giovedì 22 agosto 2013

E un uomo vestito di bianco venne tra noi....


Sono in pochi a ricordarlo, eppure non è trascorso moltissimo tempo, appena 23 anni, da quel pomeriggio di sabato, 10 novembre del 1990, quando l'area nord di Napoli si svegliò per un attimo dal decennale torpore e dalla rassegnazione, come per un sussulto e si ripopolò a dismisura, per l'affluenza di tantissima gente, accorsa da ogni caseggiato, piccolo e grande, da ogni quartiere, vicino e lontano, tra sentimenti di stupore e commozione generale... Mai quelle strade e quei lunghi e solitari vialoni avevano registrato tanta gente accalcata e festante...!! Nemmeno in altre occasioni solenni, che seguirono quell'evento epocale.
Il popolare e amato Pontefice, il polacco Karol Wojtyla, dopo aver attraversato le tante nazioni del pianeta e visitato i popoli più disparati sparsi nei 5 continenti, metteva piede nella martoriata terra di Scampia, attraversando (o lambendo) in quel giorno anche i vari quartieri circonvicini (Capodimonte, Frullone, San Rocco, Marianella e Piscinola), in un abbraccio di popolo e alla presenza di autorità civili e militari. Numerosi erano i foto-reporter e giornalisti accreditati, italiani e stranieri.



Il Papa, proveniente da Capodimonte, attraversò Via Santa Maria A Cubito, imboccò Corso Marianella e sostò davanti alla casa Natale di Sant'Alfonso de Liguori. Poco dopo il lungo corteo di auto, capeggiato dalla "papamobile", imboccò piazza Chiesa, Via Bontà e, poi, via G.A. Campano. Attraversando il ponte in mattoni rossi della ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife", fece il solenne ingresso nel rione Scampia, allora denominato ancora "Rione 167 di Secondigliano". Il lungo corteo scorreva tra due ali di folla festante, con sventolio di migliaia di bandierine e fazzoletti bianchi. Molti poliziotti in divisa e in borghese erano disseminati nei punti chiavi, alcuni anche sul ponte della Piedimonte!



La cerimonia ebbe svolgimento nel piazzale posto al centro di Scampia, lo stesso che oggi porta il nome del papa: "Piazza Giovanni Paolo II". Sulla collinetta della odierna Villa Comunale di Scampia fu realizzato un enorme e altissimo palco di legno, con una lunghissima scalinata in gradini, con il seggio papale al centro e a lato una statua di Madonna in marmo bianco. Quella statua, che fu chiamata "Madonna della Speranza", fu poi benedetta dal Papa e fatta divenire simbolo di speranza della "nuova" Scampia. Infatti i giornali di quei giorni riportarono che essa sarebbe stata posta all'ingresso del quartiere e che la denominazione di "Rione Scampia" avrebbe ceduto il posto a quella di "Rione Madonna delle Speranza". Nulla di questo è stato più fatto da allora...!




Il discorso che il Papa pronunciò fu accorato e pieno di punti di esortazione alla speranza e alla rinascita socio-economica, rivolti sia ai cittadini di Scampia e sia a quelli dei quartieri confinanti. Il Suo discorso fu interrotto più volte da applausi scroscianti della folla presente. 
Le foto dell'epoca inquadrano una piazza traboccante di persone e il Papa sul palco e sullo sfondo le vele, emblema del quartiere. La foto a colori qui sopra in quei giorni fece il giro del pianeta!
Salvatore Fioretto
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Del discorso del Papa, che abbiamo trovato, ci piace riportare qualche passaggio significativo:

"Sono lieto di essere fra voi e vi saluto con vivo affetto. Ringrazio il vostro arcivescovo, card. Michele Giordano, che mi ha presentato il duplice volto del vostro quartiere: da una parte gli enormi problemi e le sofferenze che incombono su di voi; dall’altra, la forza d’animo e la speranza cristiana con cui voi affrontate la vita di tutti i giorni.

Dalle parole che abbiamo ascoltato emerge un quadro della situazione, nella quale vi trovate a vivere, che impressiona e preoccupa. Sì, non è facile la vostra esistenza! La carenza di strutture e di servizi, persino indispensabili, sembra ormai diventata cronica; la mancanza di case obbliga tanti di voi a vivere in alloggi di estrema precarietà, in condizioni che non favoriscono certamente il dovuto rispetto della dignità dell’uomo. Sempre più acuta diventa la crisi dell’occupazione con le negative conseguenze legate al lavoro nero e a quello minorile. Troppi ragazzi, poi, abbandonano precariamente la scuola senz’altra prospettiva che la strada, spesso solo palestra di delinquenza e di devianza sociale. A ciò si assommano il diffondersi del vizio, il dilagare della tossicodipendenza e dell’alcol, l’acuirsi del fenomeno della criminalità e della violenza anche di stampo camorristico.


