domenica 12 novembre 2017

Tra vasche, piscine e cunicoli misteriosi... Piscinola: un equilibrio tra terra e acqua! (parte seconda)


(Continua dalla prima parte)

Molte testimonianze, alcune quasi leggendarie, concordano sull’esistenza a Piscinola di un misterioso cunicolo (o forse più di uno), che dalla zona del palazzo “Don Carlos”, in Via Vittorio Emanuele, si sviluppa fino a raggiungere Pozzuoli...! Altre testimonianze, invece, riferiscono che questo cunicolo collegasse il primitivo nucleo abitato di Piscinola con la collina di Posillipo e quindi con il golfo di Napoli...
Pura congettura o fantasia...!?
Di sicuro sappiamo che negli ultimi sessant’anni diversi tratti di cunicoli sono stati rinvenuti per caso dagli anziani piscinolesi, specie durante occasionali lavori di scavo, per realizzare le fondamenta di nuove costruzioni.
Tracce di cunicoli emersero anni fa nei pressi della masseria “Splendore” e lungo Via Napoli a Marianella, mentre un altro segmento di cunicolo fu individuato tra i vicoli I e II Risorgimento, avente direzione sud-ovest. Alcuni tratti di queste piccole gallerie artificiali furono praticati e utilizzati dai Piscinolesi come rifugi antiaerei durante l’ultimo conflitto mondiale.
Le ultime testimonianze raccolte narrano che nei primi anni ‘60, in occasione della costruzione di alcuni edifici in Via Madonna delle Grazie, venne alla luce un tratto di questi misteriosi cunicoli. Allora alcune persone cercarono di percorrerlo per scoprire dove conducesse; forse più per il desiderio di trovarvi un tesoro nascosto che per intraprendere un’esplorazione archeologica.
Alveo (foto tratta da "Mugnano Mia")
Alcuni volenterosi per non perdersi si fecero legare a lunghe corde...(sic!). Tuttavia, dopo alcune centinaia di metri percorsi dentro queste cavità artificiali, il tentativo avventuroso svanì miseramente, perché i cunicoli si mostravano più lunghi di quanto si credesse e le corde erano diventate insufficienti.
Il Dott. Franco B. Sica, nella sua pregevole opera: "Viaggio nella mia terra", fa risalire la costruzione di questi cunicoli a poco dopo l’anno 1000 d. C., ossia agli albori della nascita del Casale di Piscinola.
Questi cunicoli, scavati forse in epoche remotissime, direttamente nel tufo o nel lapillo, si presentano, secondo quanto riferito, alquanto ampi: misurando quasi due metri in altezza e un metro in larghezza.
In corrispondenza del palazzo “Don Carlos” esisterebbe, addirittura, un’ampia camera di accesso, con volta a forma di cupola.
Alveo (foto tratta da "Mugnano Mia")
Considerando la zonizzazione e l’orientamento dei cunicoli avvistati o segnalati oralmente nei racconti degli anziani piscinolesi, è possibile pensare che si tratterebbe di un unico cunicolo, i cui resti sono stati trovati in zone diverse, ma allineati secondo il tracciato originario.
Come pure, analizzando le loro dimensioni, che appaiono eccessive per ricondurli a semplici camminamenti sotterranei e la loro leggera pendenza, che consentiva di percorrerli facilmente a piedi, è verosimile pensare che tali cunicoli potrebbero costituire una complessa opera idraulica, forse realizzata per alimentare la rete di acquedotti della città di Napoli oppure costituirebbe una rete di raccolta e di distribuzione tutta locale delle acque, per soddisfare i fabbisogni della piccola comunità.
La camera individuata nei pressi del palazzo “Don Carlos” potrebbe essere stata una vasca di servizio o di accumulo dell’acqua.
Un’altra struttura artificiale, detta “‘O monte”, che era ben visibile fino a pochi anni fa nelle campagne tra Via Madonna delle Grazie e la masseria “San Giovanni”, potrebbe anch’essa ricondursi ad un’antica opera idraulica, forse utilizzata come vasca di raccolta delle acque meteoriche di scolo, provenienti dalle zone collinari.
La posizione geografica a mezza collina, posta a monte del centro abitato, ne rafforza la tesi. E’ probabile, quindi, che solo negli ultimi secoli tale struttura potrebbe essere stata trasformata in cava per l’estrazione della pozzolana e delle pietre di tufo. Alcune testimonianze raccontano della presenza di un cunicolo anche in questa zona.
