione Borbonica":
Con la restaurazione borbonica avvenuta nel 1816, la suddivisione amministrativa non fu modificata, anche se i Borboni abolirono definitivamente i Sedili di Napoli, organi che amministravano la Capitale, prima dell'invasione francese.
-
dal 1816 al 1823   Donato Danese,

-dal 1824 al 1826   Nicola Mele,

-dal 1827 al 1833   Luigi Salzano,

-dal 1834 al 1840   Nicola Mele,

-dal 1841 al 1844   Raffaele Basso,

-dal 1845 al 1849   Luigi Salzano,

-dal 1850 al 1855   Gennaro Cuozzo,

-dal 1856 al 1860   Vincenzo Cuozzo.

Sappiamo che nell'anno 1834, il "secondo eletto" del Comune di Piscinola era il sig. Felice Cuozzo.  

"Periodo post Unificazione dell'Italia":

Con l'annessione del Regno delle due Sicilie all'Italia unificata, furono aboliti i "Distretti" e al loro posto furono istituiti i "Circondari", seppure conservando le precedenti sedi.
-dal 1861 al 1865   Giovanni Russo (ultimo sindaco del Comune di Piscinola).


Conosciamo inoltre anche i nomi dei "Cancellieri" comunali:

Dal 1809 al 1841: sig. Natale Buonaurio,

Dal 1842 al 1846: sig. Francesco De Curtis,

Dal 1847 al 1865: sig. Giovanni Buonaurio.


A partire dal 1 gennaio 1866, il Comune di Piscinola fu abolito, come sancito dalle disposizioni contenute nel Regio Decreto n. 2650, del 29 novembre 1865. Il suo territorio fu denominato "Villaggio di Napoli" e annesso al Comune di Napoli. La sua collocazione amministrativa fu inserita nell'ambito delle competenze del quartiere San Carlo all'Arena. Al quartiere di San Carlo All'arena erano stati già assegnati, fin dal 1809, i Villaggi di Miano, Mianella e Marianella, poi confermati con editto del 1851. Erano a quell'epoca "Villaggi di Napoli" anche: Capodimonte, Arenella, Posillipo, Antignano, Capodichino,....

Speriamo che nel prossimo futuro possiamo trovare anche le foto e le biografie dei sindaci del Comune di Piscinola, come pure lo stemma comunale.

Salvatore Fioretto 

P.S. Le fonti storiche utilizzate per la scrittura di questo post sono state principalmente il libro "Dal Parlamento al Decurionato - L'amministrazione dei comuni del Regno di Napoli nel Decennio Francese", di Stefano Vinci, ed. Scientifiche Italiane, 2008 e il libro "Piscinola, la terra del Salvatore, una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto. ed. The Boopen, 2010.
Le foto pubblicate sono state tratte dal web, da alcuni siti dedicati oppure appartengono a collezioni o raccolte; a tal proposito si dichiara che esse sono state inserite in questo blog senza fini di lucro, ma con il precipuo scopo della libera diffusione della cultura e della nostra storia patria. In ogni caso, si invitano i cari lettori a non diffonderle per utilizzi non culturali.

martedì 24 gennaio 2023

“Mamma Draga” di Salvatore Tofano . Una recensione all'opera, a cura della prof. Rosa Bianco

Per la rubrica "Un libro uno scrittore del territorio", pubblichiamo la recensione al libro "Mamma Draga" (di Salvatore Tofano - ed. LFA Publischer - marzo 2022), scritta dalla prof.ssa Rosa Bianco, riconosciuta promotrice culturale del territorio.
Del lavoro di Salvatore Tofano abbiamo già pubblicato un post dedicato, a maggio dello scorso anno. Ammiriamo il clima
positivo che si è creato attorno a questo lavoro e abbiamo deciso quindi di amplificare i contenuti e i commenti al libro.