Ma non bisogna arrendersi al male! Mai! Il bene, se voluto con forza, forse fa meno rumore, ma è più efficace e può compiere prodigi. Se la situazione permane difficile, e per alcuni aspetti anche drammatica, è possibile, anzi è doveroso cambiarla, per creare un futuro migliore per voi e per i vostri figli. Perseverate, però, nel vostro impegno. Ringrazio pure il giovane che ha parlato a nome vostro, esponendo motivi e finalità che animano il vostro impegno.


Carissimi, sono qui con voi per incoraggiarvi a perseverare con slancio rinnovato. La concordia e la pace che voi desiderate, il progresso nella libertà e nel rispetto reciproco che voi ricercate, la sicurezza dai pericoli fisici e morali e le condizioni di decoroso lavoro che costituiscono la vostra preoccupazione quotidiana, sono beni che Dio vuole per voi e per tutti gli uomini. Gesù Cristo, che ha voluto condividere la nostra condizione umana, è in grado di comprendere le vostre preoccupazioni e di venire in aiuto a quelli che lo invocano.


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2. Di questo sviluppo gli artefici principali siete voi stessi e nessuno potrà sostituire il vostro impegno di crescita comunitaria in tutte le direzioni nelle quali si svolge la vita quotidiana e si costruisce la storia di una popolazione. Ciò non significa che non sia compito dello Stato e delle sue istituzioni provvedere a fornirvi i mezzi necessari, a creare le condizioni idonee, a eliminare ostacoli e impedimenti, per tutto ciò che supera le possibilità e anche le responsabilità dei singoli e dei gruppi intermedi. Ma non molto varrebbe anche il massimo intervento delle pubbliche istituzioni senza la collaborazione di tutti, senza l’apporto delle virtù morali e civili, senza il rispetto e la cura delle strutture e degli ambienti, insomma senza l’impegno di tutti e di ciascuno nell’osservanza delle leggi che regolano la vita civile.


In questo vostro impegno, che non può essere sostituito da nessuno, un rilievo particolarissimo assume l’educazione, la formazione umana e cristiana dei figli, dalla prima età fino alla giovinezza, poiché essi sono gravemente esposti ai rischi della devianza: bisogna formare uomini e donne di forte personalità, artefici di un’umanità nuova. Il futuro del vostro quartiere dipende in gran parte dalla riuscita di questo impegno formativo.

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5. In occasione di questa mia visita in mezzo a voi desidero porre alcuni segni di speranza: la benedizione della prima pietra destinata alla costruzione della Chiesa parrocchiale dedicata a san Giuseppe Moscati in questo quartiere e un’altra per la parrocchia a Villaricca; la benedizione delle prime pietre di due centri sociali diretti rispettivamente dalla comunità dei Padri Gesuiti, e dalla comunità di Sant’Egidio operanti nel vostro quartiere. Sono i segni dell’impegno della Chiesa, e vogliono essere un invito e uno stimolo per le pubbliche amministrazioni, affinché anch’esse, a loro volta, pongano in essere con rinnovato slancio, i segni che sono di loro propria competenza.


Desidero infine, con un particolare atto di affidamento alla Madonna, porre il vostro quartiere sotto la protezione della Madre di Dio. Benedirò tra poco una sua statua, che ce la presenta come Madre della Speranza. Posta all’ingresso del quartiere, essa ricordi a tutti gli abitanti la sua materna protezione, ma anche gli impegni di vita cristiana da essi assunti.


Fratelli e sorelle carissimi, incoraggio voi e tutti gli abitanti dei quartieri periferici della città ad andare avanti con fiducia nel nome del Signore. Vi esprimo ancora una volta il mio speciale affetto e vi offro una benedizione apostolica insieme con tutti i cardinali e i vescovi qui presenti, come segno della benedizione della santissima Trinità.

p. Giovanni Paolo II



lunedì 19 agosto 2013

Piedirosso? No, meglio " 'O Pere 'e palummo"....!



