sabato 12 giugno 2021

'O Barone e Migne Migne... Una bella storia di amore puro... di Luigi Sica

Nei tanti racconti su Piscinola di un tempo, più volte è stato menzionato il "Barone", personaggio che è passato nell'inventario collettivo per la sua forza straordinaria, ma anche per la sua bontà d'animo. Per raccontare questo particolare personaggio siamo ricorsi questa volta al bel libro scritto dall'amico Luigi Sica, "Il Borgo Perduto", edito da "Marotta&Cafiero" nell'anno 2013.
Ecco il brano.

"Nonostante l’improprio titolo nobiliare, o’ barone era un poveraccio, che non aveva un lavoro o un mestiere. La moglie o compagna era Migne Migne, una donna bruttissima, magra, bassa di statura con capelli crespi e mai pettinati che non parlava mai. Pare che avesse una sorella ma non ne sono sicuro perché l’ho visto sempre solo, timido se non vergognoso, di poche parole, molto schivo. Era un uomo di media statura ma di corporatura possente, aveva un volto brutto, dai tratti marcati: da ominide che la voce cavernosa rendeva troglodita. Sia d’inverno sia d’estate andava sempre in giro con un pesante cappotto. Veniva da o’cap’e’coppa, ma non ho mai saputo, dove abitasse precisamente, i più informati dicevano che vivesse in un sottoscala; negli orari di bassa affluenza lo intravedevo mangiare qualche piatto di minestra nella cantina di don Lurenzo o in quella dei Sarnacchiaro. Sicuramente si guadagnava da vivere eseguendo lavori saltuari che richiedevano un’enorme forza fisica, infatti, ogni qualvolta c’era da scaricare sacchi di sale da un quintale ciascuno, miracolosamente appariva o’ Barone e mentre i facchini s’affannavano in due o tre per scaricare quei sacchi dal carro, il nostro li agguantava, li trascinava sul bordo di scarico, si girava lentamente e senza sforzo apparente caricava il sacco in spalla, entrava in tabaccheria e depositava il sacco sull’apposita pedana di legno e ripeteva l’operazione quattro o cinque volte. Mio padre gli dava un pacchetto di Alfa e con discrezione gli metteva una carta da cinque lire in tasca; altre volte don Lurenzo gli faceva lavare le botti da trecento litri, 'o barone le spingeva sulle guide dal piano interrato a quello stradale, le portava fuori, le riempiva d’acqua per metà e facendole beccheggiare procedeva a diversi lavaggi sino a quando non ne fuoriusciva acqua limpida.
Donna Nunziatina gli faceva scaricare i carri di sacchi di farina e la legna per il forno e quello dei legumi e così faceva anche Eugenio Ercolano, probabilmente o’ barone si guadagnava da vivere eseguendo questi lavori saltuari per tutti i commercianti che glieli affidavano proprio per non mortificarne la dignità.
Più di tutto m’impressionava la sua profonda solitudine, raramente lo vedevo parlare con qualcuno e quando lo faceva, lo interpretavo come signorilità trovandogli confacente quel titolo nobiliare. La prematura morte di Migne Migne lo rese ancora più solo e taciturno tanto da indurmi a pensare che se due persone brutte possano trovarsi reciprocamente gradevoli, per una sola la bruttezza della solitudine dev’essere insopportabile. Molto tempo dopo seppi che era morto, lasciando nel suo materasso un’incredibile quantità di soldi. M'addolorò non tanto l’epilogo, ma quella sua vita da eremita, mi turbava il pensiero che l’avesse vissuta interamente come figlio di un dio minore, condannato a pagare pegno per quella bruttezza fisica che celava una nobiltà d’animo, una delicatezza d’educazione: sembrerà un eufemismo ma era veramente una bella persona. Ancora oggi, quando ripenso alla persona del barone, mi chiedo se riuscirò mai a immaginare di quanto amore avrà amato la sua Migne Migne, con quanta pena sarà stato forse segretamente innamorato di un’altra donna, quanta sofferenza nella non corresponsione.  Mi chiedo se dopo la scomparsa della compagna è mai più stato con un’altra donna, magari anche con una puttana.
Da quando ho saputo che è sepolto nell’ossario comunale del cimitero di Miano, non manco mai di rivolgergli un saluto e di ricordare con quanta dignità si può vivere e con quanta spontaneità si lascia un buon ricordo; mi consolo pensando che là, in quella terra nera avrà ritrovato la sua Migne Migne e con altri poveri sfortunati, la sua pace. Quando ho raccontato questo fatterello a qualche amico, ha ironizzato dicendo: "ma come un barone nella fossa comunale", non ha colto lo spirito del mio piccolo racconto ed io ho respinto la sua stupida ironia, ma gli ho risposto che per lasciare imperitura memoria della polvere che saremo, basta solo un po’ di dignità e un pizzico d’umanità."

