venerdì 24 febbraio 2023

Quell’ultima Piedimonte: Signori, ecco la sfortunata “E2”…!

Rimettere i piedi su quel rottame di trenino, ovvero su quella che fu l’elettromotrice “E2” della cara "Piedimonte", fu per noi del GAFA e per me in particolare, un’impresa emozionante, forse è stato l’evento più bello della mia vita...! Entrare in quella fitta boscaglia di canne ed erbe selvatiche, tra cui degli alti e folti rovi spinosi, fu una emozione esaltante, fu come scoprire un relitto di un aereo importante disperso in una foresta equatoriale…e non fu altrettanto privo di rischi!
Ritornare sulla Piedimonte, a distanza di quasi 33 anni, nascosta in quell’anfratto di boscaglia, sembrava di ritornare di nuovo bambino: un’allegria mista a stupore che mi assalivano e mi riempivano il cuore di gioia! Una sensazione oggi difficile da descrivere, perché l'ultima volta che l'avevo vista in funzione era stato nel mese di febbraio dell'anno 1976!
Le vicende di questo racconto risalgono alla primavera dell'anno 2009 e si svolsero nella contrada di Sant'Andrea de Lagni, nei pressi di Santa Maria Capua Vetere, laddove un tempo era presente il deposito officina della ferrovia, non distante dalla stazione terminale della linea ferroviaria.
In quel posto ci sono ritornato diverse volte, alcune volte anche al tramonto, come quando mi scattarono le foto che mi vedono a bordo del trenino, al posto del macchinista oppure sul vano centrale oppure sul predellino del vano di ingresso della cabina del conducente...
Dopo le prime visite di riscoperta, misi mano al progetto del rilievo del treno. Non ricordo bene come mi venne l’idea, il motivo determinante fu forse quello che vedevo tale sistemazione del treno molto precaria, anche perché si prolungava da moltissimi anni, e i rischi di una sua possibile sottrazione, soprattutto da parte di "ricercatori di ferro vecchio" non erano infondati. Erano pensieri ricorrenti che mi turbavano la serenità... Così decisi di compiere l’impresa di eseguire un rilievo accurato dei convogli, che poi si è dimostrata una idea vincente...! Presi questa decisione, di immortalare graficamente l'elettromotrice "E2" e la sua rimorchiata, per avere la possibilità, negli anni a seguire, di poter realizzare una ricostruzione in scala modellistica del convoglio completo del treno. In effetti, considerando poi come si svolsero
i fatti, non mi ero sbagliato…! Infatti non abbiamo mai trovato alcun disegno costruttivo dettagliato di questo genere.
Oggi a distanza di oltre 13 anni, al di là delle poche foto in bianco e nero,  e delle rarissime foto a colori, quei rilievi da me eseguiti rappresentano le uniche testimonianze concrete e tangibili del treno della Piedimonte, ovvero di quello che era rimasto di un parco ferroviario che contava ben nove elettromotrici, costruite dalla Ansaldo ADB Breda agli inizi del secolo ‘900 e di un numero consistente di rimorchiate folli.
Aiutato dagli amici dell’associazione GAFA (Gruppo Amici della Ferrovia Alifana), di cui ero socio e consigliere, in particolare dagli amici Biagio, Pasquale e Sabatino, ci recammo più volte nel luogo ove giacevano i relitti, per eseguire questi rilievi.
Ho segnato sugli appunti tutte le date dei giorni che fummo sul posto…
Portai diverse volte con me anche la scala di legno, adagiandola sul portabagagli della mia auto: questa ci occorreva per poter misurare i resti del pantografo e di quanto rimaneva sul tetto del convoglio. Devo dire che la mia vecchia “Ford Fiesta” eseguì brillantemente questi viaggi, ripercorrendo come una "piccola Piedimonte", la tratta della strada statale che da Piscinola porta a Sant'Andrea di S.M.C.V., passando per Giugliano, Teverola, Aversa, Lusciano, Marcianise.. Diverse volte, avanti e indietro…senza stancarsi mai...!
Raggiungere, con il metro alla mano, alcuni componenti del treno fu veramente un’impresa non da poco! Ricordo quando mi calavo sotto il pianale del treno per misurare i carrelli, le ruote, i serbatoi dell’aria compressa, la pompa dei freni, e altri particolari, bisognava che mi piegassi fino alle ginocchia, per poi infilarmi tra ferri arrugginiti e divelti, tra gli assi, tra le travi e tra altri impedimenti...
C’erano alcuni componenti che non riuscivamo a comprendere il loro utilizzo; come, ad esempio: in un locale chiudibile con una serranda  di acciaio (posta a lato del ballatoio di ingresso centrale dell’elettromotrice), era presente un contenitore metallico con dei fori nella parte alta, che apparentemente sembrava un cassone di un interruttore; era anche sporco di olio annerito.
Lo stesso discorso si presentò per  un altro cassone che si trovava sotto al pianale, al centro della elettromotrice; questo addirittura si trovava ancora pieno di olio, denso e nero e conteneva pacchetti di lamierini magnetici e avvolgimenti di rame. Doveva essere un trasformatore a più avvolgimenti, ma non siamo stati mai sicuri di questa nostra interpretazione.
Pensammo, poi, di prelevare alcuni cimeli che erano a rischio di furto da parte di venditori di metalli. Recuperammo un'anta del cancelletto a scomparsa (tipo  "a ventaglio"), che un tempo si trovava installato nel vano centrale, ossia quello che era passato alla storia per i tanti infortuni causati dalla errata manovra da parte dei viaggiatori… Chissà quante dita avrà schiacciato durante tutto il suo esercizio…! Sopra era riportata in evidenza una bella scritta impressa su una placchetta di porcellana, che diceva: “E' pericoloso salire nelle vetture o discende(re) quando il treno è in moto”.