Nei primi anni che seguirono l’Unità d’Italia, la situazione dell’approvvigionamento idrico del Comune di Piscinola dovette essere molto critica. Sappiamo, infatti, che in un’assemblea del Consiglio Provinciale di Napoli, indetta nell’anno 1861, fu discussa è approvata la richiesta di finanziamento avanzata da quattro Comuni, per costruire sul loro territorio una cisterna per il contenimento dell’acqua. Il consigliere Rossi espose in aula il problema e descrisse le richieste pervenute dai Comuni, che erano: Piscinola, Melito, Mugnano e Somma, aggiungendo:“[…] venivano ogni giorno molti carri a prelevare l’acqua dalle fontane della capitale, che poi era messa in vendita sopra i detti luoghi”.
Dopo il completamento dell’acquedotto del Serino, l’acqua fu portata in ogni strada del Circondario di Napoli.
A Piscinola, come in tutte le altre zone, fu realizzata e completata verso la fine dell’Ottocento un’interessante rete di distribuzione pubblica, ramificata lungo le arterie principali. La distribuzione dell’acqua avveniva attraverso delle fontanine pubbliche. Ogni fontanina era costituita da una colonnina in ghisa, sistemata su una piccola base in basalto nero e collocata davanti a una piccola vaschetta di raccolta dell’acqua. La vaschetta era realizzata anch’essa in basalto, al centro della quale era presente una griglia di raccolta fognaria delle acque di scarico (saittella). Alla sommità della colonnina era sistemata una sorta di testa di leone stilizzata, pure in ghisa, dalla cui “bocca” fuoriusciva una cannula di ottone. Un pomo di ottone, sistemato lateralmente, permetteva di azionare la valvola di arresto dell’acqua. Le fontanine pubbliche erano collocate nelle seguenti zone:
- Via SS. Salvatore (n.2)
- Via Plebiscito a Piscinola (n.2)
- Via Vittorio Emanuele (n.3)
- Vico II Risorgimento (n.1)
- Piazza del Municipio (n.1)
- Via Ferrovia Napoli Piedimonte D’Alife (n.1)
- Via Vecchia Miano (n.1)
- Largo antistante la stazione della ferrovia “Napoli Piedimonte D’Alife” (n.1).
Alveo a Mugnano (foto tratta da "Mugnano Mia")
Per quanto concerne i corsi naturali e le opere idrauliche presenti nel territorio, sono da annoverare i diversi Lagni o Alvei, che scendendo dalle pendici dei Camaldoli e dalla zona alta della collina del Vomero-Arenella, l'attraversavano, facendo confluire le acque piovane, spesso impetuose nelle stagioni autunnali, verso i corsi principali di scolo che conducevano al mare.
Tra questi sono da ricordare l'alveo del Vallone di San Rocco, che dalla zona dei Colli Aminei, ancora oggi si sviluppa nel territorio del Boscariello e del Vallone San Rocco, defluendo verso i Ponti Rossi e la zona portuale. A nord, l'Alveo dei Camaldoli che attraversando Chiaiano, Mugnano, Calvizzano e Qualiano, sfocia nella zona di Villaggio Coppola, dopo aver costeggiato via Ripuaria.
Alveo a Mugnano (foto tratta da "Mugnano Mia")
L'alveo detto del "Pisciaturo", che emerge in zona di Scampia - Mugnano, costeggia l'area del supermercato "Auchan" e si immette nella rete emissaria di Napoli nord.
Altri corsi d'acqua naturali sono stati nel tempo "tombati" e resi in superficie sede stradali, tra questi ricordiamo l'antico canale Vigna, che attraversava tutta Marianella (Attuale via Marianella e Via della Bontà), e continuava il suo percorso nella zona dell'attuale Scampia. In corrispondenza della Strada provinciale Santa Maria a Cubito fu realizzato un ponte che ancora oggi si chiama Ponte di Marianella.
L'alveo che defluiva attraverso la cupa dei Cani passava sotto la ferrovia Napoli Piedimonte d'Alife e la stessa strada Santa Maria a Cubito, coi rispettivi ponti, che si trovavano poco dopo l'attuale rotonda, detta "Titanic". Quello della ferrovia Piedimonte era realizzato in acciaio.
Abbiamo visto in un altro post come la famiglia svizzera dei Meuricoffre nel 1864 realizzò, tra Piscinola e Scampia, un breve acquedotto e alcune cisterne, da utilizzarsi per la coltivazione del cotone, opere che poi furono donate al Comune di Piscinola.
Cartolina con Alveo (tratta da "Mugnano Mia")
Un'ultima considerazione va alla presenza nel territorio di numerose cisterne, adibite alla micro raccolta locale di acqua piovana per gli usi domestici e per abbeverare il bestiame. Erano opere interrate realizzate interamente in tufo, per contenere l'acqua raccolta dai tetti delle abitazioni e di stalle, spesso presentavano anche capacità rilevanti; tutte terminanti in superficie con una torretta, pure in tufo, che conteneva la ruota per il sollevamento del secchio.
Alcune di queste cisterne erano antichissime e di ottima fattura. Ogni cortile, caseggiato o masseria un tempo possedevano queste cisterne, dette comunemente pozzi o piscine; opere che erano amministrate e usate in forma comune tra tutti gli abitanti.
 
