domenica 8 maggio 2022

"55... La musica di Piscinola...!!" Storia di una bella esperienza musicale di periferia... (1^ parte)

 Foto della banda sul sagrato della chiesa del SS. Salvatore a Piscinola, 1953

Più volte nei racconti di questo Blog abbiamo fatto cenno al corpo musicale di Piscinola, vale a dire a quell'organismo musicale che per tanti decenni del secolo scorso e per diverse generazioni, fu vanto e onore del quartiere di Piscinola, che fu chiamata semplicemente "Banda Musicale di Piscinola", adesso è giunto il momento di descrivere in maniera più completa e, per quanto possibile dettagliata, tutte le notizie storiche riguardo l'attività, i direttori musicali, i musicisti componenti e gli aneddoti raccolti in questi anni di ricerca, il tutto per ricordare questa bellissima esperienza artistica dei giovani dell'epoca, che a distanza di più lustri, ancora oggi ci inorgoglisce, per grande merito, per audacia e dedizione!
Iniziamo con dire che della vocazione musicale radicata nel nostro territorio si trovano diverse tracce antiche, come ad esempio nel poemetto in vernacolo, scritto nel 1787 da Nunziante Pagano, dal titolo: “Mortella D’Orzolone, Poemma Arrojeco”. Nel canto II, troviamo la seguente strofa, nella quale è citata Piscinola e la sua vocazione musicale:

[…] A Ppasca, e ffuorze fuorze a Carnevale,
Chella respose, e nce vo fa no nvito
De quanta nce nne stanno a sto Casale,
Pe fa fa annore a mmene, ed a lo Zito:
E ppe nce fa na festa prencepale,
Nce vo chiammà li suone de Melito,
De Pescinola, Polleca, e Cchiajano,
e dde Marianella e dde Mugnano.
Mmperzò, Petrillo mio, conto le juorne
Pe nzi che non se fa sta parentezza;
Uh se navimmo d’allommare forne!
Uh se nce perzo moro d’alleggrezza! […]