Secondo gli esperti del campo e gli addetti ai lavori quella di quest'anno sarà un'annata eccellente per la produzione vinicola. Il caldo poco tropicale di questi mesi estivi, accompagnato da una primavera alquanto piovosa, hanno permesso la produzione di uve interessanti, per qualità e quantità, tali da poter definire l'anno di produzione, che volge al compimento, uno di quelli eccellenti ... da annoverare negli annali dell'enologia italiana degli ultimi decenni, naturalmente incrociamo sempre le  dita...!
Sappiamo tutti che la penisola italiana è densamente coltivata con tantissime varietà di vitigni, alcuni storici e millenari e altri frutti di incroci e/o di importazioni, ad ogni modo, la coltivazione delle viti in Italia risale a tempi remotissimi, ancor prima della venuta dei Greci e dei Romani...! La nostra regione, poi, non è da meno delle altre, con importantissime varietà di vitigni autoctoni coltivati, che producono eccellenti qualità di uve e, poi, vini apprezzati in tutto il mondo, sia dagli esperti enologi, che da semplici "utenti" della tavola... 
Tra i territori ameni della regione Campania, rinomati in campo enologico per essere stati altresì "baciati" dalla natura e dal sole, a fare da padrone troviamo sicuramente i Campi Flegrei, con la fascia costiera e l'isola d'Ischia. 
Un tempo, non tanto lontano, anche la zona intorno Napoli, in particolare il territorio "affacciato" ai Campi Flegrei, con la fascia compresa  tra i Camaldoli, Capodimonte, Piscinola, Marianella, Marano e Mugnano, aveva diffusa la coltivazione di variegate qualità di vitigni autoctoni, tra i quali a fare da padrone c'erano il "Piedirosso" e la "Falanghina", ma si trovavano anche altre varietà di vitigni minori, come le qualità denominate: "Mangiaguerra", "Suricillo", "Parasacca", "Marsigliese", "Asprinio" e tante altre ancora. I vitigni erano favoriti soprattutto dal microclima e dalla morfologia del terreno, che presentava, e presenta ancor oggi, in alcune isole sopravvissute alla distruzione, gli stessi caratteri fisici e naturali del territorio dei Campi Flegrei. Questi vitigni, e in particolare il "Piedirosso", producevano dei prelibati vini, apprezzati fin dall'antichità, soprattutto dai Romani e poi diffusi e noti in tutto il mondo allora scoperto. 


(Vite maritata al pioppo, con disposizione a ventaglio)