Concludendo questo post, possiamo dire, e senza enfasi, che Piscinola e il suo circondario ha avuto un rapporto "viscerale" con i due elementi che costituiscono la base della vita, ossia l'acqua e la terra. Un legame forte che non si è mai dissolto nell'arco della sua storia due volte millenaria, regolato da un equilibrio perfetto, che ha costituito la base stessa della sua esistenza e dei valori antropologici specifici, tanto da essere richiamato nel suo antico toponimo: Piscinula...Terra delle piscine!


Ecco il testo di una mia dedica a Piscinola, contenuta nel libro "Piscinola, la terra del Salvatore" ed. The Boopen, 2010, e si intitola proprio come questo post:


"Piscinola: un equilibrio tra terra e acqua!

Forse nessun borgo italiano, piccolo come questo, ha avuto una storia così pregna di avvenimenti, ma anche così tormentata per i reiterati tentativi di assoggettamento a cui è stato sottoposto nel corso dei secoli.
Questo piccolo e antico borgo di periferia è stato circondato per secoli da un “mare verde” di messi e da numerose masserie sparse nel suo interno, dove la gente che vi abitava amava la terra in maniera speciale e non disdegnava di sentirsi unita, protesa verso il desiderio comune di autogovernarsi, per essere indipendente dal tiranno di turno.
Il territorio di questo borgo doveva apparire un tempo bellissimo agli occhi dei visitatori, per la densità del verde delle sue selve, per le sue messi che cangiavano di colore in continuazione nel corso dell’anno, conferendo un tocco quasi divino al paesaggio, come se fosse stato pensato e creato appositamente da un Essere superiore, per accogliere in maniera speciale un’umanità da secoli vessata.
Piscinola vista dall'alto. Foto dell'anno 1943
Una terra beata per lenire la fatica e il patire quotidiano!
Il territorio degradava dolcemente dalle pendici dei Camaldoli verso la pianura casertana, ed era solcato da rivoli, che durante le tormentose stagioni autunnali e primaverili diventavano veri e propri corsi d’acqua, scavando per millenni “cupe” e valloni. Quest’acqua, pur irruente, non danneggiava, anzi, veniva “ammaestrata” dai contadini e raccolta nei punti chiave del territorio, per poterla destinare all’uso agricolo. E lì, dove l’acqua stagnava, si formavano canneti e piccole paludi abitate da rane e da uccelli. Ma l’acqua è stata sapientemente raccolta nei secoli, anche in opere idrauliche che l’uomo ha saputo costruire con duro lavoro, solo con la forza delle braccia: alcune piccolissime, altre grandi.
Questo posto, forse unico per la diffusione capillare di vasche, pozzi e piscine, forse per un segno del destino o forse no, ha preso il nome di Piscinola.
Piscinola esiste da duemila anni e forse anche di più...!
Nel DNA della sua gente c’è stato sempre un comune denominatore che l’ha resa unita e unica nei secoli:… la terra!
E come la terra è stata sempre generosa verso l’uomo, offrendo ubertose coltivazioni, frutta prelibata e abbondante, la gente di questo posto, riconoscente, l’ha portata sempre nel cuore, amandola come madre, come figlia e come sposa...!
Alberi di pioppi, di uva, di noci, di pesche, di mele, di pere, ma anche rape, fave, fagioli, grano, canapa, orzo... formavano in ogni stagione un ricamo di vari colori, che uniti tutti come su un’unica tavolozza, rendevano bella e incantevole la terra all’occhio del visitatore. Molti forestieri che tra il Seicento e l’Ottocento visitavano il Regno di Napoli, rimanevano stupiti quando giungevano in questo posto, osservando questo paesaggio, così bello, semplice e incantato… E ne abbiamo avute di attestazioni e di testimonianze storiche di questi viaggi, da parte di chi ha potuto visitare ed ammirare tutta questa bellezza della natura! 
Salvatore Fioretto 

Gran parte del contenuto del presente post è stato tratto dal libro: "Piscinola, la terra del Salvatore, una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010. Le foto del lagno a Mugnano-Calvizzano sono state prese dal sito di FB "Mugnano Mia" di Vittorio Calabrese, a cui va il nostro ringraziamento per la collaborazione. Si ringrazia, infine, Carmine Cecere per la sua preziosa collaborazione.

domenica 29 ottobre 2017

Un duello dal Conte di Lucina... Cronaca del 1840...