Altri cimeli recuperati furono: una porta frontale della rimorchiata, che fu però trovata accartocciata tra le lamiere superstiti del povero trenino. Sopra era presente il numero identificativo del vagone: "106", forgiato in ottone. Recuperammo, ancora, due tubi in gomma dell’aria compressa con le prese metalliche: erano quelli che si agganciavano tra l’elettromotrice e la rimorchiata.
Dell'elettromotrice "E2" oltre, al cancelletto decidemmo di non prelevare altro, perché ci sembrava una violazione che andava oltre le buone intenzioni di salvaguardia. Sono sempre convinto che per tutto quello che emana bellezza, non si può violare la sua integrità storica, anche se ciò è fatto a fin di bene! Forse compimmo un errore di sottovalutazione quella volta, per come poi sono andate le cose...!

Un ultimo componente prelevato fu un minuscolo gancio "appendi giacca", che si trovava alla parete della cabina di guida, e rappresentava per noi come un simbolo che accomunava i tanti lavoratori della ferrovia, che in sessant’anni di esercizio si erano avvicendati nella conduzione del treno, con tanti loro sacrifici e speranza di benessere...!

Nel rilevare le due cabine di guida ci assalì subito il dubbio di come si posizionasse il conducente, durante la marcia, rispetto alla posizione dei comandi, considerato che le leve dei freni erano posizionati sulla parte destra e quelle di azionamento dei reostati (per la regolazione della velocità del treno) erano presenti sul lato sinistro della cabina di guida. In effetti mancava l'intero quadro dei comandi dei reostati, anche se si vedeva ancora la sagoma di ingombro del macchinario, con le staffe per l’ancoraggio alla carpenteria della carrozza. Tempo dopo, un ex ferroviere in pensione ci ha spiegato che il macchinista si posizionava praticamente al centro dela cabina, davanti al finestrino frontale, stando in piedi e con le braccia leggermente stese verso i due lati, riuscendo a manovrare le leve.
Recuperammo anche una traversina di legno dei binari, che era abbandonata in quel luogo.
Ultimo rilievo fu eseguito poco prima del prelievo dell’elettromotrice e della rimorchiata, per il loro trasporto presso uno stabilimento scelto per il restauro.
L’area ove giacevano  i due relitti fu accuratamente pulita e la vettura della elettromotrice "E2" si presentava splendidamente illuminata dal sole (Le foto inserite in questo post ne sono una testimonianza). Ricordo ancora quell’alone di rosso che il sole al tramonto le conferiva sulla livrea, come a rimarcare il colore della ruggine: un tocco veramente bellissimo. Il gioco di luce e di ombre era veramente magnifico! Mi incantavo veramente a osservarla così. Sarei rimasto lì, in quel posto, ore intere, senza stancarmi mai…!
Come avrei voluto oggi conservare quel trenino, mi sarei accontentato perfino di tenerlo così arruginito, come appariva in quel momento. Mi piaceva l'idea di farlo diventare un contenitore museale, aperto a mostre fotografiche, ai convegni a tema e a delle visite guidate per ragazzi... Sarebbe stata una sistemazione geniale ed a effetto, come prevedeva il mio progetto che presentai anni prima!
Purtroppo il desiderio della sua conservazione e il possibile suo riutilizzo, ci portò, come associazione GAFA, a spingere e a sollecitare l'operazione di recupero, ma questa azione forse ha accelerato la sua infelice e ingenerosa fine… Forse abbandonato in quel posto sarebbe rimasto indisturbato per tantissimi anni ancora, ma questo non lo sapremo mai...! 
Passarono alcuni anni dal giorno festoso del prelievo del treno a Sant'Andrea..., ricordo che un giorno, chiedendo come Associazione "GAFA" notizie sulle fasi del restauro dell'elettromotrice e della rimorchiata, apprendemmo con tanta tristezza e stupore che i due cimeli del treno, gli unici rimasti della vecchia Piedimonte, erano stati miserevolmente e senza pietà alcuna, demoliti come dei "ferri vecchi", senza lasciare alcuna traccia e notizia di questo trattamento.
Nessuno si è preso la briga di chiedere se potessero interessare a qualche associazione amatoriale di treni oppure a qualche Ente del territorio… Si è operato in silenzio, senza dire niente a nessuno…! Ci rimanemmo tutti malissimo e io ancora di più...!