Il termine "Piedirosso" deriva dalla denominazione data dai Romani a questo vitigno, che era di "Columbina Purpurea", ossia "Rosso di Colombo", o meglio, un appellativo riferito all'aspetto di colore presentato dal piede del piccione: un colore prossimo al rosso scarlatto. I Romani, infatti, paragonavano il colore assunto dal raspo delle pigne di uva con il colore assunto dalle zampe dei colombi... Anche il colore del vino, una volta raffinato, presentava dei riflessi vermigli, trasparenti alla luce, paragonati da questi al rosso scarlatto... 
Dalle nostre parti questo vitigno è stato sempre chiamato, sin dai tempi più antichi, "Pere 'e Palummo", termine che rappresenta una degradazione della lingua napoletana alla denominazione latina di "Columbina Purpurea". Una curiosità importante da dire è quella che questo vitigno, autoctono, ossia legato al territorio dei Campi Flegrei e dintorni, cresce e dimora ancora oggi in maniera naturale, ossia senza l'ausilio dei "portainnesti", è un motivo c'è ...!
Il "portainnesto" fu introdotto agli inizi Novecento del secolo scorso, quando in Europa si sviluppò una sconvolgente epidemia patogena delle viti, chiamata "Fillossera", che attaccò tutti i vitigni europei, minando alla base delle radici la loro sopravvivenza. La "Fillossera", infatti, è una malattia che attacca le radici delle viti, conducendole rapidamente alla distruzione. Non esisteva allora (e non esiste nemmeno oggi) una cura per difendere le viti da questa malattia. I botanici e gli agronomi europei dell'epoca ne studiarono tante e alla fine si inventarono un escamotage per difendere tutte le qualità autoctone della "Vitis Vinerea" (ossa della vite Europea), soprattutto quelle francesi e italiane, che erano le più numerose e minacciate dalla virulente patologia: introdussero dall'America dei "portainnesti" di "Vitis Lambrusca", ossia della "Vite Americana", le cui radici resistevano benissimo all'epidemia di "Fillossera". Furono innestati sopra queste viti tutte le qualità autoctone europee, salvandole da sicura distruzione. In questo scenario di allora, ci fu una eccezione..., proprio nella Provincia di Napoli!!  
I vitigni di "Piedirosso", "Falanghina" e altri minori, infatti, si salvarono dalla epidemia, naturalmente, senza l'ausilio del "portainnesto": il motivo è facile da dedurre: perché le caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche del terreno, che è di origine e composizione vulcanica (pozzolanica), protesse i vitigni e non favorì la trasmissione della malattia alle radici delle viti. Tutt'oggi la propagazione delle viti nella nostra provincia, avviene per "propaggine" e per "talea", come da millenni a questa parte, senza "portainnesto"! 
Per quelli che non lo sanno, precisiamo che la "propaggine" consiste nell'inserire un tralcio della vite madre direttamente nel terreno, per farlo radicare, mentre la "talea" è la propagazione attraverso segmenti di tralci di viti, messi a dimora nei vivai.
Nella nostra zona il metodo di coltivazione delle viti era caratteristico ed è stato denominato dagli esperti "Alla Etrusca", che a differenza dell'altro tipo, detto "Alla Greca", consisteva nell'"accoppiare" le viti a degli alberi di Pioppo, disposti in filari e quindi utilizzati come supporto alle stesse viti. Questo tipo di disposizione delle viti coi pioppi viene chiamata anche con l'allocuzione: "Vite maritata ai pioppi". La tecnica di coltivazione, chiaramente di tipo "intensivo", permetteva di poter sviluppare in altezza le viti e di conseguenza avere un maggiore spazio di terreno alla base, utile per poter coltivare i cereali, gli ortaggi e gli alberi da frutta. L'altezza dei filari poteva arrivare anche a 8-10 metri! Ancora oggi si può ammirare questa tecnica nel territorio Aversano, perché utilizzata per l'Asprinio o l'uva Fragola.
(Filare di Piedirosso a Piscinola, in una foto del 2005)
L'ultima curiosità è quella che l'uva Fragola, volgarmente detta "Fravulella", è uno di quei vitigni americani, di cui abbiamo parlato sopra, introdotti in Europa per far fronte all'epidemia della "Fillossera".  
Esso fu, poi, molto apprezzato per la prelibatezza dell'uva e per il profumo e il sapore fruttato del vino e quindi coltivato in larga scala, soprattutto nella provincia di Napoli. Il vino è stato prodotto in gran quantità in passato, ma lo è ancora oggi, come pure il consumo dell'uva "da tavola"... Negli anni '30, durante la dittatura fascista, fu promulgato un Regio Decreto con il quale si proibiva la coltivazione di questo vitigno, chiamato anche "Uva Isabella" e la produzione del vino chiamato "Fravulella". Forse tale divieto aveva lo scopo di difendere le qualità autoctone dei vitigni italiani dall'invasione straniera...; tuttavia, in barba a questo divieto, la coltivazione delle viti di "Fravulella" non è mai cessata in Campania e tutt'oggi si può osservare ancora una consistente quantità di uva Fragola in vendita sui banchi dei mercati ortofrutticoli...! 
Purtroppo l'espansione della Metropoli e l'urbanizzazione intensa del territorio, hanno decretato la scomparsa quasi totale di queste antichissime testimonianze botaniche del passato nei quartieri a nord di Napoli.

Ci auguriamo anche quest'anno una buona vendemmia, inneggiando, con un forte "cin cin", quella che si prospetta un'ottima annata di vino!!
Salvatore Fioretto 
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(Filare di Piedirosso a Piscinola, in una foto del 2005)

venerdì 16 agosto 2013

La contrada di San Rocco

Oggi, 16 agosto festa di San Rocco, è doveroso ricordare l'antico centro abitato, ubicato tra Piscinola, Marianella e Capodimonte, che dal Santo pellegrino prende in nome: la località di San Rocco. 
 
La contrada è spesso chiamata impropriamente "San Rocco di Capodimonte", solo per la sua vicinanza al Bosco di Capodimonte, ma di fatto appartiene amministrativamente al quartiere di Piscinola, almeno fino al lato del ponte nuovo.
Vallone di San Rocco, con il vecchio ponte omonimo
Le origini di questo centro abitato non sono precise, secondo alcune testimonianze storiche, alquanto lacunose, durante la peste del 1656 alcuni nobili napoletani fecero voto a San Rocco, protettore appunto contro l'epidemia della peste, di salvarsi e, lasciando la città, realizzarono le loro nobili dimore in quel punto della collina posto a ridosso del profondo vallone, poi chiamato "Vallone di San Rocco", in quanto apprezzato per l'aria buona e la natura rigogliosa. Scampati all'epidemia, questi nobili sciolsero il voto e chiamarono quel luogo "San Rocco". In seguito fecero erigere una cappellina in onore del Santo taumaturgo. All'epoca la contrada apparteneva al Casale di Marianella. 