Di Luigi Sica

(Racconto integralmente tratto dal libro: "Il Borgo Perduto - Storia di una via Gluk napoletana", Marotta & Cafiero Editori, anno 2013 - pagg.72-74.)

venerdì 4 giugno 2021

Il ricordo di Antonio Amato... di Daniele Buonpane

Piscinola è una terra che ha dato i natali a vari personaggi illustri, che sono rimasti impressi nei nostri ricordi e nei nostri cuori. Quando mi si chiede di parlare della mia terra, non posso fare a meno, di citare alcune persone che hanno fatto la storia, portando, ognuno a loro modo, la bellezza di Piscinola nel mondo. Molte persone, che vivono nei quartieri e comuni limitrofi di Piscinola, negli anni, hanno avuto il piacere di conoscere da vicino, persone del calibro di Mario Musella, Beppe Lanzetta, Agostino Cossia, Antonello Cossia, Salvatore Nappa, Pierino Delisa, Salvatore Fioretto, Don Severino, Padre Bianco e tanti altri ancora che ora mentre scrivo mi sfuggono dalla mente, ma di sicuro voi lettori conoscete meglio di me. Di questi appena citati, alcuni, sono ancora vivi e ho avuto la fortuna di conoscerli. Ma oltre loro, io porto nel cuore tante altre persone comuni, che sono per me speciali.
La persona che oggi voglio raccontare è quella che più di tutti ha un'originalità unica. Lui aveva una prerogativa, quella di camminare tantissimo a piedi. Se dovessimo paragonarlo a un personaggio cinematografico, io lo definirei il nostro Forrest Gump, tutti conoscono il personaggio di Forest, di questo significativo film del regista Robert Zemeckis, che ha preso vita con una bellissima interpretazione di Tom Hanks. Questo è uno dei miei film preferiti, non a caso, ha vinto il Premio Oscar e tanti altri premi importanti. Orbene, io sto introducendovi alla persona di Antonio Amato, forse quasi nessuno che sente questo nome e cognome capisce subito di chi sto parlando. Ma se vi dico un suo soprannome, capirete subito di chi si tratta. Sì, sto parlando di lui, alias Antonio "'O luffaiolo". Per chi non lo sapesse, si usa definire “luffiero” una persona che cammina molto.
Dite tutto quelle che volete, ma
Antonio è per me un pezzo importante di Piscinola che non si può non ricordarlo. Io l'ho preso così a cuore, che gli ho scritto una poesia, che stesso lui lesse e gradì molto, e ricordo ancora che mi disse: questo che hai scritto sono proprio io. Vi anticipo, che in un nuovo libro che sto scrivendo, introdurrò un personaggio, che sarà proprio Antonio.
Non so se ora vi ricordate del suo incidente... Qualche anno fa, quando lui ebbe un incidente, fu costretto a camminare con una stampella, questa cosa lo rendeva impedito nelle sue lunghe camminate, ma nonostante questo non rinunciava mai a camminare. Credo che questa poesia che condivido qui non necessiti di spiegazioni, perché riesce a sintetizzare tutta la sua splendida persona e il suo pensiero.

Daniele Buonpane

 

Ad Antonio Amato                                                

Quando inizia la mattina verso le cinque

lo trovi  già in mezzo alla piazza,

cammina e parla da solo …

forse quella è solo riflessione.

Oramai la vecchiaia l’ha investito,

ora cammina con una stampella

che non è in grado nemmeno di portare,

forse perché il suo cuore non l’accetta,

perché non merita questa sofferenza.

Poverino, sai che dolore sente,

lui che ha fatto tanti chilometri a piedi

 ora si vede castigato all’ improvviso.

Per strada ti ferma e ti dice sempre qualcosa

una parola, una parolaccia, una perla di saggezza.

Si racconta che da ragazzo era assai intelligente,

a scuola era uno dei primi della classe,

ora che mi vede mi fa spesso scuola.

