venerdì 18 marzo 2016

Quando la Passione veniva recitata... (da una novella di Giovanna Altamura)

Piazza G. B. Tafuri, con il palmeto, foto di S. Fioretto, anno 2004
Riferendoci alle fonti storiche documentali rinvenute, a cui i misteriosi percorsi della ricerca storica ci conducono, ecco che abbiamo trovato delle testimonianze che risultano essere affascinanti, per essere per noi inedite,  che riguardano alcuni riti tradizionali, appartenuti in passato al quartiere di Piscinola e che purtroppo oggi sono completamente dimenticati.
Trovandoci nel periodo che antecede la Pasqua, con l'imminente inizio dei riti della Settimana Santa, ci è sembrato opportuno pubblicare questo post che si basa soprattutto sulle testimonianze narrate dalla scrittrice Giovanna Altamura, nel suo libro "La rivolta della umanità ed altre novelle" ed. Gastaldi e in particolare nella novella dal titolo "Dove passò lo straniero". 
Piazza Municipio (oggi piazza B. Tafuri), processione del Crocefisso al termine della Santa Missione Popolare, anno 1950
Ricordiamo, per chi non lo sapesse, che Giovanna Altamura, di cui abbiamo già descritto la sua figura di scrittrice nel post dedicato a Giuseppina Bianco, fu un'insegnante della scuola elementare Torquato Tasso, negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale.
Si tratta della descrizione del rito che si svolgeva il Venerdì Santo nella chiesa del SS. Salvatore di Piscinola. Ecco il testo...
"Le feste più belle son quelle della settimana santa, ed in modo particolare quella del venerdì santo, le "tre ore di agonia", per le quali vengono chiamati da Napoli i più bravi predicatori. 
Copertina del libro "La rivolta della umanità"
A questa festa anche chi non è nativo del luogo (Piscinola), almeno una volta "deve" assistere, quasi come una prova di amicizia ai buoni villici, i quali "ci tengono" a far provare ai visitatori ed agli ospiti l'attimo di emozione e di brivido che chiude la sacra funzione.
Quel giorno per la funzione viene esposto sull'altare maggiore il Cristo Crocefisso che di solito è all'ingresso della chiesa, e quel Crocefisso non è come gli altri.
Ha la testa snodata, movibile, e vien messo su, in alto, ove quella bella testa dolorosa e sanguinante, resta così, con lo sguardo in alto, per tutto il tempo della lunga predicazione, come per affidare al Padre celeste tutto il dolore del mondo.
C'è una gara tra i ragazzi più grandi del paese per essere meritevoli di tenere, saldamente, la cordicella che vien legata alla testa del Cristo.
Bisogna stare attenti a non sbagliare, perché proprio quando il Sacerdote, dopo aver pronunciata l'ultima parola di Gesù morente, s'inginocchia ed annuncia; "...e Gesù, chinato il capo sul petto, rese lo spirito a Dio...." proprio allora bisogna allentare con garbo la funicella, in modo che la testa coronata di spine cada sul petto, in un gesto naturale di abbandono e di morte.
Chiesa e Municipio. Foto di S. Fioretto, anno 2013
Tutti, naturalmente, sanno che ciò avverrà ad eccezione per i "forestieri", ma tutti vinti dalla commozione suscitata dalle parole dell'Officiante, provano ogni volta la stessa intensa emozione, e quel brivido sottile e profondo che poi fa uscire dalla chiesa con gli occhi lustri, e felici che tutto sia andato proprio bene." [...]
Tuttavia questo rito non era l'unico che si svolgeva durante la preparazione alla Pasqua, a cui partecipava il popolo dei fedeli, c'erano sempre i Sepolcri da allestire il Giovedì Santo... dopo la liturgia "In coena Domini", per i quali molte ragazze e anziane devote, che frequentavano  la Parrocchia, facevano a gara per preparare uno o più vasetti pieni di germogli di grano paglierino, i quali dovevano essere i più belli tra i tanti, per adornare il "Sepolcro" in chiesa. 
Ecco cosa riporta ancora a riguardo l'insegnante Giovanna Altamura...
[...] "Gente Semplice e buona quella che vive nel piccolo borgo (Piscinola) al quale la grande città non ha saputo o potuto dare conforto e decoro di vita cittadina.
Processione del Crocefisso in via del Plebiscito a Piscinola. Foto di Vincenzo Tomo
Gente che conserva le secolari abitudini della campagna nostrana: la benedizione degli animali domestici e da fatica per sant'Antonio Abate, la cura del grano tenero, cresciuto al buio perché diventi paglierino, che si offre al Sepolcro e si conserva poi con cura devota, per spargerlo al vento quando minaccia tempesta, l'offerta delle primizie alla chiesa, la benedizione delle spighe all'Ascensione." [...]
L'usanza di conservare in casa i germogli di grano secchi, raccolti al termine dei Sepolcri, era molto praticata tra gli anziani piscinolesi di un tempo, infatti, come scrive Altamura, questi venivano sparsi al vento durante il sopraggiungere di un temporale minaccioso, insieme a qualche fogliolina di ulivo (dette "palme"), recitando la nota giaculatoria...