Ironia della sorte perdemmo anche i cimeli che avevamo precedentemente recuperati e consegnati: il cencelletto con la scritta in porcellana, la porta con il numero in ottone, i due tubi dell'aria compressa..., sono scomparsi definitivamente!
Tutto questo perchè fummo solleciti a consegnare questi oggetti al momento del prelievo dei due convogli, con la speranza che risultassero utili nelle fasi del restauro...
La demolizione dell'ultimo treno della Piedimonte fu una operazione che potremmo definire scellerata, essa rappresentò una misera azione di rottamazione, condotta infischiandosi del valore culturale che i cimeli rappresentavano, sia per la storia del territorio e sia per la storia di una ferrovia ultracentenaria!
Ma poi, come sempre capita, passano velocemente gli anni e
l’oblio del tempo tendono a coprire tutte le tracce di questa infelice storia..., ma non sarà così per la Piedimonte …!
Infatti questo post immortalerà le vicende di questo triste epilogo!

Salvatore Fioretto



martedì 21 febbraio 2023

SCAMPIA: CRONACHE DAL 41° CARNEVALE DEL GRIDAS, di Salvatore Tofano

"C’ero anch’io. Come altre volte. Come sempre.
È raro che sia assente. Devo proprio stare male per non andarci.
Il Carnevale del Gridas a Scampia su di me esercita una grande fascinazione.
È come una malia. All’inizio, quando è nato, ci ho anche partecipato come docente. Con i miei alunni. Ricordo il lavoro nei laboratori nella sede del gruppo in via Monterosa.
Costruimmo una sorta di Luigi XVI che poi portammo al seguito del corteo, cantando l’inno della rivoluzione francese. I ragazzi indossavano dei camicioni e dei cappucci cuciti dalle loro madri. Che festa! Che allegria! 
E pensare che a me i carnevali non piacciono, mi annoiano. Gareggiano a chi fa i carri più grandi, più ricchi. Tu resti lì a guardarli. Capisci che sono belli, di una plastica bellezza, ma… che c’entrano con te? 
Il fascino del carnevale del Gridas sta proprio lì, nel fatto che non ti senti estraneo. È un evento che non ti assegna il mortificante ruolo di “consumatore”, che ritrovi altrove. Sai che, anche se non hai partecipato ai laboratori, quel carnevale ti appartiene, parla di te, del tuo disagio, dei tuoi sogni, della tua voglia di un mondo diverso; e parla soprattutto di Felice Pignataro, del grande muralista, che l’ha creato: una figura carismatica che molti di noi portano incancellabile nel cuore.
È l’intero quartiere che partecipa, che si sente protagonista. C’è chi si affaccia al balcone, chi scende in piazza mascherato, chi con gli abiti di ogni giorno. È una fiumana di gente, una folla che si ingrossa man mano che il corteo procede. Non sono solo autoctoni. C’è gente che viene anche da altri quartieri, addirittura da altre città. C’è anche qualche politico, qualche giornalista, alcuni fotoreporter.
San Ghetto Martire, il protettore delle periferie, sembra benedire la marea umana, che ride, canta e balla per strada.
Ho dedicato alla “maschera” uno dei miei racconti più belli, scaricabile gratuitamente dal sito del Gridas. “È vero – afferma in esso uno dei protagonisti – nun è nu santo overo, ma sempe santo è”.
Più di un carro porta la scritta: “IL GRIDAS NON SI TOCCA!”.
Quest’anno è molto sentita la questione del ventilato sfratto al Gridas dalla propria sede.
La cosa è vissuta come una oltraggiosa carnevalata, un’incomprensibile trovata che sembra avere il solo scopo di “mazziare” un territorio che di “mazziate” ne ha già subito tante.
Quella sede per molti è un vero e proprio MONUMENTO in un territorio che ne è del tutto privo e ha rappresentato una delle poche voci a difesa della LEGALITA’ e della CULTURA.
Andrebbe difesa dalle istituzioni, valorizzata.
Lì è nato un sentimento di appartenenza, la voglia di riscatto del quartiere."

