sabato 10 febbraio 2018

Ferrovia e paesaggio: matrimonio perfetto! Cinque anni dal libro...


In occasione del quinto anniversario della prima stampa del libro sulla ferrovia "Napoli Piedimonte d'Alife", eseguita nel 2013, durante i festeggiamenti del Centenario della ferrovia, ho pensato di pubblicare uno stralcio rappresentativo del libro, ovvero il primo capitolo di "Ricordi d'infanzia", e quello finale di "Note conclusive".
Ricordi d'infanzia:
"Spesso sento riaffiorare nella mia mente i ricordi della mia infanzia… 
Come si fa a non ricordare la vecchia ferrovia Piedimonte…?!
Non ricordo quando l'ho vista la prima volta. Si può dire che l'ho sentita e vista da sempre come un oggetto familiare, di cui non temere, già ai tempi della mia tenera età: essa, infatti, è sempre stata presente negli avvenimenti della mia infanzia e della mia vita.
Sono di origini contadine e abito fin dalla nascita nel quartiere di Piscinola, luogo che almeno fino a quaranta anni fa era ancora un dolcissimo borgo dell'hinterland di Napoli, dove la natura e l'alternarsi delle stagioni segnavano lo scandire del tempo ed era abitato da gente semplice e genuina.
Piscinola allora si presentava ancora come un borgo, di antichissime tradizioni agricole e non solo, con tanto di banda musicale, festa patronale e amore per il buon vino e la cucina contadina, un po’ come tutti gli altri centri vicini. Ebbene in questo luogo, dalle caratteristiche un po’ bucoliche, la costruzione e l'esercizio della "Piedimonte" rappresentò, nel primo decennio del ‘900, la testimonianza del diffondersi del progresso: s'intende quello "buono" ed "intelligente", che ne risvegliò con il suo "via vai" quotidiano il ritmo di sviluppo un po’ lento.
Stazione di Giugliano, anno 1974, foto di Rohrer
Essa contribuì non poco alla diffusione della cultura e della solidarietà tra gli abitanti della sterminata provincia a nord di Napoli; favorì senza dubbio l'arricchimento culturale di quelli che erano additati dai benpensanti cittadini, come "provinciali" ('e cafoni).
Il nuovo mezzo di comunicazione contribuì ad appianare le differenze sociali, facendo sentire le popolazioni appartenenti ad un’unica grande metropoli, ricca di fascino, storia e cultura. Non per niente Piazza Carlo III, terminale primitivo della ferrovia di origini francese era un po’ il cuore del centro antico di Napoli, il baricentro del sogno europeo di Carlo III di Borbone, quando costruì il Reale Ospizio dei Poveri.
La mia campagna che fu acquistata da mio nonno Salvatore, nel 1925, era stata divisa in due proprio dalla linea ferrata, al momento della sua costruzione (Napoli - Capua) che, come è noto, fu inaugurata nel marzo 1913.
Le rotaie si adagiavano su regolari traversine di rovere, sostenute da una massicciata in rilevato biancastra, che solcava, spesso in rettilineo, il verde intenso e ricco della campagna napoletana, composta da tanti alberi da frutta, rigogliosa e lussureggiante.
Ricordo i "pasteni” di mele Annurche di Mugnano, i "pasteni” di cachi (le famose “legnasante” di Mugnano e Calvizzano), i ciliegeti di Chiaiano, i “pasteni” di pesche e “percoche" di Scampia (un tempo Scampia era la piana agricola di Piscinola) ma, soprattutto, ricordo i cachi maturi e dorati, che rimanevano sugli alberi spogli di foglie, fino all’approssimarsi del Natale, quando la campagna diveniva tutta brulla, in attesa dell'inverno.
Poi tutto ritornava uguale a prima, in un alternarsi periodico e costante. Così ogni anno...! E chissà da quanti secoli prima, fino ad allora...!
In primavera era uno spettacolo straordinario! La campagna si colorava di fiori variopinti (il rosa delle pesche, il giallo delle rape, il bianco dei ciliegi, delle prugne e delle pere. Poi, quando i petali cadevano a terra, spesso il vento li risolleva, generando un fantastico paesaggio con fiocchi di neve colorata, che si spostava qua e là, trascinata dal vento...