"Tuone e lampe fatte a rassa

chesta è ‘a casa e santu Iasse

santu Iasse e santu Salvatore (o santu Simone) 

chesta è ‘a casa ‘e nostro Signore;

nostro Signore ieva pe' lli campi

Padre, Figliuolo e Spiritu Santu."
Ritornando al "Rito del Crocifisso", eseguito nella chiesa del Salvatore, bisogna dire che in effetti esso rappresentava uno di quegli eventi che erano chiamati dal popolo "Funzioni" e che oggi sono invece designati dagli studiosi di folclore con il termine di "Tragedie Sacre": eventi popolari sospesi tra il sacro e il profano, le cui origini si perdono nella notte dei tempi...
A Piscinola si rappresentavano diverse "funzioni" durante le varie festività dell'anno, tra queste una era dedicata proprio al Crocefisso, e veniva rappresentata nel corso della festività che cadeva nel mese di maggio di ogni anno. In tale circostanza  l'Associazione cattolica e operaia del Crocifisso e di San Vincenzo Ferrer, che aveva sede in via Plebiscito, organizzava, oltre alla festa con le luminarie, anche la rappresentazione della crocifissione di Gesù; questa tragedia veniva chiamata: "Morte e passione".
Della storia delle tragedie sacre e delle loro rappresentazioni nel nostro quartiere dedicheremo in futuro un apposito post.
Altare maggiore della Chiesa del SS. Salvatore, cartolina anni '40
Questo particolare Crocefisso conservato nell'ingresso della Chiesa un tempo era portato in processione al termine delle Sante Missioni popolari, come si può vedere nelle due foto qui inserite. E' un crocefisso particolare rispetto a quelli presenti nelle altre chiese, infatti, se si osserva con attenzione le sue braccia, si noterà che esse appaiono come distaccate e ricongiunte al corpo attraverso della cartapestaDeduciamo, ma ci occorreranno delle testimonianze di conferma a riguardo, che oltre alla funzione della "Testa snodata" nel Venerdì Santo, probabilmente in passato si eseguiva con questa statua anche il rito della Deposizione oppure la processione del Cristo morto.
La funzione della "Benedizione del grano", che descrive Altamura, era un altro rito religioso che si svolgeva a Piscinola dopo Pasqua, nella solennità dell'Ascensione quando, con grande giubileo di fedeli e di contadini, il parroco si recava in processione nella piana di Scampia, salmodiando delle litanie e eseguento dei canti liturgici. La processione attraversava via del Plebiscito, fino a spingersi oltre il ponte della Piedimonte. Giunto in aperta campagna, tra le sterminate piantagioni di  grano, il presule impartiva la solenne benedizione per auspicare un raccolto sano e abbondante. Questa notizia è stata confermata anche dalle testimonianze di alcuni anziani.
Salvatore Fioretto