La frase “Nce vo chiammà li suone…” sembra riferirsi all’esistenza in loco di complessi musicali importanti che, come traspare nel testo, già allora avevano l’arte di stupire la gente con la loro musica; tuttavia, non abbiamo la certezza che si trattassero di complessi bandistici veri e propri, così come li intendiamo oggi, oppure di piccoli gruppi di suonatori o di solisti, ma è molto probabile che esse debbano essere state organizzazioni più semplici e con ridotti numero di musicisti, che allietavano con le loro esibizioni i matrimoni e i festini, e sicuramente anche le feste comunitarie, come processioni e feste patronali. 
Sappiamo che a fine Ottocento la banda musicale di Piscinola era attiva e ben formata di tanti componenti. Con il trascorrere degli anni, il gruppo bandistico si arricchì di numerosi altri componenti, fino a quando si formarono addirittura due corpi musicali diversi, che furono denominati: “‘A Surgità vecchia” e “‘A Surgità nova” (ovvero Società Vecchia e Società Nuova); in quest'ultima aggregazione c'erano molti giovani provenienti dalla vicina Marianella, ma c'erano anche dei musicisti provenienti dalle diverse parti del Circondario.
Sappiano che poi, con il passare degli anni, uno dei due “corpi” si distaccò dal complesso di Piscinola (la "Surgità Nova"), composta prevalentemente da giovani e s’insediò a Marianella, fondando una banda autonoma, che divenne la Banda musicale di Marianella. A Piscinola rimasero i componenti più anziani (della "Surgità Vecchia"), ma anche con più esperienza. Il capobanda era Francesco Della Corte (senior) e suonava il basso. Della Corte è stato il capostipite di una generazione di musicisti della banda. Dai suoi ricordi abbiamo raccolto questa testimonianza.
Per avere una testimonianza storica successiva, dobbiamo arrivare all'anno 1902, quando in una recensione giornalistica, sulla testata napoletana: "La Propaganda", dell'anno 1902, si fa riferimento a un certo Natale Bonaurio (o Bonagurio), che aveva rivestito il ruolo di capobanda nel disciolto complesso musicale di Piscinola, e che costui si fosse adoperato anche alla sua rifondazione.  Questa notizia, molto significativa, è la dimostrazione storica che la banda di Piscinola era già presente nel decennio precedente, ovvero alla fine dell''800, e che dopo avere avuto un suo ciclo di attività più o meno florido, sarebbe giunta al declino e al suo scioglimento. In un'altra notizia, ricavata sempre dal giornale "La Propaganda", vengono menzionati anche alcuni dei componenti della banda di Piscinola, tra questi, oltre al citato capobanda musicale Bonaurio, anche Montesano B., Esposito e Filippo Palladino. Di questi componenti, Montesano, è sicuramente il maestro don Beniamino, personaggio eclettico piscinolese, a cui abbiamo già dedicato un post negli anni trascorsi, descrivendo le sue composizioni e le attività musicali, oltre che dell'insegnamento musicale ai giovani di Piscinola. Deduciamo che potrebbe essere stata la sua partecipazione, fin da giovanissimo al complesso bandistico ad aver stimolato e aiutato a scoprire il suo estro musicale.
Di sicuro sappiamo che il complesso musicale di Piscinola era di nuovo completo e attivo agli inizi degli anni ‘20 (1921 ca.), e operava sotto la direzione musicale del maestro Onofrio Piccolo.
Onofrio Piccolo, nato a Piscinola, era stato maresciallo e musicista in carriera nella banda della Regia Marina Italiana (suonava la tromba). Una volta congedato e ritornato a Piscinola, aveva dedicato il suo tempo libero alla formazione di giovani aspiranti musicisti e alla direzione del complesso bandistico locale. All’epoca era motivo d’orgoglio per una comunità o un paese avere una propria banda musicale e Piscinola, che conservava ancora i caratteri originari di borgo agricolo, era uno di questi.
La banda posa sulla banchina della stazione di Piscinola della Piedimonte d'Alife, anno 1929
Continuando la ricerca delle notizie più antiche della banda, dobbiamo passare all'anno 1925 ca., mostrando l'antica e bella foto della banda di Piscinola, che posa al completo sulla banchina prospiciente ai binari della stazione di Piscinola, della ferrovia Napoli-Piedimonte d'Alife. Al centro della foto si può osservare il maestro Onofrio Piccolo, che è seduto assieme ad un altro componente, crediamo socio dell'Associazione,  con giacca, panciotto e cappello. Da notare il numero consistente di musicisti componenti, tutti giovanissimi: si contano ben trentotto musicisti! Discorso a parte merita la figura del cosiddetto "Bidello", personaggio che si vede in piedi, a destra della foto. Era questo un impiegato non musicista, assoldato dall'associazione, che aveva il compito di portare la "gran cassa" durante la processione e di assistere la banda durante le esibizioni sul palco. Provvedeva, tra l'altro, anche a cambiare gli spartiti sui leggii dei musicisti e del maestro e di aggiornare il cartello mostrato al pubblico, con il nome del brano e dell'opera esibita.
Sempre osservando questa foto, si può notare la presenza di alcuni strumenti musicali particolari che erano in dotazione della banda, come i due timpani in rame, le campane e il triangolo, sono questi degli strumenti specialistici, la cui presenza dimostrano il particolare livello artistico musicale raggiunto dal complesso musicale, e che consentivano a questo di poter eseguire sinfonie e brani scelti di opere liriche anche complesse. 
Colpisce, infine, anche l'ordine con cui i componenti posano nella foto, indossando i berretti e le divise, tutte ben fornite e arricchite con mostrine e fregi (supponiamo dorati), che imitano le divise militari indossate dai Fanti della prima guerra mondiale.
Sappiamo che questa formazione della banda di Piscinola, diretta dal maestro Piccolo, prese il nome di “Concerto Musicale Giuseppe Martucci”, in onore del famoso compositore di musica e direttore d'orchestra, nato a Capua.
Durante la gestione del maestro Onofrio Piccolo iniziò a formarsi, e fu allievo prediletto,  il maestro Natale Ciccarelli che era originario di Marianella, fino a diventare, nei decenni seguenti, il capobanda del complesso musicale. Del maestro Ciccarelli descriveremo nel seguito del racconto altri aspetti della sua vita legati al complesso bandistico musicale.
Scuola "Torquato Tasso" nell'anno 1929, foto cartolina
La banda musicale, che raccoglieva i ragazzi piscinolesi dell’epoca con la vocazione per la musica, era amministrata e gestita da una vera e propria Associazione. L'Associazione era retta da uno statuto, con un numero di soci che eleggevano un proprio direttivo, ovvero: un presidente, un segretario e un tesoriere, oltre ovviamente ad alcuni consiglieri. Sovente, alcuni dei componenti del sodalizio erano i musicisti che suonavano nel complesso. L'Associazione regolava la vita della banda, come l'incarico o la revoca del Direttore musicale, l'accoglimento dei nuovi musicisti, la distribuzione di proventi ai componenti, gli stipendi dei dipendenti (bidello, direttore, solisti, ecc.), le spese di gestione della sala di musica, e poi il procacciamento di contratti per le feste patronali a cui la banda era chiamata a suonare e altro ancora.
Trascorsero altri anni di esercizio musicale della nostra banda e sopraggiunse il triste periodo della seconda Guerra Mondiale e dell'occupazione Aglo-americana; durante questi anni l'attività della banda musicale fu sospesa, così come avvenne per ogni attività cittadina, in attesa di tempi favorevoli.