Veramente un sogno...!
Stazione di Scalo Merci (via D. Bosco), fotogramma tratto dal film "Napoli, sole mio"
Il treno attraversava questo paesaggio, dove era difficile scorgere case, talmente che era sconfinato e denso di verde. Solo i raggi del sole, spesso al mattino, penetravano a tratti nella vegetazione, generando continui flash di luce, che illuminavano l'interno dei vagoni e irradiavano il volto e gli occhi dei viaggiatori.
Non c'erano recinzioni tra la linea ferrata e la campagna circostante, era un tutt'uno: una simbiosi quasi perfetta, che non stonava, anzi, incantava a vederla, specialmente quando d'estate il sole picchiava a mezzogiorno, e faceva sembrare ancora più bianca e splendente la massicciata di brecce bianche.
Stazione di S. Maria Capua Vetere - S. Andrea
I vari poderi, che costeggiavano la linea della "Piedimonte", erano collegati tra loro da viottoli sterrati, che attraversavano i binari in più punti, attraverso dei passi carrai, anche se  essi nacquero come pedonali.
Erano realizzati con del pietrischetto giallastro, cosparso e battuto a livello delle rotaie, per permettere l'attraversamento di carriole e biciclette. Ai margini dei passi erano sistemate quattro colonne di marmo bianco, di forma cilindrica, alte quasi un metro e poste a coppie: una coppia di fronte all'altra; ogni coppia di colonne erano collegate tra loro con doppie catena.
Dopo alcuni anni le catene scomparvero, non si sa per mano di chi... Sicuramente queste erano di intralcio all'attraversamento dei binari con mezzi rotabili.
Ai lati della linea ferrata c'erano poi due camminamenti, sempre in terreno battuto, larghi circa mezzo metro ognuno, che venivano chiamati dai contadini “'o lemmate" (forse dal termine "limite") ed erano utilizzati dai guardiani cantonieri della "Piedimonte", per eseguire l'ispezione giornaliera dei binari, a bordo delle loro biciclette.
Ricordo ancora il guardiano del lotto, che sorvegliava la nostra zona; strinse una bella amicizia con mio padre. Si prestava volentieri a dare anche un'occhiata al nostro poderino e, frequentemente, papà gli regalava della frutta.
La "Piedimonte" scandiva con il suo passaggio il passare del tempo: veniva usata da molti concittadini come un orologio sonoro, in maniera simile alle campane della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore, protettore di Piscinola. Infatti quando si era nei campi non portavano con essi orologi e, unitamente alla posizione del sole, costituiva un modo semplice per stabilire l’ora.
Foto ricordo a bordo della elettromotrice E2, 2009
Mia madre ricordava a memoria l'orario dei treni e sapeva dire velocemente a quale corsa apparteneva la vettura in transito. Infatti quando il treno "transitava" si sentiva un tremolio non indifferente al solaio di casa nostra e si sentiva pure lo stridore delle ruote, quando i convogli frenavano. Spesso il treno emetteva qualche fischio per segnalare il suo imminente transito alla vicina stazione di Piscinola, distante appena duecento metri da casa nostra.
Le prime corse avvenivano intorno alle sei del mattino e le ultime verso le nove-dieci di sera. Ricordo che quando il treno transitava la sera inoltrata, soprattutto in estate, si diffondevano fasci di luce provenienti dai fanali in testa al locomotore. Essi illuminavano a tratti la campagna ed il paesaggio notturno: disegnava, qua e là, ombre mobili un po’ fantastiche, in base ai cespugli ed ai fusti d'albero, che incrociava il fascio di luce. D'inverno, invece, i fari si vedevano netti, a causa della scarsità della vegetazione."
 