Nel XIX secolo fu eretta una chiesa più grande, in stile neogotico, con accesso dalla nuova Via Santa Maria a Cubito. La strada vecchia di San Rocco, con il suo ponte storico, tuttora esistente e conservato, ha rappresentato per secoli la principale via di collegamento di Marianella e Piscinola alla città di Napoli. In prossimità del ponte, intorno al 1830, fu eretto  un drappello di dogana, appartenente alla nuova cinta muraria, chiamata:  "Muro Finanziere". 
Per la nuova strada provinciale Santa Maria a Cubito, in corrispondenza del vallone di San Rocco, fu realizzato l'imponente ponte in tufo, con altissimi pilastri. Il primitivo ponte ottocentesco fu, purtroppo, abbattuto dai Tedeschi in ritirata, nell'ottobre del 1943 e rifatto successivamente nel dopoguerra, come lo si vede oggi.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)   


 



Nella foto a lato, la statua d'argento di San Rocco portata in processione a maggio, in S. Chiara. La statua è conservata nella Real Cappella del Tesoro di San Gennaro di Napoli, appartiene al novero dei Santi Compatroni della città di Napoli. Poco dietro, per pura coincidenza, quella di S. Alfonso dei Liguori...
 


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mercoledì 14 agosto 2013

A Miano, l'ultima "tazza 'e cafe"!

Con questa pagina vogliamo ricordare un grande napoletano, che trascorse gli ultimi anni della sua vita abitando nel centro storico del popoloso quartiere di Miano: il poeta Giuseppe Capaldo.

Capaldo scrisse, tra il 1906 e il 1919, i versi di molte canzoni napoletane,  tra cui le celebri "Comme facette mammeta!" e "L’arte d’o sole": entrambe musicate dal bravissimo (e autodidatta) Salvatore Gambardella, poi "Balcone 'nchiuso", "'A marina 'e Tripoli", "Hanna turnà!", "Cinematografo Cinematografà", "E llampadine" e "Tammuriata cafona!" (di queste ultime due scrisse anche la musica!), ma il suo gioiello più bello è stata la spassosa "'A tazza 'e cafe", musicata da Vittorio Fassone,... si dice scritta ai tavolini del Cafè Persico. 
Eccola:

Vurría sapé pecché si mme vedite,
facite sempe 'a faccia amariggiata...
Ma vuje, quanto cchiù brutta ve facite,
cchiù bella, a ll'uocchie mieje, v'appresentate...
I' mo nun saccio si ve n'accurgite!
Ma cu sti mode, oje Bríggeta,
tazza 'e café parite:
sotto tenite 'o zzuccaro,
e 'ncoppa, amara site...
Ma i' tanto ch'aggi''a vutá,
e tanto ch'aggi''a girá...
ca 'o ddoce 'e sott''a tazza,
fin'a 'mmocca mm'ha da arrivá!...

Qualcuno tracciando la biografia di Capaldo ha fantasticato che il poeta, che fu da giovane cameriere del celebre caffè napoletano "Caffè Tripoli", l'abbia dedicata ad una avvenente cassiera del "Caffè Persico", di nome Brigida e per la quale perse completamente la testa, ma credo che queste sono perlopiù leggende metropolitane da caffè...! Si racconta ancora che un giorno alcuni turisti ascoltando la celebre canzone de "'A tazze 'e cafè", suonata dall'orchestrina del Caffè, abbiano chiesto al poeta chi fosse lo scrittore di quella bella melodia, e che poi questi rimasero stupiti e decisamente increduli quando Capaldo si dichiarò l'autore. Capaldo ebbe una grande stizza, al punto che si tolse in quell'istante la giacca di cameriere e decise di non esercitare più la professione...!
La canzone "Comme facette mammeta" si classificò seconda al  concorso di audizione della Piedigrotta del 1906, venne interpretata e fu cavallo di battaglia della celebre Elvira Donnarumma.
Ecco alcuni versi di Comme facette mammeta:

Ciento rose 'ncappucciate,
dint'a màrtula mmescate......
Latte, rose, rose e latte,
te facette 'ncoppo 'o fatto!...

....
nu panaro chino, chino,
tutte fravule 'e ciardino

Mèle, zuccaro e cannella:
te 'mpastaje 'sta vocca bella...