Ecco la recensione:
"Mamma Draga" di Salvatore Tofano è un romanzo non usuale, molto diverso dai suoi lavori precedenti. Narrato dal giovane Roberto, professore di filosofia al suo primo incarico in un paese del Sud, Torre di Sotto, dove conosce Alessia e la sua famiglia, in cui troneggia la figura dell’anziana Mamma Draga. Intorno a questa figura materna “patriarcale”, che egemonizza le sue relazioni con le quattro figlie e i generi, in nome di un millantato potere, che le deriva dal fatto di essere rimasta vedova e di dover provvedere da sola alla sussistenza della famiglia, si sviluppano il materiale narrativo, le azioni dei personaggi e i pensieri del narratore.
L’elaborazione stilistica e la narrazione dei fatti, secondo un preciso disegno, sono la chiave di volta dell’operazione del Tofano, che affida alla letteratura il messaggio da consegnare al lettore.
Il messaggio o idea principe del romanzo, che è fortemente psicologico e introspettivo, é la narrazione della "storia" di un'anima, quella di Mamma Draga in ogni sua sfaccettatura, in ogni sua dimensione: emotiva, sentimentale, identitaria e dell'incontro o lo scontro del razionale con l'irrazionale.
Mamma Draga non ha avuto un matrimonio felice e per questo è possessiva con le figlie e le fagocita, al punto da renderne infelice la loro vita. Vivono tutte con lei, nella stessa casa con i mariti (solo Alessia non è sposata ed ha appena conosciuto il giovane professore di filosofia), isolate dal resto del mondo e asservite alla sua volontà. E’ il classico esempio di famiglia, che oggi verrebbe definita con una sola parola “disfunzionale”, dove non ci sono quelle risorse psicologiche, atte a favorire la coesistenza dei suoi membri in modo positivo e assertivo, ma al contrario è covo di odi, intrighi, malesseri e rancori.
Il clima in cui vivono tutti nella casa di Mamma Draga è lugubre e triste. Su di loro aleggia un’atmosfera inquietante, fatta di storie di stregoneria, di magia nera, di malefici e di omicidi.  Per rendere questa atmosfera più avvincente, anche il linguaggio del Tofano si fa intrigante, ma chiaro e preciso nelle descrizioni e nelle argomentazioni, strategia letteraria che egli utilizza volutamente per dare maggiore forza e sostanza al senso del suo narrare, via via che il suo racconto si snoda.
Solo nell’epilogo finale Mamma Draga si ravvede e consapevolizza quella che per lei è una verità ineludibile: l'Amore, quello autentico, lei non lo hai mai conosciuto e non essendo stata amata, non ha saputo amare le figlie e donarsi a loro. Riesce quindi anche se ormai è troppo tardi, è anziana e malandata, a riscattarsi da una vita iniqua e a rivalersi sul male, che l’ha erosa per tutta la vita.
Il romanzo di Salvatore Tofano ha, perciò, una caratteristica unica: parla direttamente al lettore, non gli fornisce solo insegnamenti o strumenti concettuali e strategie psicologie, ma mostra anche le forme, le modalità in base alle quali, ognuno secondo le sue qualità, sensibilità e intelligenza, può attivare in sé un processo di sottrazione al nulla, senza disattivazione irenica dal dolore, senza superare in una sintesi superiore e utopica le antinomie costitutive dell’essere-al-mondo, senza ricadere nelle spire della trascendenza religiosa o della teleologia storica.

La recensione è firmata dalla prof. Rosa Bianco

Per i lettori interessati riportiamo il link del precedente post pubblicato nel blog.

Presentazione del libro Mamma Draga a Scampia. 

Auguriamo all'amico Salvatore un maggior successo per l'opera, nel mentre attendiamo altri suoi lavori letterari e grafici, sperando che concentri la sua attenzione anche sulla saggistica riguardante il territorio di origine. 