Stazione di Aversa, della nuova ferrovia "Piscinola-Aversa"

Note conclusive: 
"Concludo questo mio racconto, scritto per celebrare il Centenario della inaugurazione della Ferrovia ”Napoli Piedimonte”, incentrato sui miei ricordi, riguardanti la cara e vecchia “Piedimonte”, con l’inserimento in “Appendice” di una serie di scritti e racconti di altri autori, dedicati alla mia cara ferrovia.
Spesso chi prende delle decisioni così importanti, quali quelle di sopprimere una linea ferroviaria, esegue solo una valutazione sistemica (costi-benefici), ma non valuta o addirittura ignora i valori umani ed i sentimenti di cui essa è portatrice nel contesto sociale di appartenenza.
Non viene mai valutato il valore culturale ed etico che si cela dietro a semplici impianti e traversine. Le ferrovie sono a tutti gli effetti parti integranti del tessuto urbano, al quale appartengono a pieno titolo. Le loro vestigia sono dei siti di archeologia industriale e come tali vanno protetti e conservati. 
Per quanto riguarda la “Piedimonte”, ci resta l’orgoglio di condividerne la memoria e la consapevolezza di conservarla come un vanto tra i nostri ricordi più belli.
Tanti auguri ancora “Piedimonte”: lunga vita alla “nuova”!" 
Salvatore Fioretto

Il contenuto di questo post è stato tratto dal libro "C'era una volta la Piedimonte", di S. Fioretto, stampato dalla casa tipografica "Athena", nella riedizione dell'anno 2014.

sabato 27 gennaio 2018

Pioppi e Salici, per una terra feconda di essenze, al servizio dell'uomo


"Finalmente raggiungemmo la pianura di Capua … Nel pomeriggio ci si aprì innanzi una bella campagna tutta in piano…. I pioppi sono piantati in fila nei campi, e sui rami bene sviluppati si arrampicano le viti…. Le viti sono d’un vigore e d’un’altezza straordinaria, i pampini ondeggiano come una rete fra pioppo e pioppo.”

J. W. Goethe
E’ il commento che Johann Wolfang von Goethe riportava nella sua opera “Viaggio in Italia”, opera scritta tra il 1813 e il 1817, che descrive il resoconto di un Grand Tour eseguito in Italia, tra il 3 settembre 1786 e il 18 giugno 1788.
Con questo autorevole commento del celebre scrittore e poeta tedesco, dedicato alla nostra Campania Felix, introduciamo l’argomento di questo post, che è dedicato a due essenze botaniche illustri, possiamo dire autoctone del territorio, in quanto già esistenti ai tempi degli Etruschi e poi, degli Osci, dei Greci, dei Romani, dei Goti, dei Bizantini, dei Longobardi e, via dicendo, fino al secolo scorso: parliamo del Pioppo e del Salice Rosso, appartenenti alla famiglia delle Salicaceae. 
Il termine botanico del Pioppo è Populus, che vorrebbe significare, secondo alcuni: “Popolo dei fiumi”, e deriverebbe dal fatto che esso predilige i luoghi umidi e trova il suo habitat naturale lungo i corsi dei fiumi, dove nasce spontaneo o viene intensamente coltivato, come in Pianura Padana.
Veduta di Napoli dalle colline, di Kiep, amico di viaggio di Goethe, 1787
Per un’essenza antica, ovviamente, non potevano mancare delle leggende mitologiche ad essa legate.
Per il Pioppo Nero: Fetonte, figlio del Sole e dell'oceanina Climene, chiese al padre di poter utilizzare il carro solare. Purtroppo avendone perso il controllo, tanto da rischiare la distruzione della Terra, il padre celeste fu costretto a colpirlo, facendolo precipitare nel fiume Eridiano. Le sorelle, le Eliadi, disperate furono trasformate in funerei Pioppi Neri, da cui colano lacrime che si induriscono al sole, l'ambra. Per tal motivo, il Pioppo Nero fu sempre considerato un albero funerario, sacro alla Madre Terra.
In epoca storica "Gaia" era ancora consultata a Egira, in Acaia, toponimo che significava “il luogo dei neri pioppi“. Qui le sacerdotesse bevevano sangue di toro, veleno letale per tutti gli altri mortali. Ulisse nei corso del suo viaggio nell'Aldilà si imbatte nei Pioppi Neri del bosco di Persefone, insieme con i salici, ad indicare la soglia che divide i vivi dai morti.
Veduta dall'alto di Piscinola, con diversi appezzamenti coltivati a vigneti e pioppi, anno 1943 ca.
Il simbolismo funereo del Pioppo Nero è riconducibile alla Terra e al ciclo di vita-morte-vita. Il pioppo era sacro anche a Zeus (Giove nella latinità). La tradizione narra che le foglie che erano poste verso l'interno della testa conservarono il loro colore, mentre le altre si scurirono per il fumo degli inferi: perciò esso divenne il simbolo della dualità che vi è in ogni cosa, in linea ancora una volta con Madre Terra