Post scritto di Salvatore Tofano 

 

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Ringraziamo l'amico Salvatore Tofano, scrittore, disegnatore e vignettista, per averci trasmesso questo suo post, scritto per celebrare il "Carnevale di Scampia" organizzato dal "Gridas, appena conclutosi con la sfilata di domenica scorsa per le vie del Quartiere.

S.F. 

venerdì 17 febbraio 2023

La Masseria de La Scampia... quella misteriosa effigie sulla facciata... (seconda parte)

(segue dalla prima parte)

Come abbiamo indicato nella prima parte del post dedicato alla masseria dello Scampia, il lato sinistro del corpo di fabbrica risulta disarticolato e non omogeneo rispetto all'ampia facciata, ma appare come un contraltare, simmetrico in volumetria (forse in antico tempo anche per forma), alla cappella che si trova sul lato opposto.
Questa parte dell'edificio sembra essere stata realizzata come ambiente adibito per essere abitato in maniera straordinaria oppure per ospitare una persona speciale, come se riservata a dei familiari ospiti oppure ad una persona cara, che poteva essere un genitore, un figlio o un parente bisognevole di riposo, di aria salubre, di un ambiente soleggiato e, quindi, arricchita di finiture, diciamo di pregio, che donano un aspetto più riposante all'abitazione e ai suoi abitanti.
Con tale ipotesi si può spiegare la presenza dell'unico balconcino nell'edificio, assieme agli alberi ed essenze piantumati alla sua base, che immaginiamo possano essere stati preesistenti, fin dalle origini, oppure integrati.
Questo lato della struttura (come già detto nella prima parte del post), è privo del tetto a capriata, ma ha un lastrico di copertura solare piano, mentre il bugnato, disegnato con intonaco in leggero rilievo sullo spigolo della facciata principale, è delimitato al suo margine destro. Tutti questi particolari architettonici lascerebbero pensare che esso sia stato un volume aggiunto, realizzato a diversi decenni di distanza dalla primitiva fondazione, forse per una necessità contingente, capitata a uno dei proprietari dell'epoca, ma sicuramente prima del XX secolo.
Curioso, poi, è la presenza di un particolare disegno realizzato a rilievo, in stucco, che si vede ben delineato sull'intonaco della parte alta della facciata, nella parte sovrastante la finestra balconata. In pratica esso consiste in una grossa cornice, con all'interno l'effigie di un fiore incrociato con un oggetto a forma tubolare.
Osservando con attenzione il particolare architettonico, possiamo dedurre che:
-La grande cornice: La particolare forma della cornice, con dei fiori ai quattro vertici, che imitano i suoi punti di inghisaggio, vuole essere una riproduzione di una "Tabula ansata", molto usata in antichità. Essa è costituita da una parte rettangolare, adibita a contenere al suo interno il testo di un'epigrafe, mentre alle due estremità presenta due "anse" (triangoli): una nell'ala destra e una in quella di sinistra. Questo tipo di cornice aiutava a sottolineare il contenuto dell'iscrizione, un po' come se le due frecce (anse), poste ai lati, lo evidenziassero. I quattro punti di inghisaggio simbolici sono stati inseriti come a significare l'intenzione di rendere perenne il suo messaggio (a futura memoria).
- Non è uno stemma: I due elementi simbolici, raffigurati all'interno della cornice, sicuramente non rappresentano l'emblema di uno stemma nobiliare (perché manca del consueto scudo di contorno e soprattutto del blasone), né un logo di un ente o di un'azienda e nemmeno vuole rappresentare un simbolo di un'attività o un messaggio pubblicitario. Propendiamo, invece, che esso intende racchiudere il significato di un messaggio oppure una dedica espressa in maniera figurata e simbolica...
Analizziamo gli elementi:
- Il fiore: La forma del fiore, raffigurato ancora chiuso, come un bocciolo, all'estremità di un ramo con le foglie filiformi, che si piegano in parte a metà, lasciano intuire che si tratti di un fiore di garofano, ancora chiuso o in fase di iniziale fioritura.
- L'oggetto cilindrico: L'altro oggetto raffigurato, a forma tubolare, con una cerchiatura verso il bordo superiore, ci rimanderebbe alle fattezze di una "faretra", ossia al contenitore usato dai cacciatori o dai guerrieri antichi per contenere le frecce dell'arco. La vetustà dell'intonaco e l'interferenza di un "porta isolatori elettrico", installato in epoca recente (che nel particolare della foto imprime un'ombra spuria), non lascia inquadrare limpidamente, a distanza, i particolari del bordo dell'oggetto, ma la sua forma terminale, rastremata a gradino, lascia intuire che risulterebbe pieno del contenuto di frecce.
Particolare in BN
-Analisi su un possibile significato: Analizzando tutti gli elementi raccolti, interpretiamo il simbolismo usato, che appare impresso come una sorta di un messaggio cifrato, come una specie di dedica fatta realizzare dal proprietario (forse dopo il suo restauro o dell'ampliamento o dell'acquisto) e sarebbe rivolta a una persona a lui cara, come poteva essere il primogenito della casata, appena nato, per mostrare il proprio affetto e l'auspicio di una futura vita vittoriosa e con prosperità... A spiegazione di questa interpretazione: il fiore di garofano è per tradizione usato per esprimere l'amore, l'affetto, la riconoscenza, mentre la faretra "impersonifichebbe" il significato della speranza di una vittoria. Esso intenderebbe essere un augurio a centrare tutti gli obiettivi mirati, che potevano essere: il coronamento del successo economico, l'acquisto di altri titoli nobiliari, l'amore, altri progetti di vita, progenie... Il simbolo si adatterebbe, per analogia, a un guerriero che, disponendo di molte frecce, ha speranza di mirare e colpire più traguardi importanti, per lungo tempo e con diversi tentativi...
Il posizionamento della grande cornice immediatamente al di sopra del balcone finestrato, lascia facilmente desumere che l'anonimo messaggio è invece in rapporto strettamente dipendente con quanto contenuto di questa camera abitata all'estremità dell'edificio...
Particolare a colori
-Conclusione: Ovviamente la deduzione che abbiamo espressa risulterebbe alquanto romantica ed è sicuramente una delle possibili chiavi interpretative che si possono trarre dalla lettura dei due simboli; tuttavia, come è logico pensare, essa è anche molto soggettiva e quindi molto controvertibile, ma è l'unica che ci è sembrata verosimile ipotizzare, interpretando i due simboli in rapporto all'edificio.
Siamo del parere che in mancanza di una fonte dell'epoca certa, che riporti la storia di questa dedica e del suo autore, non si può fare altro che avanzare altre ipotesi, che potrebbero essere anche la dedica a una persona cara defunta, a una sposa, alla stessa residenza, alla campagna, ecc..
Salvatore Fioretto
 