S.F.

venerdì 20 gennaio 2023

Il principino di Canosa chiede aiuto ai Casali, per difendere sua maestà il re dai Francesi…

Il primo post del 2023 è dedicato al ricordo di un personaggio che fu importante nella vita politica e culturale del Regno di Napoli, nel periodo a cavallo l'occupazione francese e la restaurazione borbonica, ci riferiamo al nobile napoletano rimasto nella storia con l'appellativo di "Principino di Canosa", discendente dell'antica e nobilissima famiglia napoletana dei Capece Minutolo. Da questa Casata, sono nati diversi porporati e rappresentanti alla vita politica e amministrativa del Regno; la famiglia Capece Minutolo è legata, come vedremo anche alla storia del Casale di Mugnano, nel quale la famiglia possedeva un consistente tenimento, con annessa la loro residenza nobiliare, di utilizzo nel periodo estivo o per far nascere i propri rampolli, come avveniva nella nostra zona per tante altre famiglie nobili.
Ma chi era il "Principino di Canosa"?
Il principino di Canosa era don Antonio Capece Minutolo, che nacque a Napoli, il 6 marzo 1768, ma il suo nome completo di battesimo era Antonio, Luigi, Raffaele; Antonio era figlio di don Fabrizio Capece Minutolo e della nobildonna Rosalia di Sangro, figlia del famoso don Raimondo di Sangro, principe di Sansevero.
Il padre di Antonio, don Fabrizio, era nato nella residenza di Mugnano, nel giugno del 1738 (dove nacquero molti altri membri di questa famiglia); alla sua dipartita, avvenuta nel 26 dicembre del 1817, Antonio divenne il quarto principe di Canosa. Il feudo di Canosa fu acquistato nel 1704 dal trisavolo Fabrizio, ad una asta, dai creditori della famiglia Affaitai, per la somma di 48.000 ducati, con il privilegio a partire dal 3 luglio 1712.
Antonio Capece Minutolo passò gran parte della sua giovinezza a Roma, a intraprendere gli studi di filosofia, presso la scuola dei Gesuiti e, successivamente, in quelli di giurisprudenza.
La cultura religiosa appresa negli ambienti scolastici lo tennero distante dalle idee illuministe che attecchivano nelle classi aristocratiche, come pure difese la religione e le sue idee cristiane cattoliche, contro le correnti gianseniste che imperversavano nella società dell'epoca.
Antonio ebbe due matrimoni, il primo nel 1791, con donna Teresa Galluccio dei duchi di Toro, e il secondo,  nel 1821, con Anna Orselli. Dal primo matrimonio nacquero cinque figli: Fabrizio, Maria Rosaria, Rosalia, Riccardo e Matilde, mentre, nel secondo matrimonio, nacque don Enrico.
Nei mesi che precedettero l'invasione francese del Regno, finanziò a sue spese la resistenza, dando man forte ai lazzari, che cercavano di porre resistenza all'invasore. Per questa sua azione antifrancese, fu arrestato e condannato a morte durante le fasi della Repubblica Napoletana, ma riuscì a fuggire. Fu ancora condannato a 5 anni di galera per non aver ubbidito a generale Pignatelli, ma fu successivamente graziato. Nella seconda invasione francese fuggì assieme alla corte reale a Palermo, e successivamente fu designato dal Re a difendere le isole napoletane rimaste ancora in mano borbonica.
Antonio intraprese la carriera politica e diplomatica, fu due volte ministro della polizia napoletana del Regno delle Due Sicilie, nel 1816 e nel 1821, anche se per ciascun mandato restò in carica solo un'annualità.