Il Pioppo Bianco, invece, è ricordato nel mondo ellenistico con il termine di Leuke. Leuke, era una meravigliosa ninfa, per sfuggire ad Ade, perdutamente innamorato di lei, tanto che la voleva per sé, si trasformò in un Pioppo bianco, che il "Signore dell’Oltretomba" portò nel suo mondo e pose accanto alla magica fonte Mnemosine, ovvero la Fonte della Memoria, la cui acqua poteva far accedere i degni defunti all’immortalità (gli eroi)
Filari di viti maritate a Pioppi, in una campagna di Piscinola, 1991
Eracle (Ercole della latinità), per riuscire la sua dodicesima fatica, che era rappresentata dalla discesa agli inferi (Ade) e dal combattimento contro un gigante, si cinge la testa di una corona di rami di Pioppo Bianco (Leuke), raccolto accanto alla fonte Mnemosine. L'allegoria viene interpretata come la rinascita avvenuta attraverso il passaggio nel regno oscuro e la conoscenza ottenuta attraverso la morte momentanea...
Originario dell’emisfero occidentale, il genere “Populus” comprende un discreto numero di sottospecie, tutte relativamente frequenti nei boschi di pianura, ma anche in quota; tra queste: Pioppo Nero (Populus nigra), Pioppo Bianco (Populus alba), Pioppo Trémolo (Populus tremula), Pioppo Gatterino (Populus canescens); per alcune di queste, oltre a raggiungere importanti altezze della chioma (fino a 20 metri), possono vegetare fino e oltre i 200 anni.
Nel nostro territorio hanno trovato vita fertile due specie molto longeve: il Pioppo Gatterino, utilizzato per produrre steli e pali di sostegno e il Pioppo Nero, usato per produrre i legacci per fissare i tralci delle Viti; quest’ultimo si è evoluto nei secoli in una varietà tutta locale, che verrebbe identificato con il termine di Pioppo Campano.
Pioppo secolare (Gatterino) in una campagna di Piscinola, foto anno 1987
Il principale utilizzo di queste essenze è stato quello di sostegno alla coltivazioni delle viti, di produzione di legna da ardere e di tanti altri piccoli utilizzi durante le attività umane, che meglio tratteremo nel continuo del discorso.
La tecnica agricola di sostegno della Vite al Pioppo risale al periodo etrusco e viene detta "Vite Maritata al Pioppo". La disposizione dei pioppi in fila, chiamata in gergo tecnico “Piantata”, era realizzata impiantando alberi di Pioppo in maniera alternata a dei sostegni a palo provenienti dalla potatura delle sue chiome (Spalatrune); questi ultimi venivano sostituiti ogni paio d'anni. Le viti venivano piantate a gruppo di 5-6 per postazione e portate alte, raggiungendo altezze considerevoli, fino e oltre 10 metri...
I tralci delle viti, tesi tra due Pioppi contigui, erano disposti “a filare”, ossia a pettine oppure, come nell’aversano, "a ventaglio" (Uva Asprinio). Questa disposizione (ne  abbiamo parlato più diffusamente nel post dedicato al Piedirosso), favoriva la coltivazione intensiva del fondo, sia con impianto di alberi da frutta (pesco, albicocco e pruno) e sia con la semina di cereali ed ortaggi ad uso domestico, dato che la distanza di due filari adiacenti era di almeno 10 metri.
Pioppo secolare (Nero) in una campagna di Piscinola, foto anno 1987
La tecnica d'impianto “Vite maritata al Pioppo” è antichissima, infatti, introdotta dai Greci, era già largamente diffusa ai tempi dei Romani, come lo attesta lo storico Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale” (Historia Naturalis), dove racconta che: “nell’agro campano le viti si maritano al pioppo; avvinghiate alle piante coniugi e salendo su di esse di ramo in ramo… ne raggiungono la sommità ad un’altezza tale, che il contratto di chi viene ingaggiato per la vendemmia prevede (in caso di caduta mortale) il risarcimento delle spese per il funerale e la sepoltura.
I Pioppi, trascorsa una decade dall’impianto, iniziavano a produrre gli steli comunemente utilizzati dagli antichi contadini come sostegni ai tralci di Vite oppure, come pali da recinzione o semplicemente come legna da ardere. I rami più piccoli (furcine) erano utilizzati sostenere il bucato messo ad asciugare su corde, nel bel mezzo delle aie dei cortili e delle masserie. Il taglio dei rami veniva fatto con una specie di macete, che si chiamava “curtellaccio”.
Praticamente per il Pioppo succedeva un po’ come il maiale, non si buttava via niente...
Particolare legatura della Vite al Pioppo con giunco di Salice (foto repertorio)
Oltre al variegato uso dei tronchi, che abbiamo sopra descritto, i rami (frasche) erano utilizzati per sostenere i legumi: come piselli, fagiolini rampicanti e anche i pomodoro e, una volta secchi, venivano raccolti e legati in fasci, dette (fascine), utilizzate per alimentare i forni domestici, per la cottura di pizze e di pane casareccio. Gli avanzi dal taglio dei rami (tacche) si raccoglievano in sporte e servivano a conservare il fuoco nel camino durante le serate invernali.
Gli assi piccoli diventavano manici di attrezzi agricoli, piccoli e grandi. Per rendere il legno più forte e resistente agli insetti e alla umidità, si eseguiva un trattamento particolare, ma molto semplice. Dopo la potatura, nella fase di Luna crescente (int’‘a criscenza), si scorzavano per bene i tronchi e si lasciavano asciugare al sole. Diventavano durissimi, più leggeri e durevoli per parecchi anni.
Funghi di Pioppo (foto di repertorio)
I funghi prodotti sui tronchi secchi di Pioppo, detti comunemente “Piopparelli”, sono una vera prelibatezza, per profumo e per sapore. Si sviluppano a tarda estate, dopo i primi temporali o in primavera. Erano le cavità formatesi sulle cime dei pioppi secolari (chiamate in gergo locale “Scafonge”) a essere il luogo ideale per la produzione dei funghi, favoriti dal particolare ambiente, molto umido e ricco di humus. Infatti dentro queste cavità avveniva la marcescenza del fogliame, caduto durante l’autunno precedente, con il contributo dell'acqua piovana che vi stagnava. L’immagine che si presentava al ricercatore di funghi era davvero eccezionale..., un profumatissimo e compatto strato bianco, rappresentato dai cappelli di tantissimi funghi accostati gli uni agli altri, senza vuoti... Una sensazione bellissima!
Salice Rosso innestato sulla chioma di un Pioppo. Piscinola, anno 2009
Un timidissimo roditore, che abitava sulle chiome e nelle cavità dei Pioppi era chiamato dai contadini: 'o Valerio, ed era ghiotto di uva fragola (fravulella) e di noci.
Una nota merita anche il Salice rosso (Salix Purpurea), utilizzato per la produzione di legacci, per il fissaggio dei tralci delle viti ai tutori. Spesso i Salici erano innestati sulla sommità dei Pioppi, con due vantaggi: la produzione annua di legacci e il contenimento dello sviluppo del tronco e delle radici del Pioppo e, quindi, la minore interferenza alle viti impiantate alla base del tronco.
Era bello osservare il paesaggio del territorio in inverno, sovente dai finestrini del treno della Piedimonte, durante i suoi viaggi..., si era particolarmente colpiti dalla presenza dei Salici Rossi che, con il loro bel coloro giallo oro, si distinguevano, a macchia di leopardo, nel paesaggio brullo, sterminato, tra Pioppi e Viti, disseminato qua e là di piccole masserie...