Per leggere la prima parte del post, cliccare sul link qui a lato: Prima Parte
 
PS: Questo racconto è stato scritto con il precipuo scopo della libera diffusione della cultura e della nostra storia patria e con l'intento di dare un contributo alla rinascita e sviluppo sociale dell'Area Nord di Napoli. Le foto dell'edificio sono state liberamente inserite in rispetto della sua valenza storica, artistica e architettonica, che lo rendono un monumento di interesse storico-collettivo, da preservare e valorizzare.
Si richiede, infine, di riportare il nome di questo blog, qualora le notizie contenute risulteranno delle fonti di interesse ed utilizzate nei propri scritti e publicazioni.

giovedì 16 febbraio 2023

La Masseria de La Scampia... la sua storia e i misteriosi simboli sulla facciata... (prima parte)

Masseria "La Scampia", in una foto (fine anni '60 o inizi '70), tratta dal libro "Secondigliano" op. cit.
Quante volte abbiamo percorso la strada che da Secondigliano conduce a Melito, chiamata "Via Roma Verso Scampia" e spesso, stando in auto, fermi in attesa del semaforo rosso, abbiamo osservato l'antica struttura che ancora oggi mostra il suo fascino di antichità, ma anche un misterioso velo di anonimato che pare nascondere la sua storia...!
Non molti lo sanno, ma questa struttura è stata celebrata in passato come emergenza architettonica rilevante nel contesto del territorio, tanto da essere riportata in tutte le mappe del '700 e dell''800, accompagnata dalla dicitura "La Scampia" (o "Lo Scampia"), perchè è stata uno dei primissimi aggregati abitati che ha poi generato, con trascorrere del tempo, la presenza di alcune taverne e del primitivo "Borgo di Scampia" (XVIII - XIX secolo).

Essa fu una tenuta agricola, con annessa una masseria, ma probabilmente fu prima di tutto una residenza estiva della famiglia nobile che la possedeva.
Vescovo di Nardò, Hieronimo de Franchiis, nato a Capua
Abbiamo oggi pensato di dedicare questo post a questa antica struttura del territorio a Nord di Napoli, riportando tutte le notizie storiche che siamo riusciti a recuperare in questi anni, in modo da rendere edotti quanto vorranno, almeno lo speriamo, sulla sua valenza storica.
Nella seconda parte del post,
invece, svilupperemo un insolito anagramma, analizzando e cercando di interpretare il significato del messaggio simbolico che l'autore ha inteso trasmettere, attraverso una curiosa effigie in stucco, fatta imprimere sulla facciata...