La Banda musicale fu ripresa e ampliata nel Dopoguerra dal maestro Pasquale Santoro e fu intitolata “Concerto Musicale Onofrio Piccolo”, in onore del maestro Piccolo, ormai scomparso.
La banda di Piscinola a Secondigliano, anno 1946. Al centro della foto il maestro Pasquale Santoro
Il maestro Santoro, giovane, colto e brillante, si era diplomato giovanissimo al Foro Italico, a Roma. Nato nel comune di Calvanico, in provincia di Salerno, si era specializzato in strumenti a fiato, già prima dello scoppio della guerra. Negli anni '40 fu militare a Piscinola, dove dirigeva la fanfara militare del "Gruppo Autocentro", che era di stanza nella scuola "Torquato Tasso", a quei tempi trasformata in caserma militare dell'esercito italiano.
Il maestro Santono, oltre alla banda di Piscinola, diresse altri complessi da lui formati, tra i quali ricordiamo: la
Banda di Pianura (Napoli), "Città del Vesuvio", "Città di Vietri sul Mare", "Città del Mediterraneo" e tante altre. E' stato un abile organizzatore anche di tanti concerti lirici e di concorsi di "voci nuove".
Il Maestro, frequentando da militare il quartiere di Piscinola, finì per stabilizzarsi anche dopo la guerra, mettendo su famiglia e sposando una ragazza di Piscinola. Egli prese a cuore le sorti della banda musicale e si adoperò con molto impegno al suo rilancio, dopo il declino subito durante la guerra.
Il maestro Santoro creò per essa una ricca e nuova divisa, unica per tutti i componenti del “corpo”, costituita da un abito completo nero, con giacca a doppio petto, bottoni dorati e berretto nero, con effigie dorata rappresentante una "medusa" sopra a una lira musicale (che appare come fiamma mossa dal vento), simile a quella degli ufficiali dei Bersaglieri. Altre mostrine dorate a forma di ramo d’ulivo erano poste ai due lati del bavero, mentre sul braccio sinistro era applicata una lira dorata. Sotto la giacca doveva era indossata una camicia bianca con cravatta nera. L’ordine nel vestire e nello sfilare era d’obbligo. Pare che Santoro usasse infliggere addirittura delle multe per gli inadempienti!
Il Maestro si adoperò soprattutto nella formazione dei giovani musicisti, fornendo a questi lezioni serali gratuite, utili per far apprendere la teoria musicale e lo studio strumentale. Le sue capacità didattiche furono sbalorditive, considerando che riusciva proficuamente a formare giovani che lavoravano tutto il giorno, che esercitavano in gran parte mestieri faticosi, come contadini o muratori.
Dopo il 1948, la direzione della banda musicale fu assunta dal maestro Gaetano Azan, originario del comune di Frignano Maggiore, in provincia di Caserta. Azan rese un salto di qualità al complesso, aggiungendo ai progressi compiuti da Santoro, il contributo di "solisti scelti", per le rappresentazioni operistiche di maggior rilievo. A quei tempi la banda superò i 50 elementi e per tal motivo prese il nome di “Gran Concerto Musicale Onofrio Piccolo”. Nei concerti di piazza la banda eseguiva musiche di Verdi, Bellini, Donizetti, Rossini ed altri compositori.
La gestione del maestro Azan durò fino al 1950, quando passò a dirigere la Banda musicale del suo paese, a Frignano Maggiore.
Dopo Azan, ci fu una brevissima parentesi di due anni con la conduzione del maestro Romanelli e, poi, la direzione della banda fu di nuovo affidata all’ormai veterano maestro Santoro, che la diresse fino al 1957.
Con il ritorno del maestro Santoro la banda fu intitolata semplicemente: “Corpo Musicale di Piscinola” e divenne a tutti gli effetti una "banda di giro", infatti partecipava, oltre ai festeggiamenti annuali del SS. Salvatore di Piscinola ed alle feste patronali delle varie Associazioni (“SS. Sacramento”, "Crocifisso", “Madonna delle Grazie”, ecc.), anche ad altre feste patronali del circondario, tra le quali Miano, Secondigliano, Monte di Procida, Casaluce, Frignano, S. Marcellino, Trentola, Ducenta e in alte località, anche fuori Regione, come nel comune di Pico (provincia di Frosinone) oppure in Puglia e in Abruzzo.
A metà degli anni '50 la Banda fu scelta dal comitato di festeggiamenti di Procida per sfilare durante l'annuale e celebre processione dei “Misteri”, che si svolge ancora oggi del periodo pasquale. La banda di Piscinola partecipò, poi, al raduno bandistico interegionale tenutosi a Salerno, sempre in quel periodo (intorno al 1952), concorrendo con le più prestigiose bande campane e di fuori Regione.
Il maestro Santoro non usava mai camminare in “testa” alla banda, ma si limitava a seguirla a distanza. Solo a Salerno, egli sfilò subito dopo il cartello “Corpo Musicale di Piscinola”. Al termine del raduno, la città di Salerno consegnò al maestro e alla Banda una targa ricordo.
Di questo periodo segnaliamo il bravissimo e compianto capobanda, che fu il maestro Luigi De Rosa, il quale spesso sostituiva il maestro Santoro nella direzione temporanea del complesso, quando questi era impegnato nell'organizzazione dei concerti e nell'insegnamento.
Dopo la seconda gestione “Santoro”, la “bacchetta” di direttore fu consegnata al maestro Salvatore Longo, che fu attivo nel quinquennio 1957-61; tuttavia, già si delineava l’inesorabile declino della storica banda musicale, che avvenne alla fine degli anni ‘60. Nell'ultimo periodo ci risulta la partecipazione, seppur molto limitata nel tempo, di altri direttori musicali (maestri Colella e Lamberti), a dimostrazione che l'Associazione che gestiva la banda musicale, tentò ad ogni modo di riprendere i fasti del passato musicale, ma furono tentativi che non portarono a risultati concreti.
C’è da sottolineare che la dedizione e la passione dei ragazzi di allora per la musica fu davvero grande, considerate anche le magre mance che questi percepivano durante le esibizioni, come compenso alla dispendiosa fatica impiegata per marciare e suonare giornate intere, contro le super parcelle percepite dai “solisti” di turno, che erano chiamati a suonare solo durante le esibizioni sinfoniche.
La sala di prova, sede anche della banda, subì nel tempo diversi spostamenti; dapprima, fu utilizzato un locale in Via V. Emanuele, successivamente, un locale in Via Vecchia Miano (oggi scuola automobilistica), poi un bilocale posto alle spalle della chiesa del SS. Salvatore, condiviso assieme al “Circolo dei Cacciatori”, con accesso dal palazzo “Chiarolanza” e, infine, un locale al piano terra del Palazzo “Grammatico”. Il locale nel palazzo “Chiarolanza” oggi è diventato il teatrino dell’oratorio della chiesa del SS. Salvatore. Ci sono pervenute altre testimonianze di locali adibiti alle prove della Banda, come in via del Plebiscito.
Spesso si organizzavano le prove all’aperto, sul sagrato della chiesa o nei cortili dei palazzi “Grammatico” e “Chiarolanza”. Le prove generali si tenevano, oltre che sul sagrato della chiesa, anche nel cortile della scuola "T. Tasso"; la banda in queste circostanze era sempre attorniata da molti Piscinolesi, che accorrevano ad ascoltare della “buona musica”.
Tra gli strumenti musicali, che la banda disponeva c'era una nuova coppia di timpani in rame, riacquistati durante il periodo più fulgido dell’attività artistica degli anni '50, con i risparmi di tutti i componenti. Possedere questi particolari strumenti era allora indice di alta qualità dell’attività eseguita dal corpo musicale.
Foto della banda che sfila durante una processione per le strade di Piscinola, anno 1956
Il repertorio classico esibito dalla banda, con i celebri cavalli di battaglia, sono alcuni qui ricordati:

-Cuore Abruzzese;
-Ernani;
-Gigliona;
-Mosè;
-Sant'Eliana (Sarappo);
-La campana di S. Giusto;

-La Leggenda del Piave;
-Cuore Siciliano;
-Vogliamo a Dio;
-Capricciosa;
-Sfilata.

Mentre i "pezzi scelti", eseguiti durante il concerto serale sul palco, erano le Ouverture e i brani (arie) celebri delle opere liriche:

-Nabucco,
-Trovatore,
-Rigoletto,
-Norma,
-Pagliacci,
-La forza del Destino,
-Boheme,
-Traviata,
-Madame Butterfly,
-Vespri Siciliani,
-Barbiere di Siviglia, 
-Carmen, di Bizet,
-Cavalleria Rusticana.

Cassa Armonica ed esibizione di una banda (foto repertorio)

Alla conclusione di ogni concerto, svolto sul palco, veniva sempre esibita la celeberrima "Rapsodia Partenopea", arrangiamento composto dal maestro Raffaele Caravaglios, chiamato comunemente "Canzoniere napoletano". Il "Canzoniere" è un riassunto in musica di brani e ritornelli celebri, scelti dalle canzoni classiche napoletane e adattate per essere suonati dalla banda.
La banda di Piscinola fu sempre amata e apprezzata dai Piscinolesi e dal suo circondario, tantissimi sono coloro che la ricordano ancora oggi con immutabile affetto, tanto che durante le tombolate natalizie, al numero “55”, che nella smorfia napoletana simboleggia “la musica”, si suole qui usare l’espressione di: “‘A musica ‘e Piscinola!”.

(segue nella seconda parte)

Si ringraziano per la preziosa collaborazione: Salvatore Santoro (figlio del maestro), Francesco e Mario della Corte (musicisti), Maria Rosaria Zazzaro (figlia del musicista), Cascella Antonio (musicista), Gerardo Ciccarelli (figlio del maestro), Giuseppe de Rosa (figlio del capobanda), Vincenzo Capuozzo, Gennaro Silvestri (musicista), Nicola Mormone (musicista).

Salvatore Fioretto

Questo post è dedicato alla memoria di mio padre, Luigi Fioretto, appassionato e bravo sassofonista della banda di Piscinola, dal 1946 al 1960, che ha conservato per tutta la vita, nel cuore e nella mente, la sua esperienza musicale nella banda di Piscinola. Questa dedica vuole essere un personale riconoscimento per avermi trasmesso quei preziosissimi valori che sono l'umanità e la passione per le nostre tradizioni, un complesso di emozioni che arricchiscono il mio animo e mi conducono a perpetuare la comune passione per la banda musicale!