Campagna nella provincia di Napoli con pioppi secolari, foto sulla copertina dell'LP del complesso "Napoli Centrale"
A distanza di decenni le campagne sono scomparse ed il paesaggio, una volta lussureggiante di verde e fertilissimo, è solo un dolce nostalgico ricordo, eppure ancora oggi questo antico albero, che tanto ha dato al nostro territorio, continua a riprodursi spontaneamente... Sembrerebbe una considerazione sentimentalistica, e in parte lo è, ma chiunque può constatarlo, osservando sulle scarpate delle strade o nelle aiuole abbandonate l'inusuale presenza di questi alberi pieni di piccole foglie brulicanti al leggero soffiar del vento. 
Il Pioppo è intimamente legato alle sorti di questa terra, nel bene e nel male, come lo consideravano gli antichi: l'impersonificazione della Madre Terra e lo spartiacque tra il bene e il male, il passaggio tra il passato ed il futuro, per donare la conoscenza attraverso il passaggio generazionale... !
Salvatore Fioretto

Le foto inserite in questo post sono in parte personali dell'autore, mentre altre sono state tratte da alcuni siti Internet e liberamente pubblicate in questo  blog, senza scopo di lucro, ma solo per la libera diffusione della cultura. E' vietata la riproduzione e la pubblicazione, senza le necessarie autorizzazioni.