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La masseria de "La Scampia" (o "Lo Scampia") si erge su quella parte di territorio che in antico tempo  apparteneva al Casale di Secondigliano.
Essa si trovava sotto la giurisdizione ecclesiastica della Chiesa "Parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano", sita in Secondigliano; a conferma di questo status, diversi atti di nascita e di matrimonio che si celebrarono nell'annessa cappella padronale, dedicata a S. Antonio di Padova, furono registrati nella citata parrocchia di Secondigliano. La struttura era confinante con il territorio del Casale di Piscinola, che delimitava l'altra vicina e antica Masseria, chiamata "Masseria di Donna Romita". Non si hanno notizie certe sulla data della sua fondazione, indubbiamente essa è anteriore al 1793, in quanto
risulta riportata nella mappa, coeva, redatta dal topografo Antonio Rizzi Zannoni ("Carta del Littorale di Napoli dei luoghi più rimarchevoli di quei contorni..."). Sicuramente la sua posizione isolata e di rilievo sull'importante arteria di comunicazione, che in periodo antico era denominata "La via che mena alla Scampia", ma che poi fu ampliata dai monarchi borbonici e ridenominata "Strada Regia" e "Via Roma verso lo Scampia", ne ha conferito importanti caratteri di riferimento, sia antropologico che urbanistico.
Particolare della Carta del Littorale di Napoli, di A. R. Zannoni, 1793