Piazza Giovanni B. Tafuri e la chiesa del SS. Salvatore. Foto di S. Fioretto, anno 2014
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sabato 12 marzo 2016

Echi di cronaca2 - le notizie da "Lo cuorpo de Napule e lo Sebbeto" ed. anno 1861


Il giornale “Lo Cuorpo de Napoli e lo Sebbeto” fu un quotidiano di carattere satirico, unitario e antidinastico, ebbe ad editore l'anziano Salvatore de Marco e veniva stampato, a partire dal 1860 (inizialmente trisettimanale), nella sua vecchia stamperia, al vico S. Nicola alla Carità n.14, dove nell’arco di un trentennio vennero alla luce diverse esperienze editoriali, seppur tutte di brevissima durata. Gli articoli di questo giornale satirico erano tutti scritti in lingua napoletana. 
L’ufficio di redazione fu stabilito nella stamperia sopra a un palchetto di legno costruito in un angolo del bottegone e dove i redattori si arrampicavano a mezzo di una scala a pioli. Il direttore Carlo Romice ed i suoi  redattori Eduardo e Tommaso Ruffa, pur essi giovani che già del giornalismo avevano data buona prova d’operosità e di scapigliatura, s’accordarono con l’editore su d’un programma garibaldino, ma contro la casa reale sabauda: questo però voleva dire nessun accordo con i Borbone che erano allora rifugiati a Roma. Si misero all'opera per raggiungere la meta ambita: quella di essere i pionieri di un genere di giornalismo a dir poco azzardato, specie per il delicato periodo di transizione politica allora in atto. Furono seguiti da vari ausiliari di buona volontà, quali: Giuseppe Lazzaro, Ernesto del Prete, Domenico Bolognese, Agostino Clemente e altri.
Caricatura di Camillo Benso, Conte di Cavour
Quando fu diretto da Ernesto del Prete, il giornale riuscì a raggiungere la tiratura di 2000 copie. A partire dall'anno 1861, il giornale divenne "quotidiano" e l'edizione domenicale conteneva anche delle simpaticissime caricature (scenette satiriche disegnate).
Così scriveva anni dopo il Martorana: “Questo foglio giunse all’anno IX parlata 129, il 16 maggio 1868 e si licenziò dai lettori promettendo di ripigliare la pubblicazione: ed infatti il 13 agosto 1870 ricomparve per circa un mese e non più”.
Le edizioni del giornale che abbiamo trovato, del secondo anno di pubblicazione (1861), contengono diversi articoli che riguardano episodi incentrati nell'area Nord di Napoli e in particolare nel quartiere di Miano, ma anche a Mianella, Mugnano e Piscinola. Eccoli alcuni, nella loro spassosa parlata napolitana... 

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"Lo ministro de la Polezia non crede, pecchè dice che nnuje sognammo riazziune.
Lo Comando melitare non nce crede, pecché fa correre sulo la Guardia Nazionale, e sparagna li surdate. Li judece non nce credono pecché non connannano ll'arrestate.
Torino nun abbada a st'inezie. 

Lo Parlamiento parla.
Nfraditanto la riciccillazione mò caccia la ponta de lo naso da na parte, mò da n'autra.
Chello che nce 'a fatto propeto piacere è stato lo fatto de Miano, Mianella, Mugnano e autre celebre città vicine. Le ffemmene che, comme ve dicetiemo poche  juorne fa, erano jute co le barrecchie d'asprinia a ncontrà li Tudische, assennnosene tornate senz'avè ncontrato nisciuno, 'anno ditto a li cafune lloro de cercà de poterse abbuscà annoratamente co la santafede chello che non s'avevano potuto abbuscà lloro.
Accossì li surdate congedate, che tenevano proprio nganna no morzillo de Santafede, se sò aunite co na bannera janca pe scusa che 'anno tentato la riciccillazione.
'E corza la Guardia Nazionale de S. Carlo a l'Arena, co autre Guardie Nazionale dilettante ncarrozza, ncarruzzelle, e co grann'entusiasmo, l'ànno mise a ddovere de na brutta manera, se n'ànno carriate na sissantina a Napole pe conzignarle a la Polezia, co lo patto che la matina appriesso li ffacesse ascì.
Guardia Nazionale mia te farria mò na statua non dicimmo d'oro, ca le finanzie noste stanno paccariate, secunno dice lo Menisterio de Torino, ma de ramma; mperò non de chelle de le cinco rane che se so' fatte a Roma.  E. D. P.".