(A lato la foto della cantante E. Donnarumma)

La vita di Giuseppe Capaldo non fu rosea, ebbe due figli dal suo matrimonio, e riuscì a stento a sopravvivere alla misera.... Trascorse gli ultimi anni della sua vita in povertà, come peraltro capitò a moltissimi compositori e musicisti nel periodo d'oro della canzone napoletana. Abitò in un piccolo e umile appartamento di vico I Parisi, nel centro storico di Miano, ove morì il 26 agosto del 1919, a soli 45 anni, a seguito di una brutta malattia, quasi dimenticato dai napoletani!
Giuseppe Capaldo fu uno dei veri cantori dell'animo popolare di Napoli, semplice e modesto, ma dalla grande nobiltà d'animo, come lo fu anche Vincenzino Russo.
Oggi, a distanza di quasi 100 anni, dobbiamo dire che, purtroppo, a questo grande artista della bella Napoli, non è stata dedicata nemmeno una lapide in suo ricordo, nel popoloso quartiere dove trascorse l'ultimo periodo della sua vita... 
Ma c'è sempre tempo per rimediare....!
Salvatore Foretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


Alcune strofe della canzone "'E llampadine":




I versi di "A marina 'e Tripoli":



Mo ch''a marina 'e Tripoli è d''a nosta
n'ata Santa Lucia n'avimm''a fá:
Attuorno â riva tutte risturante
cu 'e puóste 'e ll'ostricare 'a ccá e 'a llá!
E tanta voce belle pe' cantá!

Accussí sti Ttripuline,
accussí sti Ttripuline,
nc''e ffacimmo paisane,
nc''e ffacimmo paisane...
Tanto cchiù ca só' schiavone,
'e vvestimmo 'a Luciane...
'E vvulimmo fá cantá...
Napulitano!
....








domenica 11 agosto 2013

Via Miano Agnano: la prima tangenziale di Napoli...


Fu costruita tra gli anni '20 e '30 dell''800, la lunga e tortuosa strada collinare destinata a collegare la piana campana a nord di Napoli con la zona flegrea, i laghi  e il mare. Ma l'obiettivo fondamentale fu collegare l'ampio, e ai più sconosciuto, lago di Agnano, circuitando le strade del centro di Napoli. Questo asse stradale, così importante, fu chiamato "Strada dei Canapi Agnano-Miano". 

Lo scopo di questa via di comunicazione, dettato dalla monarchia borbonica, era preciso: permettere ai contadini, provenienti dalle campagne a nord di Napoli, di poter trasportare il lino e la canapa, da essi prodotti, e raggiungere agevolmente il lago di Agnano, da secoli utilizzato per la macerazione di queste fibre tessili, un tempo molto importanti per l'economia locale e del Regno.
Per permettere la costruzione di questo imponente asse stradale, molto importante per l'epoca (che partendo da Secondigliano, collegava Piscinola, Marianella, Frullone, Cangiani, La Pigna, con Fuorigrotta e Agnano), fu acceso un prestito con alcuni facoltosi imprenditori, che furono poi i realizzatori dell'opera; il prestito fu riscattato a rate dai cittadini dei Casali utilizzatori, pagando una apposita imposta governativa, fino alla seconda metà del secolo. Il pagamento si prolungò oltre, per alcuni decenni ancora, perchè l'opera andò molto a rilento (ma non è una novità oggi!) e occorse altro tempo per completarla.   
La strada fu progettata da ingegneri e da architetti della Regia Scuola dei Ponti e delle Strade di Napoli. Purtroppo pochi anni dopo l'Unità d'Italia, a causa dei miasmi e degli odori pestiferi che il lago di Agnano emanava verso i villaggi circostanti, proprio per la fermentazione della canapa e del lino, nonché per i numerosi episodi di malaria trasmessi agli abitanti dalle zanzare infette, più volte fu tentato di smistare il flusso degli utilizzatori verso gli altri laghi dei Campi Flegrei, più distanti da Napoli, come il lago Fusaro e l'Averno. Il termine di Fusaro si crede che derivi proprio di questa pratica di macerazione delle fibre tessili (dal termine "Infusarum"). 

(La mappa riporta l'opera di bonifica completata, e la zona come si presentava nella prima metà del '900)
Verso gli ultimi decenni del '800, lo Stato Italiano decise di far essiccare il lago di Anniano (Agnano) e bonificare l'intera area destinandola all'agricoltura. Allo scopo fu creato un emissario artificiale sotterraneo, che dal lago permetteva di far defluire le acque raccolte nel bacino idrografico verso il mare, in prossimità della spiaggia di Bagnoli. L'opera lunga circa 1,5 km è ancora lì perfettamente funzionante.
Gli abitanti del Circondario di Casoria e dei Casali e Comuni limitrofi (fra cui Piscinola e Marianella), ebbero modo di sollevare una protesta verso lo Stato per il divieto di utilizzare il lago di Agnano, divieto che subentrò subito dopo l'esecuzione della bonifica, considerato che pagavano ancora il canone di costruzione. La controversia si risolse indirizzando le varie comunità agricole a lavorare le loro fibre tessile verso il Lago Patria. Successivamente, dopo le opere di bonifiche, il luogo per la macerazione fu scelto quello corrispondente la foce dei Regi Lagni, che fu attrezzato allo scopo, con vasche e aree scoperte per l'essiccazione delle matasse. Tale pratica è stata perpetuata fino agli anni '50 del secolo scorso.