(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente sui diritti d'autore).

giovedì 28 aprile 2022

Il Calendimaggio a Napoli... La processione di San Gennaro... (di Matilde Serao) Seconda parte

(segue dalla prima parte)
"Era la lentissima sfilata dei santi che fanno compagnia e onore a San Gennaro, nella sua cappella: quarantasei santi (oggi, anno 2022, sono 53 Compatroni - n.d.r.) di argento, la statua intero, o il busto, o la metà del corpo.

San Raffaele (Cappella del Tesoro di S. G.)
Questi santi erano posati sopra barelle, portate da quattro facchini, sulle spalle; e fra la gente, i facchini scomparivano, tanto che parea il santo andasse miracolosamente da solo, sopra le teste delle persone, tutto scintillante.
Lentissimamente, dico, perche la folla  era così folta, così soffocante che, ogni tanto, queste statue si fermavano, immobilizzate, mentre la gente le guardava con gli occhi inteneriti; ed anche lentissimamente, perché la devozione dei napoletani si vuole pascolare a lungo, nella vista dei suoi speciali protettori, che tutto l'anno sono chiusi nel  Tesoro e solo, in quel giorno escono a benedire la povera gente.
Sant'Antonio Abate (Cappella del Tesoro di S. G.)
A ogni santo che appariva sotto la volta nera della  gran porta e penetrava fra la gente, per andarsene anch'esso, verso Forcella, alla chiesa di Santa Chiara, era uno scoppio di clamore, fra la gente. Il primo  era l'alto patrono di Napoli, quello che viene subito dopo San Gennaro, nella protezione della Città, Sant'Antonio, eremita, che porta un bastone con un campanello risuonante, in cima, e accanto gli si vede la testina d'argento dell'animale che egli amò. Quel campanello ondeggiava, a ogni ondeggiamento del santo, sulla testa delle persone e squillava, squillava, allegramente, mettendo una gaiezza fra la gente che gridava:
"Sant'Antuono, Sant'Antuono!"
San Michele (Cappella del Tesoro di S. G.)
San Michele scendeva anche lui, per via Duomo, dalla collina al mare, ed era così bello, così fiammeggiante di gloria nella luce pomeridiana, che le tre sillabe del suo nome si ripetevano, continuamente, da su in giù. come il fuoco che divora la lunghezza di una miccia:
"Michele, Michele, Michele!"

Ma una gran diversione la fece San Rocco, il salvatore degli appestati, il protettore del popolo contro le epidemie: San Rocco vestito da pellegrino, porta il mantello con la cappa, il bordone, e sollevando la sua tonaca, mostra un ginocchio nudo, dove è scolpita una piaga, immagine della peste: e dietro di lui viene un cane fedele, così fedele, che per indicare due indivisibili
San Rocco (Cappella del Tesoro di S. G.)
si dice, nel popolo: Santo Rocco e il cane. E quest'amicizia così forte, e la figura un po' curiosa del santarello, col suo mantelletto e il suo canino dietro, tutta questa storia familiare, provocò una certa ilarità tenera, che si comunica da buona persona all'altra, fra la folla: San Rocco pareva un buon amico di tutta quella gente, un caro amico indulgente con cui fosse permesso scherzare, poichè egli è incapace di andare in collera:
"Hai freddo al ginocchio, santo Ro'?"
"Tè, tè canuccio!"
"Prestami questo soprabito, santo Ro'!"
...
Santa Chiara (Cappella del Tesoro di S. G.)
Quando i santi cessarono la loro sfilata e i primi canonici della cattedrale comparvero, vi fu un immenso movimento nella gente che aspettava. Tutti tendevano il capo per vedere meglio, per non perdere una linea dello spettacolo religioso, e l'attenzione era anche indomabile commozione. Finirono anche i canonici, e finalmente sotto il pallio broccato gallonato, frangiato di oro, pallido con il volto raggiante di una espressione di profonda pietà, con le labbra che mormoravano una preghiera, apparve il Pastore della chiesa napoletana.
Otto gentiluomini tenevano alti i bastoni del pallio: otto chierichetti, intorno, agitavano i turiboli fumanti d'incenso: e l'arcivescovo, che era un principe della Chiesa, un cardinale, camminava solo sotto il baldacchino, lentamente, con gli occhi fissi sulle proprie mani congiunte: e da tutte le genti che affollavano le vie,
i portici, i balconi, le finestre e le terrazze, da tutte le donne che pregavano, da tutti i bambini che balbettavano il nome di San Gennaro, non al pallio, non ai paramenti d'oro, non alla mitra gemmata, si
Processione di maggio, al mattino, con il Busto reliquiario di San Gennaro (foto archivio Troncone)
guardava: ma si guardava alla ceree mani congiunte dell'arcivescovo, si guardava teneramente, entusiasticamente, piangendo, gridando, chiedendo grazia, chiedendo pietà, magnetizzando ciò che l'arcivescovo stringeva tra le mani, tremanti di sacro rispetto. Lì, lì, tutti gli sguardi, tutti i sospiri, tutte le invocazioni. Il cardinale arcivescovo di Napoli teneva tra le mani le ampolline, dove era conservato il Prezioso Sangue.