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Quadretto pubblicitario del giornale, con dei versi in rima...
"Fatticielle Nuoste
Da li maste de feste de Miano ricevimmo sta lettera a pagamento:
"Sebbeto bello - Dint'a na scartoffa che se fa cchiammà spassatiempo pe li 36 casale, nce sta na notizia che nce riguarda e tratta de no fatto ch'è stato mmentato de chianta da chillo che ll'ave scritto.
Se dice ce nuje avimmo forzato lo parrocchiano nuosto a mmettere la bannera de tre ccolure viramente lo parrucchiano non la voleva mettere, pecchè era amante de chella janca co la frittata mmiezo - De chesto nuje ne potarriamo cercà cunto a chille scritture che se mettono a ttaccarià la riputazione de lo nuovo parrocchiano nuosto che non fa niente si non lo ssape primma la Guardia Nazionale de Miano - Comme nfatto chist'anno non sulo lo parrocchiano 'a fatto mettere la bannera soleta, ma de tre ccolure, otto juorne primma de la festa ch'è Dommenica (18), ma quanto 'a fatto aparà la Chiesa tutta a tre ccolure da cchiù de 20 juorne, e 'a fatto mettere pe autre pparte de lo paese bannere e ccruce de Svezia - Cheste sò ccose che le pponno vedè purzì li cecate, pecchè Miano è ccà vicino e ognuno se po' levà lo sfizio - V'avimmo scritto sta lettera, cchiù  pe fa capacità quacche scemo che avesse avuto mmano chella scartoffia, che pe risponnere a lo scrittore de chill'articolo  - Creditece - Li maste de festa de Miano."


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"- Giovedì a la Cupa de Miano (**) è succieso no fattariello de quacche mportanzia - Ntramente lo 6.° battaglione de Ia Guardia Nazionale cammenava pe la passeggata soleta, se sentette tirà na fucciata da dint'a na macchia, che passaje pe copp'a la capa de lo Commannante - A cchesto tutto lo battaglione non se movette, a ll'infuore de 3 guastature e de tre autre guardie Nazionale spogliate ch'appartenevano a l'11° - Uno de chist'urdeme, s'azzardaje de ì piscanno da dinto a li chiante de cannavo (*), e comme nfatto le riuscette de trovà no guagliunciello.
Addimmannato a cchisto pe sapè chi aveva tirato la scoppettata, lo guaglione dicette ch'erano state 4 crapare, ma che isso non li canosceva, bensì lo patre - Là per llà fuje afferrate lo patre da lo stesso ndevidue de 11° battaglione e fuje portato nnante a lo Commannante, lo quale dett'ordene che se fosse portato a Napole e conzignato a l'Autorità competente. Lo riesto non lo sapimmo. Nuje lodammo assaje la premmura de lo milite spogliato de l'undicesimo battaglione."

(*) trad. "piante di canapa".
(**) La "Cupa di Miano" è storicamente identificata nell'odierna via Vecchia Miano: strada di collegamento tra Miano e Piscinola.