Il territorio a Nord della città di Napoli, così pure altri suoi sobborghi, venivano utilizzati in passato, dall'aristocrazia e anche dalla borghesia, quale luogo ideale per regolare "i conti personali", ovvero, per farsi giustizia direttamente da soli, attraverso il duello. I duelli erano favoriti, oltre che dall'omertà degli abitanti, anche dalla tranquillità e dalla solitudine dei posti. Anche il Bosco di Capodimonte è stato utilizzato in passato quale sito per regolare i conti delle nascenti organizzazioni malavitose cittadine, che poi prenderanno il nome di "camorra". 
Come è noto in ogni contesto storico e in ogni forma di Diritto, farsi giustizia da soli è stato sempre considerato un reato grave, punibile fino alla pena di morte ma, nonostante questo, nei secoli si è continuato a duellare, addirittura creando un'organizzazione e una procedura consolidata nel tempo, che prevedeva: l'atto di sfida, la scelta delle armi, la designazione e il ruolo dei "secondi", ecc. 
Questo racconto riguarda un duello che ebbe luogo nel tenimento della masseria del Conte di Lucina, situato tra Chiaiano, Piscinola e Mugnano; curioso è lo svolgersi del dibattimento in tribunale e la sentenza di condanna finale.

[…] (*) L'istruzione giuridica offre che nel 3 maggio1840 pervennero in Chiaiano e precisamente nel latifondo del Conte Lucina due carrozze con un certo intervallo tra loro. Dalla prima discesero le due Guardie del Corpo D. Francesco Carrano e D. Carlo d'Avalos Celenza vestiti del soprabito di uniforme e forniti delle rispettive sciable. L’altra sopraggiunta indi a poco portava i signori D. Silvio Duroni e D. Francesco Spinelli di condizione proprietarii. Si annunziarono  al custode del fondo Giovanni Migliozzi come amici del Conte Lucina, soggiungendo che a momenti lo attendevano per comune precedente concerto. Poscia dando ai cocchieri pochi carlini per prender cibo, l’invitarono  a staccare i cavalli dalle vetture. 
Dopo breve trattenimento nel cortile, si avviarono pel viale della masseria ed in tral mentre per una profetica o diabolica ispirazione il custode Giovanni Migliozzi incaricò un colono del fondo, a nome Angelo di Stasio, di seguire detti quattro individui, dovendo egli disimpegnare altri doveri. Di fatti Angelo di Stasio si avviò per dove si erano diretti i quattro giudicabili e camminava (son sue parole) pei solchi dei seminati a grano onde non farli accorgere che li spionava. Arrivati i giudicabili nella parte di basso della masseria si introdussero in un seminato di canapa, le di cui piccole piante erano nate di pochi giorni e quivi si soffermarono. 
I testimone Di Stasio, che li osservava  inosservato, vide che il militare più alto e di volto bruno si levò il soprabito e cappello riponendolo sopra una vite  attaccata ad un grosso pioppo; che praticò lo stesso giovine pingue e colle barbette riunite. E situandosi a prospetto l’un dall’altro sguainarono le sciable e cominciarono a tirarsi colpi da disperati.  Né questo solo vide il testimone, ma ravvisò benanche che l’altro militare si situò dietro il militare combattente e l’altro paesano dietro il paesano che pure si batteva lena, e che entrambi erano forniti di sciable. 
Colto il testimone da timore e sorpresa, corse a dir tutto avviso al guardiano Migliozzi, ma per curiosità volgendosi di tratto in tratto indietro, osservò terminato il combattimento, e tutti intenti a fasciare la mano destra  al paesano ferito. Migliozzi gl’impose di chiudere il portone che mena alla strada di Napoli, e ciò per impedire che le carrozze sortissero, riserbando a sé l’incarico di chiamare la forza urbana di Chiaiano. Angelo Di Stasio chiuse il portone. Migliozzi corse ad avvertire gli Urbani e intanto, Stasio prosegue a raccontare, i gentiluomini giunti al portone e trovandolo chiuso fecero allestire le carrozze si avviarono per una viottola interna che anche conduce alla strada di Napoli. Ma il guardiano Migliozzi era già di ritorno, e facendosi forte dello schioppo che trasportava, impedì che le carrozze passassero: i giudicabili se ne risentirono, ma in tal mentre sopraggiunti gli Urbani, furono condotti avanti al giudice regio di Marano.
Il capo urbano rinvenne nella carrozza dei paesani due scialbe e due fioretti dei quali s'impossessò e furono oggetto di reperto. Ma l'inverosimile perché profetica antiveggenza di Migliozzi, la strenua cura di Stasio ad osservare i fatti altrui, non costituiscono il solo fenomeno di questa causa - paulo majora canamus - Fondo di Lucina è di prospetto a quello di un tal Arciero.
Tre testimoni per nome Vincenzo Taglialatela, Pietro e Francesco Petrillo, dichiarano che trovandosi a guardare il fondo di Arciero per impedire gli uccelli si mangiassero i semi di granone di fresco seminati, si avvidero che venivano per dentro la masseria del Conte di Lucina quattro individui, due vestiti da militari e due da galantuomini, che giunti alla parte solitaria del fondo, due di essi si spogliarono degli abiti situandosi pochi passi di fronte; gli altri due presero posto uno ad un lato e l'altro all'opposto, ed alzando le sciable i due di fronte,  si vedevan queste luccicare al riverbero del sole.
Si vibrarono de' colpi per lo spazio di circa quattro minuti, e di poi vestitisi di bel nuovo ritornarono verso il portone della masseria. In tal modo in un fatto misterioso ed oscuro, perché di sua natura premeditato, questo processo offre lo strano accidente di quattro testimoni di veduta. Poiché Angelo di Stasio avea parlato de' quattro giudicabili per connotati, così l'istruttore del processo per identificare i suddetti fe' procedere ad un atto di affronto, nel quale lo Stasio riconobbe i giudicabili Spinelli e Duroni che allora trovavansi soli in mano della giustizia, essendo latitanti Avalos e Carrano , come appresso sarà chiarito. Nell'atto di affronto Stasio depose che l'imputato Spinelli era appunto quello che si batteva col militare, e l'altro Duroni con sciabla sguainata era spettatore del duello.