Processione maggio, a sera, con reliquia del sangue (foto archivio Carbone)
..."

Il racconto di Matilde Serao continua descrivendo i dettagli del rito all'interno della Basilica di Santa Chiara, fino al verificarsi del prodigio del Sangue, ma essendo lunghissimo abbiamo preferito terminare il post a questo punto della descrizione; tuttavia il caro lettore potrà leggerlo per intero nell'opera citata: "Paese di Cuccagna".
Ci teniamo a precisare, infine, che nel testo trascritto non viene narrata  la presenza dell'imbusto di San Gennaro
, durante lo svolgersi della processione, perché in passato era usanza di portare separatamente la statua reliquiario del Patrono in Santa Chiara, con un'altra processione che si volgeva nel mattino dello stesso sabato. La tradizione intendeva simulare,
a Santa Chiara, l'avvenimento dell'incontro delle reliquie del capo e del sangue: in pratica si ripeteva annualmente quello che secondo la leggenda popolare era avvenuto ad Antignano (V secolo), col verificarsi del primo prodigio della liquefazione del sangue.
Tuttavia, alla fine degli anni '60 dello scorso secolo, il card. Corrado Ursi, per alleggerire i problemi organizzativi, legati soprattutto all'intensificarsi del traffico cittadino, decise di raggruppare le due processioni di San Gennaro in una sola, da svolgersi, come da tradizione, nel pomeriggio del sabato che antecede la prima domenica di maggio e sempre diretta alla basilica di Santa Chiara.

Salvatore Fioretto 

Cappella del tesoro di S. Gennaro, dipinto di G. Gigante, 1863

martedì 26 aprile 2022

Il Calendimaggio a Napoli... La processione di San Gennaro... (di Matilde Serao)

La scrittrice Matilde Serao, autrice del racconto

Sabato prossimo, 30 aprile, ossia "Sabato che antecede la prima domenica di maggio", la chiesa e la tradizione di Napoli commemorano la seconda festività dell'anno dedicata a San Gennaro, ricordando, in un'unica data, le varie traslazioni che hanno subito i resti del Santo Patrono, nel corso dei secoli. Questa solennità viene celebrata ininterrottamente almeno da 15 secoli...! Un tempo avveniva tra lo sfarzo della nobiltà e anche con la massiccia partecipazione popolare.
La ricorrenza viene quindi celebrata ordinariamente con una solenne processione che, dalla Cattedrale si snoda per le strade di Spaccanapoli, fino alla basilica di Santa Chiara, a cui partecipano diverse statue argentee dei santi cosiddetti "compatroni" (sono in tutto ben 53!), oltre ovviamente le reliquie del capo e del sangue del Patrono San Gennaro.
Come da tradizione, ormai consolidata, "Piscinolablog" dedica annualmente un "post" particolare a questa ricorrenza cittadina, di grande importanza, comunitaria e religiosa; quindi anche quest'anno ripete la dedica, pubblicando un racconto scritto dalla famosa giornalista e scrittrice, Matilde Serao.
Considerato la lunghezza del testo, abbiamo pensato di dividerlo in due parti, e riportando un estratto più significativo del racconto tratto dal libro "Il paese di cuccagna".
 

Buona Lettura.

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[...] "Calendimaggio è bello, in Napoli, per il soffio carezzoso dell'aria, per le vivide strisce di cielo azzurro, che finiscono per dar gaiezza alle strade più tetre e più cupe: è bello calendimaggio, per le rose che germogliano da tutte le parti, che pare sgorghino finanche dalle mani delle donne e dei fanciulli, per tutti i semplici fiori dei giardini e degli orti: è in calendimaggio, che le reliquie di San Gennaro sono portate dal Duomo, dove sono preziosamente deposte nei sotterranei che portano il nome di Succorpo e Tesoro di San Gennaro, alla chiesa di Santa Chiara, perché il Santo si degni, pregato dalla popolazione, di fare il miracolo della ebollizione del Sangue. La testa del vescovo di Pozzuoli (di Benevento n.d.r.), tagliata dalla scure  del  carnefice, è messa in una maschera di oro, tutta ricca di gemme preziosissime, scintillante di mille fuochi. L'altra reliquia, è il sangue coagulato, contenuto in un'ampollina di cristallo finissimo: nel sangue coagulato vi è ferma,  di traverso, una pagliuzza visibilissima nel grumo nerastro e freddo,  raccolto dalla pia gente che assistette al martirio del vescovo e conservato pietosamente; è nel giorno quattro di maggio (riferito a quell'anno n.d.r.), nel calendimaggio fiorito e odoroso, che queste reliquie vanno portate in trionfale processione, dalla Cattedrale alla Chiesa di Santa Chiara.