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"Na sciuliata
E mmò l'affare è sserio veramente!
Addonca non è scemità lo ditto de chillo poveta che dicette: "Cadono le città cadono i regni!"
Nuje nce simmo già.
Nientemenno che no giurnale de Torino àvè ditto che no paese bell'e buono dint'a na nottata de copp'a n'altura è sciuliato e s'è situato dint'a na vallata!
- Senza sconcecarse niente?
- Ninete, uno piezzo: è sciuliato senza farne addonà manco a la gente che dormeva.
- E comme se chiammava sto paese?
- Se chiamma Tenda, chillo de ddò n'era la celebre Beatrice de Belline.
- Vuje non lo ccredite?
- Nuje manco lo ccredimmo, ma lo giornale de Torino l'à ditto - Si pò è buscia, nuje nce lavammo le mmane.
Facimmo rifrettere sulamente che si sta pazziella de li paise accommenzasse a piglià pede, nuje sarriamo arruvinate.
E lo stesso de morì scamazzato.
Vuje mò dicite: e ccomme?
E ccomme che mò li brigante se stanno dacenno vedè pe le becinanzie de Napoli.
Pò essere che li Camandole, S. Antemo, Arenella, Antignano, Miano, ec. se metteno appaura de li brigante, e na notte de chesta ntramente nuje dormimmo nce li bedimmo ncuollo!
Nce volarria chesto - Verburanzia, scetarse la matina e vedè li Camaldole dint'a lo Monasterio de S. Chiara, l'Arenella dint'a lo quartiere de S. Carlo a ll'Arena, S. Antemo situarse a lo llario de Palazzo pe vennere ova sciacque, e Miano co tutta la pazzaria vederlo chiazzato dint'a le Finanzie noste!
Neh vuje vedite no poco che ira de Dio!
E de sta manera non è niente difficele che Sora addò sta Chiavone sciulia dinto Napole e se tirasse appriesso Roma addò sta Francischiello!
Vì che guajo! Vì che guajo!
E difficele, và buono, ma dà assje da temè!
E ppò si ste disgrazie stanno assaje lontane, non sta niente affatto lontana na disgrazia che io mme la sento scennere per li rine.
 E de che se tratta?
- Che na matina de chesta jammo per scetarce e nce trovammo mmiezo Torino, nce jammo pe lavarce la faccia trovammo acqua de Torino, jammo pe magnà e trovammo magnà de Torino e ghiammo per risciatà, e risciatammo.... aria de Torino!
Ve pare difficile?
Sè, che mò nom stamm'a cchesto! (Rce.)" 

Testata del giornale, in una edizione del primo anno, 1860
Bello e divertente questo articoletto sull'interpretazione della parola "Riciccilazione", usata spesso dal giornale:

"La Riciccillazione
Storiella Napolitana.
Li libberale chiammano riazzione chella che à tentato e bbà tantanno lo partito codinesco, Loro la chiammano ristorazione; li patalucche la chiammano revoluzione; li mammalucche, leggittemismo; li niuzziante fallute la chiammano murattismo; ll'antiche la chiammavano brigantaggio, a lo 99 se chiammava santafedista, ma nuje che non bolimmo avè che fa co nisciuno, la bolimmo dicere riciccillazione. Ecco le base de sta storiella ch'è accommenzata co le cinco rana fauze, e fernerrà co cannone e sapone. Essa è nata a Roma, crisciuta a Porchiano, pasciuta fora Grotta, e morta a Napole. 'A fatte na nquantetà de figlie, specialmente per li paisotte vicine, addò na nquantità de  scolacarcaselle l'ànno fatto li compare." 


Salvatore Fioretto

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sabato 5 marzo 2016

Ammaliato dalle bellezze del contado a settentrione di Napoli, Re Carlo decise di costruire la Reggia...