Chiuse il suo racconto con queste ultime parole che da quel momento non più gli avea veduti. Questo atto di  ricognizione fu ripetuto col custode Giovanni Migliozzi, e coi testimoni Vincenzo Taglialatela. Pietro e Francesco Petrillo; ma il Migliozzi dichiarò di non poter riconoscere i due imputati, poiché li vide per poco quando erano in carrozza ravvolti ne' propri tabarri, e gli altri testimoni Taglialatela, Pietro, e Francesco Petrillo protestarono che dal luogo in cui erano, distante circa due tiri di fucile a pallini dal sito in cui accadde il combattimento, essi non avevan potuto distinguere la fisionomia de' giudicabili. Avendo Angelo di Stasio indicato il luogo ove dicesi avvenuto il duello, fu diligentemente sottoposto a perizia, dalla quale risulta "Che in un seminato di canape sotto di un gran pioppo a forca con grossa vite appoggiata si  osservava un calpestio di piedi d'uomo della lunghezza di palmi 12 di terreno, ed il canape tutto schiacciato in linea retta da Oriente ad Occidente. Per lo che i periti eran di avviso che indubitatamente in quel sito vi erano state delle persone, le quali appositamente coi loro piedi avevano calpestato il detto seminato di canapa, non già di passaggio, ma continuamente. Le armi sorprese furono secondo le norme del rito periziate, ed è utile il trascrivere le osservazioni degli esperti. Le dette armi vengono chiamate sciable; esse sono la di giusta misura e fattezza e propriamente quelle di cavalleria: che le stesse hanno l'impugnatura di ottone: la loro lunghezza è di palmi 4 compreso il manico: i foderi sono di acciajo con l'imboccatura una di ottone e l'altra di acciajo. 
Le lame sono curve e si vedono di fresco sgranati i tagli dai colpi vibrati da esse, come altresì ad una vi sono dello incisioni ricevute da istrumento tagliente. All'impugnatura di esse vi si osservano due colpi ricevuti da strumento tagliente, uno situato al primo cordone della guardia, e l'altro alla spoletta della impugnatura che copre il fodero. Al fodero vi si osservano diverse macchie di sangue. Per cui siamo di parere che la dette armi abbiano sofferto dei colpi vicendevoli e sieno state adoperata in qualche duello o rissa. I due fioretti poi sono della lunghezza di palmi quattro. Alla punta di essi non vi esiste bottone e si osservano spezzati. Ecco tutte le pruove che offre il processo, ed è ora utile il narrare cosa dissero gli imputati nei loro interrogatori e cosa offrirono le perizie sulle loro persone. 
Nel primo istante dall'arresto gli imputati furono interrogati dal regio giudice di Marano. 
Di essi tre soli risposero alle sue domande: serbò silenzio il giudicabile Carrano supponendo ch'egli come militare fosse sottoposto alle autorità della propria gerarchia. Spinelli, d'Avalos, e Duroni concordemente dissero: "essere tra loro amici, ed essersi quivi condotti a diporto, attendendo benanche il Conte di Lucina. 
Averlo atteso per più di un'ora passeggiando nel di costui fondo, ma quindi stanchi di più aspettarlo aver deliberato di ritirarsi. In onor del vero bisogna convenire che gli accusati essendo uniformi nell'escludere il duello, cadono in qualche contraddizione tra loro e con la pruova raccolta.   
Così Spinelli interrogato a chi si appartenessero le sciable ed i fioretti che si rinvennero nella propria carrozza, rispose, che le guardie del corpo oltre le proprie sciable ne aveano portate altre due, ed anche due fioretti coi quali avean disegnato divertirsi alla scherma. Per l'opposto il testimone Gaetano Parente, cocchiere della carrozza che portò in Chiaiano Spinelli e Duroni,  assicura che i fioretti suddetti erano stati nel partire da Napoli messi a vista sopra due tabarri. Che se aggiungi di essersi rinvenuti nella carrozza di Spinelli e Duroni quando furon sorpresi dagli Urbani, sorge chiaro ed evidente che ad essi si appartenevano e da essi erano stati asportati. Né ciò è tutto: Spinelli assicurava che né delle sciable, né de' fioretti si fece uso per esercizio di scherma; per l'opposto Duroni asserisce il contrario. Spinelli dice che le due sciable, oltre quelle che cingevano le guardie del Corpo, eransi portate nel fondo per non lasciarle nella carrozza; per l'opposto Duroni dichiarava che la scialbe suddette quivi restarono. Nella discordanza de' detti di Spinelli e Duroni circa queste circostanze invano si ricorre a quelli di d'Avalos per trovare un mezzo onde conciliarli, poiché egli depone che non solo le sciable, ma anche i fioretti rimasero nella carrozza, asportando così egli che Carrano le proprie sciable. Tutti e tre assicuravano che di accordo con Lucina lo attendevano per divertirsi insieme. 
Lucina li contraddice negando l'invito ed il concerto. Il regio giudice osservando che il giudicabile Spinelli era ferito a una mano, gliene domandò la ragione, e Spinelli rispose che atteso lo sbalordimento per gl'insulti ricevuti dalle persone armate, se l'avea cagionato inavvertitamente con l'ottone ch'è al gambo dello sportello della carrozza. Sottoposto a perizia, gli esperti osservarono che aveva una ferita recente nel lato esterno del metacarpo della mano destra in direzione trasversale, lunga un mezzo pollice, larga due linee circa, prodotta da istrumento tagliente, e giudicata di nessun pericolo. Nell'interrogarsi dal regio giudice l'imputato Duroni fu osservato ferito nella mano destra…. Sottoposto ad esame i periti osservarono che il Duroni avea una piccola escoriazione nel lato esterno del dito anulare destro, e giudicarono che tale escoriazione fosse stata prodotta da istrumento lacerante, ed esser di niun pericolo. […]
Sentenza:
Dalla “Cronica delle Due Sicilie” di C.de  Sterlich dei marchesi di Carmignano, anno 1841":