Ora, quest'anno 188..., pareva che più rigoglioso fosse nato nel cuore del popolo il fiore della fede, che più vivida sgorgasse la devozione per il patrono della città: poiché dalle due pomeridiane la folla accorreva, accorreva alla vecchia Napoli, assiepandone le vie strette, assiepandone le viuzze e i vicoletti, e gli angiporti. [...]
Più rigoglioso, in quell'anno, sorgeva l'affetto del popolo per San Gennaro, come se un novello impeto di fede avesse ingagliardito le buone anime napoletane: a una certa ora, la circolazione delle carrozze fu impedita, per Forcella e per i Tribunali, e tutti coloro che in quel giorno partivano da Napoli o vi arrivavano, per andare dalla stazione alla città o dalla città alla stazione, dovevano fare un lungo giro, per la via Medina, o per la via di Foria. Al passeggero distratto che domandava la ragione dell'interminabile cammino, il cocchiere  rispondeva: San Gennaro, e si toccava il cappello con la frusta, per salutare il patrono. E cercava di affrettare il passo del suo cavallo, non per zelo, ma per andarsene anche lui, il cocchiere, dopo aver messa la carrozzella in un portone, o dopo essersi fermato con essa, in un cantone di via, a veder passare il glorioso Sangue di San Gennaro.
E se tutte le vie piccole erano fitte di gente, se tutti i balconi sontuosi e i balconcini poverelli delle grandi case patrizie e delle misere case che sorgevano loro accanto, erano gremiti di persone, nell'ampia via del Duomo lo spettacolo della folla era imponente. La grande strada che unisce la collina al mare, con una discesa troppo ripida, da via Foria alla Marina, è che è stato  il primo taglio chirurgico attraverso la vecchia Napoli, taglio energico mal fatto, un po' brutale, un po' ridicolo come architettura, ma certamente salutare, la gran via del Duomo che è la Toledo dell'antica Napoli, aveva la maestà delle grandi giornate napoletane, in cui una fiumana di popolo fa paura anche ai fieri misuratori della folla. Vi era gente sino ai Gerolomini e sino al Pendino, in sotto e in sopra, e nei portici che sono a destra e a sinistra del Duomo, e sull'ampia scalinata, e sui lampioni del gas, e infine  sulla impalcatura che da anni  ed anni copre la facciata della Cattedrale, per le rifazioni, vi era gente, stretta, pigiata, soffocando all'aria aperta, gente attaccata a un fusto di ferro, a una trave, reggendosi in bilico, miracolosamente, sopra una tavola di legno malferma.
Ogni tanto una madre, tra la folla, levava in aria un bimbo per farlo respirare più liberamente, e il bimbo agitava le gambine e le braccia, giocondamente, per quello slancio, nell'aria dolce di calendimaggio. Invano gli scaccini del Duomo tentavano di far largo, perchè la processione già era formata nella chiesa: la folla, un momento respinta, tornava alla carica, con una spinta così forte, che andava a sbattere contro la facciata  della chiesa. A un tratto da sotto l'arco nero della porta spalancata, dove qualche cero, in fondo brillava, si udì un salmodiare grave grave, e la testa della processione apparve, fra il gran silenzio e la immobilità della folla. Lentissimamente, con un moto quasi impercettibile, procedevano in avanti gli ordini religiosi napoletani. Monaci bianchi, e neri, e marrone, monaci scalzi o con gli zoccoli, con cappuccio o con lo zucchetto, che cantavano le laudi del Divo Gennaro, con gli occhi vaganti, coi cerei  inclinati, la cui tenue fiammella non si vedeva, divorata dalla grande luce pomeridiana e che un monelletto scortava, per raccogliere in una carta le grosse gocce di cera che cadevano dai cerei: domenicani, benedettini, francescani, verginisti, missionarii, gesuiti, monaci e preti, in due file, trascorrenti, portati tra la folla, non guardandola, fissando un punto lontano dell'orizzonte, fissando la terra: e tutte le bocche erano schiuse al canto, alla salmodia latina, schiuse con una linea severa, grave, come il canto che ne usciva e ondeggiava, con severa intonazione, sulla testa della folla: e involontariamente, mentre gli ordini religiosi scendevano con un moto impercettibile verso Forcella, nella folla, i devoti che conoscevano le preghiere latine dedicate al Divo Januario, si univano al canto grave delle corporazioni religiose, e un'altra larga parte della folla, eccitata dall'aria, dalla luce, dal canto altrui, schiudeva la bocca a intonare anch'essa una salmodia senza parole, in preda a un principio di mistica tenerezza, e dal basso di via del Duomo, la processione e la folla, che si avanzavano insieme, erano un seguito di bocche aperte, mille bocche, duemila bocche che cantavano gravemente e il cui gran rumore si perdeva nell'ampio cielo.
Ma quelli che procedevano verso Forcella, non lasciavano via Duomo libera poiché il loro posto era preso da nuovi accorrenti, che spingevano avanti gli altri, e a un tratto, passata la sfilata  dei parroci della città, passati i canonici dell'antica chiesa di San Giovanni Maggiore, vi fu un lieto tumulto fra il popolo, un movimento immenso di attenzione e di soddisfazione. Era..."