Io ho incontrato grandi intellettuali,

persone erudite, ma quando lo sento  parlare

 potrei prendere carta e penna e segnare tutto,

 quelle meraviglie che racconta  sono filosofia.

E’ un uomo che si informa di tutto!

Ogni tanto lo vedo leggere anche giornali vecchi,

conosce  sport, politica e cultura.

Io lo conosco da quando ero piccolo

e vi dico che è sempre lo stesso del passato,

oggi ha  qualche ruga in più e qualche dente in meno.

Chiede sempre una sigaretta ai passanti,

e se la fuma fino al filtro giallo.

Sta ore intere seduto silenzioso e buono

forse perché la solitudine gli dà pace.

Ogni tanto qualcuno del quartiere

gli chiede la gentilezza di comprare qualcosa,

in cambio non cerca mai niente, solo sigarette;

è uno che della vita ha capito veramente tutto,

non pensa al vestito firmato e pulito,

non ha nemmeno idea della tecnologia,

ma pensa solo a ridere e campare.

Percepisce una pensione gestita dalla sorella,

a lui non arriva mai niente di denaro…

solo qualche vestito e un taglio di capelli,

sono le cose che a quest’uomo spettano.

Per me potrebbe recitare sermoni,

perché quando ti arriva ricchezza da una persona

che non ha soldi, passioni e cattiveria,

allora capisci il senso della vita e dell’amore.

Data e luogo del componimento poetico Piscinola -Napoli 08/07/2012

In Fede Daniele Buonpane

Tempo fa, il caro amico e scrittore Luigi Sica, incontrandolo per strada un giorno, mi chiese di ricordare tra i personaggi di Piscinola, Antonio Amato, uomo saggio, abbastanza incompreso dalla comunità. E' trascorso un po' di tempo da allora, fin quando ho letto per caso questa poesia dedicata ad Amato e composta da Daniele. Ho quindi pensato che dovesse essere un giovane della Piscinola di oggi, a celebrare la figura del caro personaggio, scomparso alcuni anni fa.
Daniele è poeta e scrittore, ragazzo molto preparato culturalmente e laureato in Filosofia.
Ringrazio Daniele Buonpane per questo suo primo intervento a "Piscinolablog", lo ringrazio anche per aver inserito tra i nomi dei piscinolesi illustri, indegnamente anche la mia persona, e lo invito a scrivere in futuro altri post per "Piscinolablog". 

S. Fioretto

domenica 30 maggio 2021

Carissimi amici...., di Vincenzo Capuozzo

Carissimi amici della redazione di "Piscinolablog", riprendendo l'argomento dedicato alla "Masseria Splendore" e ai suoi personaggi, vi racconto altri particolari dei personaggi.
Del suonatore di tromba che abitava nella masseria con la sua famiglia, e che fu allievo del maestro Santoro, purtroppo non ho più notizie, da quando sono state distrutte le masserie di Piscinola. L'unica notizia datami da mia madre, quando era ancora in vita, è quella che alcuni membri della famiglia de "ll'Aglio", si erano trasferiti a Miano.

R
itornando ai miei ricordi di Piscinola di un tempo, in questi giorni mi sono venuti alla mente alcuni personaggi che hanno in qualche modo attraversato la mia adolescenza e questo mi ha fatto pensare alla vostra raccolta di personaggi locali.

Il primo era un uomo da noi conosciuto con il soprannome di "Picchiriniello". Picchiriniello attraversava via del Plebiscito in direzione Perillo (non so se provenisse da Via Vittorio Emanuele o da altra zona di Piscinola.

Lo ricordo sempre vestito in pantaloni corti, con ai piedi un paio di gambali e con al fianco una roncola.

Arrivato all'altezza dei nostri cortili era sempre fatto oggetto del cattivo scherzo da parte di qualcuno che ad alta voce lo chiamava per soprannome e faceva seguire una pernacchia... A quel punto tutti noi scappavamo a nasconderci, perchè Picchiriniello era solito brandire la roncola e agitarsi alla ricerca del responsabile.
Questa persona, ora lo so, era additata ingiustamente come una persona "strana" di cui farsi scherno, oggi diremmo che era fatta oggetto di bullismo, ma forse aveva solo bisogno di un po' di aiuto da tutti.

La seconda è una donna da me conosciuta come "Teresina 'e lluoglio".