Addì 14, mercordì. La Gran Corte Criminale ha oggi notifica ai signori d'Avalos, Carrano, Duroni e Spinelli la decisione con cui ha condannati i primi tre a sette anni di ferri e l'ultimo a sei di relegazione, per duello avvenuto, come dalla stessa decisione, addì 3  di maggio dell'anno 1840 nel fondo del conte Lucina a Chiaiano  terra di Marano, dove sorpresi nell'atto di rimettersi in carrozza  dalla guardia urbana e condotti innanzi al giudice regio, Duroni e  Spinelli furono da quel magistrato inviati nelle carceri della polizia  di Napoli, gli altri come guardie del corpo, alla real piazza, ma andati invece nel loro quartiere, dove intesero esser fama di avere  avuto ambidue parte ad un duello, si salvarono uscendo dal regno.  Ma non andò guari e ritornò in Napoli il duca di Celenza. Lo seguì  poco dappoi il cavaliere Carrano, dandosi l'uno dopo l`altro volontariamente in mano della giustizia, fidando unicamente nella clemenza sovrana: nella quale ora si affidano tutti quattro, avendo ciò detto, or sono pochi giorni, in un loro atto col quale hanno accettata la condanna rinunziando al ricorso per cassazione.
Salvatore Fioretto 

(*) Tratto dal libro: “Discorso pronunciato dall’Avvocato Giuseppe Marini-Serra all’udienza della Gran Camera Criminale di Napoli nella tornata del di marzo 1841 in difesa dei signori D. Carlo D’Avalos de’ duchi di Celenza, D. Francesco Carrano, D. Silvio Duroni, e D. Francesco Spinelli Accusati di duello.”