Da una testimonianza scritta (riportata nel seguito del post), apprendiamo che la cappella, che si trova nel suo corpo di fabbrica, è stata edificata nell'anno 1647, e quindi la Masseria potrebbe essere coeva oppure essere stata costruita in un periodo antecedente.
Nel celebre libro "I Casali di Napoli", scritto da Cesare De Seta, ed. Laterza (a pag. 153, nel
capitolo dedicato a Secondigliano), così l'autore descrive questa costruzione antica: "La Masseria Scampia, o La Scampia, è sulla strada per Aversa; fu realizzata in posizione strategica rispetto alla masseria di Capodichino. Prende nome da "Campo" ed è indicata nella mappa di Rizzi Zannoni (1793), Vi fu annessa la cappella di S. Antonio, "Cappella pubblica a fronte della strada Regia". Nel 1784 nella camera adiacente alla cappella risiedeva ancora un eremita. Dalla masseria  prende nome la borgata Scampia che occupa tutto l'ultimo tratto, a nord di Secondigliano."
Da diverse altre fonti sappiamo che la masseria fu di proprietà della nobile famiglia del Marchese De Franchiis (o Di Franco) e, successivamente, passò alla nobile famiglia Caracciolo.
La famiglia dei De Franchiis ebbe modo di distinguersi tra le fila dell'aristocrazia napoletana, perché da essa uscirono diversi giuristi e vescovi (vedi stemma del vescovo Geronimo De Franchiis). I propri membri, oltre a Napoli, si diramarono in Capua, Piedimonte d'Alife e anche in Puglia (Nardò). Acquisendo il feudo di Taviano, si fregiarono del titolo di Marchese.
La cappella, che si trova inglobata nella facciata del palazzo, è dedicata, come già detto, a Sant’Antonio di Padova; per avere sue notizie abbiamo consultato il bel libro di "Secondigliano", scritto da Salvatore Loffredo (già descritto in questo blog), che offre diversi spunti per le nostre indagini. Infatti a pag. 151 si rileva che:
"Questa cappella di diritto patronato e grancia della parrocchia dei SS. Cosma e Damiano, eretta nel 1647, come si rileva dagli atti, ebbe la sorte di vedere tra le sue mura uomini illustri, che si unirono in matrimonio". - (Seguono quattro Testimonianze della cappella, tratte dalle Sante Visite dei Cardinali di Napoli n.d.r.) -
"Est Ecclesia S. Antonii, in qua celebratur missa, ubi dicitur la Scampia”.  “Nella chiesa de Ill.mo Marchese Tacciano de iure patronatus dove si dice Scampia, sotto il titolo di S. Antonio di Padova ci è necessario due corporali, al messale ci è necessario tutto il canone vi è necessario li candelieri e giarre, il panno avanti a l’altare è d’oro pella, vi sono due pianete una negra e una altra di colore misto e due camisi buoni il calice stà bene indorato” (dalla visita del Card. Innico Caracciolo del 23/1/1675).
"Il Marchese di Tacciano supplicando espone a V.E. come nella S. Visita locale della Cappella di S. Antonio della Scampia fu ordinato dalli Ministri di d.a S. Visita , che non si celebrasse in d.a Chiesa sin a tanto che non si fabricassero una porta di d.a Capp.la corrispondente  dalle case contigue di secolari in d.a Cap.a e perché d.a porta e finestra sono già state fabricate dall'oratore, pertanto prega V.E. voler concedere gratia di potersi celebrare in d.a Capp.a et il riceverà a gratia ut Deus (dalla visita del Card. Cantelmo, del 25/5/1698).
“… Nel luogo detto la Scampia, sotto il titolo di S. Antonio – jus patronatus – del Sig. Marchese Tacciano de Franchiis e proprio nella sua masseria (, luogo detto "la Scampia"), con l’obbligo  di una messa al giorno, il beneficiato di quello di casata Nepote, dicono che sia morto, e che (al presente) in mancanza di quello sia stato nominato al suddetto Beneficio il figlio del Duca di Tocco erede del suddetto Marchese di Tacciano, il 1° non faceva soddisfare messa alcuna, ne di festa ne di giorno di lavoro questo fa lo stesso, allegando che in un beneficio così pingue non vi sia dote, 150 ducati annui (dalla visita del Card. Spinelli,  del 24/12/1741).
“Vi è la cappella sotto il titolo della SS. Trinità e S. Antonio di Padova costruita nel luogo detto “La Scampia”, in cui è eretto il beneficio sotto il medesimo titolo de jure patronatus della famiglia de Franchis, si devono celebrare due messe in ciascheduna settimana “ad libitum”.
Il beneficiato in questa chiesa per la q.m. (fu) D. Isabella de Falconibus fondatrice di detto beneficio, come dal di lei testamento rogato per mano del Notaio Francesco de Colellis a 20 nov. 1647; è tenuto il beneficiato, che è al presente il P. Domenico Pinelli Teatino. E vedo che le suddette due messe si celebrano in questa cappella per comodo di quei filiani, che ivi dimorano, per cui il Card. Spinelli lasciò nella detta cappella il calice d’argento con patena nel piede del quale vi è la sua impresa. Ma o per lite insorta sulla nomina del beneficio tra il Duca di Tocco ed il Principe di Milipano, o per altro motivo, da lungo tempo le due messe non si celebrano in detta cappella; motivo, talché se il parroco mandasse dalla sua parrocchia il sacerdote ogni dì festivo a celebrare ivi la Messa, quei poveri filiani non saprebbero come fare, particolarmente, i vecchi, e quei che tengono officio soggetto, onde reca meraviglia come mai una cappella così pubblica a fronte di Strada Regia con un beneficio  così pingue non abbia alcuna dotazione;
Carta geografica della provincia di Napoli, primi decenni del '900
anzi il peggio si è, che al presente la soffitta di sopra è aperta in varie parti, per cui piove sempre dentro la cappella, la quale se non fosse aiutata dalle diligenze del Romito, saria interdetta, conforme merita, e perciò il tempo di visita feci osservare il tutto al con visitatore Canonico Brancaccio, il quale fece delle grandi promesse, delle quali non si è veduto ancora l’effetto.