Agli inizi delgli anni '70 la strada in parola è stata intitolata a Vincenzo Janfolla, noto giurista potentino e deputato del Parlamento Italiano, purtroppo senza legami con questo territorio..., ma sotto la lapide toponomastica si può ancor leggere "già via Miano Agnano". La strada è stata giustamente menzionata, in piu fonti, come la "Prima tangenziale di Napoli", perchè, e sono molti a non saperlo, al contrario del Corso Vittorio Emanuele (completata solo nel 1860), è stata la prima grande arteria stradale, dell'era moderna, a circumvalicare veramente la città di Napoli.

Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)


(Mappa con sopra evidenziato lo sviluppo dell'arteria stradale)


Tutti i diritti di pubblicazione sono riservati all'Autore. 
 

venerdì 9 agosto 2013

Navi in collina!

Curioso a dirsi, ma è proprio così, le tre navi di epoca romana rinvenute durante gli scavi in piazza Municipio, per la costruenda stazione della metropolitana di Napoli, si trovano oggi ricoverate (da oltre 8 anni) nel deposito del metrò di Piscinola-Marianella, in via G. A. Campano, in appositi ambienti climatizzati, insieme a molti altri reperti archeologici rinvenuti durante le campagne di scavo, condotte nei vari cantieri del metrò cittadino.  Le navi, di epoca imperiale, vennnero sollevate da una potente gru con un braccio di 14 metri e portate qui con appositi pianali di trasporto. Uno degli scafi è lungo 12 metri e pesante 21 tonnellate!


 




L'area di cantiere, ove furono rinvenute, coincide con l'antico porto imperiale di Neapolis. Le tre imbarcazioni sono state restaurate dalla Sovrintendenza di Napoli e Caserta e attendono il completamento della stazione Municipio, per poter adornare il grande sottopasso che collegherà le due stazioni ferroviarie (Metropolitane "linea 1" e "linea 6") con la stazione Marittima, opera progettata dall'architetto iberico Siza.
Piu' volte è stato lanciato l'auspicio, qui su internet, che almeno una di queste tre imbarcazioni romane, assieme ad altri reperti archeologici trovati nei cantieri e nelle nostre zone, rimanessero in questo quartiere per poter allestire una piccola sezione archeologica locale, magari proprio nella costruenda stazione della metropolitana di Scampia. 

Chissà forse i potenti mezzi del web consentiranno di poter far leggere questa semplice richiesta a chi di dovere e quindi consentire di realizzare questo sogno, che aiuterebbe sicuramente a migliorare la vivibilità dei quartieri interessati e poter donare ai cittadini la consapevolezza di un miglioramento sociale, attraverso l'aiuto della cultura. 
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

(Vista dall'alto del deposito-officina di Piscinola-Marianella)

mercoledì 7 agosto 2013

Le colline di Napoli, e il mare: il paradiso decantato da Matilde Serao...

Leggevo stamattina questa bella introduzione alla leggenda "Il Mare" che è contenuta nel libro scritto da Matilde Serao, dal titolo "Leggende Napoletane", nella quale si elogia la natura di Napoli, il mare e le sue colline... Ve la propongo stasera ...!
Salvatore Fioretto 
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
"Ognuno sa che Iddio, generoso, misericordioso e magnifico Signore, ha guardato sempre con un occhio di predilizione, la città di Napoli. Per lei ha avuto tutte le carezze di un padre, di un innamorato, le ha prodigato i doni più ricchi, più splendidi che si possano immaginare. Le ha dato il cielo ridente ed aperto, raramente turbato da quei funesti pensieri scioglientisi in lagrime, che sono le nubi; l'aria leggiera, benefica e vivificante, che mai non diventa troppo tagliente;  le colline verdi, macchiate di case bianche e gialle, divise dai giardini sempre fioriti; il vulcano fiammeggiante ed appassionato; gli uomini belli, buoni, indolenti, artisti ed innamorati; le donne piacenti, brune, amabili e virtuose; i fanciulli ricciuti, dai grandi occhi neri ed intelligenti. Poi, per suggellare tanta grazia, le ha dato il mare. Ma si soggiunse  che il Signore Iddio, dandole il mare, ha saputo quel che si faceva. Quello che sarebbero i napoletani, quello che vorrebbero, egli conosceva bene, e nel dar loro la felicità del mare, ha pensato alla felicità di ognuno. Questo immenso dono è saggio, è profondo, è caratteristico. Ogni bisogno, ogni inclinazione, ogni pensiero, ogni fibra, ogni fantasia, trova il suo cantuccio dove s'appaga: il suo piccolo mare nel grande mare".