Le foto inserite in questo post sono state liberamente tratte dal web, senza altro fine o scopo di lucro, ma solo per la libera diffusione della cultura. E' vietato copiare gli scritti, senza l'esplicita autorizzazione dell'autore.

domenica 8 ottobre 2017

Tra vasche, piscine e cunicoli misteriosi... Piscinola: un equilibrio tra terra e acqua! (parte prima)


Il toponimo di un luogo ha quasi sempre origini incerte e misteriose, che si perdono nella notte dei tempi; spesso è legato alla sua fondazione o a qualcosa di notabile presente o al nome di una famosa famiglia residente oppure a una pratica o usanza svolta. Il toponimo di un luogo è un dato essenziale della storia di una comunità, perché diventa l’emblema e il simbolo nel quale si identificano nei secoli i suoi abitanti, che poi, come si sa, finiscono per assumere indirettamente l'identificazione, come napoletani per Napoli, cumani per Cuma, aversani per Aversa, ecc. 
Analizziamo in questo post la storia del toponimo del territorio che più da vicino ci riguarda: Piscinola.
Sviluppo dell'acquedotto Augusteo
L’etimologia di Piscinola deriva certamente dal termine idraulico “Piscinula”, che si riferisce a “piscina” o “vasca”, forse in riferimento ad una struttura idraulica, che era presente nell’antichità nei pressi del primitivo insediamento abitativo.
Nonostante il chiarissimo riferimento all’acqua, ancora del tutto oscure e incerte sono l’ubicazione e le funzioni di tale vasca o vasche. Tre sono le ipotesi avanzate fino ad oggi dagli storici: forse serbatoio di raccolta delle acque per un sistema di irrigazione dei campi o di una cisterna ad uso degli abitanti, oppure elemento appartenente ad un complesso sistema idraulico o di bonifica.
La mappa del littorale di Napoli, di Antonio Rizzi Zannoni, 1793
A quanto pare le vasche erano due; c’era una vasca più piccola e antica, chiamata “Piscinella”, situata presso la zona di ubicazione delle masserie “Filanda”, “Teverola” e “Perillo”; da cui forse derivò l’etimologia della località chiamata “Piscinella”; ed un’altra vasca, posta più a sud e più grande della prima, che fu sicuramente di costruzione successiva.
Risulta verosimile pensare che, vista la ridotta capacità di stoccaggio della vasca primitiva, nascesse la necessità nei primi abitanti di costruire una seconda struttura più grande, per far fronte all’accresciuto fabbisogno derivante dall’aumento demografico, ma anche per impiantare un nuovo insediamento sul territorio che, in relazione alla nuova opera, probabilmente ne assunse la denominazione e fu chiamato, appunto, Piscinola.
La mappa del littorale di Napoli, di Antonio Rizzi Zannoni, particolare