"Questo piccolo e antico borgo di periferia è stato circondato per secoli da un “mare verde” di messi e da numerose masserie sparse nel suo interno, dove la gente che vi abitava amava la terra in maniera speciale [...] 
Il territorio di questo borgo doveva apparire un tempo bellissimo agli occhi dei visitatori, per la densità del verde delle sue selve, per le sue messi che cangiavano di colore in continuazione nel corso dell’anno, conferendo un tocco quasi divino al paesaggio..."   
Con queste parole nel 2010 dedicavo a Piscinola un ritratto poetico, nel mio libro "Piscinola la terra del Salvatore"; ma devo aggiungere che questa mia percezione poetica non era affatto azzardata, perché le cronache del passato riportano tante testimonianze di viaggiatori stranieri che, visitando il contado a Nord di Napoli, restavano affascinati per la sua bellezza e riportavano nei loro scritti queste sensazioni. La stessa sensazione fu sicuramente provata dal sovrano Carlo di Borbone, già quando, a pochi mesi dalla sua ascesa al trono del regno di Napoli e di Sicilia, organizzava in questo territorio  delle battute di caccia, assieme a tutta la corte
Il sovrano restava ammaliato dalla bellezza che offriva il paesaggio con i Casali sparsi al suo interno, ed è per questo che Egli prese la decisione di costruire un sito reale proprio sulla collina di Capodimonte...
A dimostrazione di questo assunto, ecco cosa riporta il cronista Giuseppe Senatore, nella sua cronaca Il Giornale storico di quanto avvenne ne’ due rami di Napoli, e di Sicilia l’anno 1734 e 1735..."
[…] Al I del mese di luglio del 1734 perché aveva già la M. del Rè compiute le visite de’ luoghi più principali, e ragguardevoli della Città; e delle più cospicue, e principali chiese nelle quali al suo arrivo erasi sempre il solenne Te Deum intuonato in umile ringraziamento al Sommo Motor dell’Universo, pel suo qui felicissimo arrivo, per lo suo felicissimo avvenimento al Trono di questo Regno, per le tante, già di sopra appieno descritte, riportate vittorie, e finalmente per essersi degnato concederci un Monarca sì buono, sì pio e sì amante, e pietoso de’ suoi fedeli vassalli; portossi quel giorno la Maestà Sua col solito seguito de’ Personaggi di Corte alla dilettevol caccia dei volatili della deliziosa villa di Piscinola, che si possedea dal Marchese d’Acquaviva Carmignano, nel luogo dove dicesi Capodimonte (a). […]