Il Romito di oggi giorno è Fra Luca d’Ambrosio di anni 45 circa, di buoni costumi, il quale abita in una cameretta attaccata alla cappella, anche tutta aperta e ruinata (dalla visita del Card. G. Zurlo  del 1784)".
A pag. 273 del citato libro di Loffredo, sempre a riguardo della relazione della Santa Visita del cardinale Innico Caracciolo, si trova ancora scritto: "Cappella di S.to Antonio de Padua in loco detto alla Scampia, de Jure patronatus dell'ill.mo Sig. Marchese di Tacciano, al presente vi è il beneficiato, Fra Vincenzo de Franchiis, Cavaliere di S. Giovanni Battista, figlio del detto Marchese".
Secondo alcune fonti, che andrebbero però verificate, la cappella sarebbe stata dedicata a San Antonio di Padova, per celebrare la data del 13 giugno, giorno che diede inizio alla fase vittoriosa per le truppe di restaurazione Sanfediste, capeggiate dal card. Ruffo, sui difensori della Repubblica Napoletana, nell'anno 1799.
Partic.della Carta del Littorale di Napoli, di A. R. Zannoni, 1793
Purtroppo la facciata della chiesetta risulta essere stata sottoposta a continui e pesanti rifacimenti, che hanno fatto perdere ogni elemento o traccia che consentirebbero di risalire alla sua fondazione barocca. Essa conserva nella parte laterale una struttura aperta, con due arcate, un tempo deputate ad accogliere le campane. L'ingresso del tempietto si apre al termine di una brevissima scalinata in basolato vesuviano.
La cappella, come si vede dalle foto odierne, si trova in uno stato di apparente abbandono e non è possibile visionarla all'interno, anche perchè risulta perennemente chiusa. 
Lo stesso potremmo dire anche per la masseria dello Scampia, anche se la sua linea architettonica risulta alquanto conservata e appare in uno stile sobrio e lineare, e appare in parte abitata. L'edificio, che si affaccia sull'antica "Strada Regia" (oggi, via Roma Verso Scampia), presenta un lungo fronte stradale, con ben dieci finestre che si affacciano dal suo primo e unico piano; nove di esse, uguali nella forma, hanno piattabanda di legno con una semplice scossalina parapioggia (con mensole di ardesia), mentre l'ultima apertura, sulla parte sinistra della facciata, risulta essere diversa dalle altre, perchè è un balconcino, con due ante vetrate e presenta, nella parte superiore, oltre la scossalina, una piattabanda in muratura a sesto ribassato; essa appare come inserita in posizione simmetrica rispetto alla contrapposta facciata della cappella, che si trova sulla estrema destra. Il tetto piano, a lastrico solare uguale a quello della cappella, costituisce una conferma e lascia pensare a opere realizzate in epoche remote ma diverse.
Osservando
con attenzione le sue linee architettoniche si ha la conferma che essa sia stata una dimora gentilizia estiva della famiglia nobiliare proprietaria. La masseria risultava avere un annesso tenimento agricolo, con diversi depositi ed aree attrezzate, adibite alle lavorazioni agricole, in parte ancor oggi esistenti. La stessa organizzazione degli spazi li possiamo osservare anche in altre masserie del territorio, come, ad esempio, nella "Masseria Vulpes", a Mugnano.
Non è più presente l'appezzamento di campagna di pertinenza, che immaginiamo sia stato un tempo ampiamente esteso.
Il tetto del corpo principale di fabbrica è realizzato con un'elegante capriata di legno a due falde e coperto con un bel tegolato; l'intercapedine del tetto, all'interno della capriata, è areato attraverso delle apposite finestrelle, che sono sempre aperte sui due lati, disposte in asse con le finestre del sottostante piano abitabile.
I locali del piano terra hanno tutti l'apertura terminante con un arco ribassato (eccetto l'ultimo a destra, a piattabanda) e crediamo che forse in passato siano stati adibiti ad abitazioni per i lavoratori agricoli e degli inservienti, oppure a depositi di derrate.
Il portale d'ingresso dell'edificio presenta un architrave semplice, con una sottile decorazione di cornici multiple di stucco, mentre risulta allegoricamente sorretto ai lati da due lesene in stucco, di "ordine toscano". La sua parte superiore  risulta poi sormontata dalla finestra centrale del primo piano.
Non è più presente il portone di legno, che è stato sostituito con un cancello di ferro, mentre la luce d'ingresso è stata ridotta da una recente muratura di rinforzo.
Il varco principale dell'edificio, che è anche l'ingresso carrabile, presenta un bell'
arco a sesto leggermente ribassato, ma privo dello stemma nobiliare, anche se non si esclude che in passato ci possa essere stato. Completano il disegno del portale e del varco d'ingresso, la presenza di due blocchi cilindrici ornamentali in piperno, posti alla base (a ciascun lato), che fungevano anche da "pietre paracarro", come in uso in gran parte degli edifici antichi. Purtroppo quello un tempo esistente nel lato sinistro è andato perduto.            
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Salvatore Fioretto 

P.S. La fonte storica da cui è stato tratto il testo per la scrittura di questo post sono stati i libri: "Secondigliano", di Salvatore Loffredo, ed. Aldo Fiore - Napoli, 1972 e "I Casali di Napoli", di Cesare De Seta, ed. Laterza, 1984. Le foto pubblicate sono state tratte dal web, da alcuni siti dedicati oppure appartengono a collezioni o raccolte. A tal proposito si dichiara che essi (testo del racconto e foto) sono stati inseriti in questo blog senza fini di lucro, ma con il precipuo scopo della libera diffusione della cultura e della nostra storia patria. In ogni caso, si invitano i cari lettori a non diffonderli per utilizzi non culturali.
Si richiede, infine, di riportare il nome di questo blog, qualora le notizie contenute risulteranno delle fonti di interesse ed utilizzate nei propri scritti e publicazioni.

Facciata Cappella di S. Antonio a Scampia (anno 2023)