Piscinola dall'alto, ripresa da un aereo americano, nel 1943.


Vista aerea del quartiere di Marianella e di Piscinola, anno 1943









lunedì 5 agosto 2013

Piscinola e il "suo" Salvatore: Una comunità civile che ricorda...!


Il dilemma se persiste ancora una realtà comunitaria nel nostro quartiere non è recente, infatti, dibattiti, studi di sociologia e di antropologia si sono sprecati nei decenni scorsi, possiamo dire anche oltre misura. Per chiarire questo dubbio, soprattutto dopo gli scellerati interventi di decostruzione e ricostruzione del secolo scorso, che seguirono quello infausto sisma del 1980, dobbiamo ricorrere all'osservazione della realtà e constatiamo, infatti, che gran parte degli interventi perpetuati su larga scala al tessuto urbanistico di Piscinola, in maniera diremo forzata, non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, che erano di sviluppo e di crescita sociale di questa parte di periferia, facendo prevalere l'anonimia, la disaggregazione, il degrado urbano, la perdita dei legami umani, la perdita delle tradizioni e il dissolvimento dell'aggregato comunitario. Ma non proprio tutto è andato perso...
Piscinola, 6 agosto.... come ogni anno a questa parte...a qualsiasi piscinolese, verace che si rispetti, la data non può passare inosservata, ma sta a significare "la festa di Piscinola", la rievocazione annuale del suo Protettore...
Decenni sono trascorsi, tante generazioni si sono succedute... ma qui resiste per fortuna questo "baricentro" inossidabile, che non si dissolve, perché millenario, perché il Santissimo Salvatore, oltre che Dio, è per Piscinola anche un emblema, un simbolo nel quale si identifica l'intera comunità Piscinolese... è il Suo Protettore storico!
Non sappiano esattamente da quanti secoli questa antica comunità ha assunto Gesù Trasfigurato quale proprio Patronus; forse, come attestano le fonti storiche, già a partire dal X secolo, ma probabilmente ancora prima... Qui le tracce storiche si perdono nella notte dei tempi, quello che però sappiamo è che, allora come oggi, da secoli e secoli lontani, il Salvatore è stato considerato l'essenza civica di questa comunità, la sua Anima, il suo Vindice, il suo Nume Tutelare... il Patrono... Un Protettore secolare a cui intere generazioni, in pace e in guerra, con invasioni e con devastazioni, con peste e con carestie, nelle vicissitudini varie della vita, lieti e tristi, hanno riposto in Lui le proprie speranze, le proprie aspettative. Un Santo civico, pur essendo la Divinità, è soprattutto un "simbolo" di aggregazione sociale, che da secoli, se non da millenni, viene considerato come un “Padre anziano”, a cui confidare le proprie amarezze e le proprie speranze.
Tanto è radicata la Sua figura storica e la Sua valenza civica, che in antico tempo, fuori alla chiesa del Salvatore si soleva far adunare l’Università di Piscinola (Comune), per discutere dei problemi urgenti, perché era un luogo sacro e caro a tutti i piscinolesi, richiamando i cittadini con il suono delle campane, a distesa… In una carta celebrata nel 1323 si legge: "I paesani di questo villaggio avuto avessero un culto speciale verso il Santissimo Salvatore....!".
Quando anni fa iniziai a raccogliere le testimonianze su Piscinola e progettai i primi rudimenti del mio Libro, non ebbi esitazioni nell'intitolarlo al Salvatore, richiamando l'antico toponimo di Piscinola: la "Terra del Salvatore", proprio per rivitalizzare questo antico legame del Salvatore con Piscinola, infatti nelle pagine introduttive del libro, così scrissi: "Questo culto particolarissimo verso il Santissimo Salvatore, oltre al toponimo, ha sempre contraddistinto e accompagnato, per oltre mille anni le vicende civili e religiose, sia liete che tristi, della intera comunità piscinolese e per tale motivo questo libro ne ha assunto il titolo, con l'intento di rendere omaggio a Piscinola, "la Terra del Salvatore".
Il Salvatore, quindi, oltre al significato sacro, è anche un simbolo civico, che aggrega, unisce una comunità intera, che ogni anno si ritrova insieme, unita al Suo cospetto, nella sua festa delle feste... quella del 6 agosto... Viva il Salvatore!!
Salvatore Fioretto 
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