Teresina arrivava a piedi dalle parti di Melito portando sulla testa una stagnera di 20 litri di olio che rivendeva al minuto. Teresina, faceva sosta presso persone amiche, casa mia era fra queste, dove avveniva il suo piccolo commercio. Se finiva tutto l'olio ritornava sempre a piedi e con la stagnera vuota che altrimenti lasciava in gestione per eventuali clienti fossero venuti in sua assenza. Evidentemente aveva tutto un suo "calendario" e "ordinativi" per evitare viaggi inutili.

Un altro personaggio noto nel circondario era "Giuvanno 'o parulano". Veniva con un carretto trainato dal cavallo, proveniente forse dalle parti di Afragola.

Era a quei tempi il fruttivendolo di via del Plebis
cito, perchè ricordo che quasi ogni giorno si aspettava il suo passaggio. Una volta ho fatto un viaggio sul suo carretto, da Marano fino a casa mia.
Ero ragazzino, avevo intorno a dieci o dodici anni ed era andato al mercato di Marano per vendere alcune cassette di pesche. All'andata ero con mio zio, il quale poi ricordo che mi affidò a Giovanni, che sarebbe passato fuori al mio cortile. Altri tempi di fiducia e responsabilità.

Vincenzo Capuozzo


Ringraziamo ancora l'amico Vincenzo Capuozzo per quest'altra "perla" di racconti che ci ha voluto donare, appartenente ai ricordi della sua infanzia a Piscinola. Invitiamo Vincenzo a non fermarsi qui e a raccontarci altri aneddoti e storie belle come queste

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sabato 29 maggio 2021

La "Cappella dei Cangiani".... un toponimo, un luogo storico...

Chissà quante volte abbiamo sentito e anche menzionato questo luogo molto popolare dell'Area Nord di Napoli, un tempo situato nel territorio del Comune di Chiaiano e Uniti e oggi incluso nella cosiddetta zona ospedaliera e, spesso, ci siamo domandati da cosa derivi la sua denominazione, ma non trovando una risposta. Ci riferiamo a "Cappella dei Cangiani" e suoi dintorni. Fu don Camillo Degetto, nella sua opera: "Santa Croce ai Camaldoli - Napoli, 1688-1988 - Ieri, oggi, domani", a farne chiarissima menzione. Oggi ci piace, per divulgazione culturale, qui riportare integralmente il testo storico-letterario menzionato, per risalire alle origini storiche del luogo. Precisiamo, tuttavia, che le denominazioni dei luoghi citati nel testo (nomi di strade) e altri riferimenti, risalgono all'anno di pubblicazione (1988) e alcune cose sono cambiate in questi 33 anni trascorsi.

A pag. 39 del libro, si legge:

"Cappella dei Cangiani si trova nel punto di depressione della collina dei Camaldoli, dove inizia l'altopiano di Capodimonte: divenne "luogo abitato" per l'attraversamento della antica via Miano-Fuorigrotta-Agnano e per il fatto che da qui, per la "via della lava" (l'attuale via S. Ignazio di Loyola) si raggiungeva Nazareth e, quindi, la vetta dei Camaldoli.
Il luogo è antico e faceva parte del territorio dell'antica Ianula: subito dopo, verso Orsolone, vi era il luogo detto "Coniolo", cioè il Cognulo, cui si accedeva per la strada che da Cappella Cangiani portava a S. Croce e dalla quali si saliva ai Camaldoli.
Il nome deriva dalla famiglia dei "Cangiani" che a Napoli possedeva diverse proprietà immobiliari (ancora oggi, al Mercato (quartiere Mercato) vi è il vico Cangiani).
Il luogo acquistò, col tempo, sempre maggiore importanza in quanto vi convergevano ben "otto strade". In prossimità della cappella di S. Maria di Costantinopoli - eretta nel 1614 da Gian Vincenzo Cangiani - vi era un ponte, detto "ponte di San Martino", e ancor prima  Ponte Vecchio, perché da esso, per chi proveniva dall'Arenella attraverso la via del Cognulo per S. Croce, poteva raggiungersi l'Orsolone, dove i Martiniani (monaci di San Martino) avevano una loro "grancia" (fattoria convento).
Il ponte di San Martino copriva il corso di lava e trovasi menzionato in una lapide esistente nella cappella di S. Maria di Costantinopoli, accosto alla attuale nuova chiesa parrocchiale di Cappella dei Cangiani.
Quando, nel 1688, la cappella di S. Croce fu eretta a parrocchia, la cappella di S. Maria di Costantinopoli entrò a far parte del territorio curato dalla nuova parrocchia.
Dalla Santa Visita del Card. Cantelmo, del 13 maggio del 1692, risulta che la stessa era ben ordinata e provvista di tutto il necessario per il culto divino. E poiché il percorso dalla parrocchia  di S. Croce ai Cangiani era un po' lunga e bisognava attraversare una antica cupa (via) tortuosa, incomoda e poco praticabile, la cappella dei Cangiani divenne chiesa succursale, così come divenne, per lo stesso motivo, quella dei Cangiani. In queste succursali si celebrava la Messa domenicale, si confessava e si insegnava il catechismo ai bambini.
Con provvedimento della Curia Arcivescovile del 21 dicembre del 1884, che erigeva la nuova parrocchia di S. Gennaro ad Antignano, si dovette procedere alla rettifica dei confini, per cui il rione Cangiani venne staccato dalla parrocchia di S. Croce e unito a quello dell'Arenella, lasciando a Santa Croce il lato destro salendo dalla via Camaldoli (via S. Ignazio di Loyola) e precisamente dalla masseria "Pastore" esclusa, fino all'Eremo dei Camaldoli incluso con tutti i caseggiati che si trovano nel Villaggio di Nazareth e Guantari e che fino allora erano stati assoggettati alla cura dell'Arenella.