Fu noto pensatore politico e autore di importanti saggi sullo stato della società e dell’amministrazione del Regno delle Due Sicilie della sua epoca, tra i quali citiamo:  L’utilità della monarchia nello stato civile  (1795), Riflessioni critiche sull’opera dell’ avvocato fiscale Signor Don Nicola Vivenzio attorno al servizio militare dei baroni in tempo di guerra  (1796),  Discorso sulla decadenza della nobiltà  (1801),  I pifferi di montagna  (1820) e l'Epistola contro Pietro Colletta.
Interessante è la sua azione di propaganda antifrancese e di raccolta di volontari che intraprese per i casali a settentrione di Napoli, assieme al sacerdote Betti, della quale abbiamo trovato questa interessante testimonianza, che riguarda il nostro territorio:
[…] E comparsa nel cratere di Napoli la flotta Francese, il Principino di Canosa, sebbene infermo si trovasse sopra Capodimonte, fu tra i primi che, calato a bella posta in Napoli, si presentò al signor Generale Acton per essere impegnato nel Real Esercito per difendere la causa di Sua Maestà e pubblica: ond’è che fu ascritto al reggimento del Sannio.
E ritrovandosi dopo qualche tempo i giusti sospetti d’invasione per la illealtà dè francesi, volendo S.M. impinguare con novella reclutazione i Reali suoi eserciti, fu il Principino di Canosa chiamato dal Sign. Generale Pignatelli in unione di altri patrizi per muoverla, ed egli, pronto per il Real Servizio, tosto si condusse né Casali di Polvica, Chiajano, Piscinola, Panicocoli, Mugnano, Calvizzano, Marano, conducendo seco il sacerdote Prospero Betti. Pubblicamente in quei luoghi predicò, infervorò gli animi di tutti. Sparse vari fogli stampati in distribuzione delle massime scellerate dè Francesi, e dimostranti l’esterminio, che da per tutti faceano, e nello spazio di otto giorni raccolse cinquanta reclute in circa con suo massimo dispendio, attivandosi in quel momento a pagare le reclute sino a cinquanta ducati l’una […]”.
Questo episodio dovrebbe risalire al periodo compreso tra il 1798 e 1799 e la descrizione è tratta dall’opera: “Il magistrato di Città e la difesa del Principino di Canosa per i fatti del novantanove”, di G. Beltrami, Napoli 1901 (estratto dall'Archivio Storico per le Provincie Napoletane).
Antonio Capece Minutolo continuò a svolgere la sua passione di scrittore a Pesaro, fino alla fine dei suoi anni, infatti morì in questa cittadina, il 4 marzo dell'anno 1838.
La residenza mugnanese dei Capece Minutolo passò successivamente al marchese di Turi, fu infatti acquistata da don Ottavio Venusio, della famiglia nobile originaria di Venosa. Questa residenza è ancora esistente a Mugnano, prende il nome di "Villa Venusio", anche se trovasi in decadente stato conservativo, stato che non rende degna memoria alla storia del territorio e delle due famiglie nobili a cui essa è appartenuta. Interessanti solo le opere di architettura contenute, nella residenza, tra cui, oltre all'elegante ma sobrio cortile-porticato interno, ricordiamo la bella e singolare cappella gentilizia di famiglia, dedicata a San Biagio, patrono di Mugnano e la scalea a torretta, anch'esse situate all'interno della struttura.