Foto di una campagna di Piscinola con viti e pioppi, anno 2007

venerdì 12 gennaio 2018

Una epistole del 1577... Quattro secoli fa, con il problema di riparare le strade....

Sembra una storia recente, ma è una notizia di oltre 440 anni fa, e riguarda una disposizione del Reggente, Marchese di Salazar indirizzata al magnifico D. Pompeo Carmignano, pubblico ufficiale dell'epoca incaricato all'applicazione della tassazione. 
Ci troviamo nel periodo storico del Viceregno spagnolo, e per riparare questa importante arteria stradale di collegamento di molti Casali (tredici) situati a nord della capitale, tra cui Marano, Quarto, Mugnano (Mognano), Miano, Mianella, Piscinola, Marianella (Mariglianella), Calvizzano (Calvizano), Villaricca (Panecuocolo), Chiaiano (Chiayano) e Polvica (Polveca), si decide di tassare gli utenti della strada, ovvero i proprietari di masserie, giardini, appezzamenti di terreni e altri immobili, che beneficeranno della miglioria. 
Da notare che, come spesso si rileva nelle carte antiche, il toponimo di Marianella viene sempre storpiato in Mariglianella..., comunque è chiaro che si riferisce al nostro vicino Borgo. La località di riferimento citata nel documento è "Fardo di Fratta", purtroppo non è dato di conoscere dove si trovasse esattamente, anche se sappiamo dalle carte angioine che nel Casale di Piscinola esisteva in passato un locus chiamato Fracta Frattole (o solo Fracta). 
Diamo tempo per altre scoperte...!