(a) Questo luogo egli è non guari lontano dalla Capitale di Napoli, e comunemente è stato ei sempre tenuto, come al presente si tiene che sia e lo più nobile, e lo più preggiovole di tutta essa capitale, e suo ampio distretto, non solo per l’elevatezza del poggio, e per l’amenità delle sue piacevoli, e fruttifere ville, e benanche per la temperatezza, e la salubrità dell’aere; ed egli tanto vero, che eziandio nei tempi dell’antica Napoli era per tale in istima tenuta, conciosiacosacchè  in contesto monte, e proprio dove dicesi in Ara Veteri (#), come in luogo più degno, e cospicuo si ha per tradizione, che i napoletani sacrificavano a lor falsi numi, pria che il Principe degli Apostoli con la sua venuta, gli avesse mediante la sua Vangelica verità, sgomberate le caligine dello gentilesimo. 
A gran ragione addunque il nostro invitto Sovrano, per essere il vasto territorio di Capodimonte lo più vago, e lo più delizioso sito, c’abbi la nostra bella Partenope, e per conseguente di molto alle Sue magnanime, e Regali idee appropriato, Vi sta al presente con molto dispendio facendo edificare, sotto la direzione e, disegno del sovraddetto Brigadiere, Ingegner maggiore Medrano, un Regal casino di campagna per suo diporto de’ tempi estivi; che in vero ne lo più bello, ne lo più nobile, e magnifico, nettampoco lo più ben ideato giammai formar con esorbitante spesa potrebbesi. 
E la disopra mentovata villa del Marchese Carmignano, con altre contigue ville e territori, anche di presente scorgonsi bellamente convertite in una Regale, e gran villa, o sia amenissimo bosco di nuovo piantato, e tutto a suo dintorno murato, venendo egli di continuo, per ingionti Regali comandi, e da milizie e da Cacciatori custodito: scorgendosi nel mezzo di esso, oltre all’altre rimarchevoli cose, e superbi abbellimenti, per lo Regal ricovero, un altro picciol sì, ma nobile abituro in piano, ed una cisterna di mirabile struttura, per servirsi delle sue acque ad innaffiar le piante e fiori, e ad abbeverar la infinita copia de’ selvaggi quadrupedi, e volatili di ogni spezie, in essa Villa e in bella posta introdotti. 
Colà giornalmente si degna il nostro Re portarsi, qual’ora è in cotesta sua Reggia intrattiensi, e non conducensi a fare il bel soggiorno nell’altra sua Regal villa di Portici, situata nella riviera d’Ercolano, oggi Torre del Greco. […] Oltremodo per tanto invaghita la Maestà del nostro Monarca della piacevolezza e amenità di quest’altra pregiabile Villa, per esser ella eziandio di molto al gradito diporto della caccia de’ volatili (per altro naturalmente di ciò ubertosa)accomodata, non che per la salubrità dell’aere, non solo sommamente confacevole alla sua tanto importante salute, ma benanche di molto profittevole a quella della sua magnanima, e gloriosa Regal Consorte Maria Amalia Walburga, Augustissima Regal Principessa di Polonia, e di Sassonia, nostra tanto venerata, e pia Regnante; di suo Regal ordine al presente la soprallodata Villa scorgersi bellamente fornita di tutti que’ pregi e di tutti que’ superbi adornamenti che seco porta la stanza, e la grandezza di amenduni sì incomparabili Regnanti, e che mai la industriosa arte, e l’umano ingegno conceder poteali; e tra le altre magnificenze vi si osserva formato, col disegno, e direzione dello stesso Brigadiere Medrano un bellissimo, ed ampio bosco con delizioso giardino di ben ideati lavori di parterra, di bussi, mirti, fiori, agrumi ed altro e un sontuoso teatro per uso delle commedie ed altri pubblici spettacoli, che attacca, anzi comunica colla ben’adorna, e capace Regal abitazione, che una col comodo casino di contro, che anch’egli per mezzo di un porte comunica colla mentovata Regal abitazione, si possedean già dal principe di Caramanica e dal conte di Falena, secondogeniti della casa de’ Duchi di Casoli Aquino (*).

Salvatore Fioretto

Al Bosco di Capodimonte abbiamo già dedicato in passato i seguenti post:  
http://piscinola.blogspot.it/2014/03/quel-ramo-del-bosco-che-guarda.html 
http://piscinola.blogspot.it/2015/03/piscinola-secondigliano-miano-e.html 



NOTE:
(*) Testimonianza tratta dal libro “Il Giornale storico di quanto avvenne ne’ due rami di Napoli, e di Sicilia l’anno 1734 e 1735 nella conquista che ne fecero le invitti Armi di Spagna sotto la condotta del glorioso nostro Re Carlo Borbone in qualità di generalissimo del gran monarca cattolico”, opera di Giuseppe Senatore giureconsulto napoletano. Divisa in due parti. In Napoli nella stamperia Blasiana - MDCCXLII (1742).
(#) [...] Nell'anno 1656 questo Regno travagliato dal Contagio, i Napoletani in questo medesimo Monte si ritiraron come in Regione più salubre, e meno esposta all'infezion pestilente, colla quale occasione furon ivi ritrovate moltissime medaglie coll'impronto dell' lmperador Diocleziano: leggesi ciò presso il canonico Francesco de Magistris, che così scrive: "Hoc nostro tempore 1656 quo causa Pestis per aliquot dies mense Julii moram habimus in Montanea Capitis montis,et proprie ubi dicitus Sanctus Nicolaus  de Ara Veteri in summitate ejusdem montis fuere reperta aliqua numismata aenea cum impressa figura, et iscriptione nominis Diocletiani Imperatoris".




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