Salvatore Fioretto


Cappella di San Biagio, in villa Venusio, già Capece Minutolo

Esterno delle dimora nobile

mercoledì 14 dicembre 2022

Natale e... «La terra è arreventata Paraviso» ! Ricordando S. Alfonso M. de Liguori

A Sant'Alfonso Maria de Liguori abbiamo dedicato negli anni trascorsi diversi post in questo blog, riguardanti sia alcuni episodi della sua vita e sia le numerose opere letterarie, poetiche, ascetiche e dogmatiche da lui scritte e pubblicate; ci piace ricordare anche quest'anno, in occasione della ricorrenza del Natale, il Santo di Marianella, dando però risalto alla sua immensa spiritualità sul tema del Natale e, in particolar modo, sugli affetti riservati al Bambino Gesù, considerato la salvezza dell'Umanità. 

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S. Alfonso che scrive canzoncine sul Natale

Iniziamo con riportare una meditazione di Sant'Alfonso, che rappresenta come una sorta di richiamo rivolto agli uomini, inducendoli a ricercare, soprattutto interiormente e a vivere conformemente, il significato del mistero del Natale.
Ecco quanto scrive Alfonso:
«Molti cristiani sogliono per lungo tempo avanti preparare nelle loro case il presepe per rappresentare la nascita di Gesù Cristo; ma pochi sono quelli che pensano a preparare i loro cuori, affinché possa nascere in essi e riposarsi Gesù Cristo. Tra questi pochi però vogliamo essere ancora noi, acciocché siamo fatti degni di restare accesi di questo felice fuoco, che rende le anime contente in questa terra e beate nel cielo
».


Sant’Alfonso, oltre alle opere ascetiche e alle famosissime canzoncine  sul Natale (Tu scendi dalla Stelle, Fermarono i cieli, Quanno nascette ninno a Bettalemme, Gesù Cristo Peccerillo, ecc.), diede ampia dimostrazione del suo estro artistico anche nel campo della pittura, nella quale eccelleva soprattutto con le composizioni a carattere sacro, miranti a raggiungere, come una catechesi figurativa, anche le classi sociali più analfabete e povere della popolazione dell'epoca, soprattutto i contadini e i pastori dei casali e contadi più abbandonati.
Ricordiamo, che da giovane, Egli fu allievo del maestro Francesco Solimena. Il suo primo biografo, padre Antonio Maria Tannoia, scriveva a tal proposito, che nei comuni di Ciorani e Deliceto sant’Alfonso raffigurò «ad olio nei paliotti dell’altare maggiore una bella campagna col mistero della nascita, cioè il santo Bambino adorato dai pastori, con la Vergine e san Giuseppe» (Vita ed istituto del vener. Servo di Dio Alfonso M. Liguori, I, Napoli 1798, p. 8).

Sant’Alfonso nel corso della sua lunga vita non si stancò mai di scrivere affetti e dediche a Gesù fatto Bambino, dimostranti a riguardo una venerazione particolarissima, ne sono una testimonianza le dolci e amorevoli parole di questa preghiera, scritta di suo pugno:
Allegoria della Natività con Sant'Alfonso

“Mio Gesù, Figlio del Creatore del Cielo e della terra, Tu in una gelida grotta hai una mangiatoia come culla, un po’ di paglia come letto e poveri panni per coprirti. Gli Angeli Ti circondano e Ti lodano, ma non sminuiscono la tua povertà.
Caro Gesù, Redentore nostro, più sei povero, più Ti amiamo poiché hai abbracciato tanta miseria per meglio attirarci al tuo amore.
Se fossi nato in un palazzo, se avessi avuto una culla d’oro, se fossi stato servito dai più grandi principi della terra, ispireresti agli uomini maggior rispetto, ma meno amore; invece questa grotta dove giaci, questi rozzi panni che Ti coprono, la paglia su cui riposi, la mangiatoia che Ti serve da culla: oh! Tutto ciò attira i nostri cuori ad amarti!
Ti dirò con San Bernardo: “Più Tu diventi povero per me, più sei caro all’anima mia”. Poiché Ti sei ridotto così, lo hai fatto per arricchirci dei tuoi beni, cioè della tua grazia e della tua gloria.
O Gesù, la tua povertà ha indotto tanti Santi ad abbandonare tutto: ricchezze, onori, corone, per vivere poveri con te povero.
O mio Salvatore, stacca anche me dai beni terreni, affinché divenga degno del tuo santo amore e di possedere Te, Bene infinito.
Ti dirò dunque con Sant’Ignazio di Loyola: “Dammi il tuo amore e sarò ricco abbastanza; non cerco altro, Tu solo mi basti, o mio Gesù, mia Vita, mio Tutto! Madre cara, Maria, ottienimi la grazia di amare Gesù e di essere sempre da Lui amato”.