1577 dicembre 30, Napoli
Philippus Dei gratia rex etc.
Magnifice vir regie fidelis dilecte. Nelli anni passati per parte de molti padroni di massarie, selve, i giardini et case alle quali se va per via pubblica in loco dove se dice Fardo di Fratta fu fatto intendere ch'era guasta et arruvinata che se non se accomodava se sarria fatta in tutto impracticabile et se sarria levato il commertio et concorso de trideci casali a questa fidelissima città de Napoli con i grande incomodo questa predetta città et danno delle persone che possedeno beni in detti lochi. Et havendo supplicato per l'accomodo della strada predetta, fu preordinato che si dovesse pigliare infor(mation) e se stava guasta come si exponeva et si per essere cossì guasta si causava danno al pubblico se si posseva accomodare de maniera che ci potessero pratticare carri et carrette et si non avesse parso farsi practicabile nel modo predetto che spesa saria andata in fare che ci praticassero bestie a somma senza impedimento et che la strata fosse durabile et da dove se haveria possuto cavare la spesa et se ne facesse relatione inscriptis, acciò se havesse possuto provedere. 
Et essendosi andato sopra detto loco con esperti fu fatta relatione che s'era ritrovata detta strada rovinosa trasformata dal strato antiquo che non vi si po commodamente per quella passare, ne praticare senza grande pericolo delli passagieri a piede et a cavallo ne con i salme carriche de vittovaglie ne altri frutti et che il più delle volte sogliono cascare salme et homini a cavallo et che si è causato et causa molto danno per lo commertio che se impedisce delli lochi et persone che prima se servivano di detta strata et che volendosi accomodare, che sia durabile si può facilmente accomodare con spesa tanto di fabriche quanto d'ogni altra cosa di d(uca)ti mille settecento i ottantaquattro et che con detta spesa et acconcio li passaggieri molto comodamente potranno passare con le loro salme et vittovaglie di qualsivoglia modo che li piacerà et che ne participano grande comodo et utile in specie li casali de Panecuocolo, Marano, Quarto, Calvizano, Mognano, Polveca, Chiayano, Mariglianella, Piscinola, Miano et Mianella. Et vista la detta relatione fu comandato che si dovesse fare la tassa fra tutti li casali et padroni di massarie, selve, case et giardini che sono appresso la detta strata et traficano per quella et ne senteno beneficio perche si faccia praticabile come dì sopra sta declarato et che si dovesse repartire la eletta quantità de dinari perché la pagassero li sopradetti per es et libram de maniera che s'uno havesse contribuito secondo li beni che avesse tenuto et fatta la detta tassa si fosse exatta et si fosse posto mano a l'opra de maniera che si fosse fatta come conviene perche il tutto si fosse fatto et esequito con la superintendentia et ordine del inf(ade)tto magnifico et circospetto regente Salernitano del Consiglio Collaterale di sua M(aes)tà 
et per possere fare la tassa predetta forno fatti banni che ogn’uno l'avesse revellato quello che possedeva in detti lochi alcuni delli quali fermo revellatione predetta et distribuita la quantità predetta necessaria per la detta spesa per lo numero delle moia et delli beni fu fatta tassa della quale ve informarete et non essendo anco posta in executione detta opera et convenendo al beneficio publico delli detti pad(ro)ni  di massarie, selve, giardini et case et delli casali che pratticano per detta strata che se accommodi nel modo che di sopra fu ordinato acciò si faccia praticabile e in essa sia il commertio per venire in questa predetta città con vittuaglie et altre cose per grassa della città predetta per risultarne utile ancora a tutti li detti casali et padroni di detti lochi non possendosi ese(qui)re se non per mano de persona che sia diligente confidente et d'authorità come sete voi magnifico Pompeo Carmig(nan)o et per esserci voi interessato per havere massarie in detti lochi ci ha parso dare a voi il detto peso si come per tenore dela presente ve lo damo et ve dicimo et ordinamo che debbiate con la vostra solita diligenza riconoscere la detta strada senza de ciò pigliare salario alcuno et provedere che subito senza perdere momento di tempo si ponga mano a farla accomodare come di sopra sta dechiarato, fando la tassa per la demi quantità de denari che ce bisognarà tra li detti padroni delli detti lochi et casali che traficano per detta strata, procurando anche di nuovo che se renovinano detti bandi quali ordinaremo che ad vostra relatione si faccino et bisognando fare nova tassa la quale tassa la farrete exigere inremisibiliter da qualsivoglia delli predetti et dalli detti casali senza eccettione di persona alcuna per es et libram de maniera che ogniuno paghi quello che giustamente li toccharà constringendo ciaschoduno al pagamento etiam per via di carcere attalché per mancamento de denari non si lassi di farsi incontinente detta opera, nello che non perderete ne farete perdere un momento di tempo fando et exequendo il tutto con la superintendentia et intelligentia di detto magnifico et circospetto regente Saler(nita)no, dandovi et concedendovi in premissis exequendis vices et voces regias atque nostras plenumque posse nostrurn ordinando et comandando a tutti et singuli officiali et tribunali che vi debbano prestare et fare prestare ogni agiuto e favore come da voi saranno ricercati, Non fandosi lo contrario etc.. La presente resti in vostro potere.
D(atum) Neapoli, die 30 Xbris 1577 (30 dicembre 1577).
El Marques
Vidit Salazar regens; vidit Saler(nita)nus regens; Puente pro sec(retario)
In Curie 3°, folio 85 

Al magnifico Pompeo Carmig(na)no
  
Abbiamo trascritto un altro interessante documento trovato nel corso della nostra ricerca, che descrive uno spaccato storico della vita amministrativa della Napoli nel periodo del Viceregno spagnolo e, come spesso facciamo, l'abbiamo utilizzato come reperto storico per la nostra esposizione, che ci vede "osservatore" che narra la storia, ponendoci dalla parte degli antichi e nobilissimi Casali di Napoli e rivolgendo lo sguardo verso la nobile Capitale del Viceregno...; perché, ed è la storia a dimostrarlo, questo territorio è stato considerato nei secoli scorsi importante, alla stessa stregua della città di Napoli. Infatti, già ai tempi degli Angioini, i Casali erano considerati fiscalmente alla pari della città di Napoli, ovvero territori demaniali, esenti da tasse e da gabelle,
Salvatore Fioretto