Se il parroco del tempo, don Verrusio, accettò la decisione della Curia, anche perché soddisfatto del territorio ottenuto in cambio, i parroci successivi non si rassegnarono alla perdita del rione Cangiani: dopo che il Comune di Chiaiano e Uniti costruì la strada  che da Cappella Cangiani porta all'Orsolone e da qui a S. Croce, fecero rilevare che erroneamente nel 1885 la Curia Arcivescovile nella rettifica dei confini aveva ritenuto che il rione Cangiani fosse più vicino all'Arenella che a S. Croce, senza considerare le cupe tortuose ed impraticabili.
Per raggiungere l'Arenella gli abitanti dei Cangiani dovevano affrontare un lungo e disagiato cammino, per strade tortuose ed impraticabili.
Proprio di fronte alla Cappella dei Cangiani vi era una lunga strada detta "Cupa dei Cangiani" al cui termine si aprivano due strade: a destra "Cupa Montedonzelli" era assai lunga, alpestre e disastrosa, tanto che danneggiava persino gli animali obbligati ad attraversavi, anche a causa della eccessiva pendenza.
A sinistra "Cupa delle due Porte" anch'essa lunga e alpestre, era praticamente impercorribile con mezzi su ruote per la forte pendenza che, all'altezza dei Gerolomini, era addirittura impressionante. Al termine della discesa si raggiungeva la chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Due Porte. Per raggiungere l'Arenella, invece, si prendeva altra strada , anch'essa tutta curve e in discesa (l'attuale via Arturo Rocco, dove è ubicato il Commissario di P.S.).
Per siffatte strade, come è da immaginarsi, dopo il tramonto era difficile incontrare anima viva, poiché gli stessi contadini che tornavano dalla campagna avevano paura di attraversarle.
Quando il Municipio di Chiaiano costruì la nuova strada (oggi via Quagliariello) S. Croce-Orsolone-Cangiani, il rione Cangiani venne a trovarsi vicinissimo a S. Croce. Il parroco dell'epoca non esitò a inviare alla Curia un memoriale teso a riottenere il rione nel beneficio parrocchiale, facendo presente che con la nuova strada il percorso da S. Croce ai Cangiani era divenuto breve, agevole e pianeggiante, sicché, per il bene delle anime, il rione doveva tornare alla primitiva parrocchia. E così effettivamente avvenne, fino a quando nel 1925, la Cappella dei Cangiani fu a sua volta eretta in autonoma parrocchia."

Il testo, con le sue accurate e precise descrizioni, con le citazioni storiche contenute, dimostra ancora una volta le antiche origini del territorio dell'Area Nord di Napoli, una terra pregna di storia e di cultura, dove l'antropizzazione millenaria ha avuto luogo ancor prima che le colline dell'Arenella e quella del Vomero diventassero dei popolari e rinomati quartieri, come li osserviamo ai nostri giorni.
Salvatore Fioretto