A causa della posizione orografica di Piscinola e del suo circondario (mediamente circa 130 metri sul livello del mare), essa non può essere stata alimentata in antichità direttamente dall'Acquedotto del Serino, che fu una grandiosa opera romana costruita in epoca Augustea (30 dicembre 10 a.C.), perché attraversava la collina di Capodimonte più a valle, a un livello inferiore. Chiamato anche Fontis Augustei Aquaeductum), con i suoi 160 km circa (considerando anche le diramazioni), viene considerato il più lungo acquedotto romano costruito fino al V secolo d.C. 
Piscinola, vista aerea, foto anno 1943
Prima di immettersi nella città di Napoli, l'acquedotto attraversava le località di Acerra, Casoria e San Pietro a Patierno, mentre ad Afragola (il cui toponimo è un chiaro riferimento all'opera idraulica (Afraore o Afraolla), era derivata una "bretella", che alimentava la città di Atella, fino a raggiungere un invaso nella località di Lusciano. Nei pressi di Capodichino, l'acquedotto emergeva con le tipiche arcate di mattoni rossi, i cui resti sono ancora oggi visibili (Ponti Rossi).
Ponti Rossi, in una mappa ottocentesca
Lungo il percorso l’acquedotto alimentava importanti centri romani, tra cui Pompei, Ercolano e Nola, mentre a ovest di Napoli, riforniva le città di Pozzuoli, Baia, Cuma e Miseno, sede della flotta (Piscina Mirabilis).
Considerata la particolare struttura orografica del territorio di Piscinola, è certo che nei secoli si sono formati dei canali di scolo che hanno permesso il defluire delle acque meteoriche provenienti dalle alture delle colline circostanti. Spesso, in coincidenza di eventi piovosi eccezionali, si formavano le cosiddette “lave”, ossia torrenti impetuosi, che trasportavano verso il territorio di Piscinola e verso altri territori adiacenti, acqua mista a gran quantità di fango e di altri sedimenti.
Nell’anno 1877, ad esempio, si ebbe un evento piovoso così catastrofico al punto che molti Comuni a nord di Napoli, come quello di Giugliano, dovettero chiedere aiuto al Parlamento Italiano. 
In un altro documento (regio decreto n. 4538 del 17 marzo 1838), viene disciplinato l'acquisto da parte di un privato dei detriti fini, tipo sabbia (detta lava), che l'acqua erodendo trasportava attraverso Chiaiano e Piscinola ed era accumulata in alcuni punti del territorio di Melito. Questi tipi di inerti venivano impiegati per realizzare intonaci e altre opere edili.
L’acqua meteorica, con il suo scorrere in maniera impetuosa, ha quindi eroso nel corso dei secoli il territorio, realizzando dei veri e propri canali con sponde di terreno in rilevato, i cui letti sono poi diventati le strade attuali. Queste strade, proprio per la loro conformazione, sono indicate ancora oggi con il termine di “cupe”, forse perché sulle due sponde erano piantate alberi dalle poderose chiome (come noci, nocelle), che sopraelevandone lo sviluppo, ne rendevano il percorso buio e quindi cupo, anche di giorno. Alcune delle primitive “cupe”, anche se sono state urbanizzate nel corso dell’ultimo secolo, conservano ancora alcune tracce orografiche originali ben identificabili, come: Via Vecchia Miano, Vico II V. Veneto (ora Via Giorgio Amendola), Via SS. Salvatore, Via V. Emanuele, Via Napoli e Via Madonna delle Grazie.
Ponti Rossi, in un dipinto ottocentesco
In alcuni punti di Piscinola, come in Via Cupa Acquarola e l’attuale Via Zuccarini, l’acqua meteorica si raccoglieva formando pozzanghere e stagni, tanto che, oltre a essere utilizzata per irrigare i campi, veniva in parte convogliata per alimentare un lavatoio pubblico. 
Quest’opera idraulica risulterebbe realizzata in Via Cupa Acquarola nei primi anni del 1900 e doveva comprendere circa una quarantina di postazioni per lavare i panni.
Della presenza di questi acquitrini, spesso invasi da fitti canneti, si hanno notizie già a partire dal Medioevo; infatti nelle cronache dell’epoca si trovano citazioni ricorrenti sull’esistenza di numerosi canneti che erano presenti intorno ai villaggi di Piscinola, di Marano, di Mugnano e di Chiaiano. Anche l'antico locus di "Sanctis Sossii at Cannitum" (Cannito), che leggiamo nei documenti medioevali, è sicuramente derivato dalla particolare morfologia del luogo, ancora oggi chiamato Cannito, situato tra Piscinola e Mugnano, che doveva essere a quei tempi acquitrinoso e coperto densamente da canne.
Nel libro Indicazioni del più rimarcabile in Napoli e contorni - Nuova edizione …edito nel 1835, l’autore, Andrea de Jorio, esaminando i ruderi dei Ponti Rossi, che da tutti erano attribuiti all’Acquedotto “Claudium”  (sic!); condotta collegante le sorgenti del Serino a Baia, fino ad alimentare la Piscina Mirabilis), mostra delle forti perplessità circa l’esatta attribuzione di quelle vestigia e invita ad eseguire ulteriori approfondimenti archeologici.
Ponti Rossi, in una mappa ottocentesca
Ecco il testo: “[…] Come questo sospetto porterebbe l’idea di altri condotti superiori di livello a quello dei Ponti Rossi e ai quali l’acqua si sarebbe immessa in quella della grotta di Pozzuoli e da questo in altri, cosi come si dovrebbe esaminare tanti ruderi di simile natura che esistono a Piscinola, sopra Capo di Monte e nelle alture di Pianura, tutti di un livello assai elevato di quello di Ponti Rossi […]”.
Questo libro fornisce due preziose informazioni che riguardano da vicino Piscinola: la prima pone seri dubbi sul percorso ipotizzato dall’acquedotto “Augusteo”, invitando a verificare altri percorsi verso Piscinola e Pianura; mentre, con la seconda informazione fornisce una testimonianza significativa, circa la presenza a Piscinola di ruderi e resti di opere idrauliche assimilabili ad un acquedotto. 
Ponti Rossi, in una mappa ottocentesca
Considerando, poi, la presenza nell’antico territorio di Atella di una vasca di raccolta delle acque convogliate da una ramificazione dell’acquedotto Augusteo, che si diramava nella nostra zona, potrebbe esserci una possibile correlazione tra quest’opera e le vasche ed i condotti sotterranei edificati a Piscinola ed a “Piscinella”.
Tutti questi indizi potrebbero essere la chiave di lettura che spiegherebbe univocamente l’origine del toponimo di Piscinola e la presenza di quelle infrastrutture misteriose che vedremo nella seconda parte di questo post.
Agli archeologi ed agli speleologi l’arduo compito di reperire indizi e prove documentarie, che potranno avvalorare o smentire queste nuove ipotesi.                                     (segue nella seconda parte)
Salvatore Fioretto

Gran parte del contenuto del presente post è stato tratto dal libro: "Piscinola, la terra del Salvatore, una terra, la sua gente, le sue tradizioni", di S. Fioretto, ed. The Boopen, 2010.