(segue nella seconda parte del post)

 


Matilde Serao, fotografata nel suo studio

domenica 3 aprile 2022

Il sogno della ciliegia, di Domenico de Luca

Di Domenico De Luca, grande storico dell'area Nord di Napoli, profondo ricercatore storico del popolo Osco, abbiamo già narrato diversi aspetti della sua biografia e delle sue opere su "Piscinolablog" in un articolo di qualche anno fa, in questo post ci piace mostrare i suoi tratti poetici di narratore nostalgico di tradizioni antiche del territorio nel quale è nato e vissuto, ossia del quartiere di Chiaiano. In questo articolo, tratto da un suo scritto nel 2020, ci trasmette l'emozionante suo bel ricordo dedicato alle campagne di Chiaiano durante la raccolta delle ciliege e si intitola: "Il Sogno della Ciliegia". Buona lettura!

Mi raccontava un giorno Don Mimì "A Paratina" (soprannominato così perché il fondo dei Rusciano stava sulla cupa, a confine del fondo "La Paratina" e col palazzo ancora in piedi  all'inizio di via Barone, da piazza Nicola Romano), che avendo loro il fondo sul canale Cupa "Paratina" (nel passato era stato della duchessa di Minervino feudataria di Polvica, prima del Marchese Carlo Mauri - patriota del 1799), c'erano solo alberi di ciliege dapertutto, e che avendo una volta chiamato un giovane del luogo a raccogliere le ciliege, subito si accorse che non andava.
Il giorno dopo ne chiamò un altro raccoglitore, sempre del luogo, che allora sapevano lavorare in campagna. Quando chiamò quest'ultimo volle sapere (il suo compenso), quando stava pagando al giovane che stava già lavorando. "Don Mimì - rispose - quanto avete pattuito secondo il tempo". Disse quest'ultimo: "Subito, a me ne dovete dare il doppio, don Mimì, senza rancore". Don Mimì rispose: "Se lavori tanto da valere il doppio, è giusto, perché non dovrei darti il doppio?". Don Mimì a Paratina dei vecchi di Rusciano, della imponente famiglia dei Rusciano di Chiaiano, era di parola.
Era in primavera la raccolta delle ciliege, e poi c'erano le Maiatiche di maggio, di colore della primavera che si vedevano da lontano.
Le Campanare nere erano carnose e piene di sugo, tanto carnose che mia nonna paterna quando le raccoglievano, comprese quelle che scartavano, perché beccate dagli uccelli, dava una cottura ("bollo") e le faceva seccare, dette poi 'e passarielle. Poi c'erano le Corvine, le Aspre... Era una grande festa di primavera. Tutti cantavano sugli alberi mentre le raccoglievano, e si ascoltava da un campo all'altro, specialmente da loro (dal fondo Rusciano), quando non era nata ancora la via Nuova Toscanella, dopo la guerra, con un immenso vocio; ad Est della loro Masseria vi era la Cappella Santa Maria di Toscanella del 1500, tra la Masseria  e il Barco di Rusciano.
Don Mimì 'a Paratina diceva che era sempre lui ad aggiustare le "spaselle" di ciliege, gelosissimo, come allora si usava. Come anche 'e Nere, sempre mettendo sopra la schiocca cu 'a fronna.
Diceva che dovevano apparire sempre lucenti.
Vedeva intanto il primo giovane raccoglitore, che saliva e scendeva dalla scala, ma molto lento, con la fescena, la quale è come un grande limone tagliato a metà capovolto, come il mausoleo di Quarto negli Spinelli detto "'a Fescena".
Invece il secondo operaio "a giornata", che pretese il doppio, saliva e scendeva dalla scala come una farfalla - diceva - metteva allegria. E quando allungava le mani col ramo tirato delle ciliege, le strappava con grazia dai rametti, 'a piennule, senza mai farne uscire qualcuna 'a fragola, ossia alla fragolara, senza gambetto.
Mi raccontava  quella rara volta che ci incontrammo (con don Mimì 'a paratina), che le ciliege corressero insieme verso le sue mani, per farsi prendere per prime dal giovane operaio che aveva preteso il doppio.  Non aveva mai visto e lo diceva estasiato, seppure anche lui da giovane lo aveva fatto e ne sapeva di più salire e scendere dalle scale, come un "auciello". Quindi il secondo operaio saliva e scendeva e ne raccoglieva il doppio, cantando cantando... Mai una senza il suo gambetto verde.
Mai un pittore intanto, anche se per le colline ne andavano a zonzo, ha saputo fare quadri di tali stupendi operai che avevano troppe grazie.
Il dottore Giuseppe Rusciano, il figlio laureato in scienze agrarie a Portici, un giorno mi chiese fotocopie degli atti comunali antichi, che forse avrebbe voluto ricordare i suoi Rusciano. Glieli passai, ma anche lui se ne andato troppo presto. [...]

Liberamente tratto da un racconto di Domenico De Luca