Altrettanto belle e profonde sono le strofe di questa poesia, che ancor di più ci fanno scoprire un Alfonso profondamente innamorato del Bambinello...

"Bambino mio dolcissimo,
Tu m’hai rubato il cuore!
Bambino mio dolcissimo,
per te ardo d’amore.

Bambino mio innocentissimo,

tu già mi hai innamorato
E questo cor durissimo

per te già è piagato.

Ben mio, ti veggo piangere
E per freddo tremare.
Il cor mi sento stuggere
Né so quello che fare.

Vieni  Gesù, nelle mie viscere.
Vieni mio dolce amore,
e se hai voglia di suggere
suggimi questo mio core.”


Dalle prime strofe della canzoncina scritta da S. Alfonso, "Giesù Cristo peccerillo":

Disegno di S. Alfonso: Gesù bambino che cattura cuori


Giesù Cristo peccerillo,
Mariuolo, acchiappa core,
Vuoi lo mio? Te teccatillo,
Tutto tuojo,  eccolo cchà…!

Si i core de ll’autre gente
Po vulisse, Ninno bello
Fatte sulo tenì mente,
ca li ffaje, spantecà.

rit.: Bello ninno mio d’amore,
Sulo a Te io voglio amà.

 
Il tema della nascita di Gesù viene poi asceticamente trattato dal Santo nell’opera “Novena del Santo Natale”, dalla quale ci piace estrarre due considerazioni apologetiche molto belle, sia dal primo che dal secondo "discorso" della “decina”, come risulta suddivisa l'opera:
Dal "primo discorso":
“L’uomo disprezzando Dio, dice S. Fulgenzio, si partì da Dio; ma Iddio amando l'uomo, venne dal cielo a ritrovare l'uomo. E perché venne? Venne affinché l'uomo conoscesse quanto Dio l'amava e così almeno per gratitudine l'amasse. Anche le bestie che ci vengono appresso si fanno amare; e noi perché siamo così ingrati con un Dio che scende dal cielo in terra per farsi da noi amare? Un giorno, dicendosi da un sacerdote quelle parole della Messa "E il Verbo si fece carne ", un uomo ivi presente, non fece alcun atto di riverenza; allora il demonio gli diede un grande schiaffo, dicendogli: Ah ingrato! Se Dio avesse fatto tanto per me quanto ha fatto per te, io starei sempre colla faccia per terra a ringraziarlo.”
Dal "secondo discorso": “Poteva il Figlio di Dio nel farsi uomo per nostro amore comparire al mondo in età d'uomo perfetto, come comparve Adamo quando fu creato; ma poiché i bambini sogliono maggiormente tirarsi l'amore di chi li guarda, perciò egli volle comparire in terra da bambino, e da bambino il più povero e spregiato che mai tra bambini sia nato, Scrisse S. Pier Crisologo: "Così volle nascere il nostro Dio, perché così voll'essere amato, Avendo già predetto il profeta Isaia che il Figlio di Dio doveva nascer bambino e così darsi tutto a noi per l'amore che ci portava: Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio " (Is. 9, 5)” […]

Bambinello regalato ad Alfonso dalla madre. Museo Casa Redentoristi di Pagani

Con questa breve raccolta di meditazioni spirituali di Sant'Alfonso sulla nascita di Gesù, uno dei misteri più grandi della vita cristiana, porgiamo ai cari lettori l’augurio sincero di tanta PACE e serenità, unitamente alle loro famiglie ed amici, che possano aver inizio da questo Natale 2022...!
Buon Natale a tutti!

Salvatore Fioretto

 

I links dei post natalizi degli anni scorsi, dedicati a S. Alfonso:

http://piscinola.blogspot.com/2013/12/marianella-capitale-della-musica.html

http://piscinola.blogspot.com/2014_12_14_archive.html 

 

http://piscinola.blogspot.com/2020/12/il-grande-santo-di-marianella-alfonso.html

 

Presepe realizzato dall'amico Carmine Cecere