venerdì 19 febbraio 2016

Mons. Salvatore Cavallo, storpiato si trascinava per le strade, per aiutare i suoi poveri...

Cupola e campanile di Santa M. delle Grazie (parrocchia di San Giacomo Mag.), con sfondo panoramico del Matese
Il personaggio di cui racconteremo la vita, pur non essendo nato e vissuto a Piscinola, è stato molto attivo nell'area Nord di Napoli, estendendo il suo pensiero e l'azione che animava il suo operato fino a noi. Egli ha formato tanti uomini e apostoli di fede, che hanno speso la loro vita a servizio delle nostre comunità, parliamo di monsignor don Salvatore Cavallo.
mons. Salvatore Cavallo
Don Salvatore Cavallo nacque del piccolo comune di Calvizzano, il 21 marzo 1883, da semplici genitori.
La sua famiglia, molto religiosa, aveva già dato, in antichità, alla comunità di Calvizzano due sacerdoti, infatti Cristoforo Cavallo fu parroco della chiesa di San Giacomo Maggiore di Calvizzano, dal 1589 al 1640, morì a Calvizzano il 7 luglio 1640 e don Giovanni Battista Cavallo, figlio di Rienzo (Lorenzo), anch'egli sacerdote, che morì l'8 novembre 1633.
Salvatore Cavallo sentì fin dagli anni della sua fanciullezza la chiamata al sacerdozio e a quattordici anni decise di intraprendere il percorso di studi al Seminario di Napoli.
Altare maggiore della parrocchia di S. Giacomo Maggiore
Così riporta il canonico Balzamo descrivendo mons. Cavallo: "La sua vita fu come un ruscello che, scaturito da limpida roccia, senza ristagnare né intorbidirsi mai in un lungo percorso, per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume".
Figliolo affettuoso dell'antica terra di Calvizzano, si fece amare dai suoi concittadini, ma ebbe stima e affetto anche dai compagni di studio in Seminario: amò e fu amato da tutti i seminaristi e dai docenti che lo conobbero.
Si fece portatore di pace in Seminario, infatti tra i seminaristi interni e i chierici esterni, che frequentavano l'istituzione, non correva buon sangue. Egli, a modo suo, seppe rompere quel ghiaccio e incominciò a legarsi amichevolmente con un certo Gennaro Tignola, e a sua volta con altri chierici; altri presero l'esempio, fino a che tutto il seminario si sciolse in uno scambio di amicizie...!
Cupola e campanile della chiesa di S.Maria delle Grazie (Calvizzano)
Tutti erano entusiasti di don Salvatore e lodavano la sua grande bontà!
Quel legame durò anche dopo il seminario, infatti quando fu parroco e anche nel periodo della malattia, non gli marcò mai la visita di questi suoi "fratelli del Seminario".
Fu uno studente modello, amò lo studio in maniera speciale, fu sempre tra i migliori alunni di tutti i corsi frequentati. Veniva sempre premiato per il suo profitto nelle scienze. 
La sua formazione non finì con gli anni accademici, infatti nella sua vita non tralasciò mai di studiare.
Durante gli anni del Seminario, nel periodo di vacanze, le sue ore migliori le trascorreva nella chiesa di Calvizzano, impartendo lezioni di catechismo.
Al termine del ciclo di studi, si laureò in Diritto Canonico.
Libretto biografico di Salvatore Cavallo
Mons. Salvatore Cavallo fu ordinato sacerdote nell'anno 1908.
Alcuni anni dopo, dietro indicazione dell'Arcivescovo di Napoli, ricevette l'alta onorificenza di Prelato Pontificio (prelato domestico del Papa), ma occorsero molte insistenze perché il curato accettasse la nomina. A quelli che gli facevano gli auguri, rispondeva: "Che auguri, se il Signore fosse contento di me, allora sì che mi consolerei".
Fu quindi nominato prima vice rettore e poi rettore del Seminario Minore di Napoli. Amò i suoi seminaristi in maniera speciale. Quando si accorgeva che qualche suo seminarista aveva bisogno di una parola amica, non si risparmiava mai. I seminaristi formavano la sua seconda vita!
Cercava di infondere amore e fede anche tra il personale serviente il Seminario, come verso i camerieri, che erano di gran numero a quei tempi.
Parrocchia di San Giacomo Maggiore a Calvizzano, foto di inizio '900
Si racconta che un certo Michele aveva molti figli e qualcuno anche storpio. Egli era sempre in difficoltà economiche, specie nei periodi di vacanza dei seminaristi, quando la cucina era chiusa e doveva provvedere da solo al vitto giornaliero. Don Cavallo lo andava incontro in queste sue difficoltà, dandogli in prestito una bella somma di danaro e così  Michele poteva sbarcare il lunario...
Mons. Salvatore Cavallo amò tanto gli infermi. Il suo pensiero fisso erano gli ammalati negli ospedali, che amava smisuratamente. Per essi voleva che anche i seminaristi coltivassero questa stessa dedizione, perché considerava l'amore per gli infermi come una scuola di alta formazione di santità e d'apostolato. Usava visitare diverse volte la settimana gli ospedali della città di Napoli. Lo fece anche da parroco.
Parrocchia di San Giacomo Maggiore a Calvizzano, vista esterna
Quando era rettore del Seminario e gli portavano cesti di frutta o altre cose, egli non tratteneva niente per sé, donando ogni cosa ai suoi cari infermi. 
Nel 1928 gli fu assegnata la parrocchia di San  Biagio di Mugnano, che resse ininterrottamente per 19 anni.
Innamorato di Gesù Cristo e del Vangelo, visse  con fervore il suo ministero, senza tregua, tenendo tuttavia a cuore il nascondimento e l'umiltà. Già amante dei poveri, fu investito dalla fiamma ardente dell'opera missionaria...!
Ebbe a cuore solo la gloria di Dio che era la sola ragione della sua esistenza.
Parrocchia di San Biagio a Mugnano di Napoli, facciata
Ciò che operò, ciò che pensò, ciò che disse, tutto s'incentrava nell'amore di Dio. Ma quell'amore così grande pensò di riversarlo al prossimo, verso gli ultimi della sua parrocchia e del territorio circostante. Amò gli infermi, i derelitti e tutti quelli che erano senza speranze...
A mezzogiorno, chiusi i battenti della parrocchia,  era puntualissimo nella visita agli ammalati. Lo fece anche quando una gamba gli venne a mancare, a seguito di una tremenda malattia. Con la stampella sotto al braccio, continuò imperterrito  a visitare ogni giorno i suoi cari infermi, fino a quando le forze glielo permisero.
Fu un pastore esemplare e indomito, amò la sua famiglia spirituale, i fanciulli, gli uomini, le donne, gli infermi e i poveri.
Parrocchia di S. Biagio, altare maggiore, foto d'epoca
Chiamava i fanciulli amorevolmente per nome, e anche se era di indole riservata e taciturna, con essi si apriva, scherzava e giocava, facendosi fanciullo tra i fanciulli.
Voleva che si facesse ogni giorno il catechismo in parrocchia. Quel catechismo fu fucina di tantissime vocazioni ecclesiastiche. Tanti uomini, poi divenuti consacrati, hanno visto nascere la loro vocazione da quella fucina: sacerdoti, suore e frati devono un grazie a don Salvatore Cavallo, e tra questi troviamo anche don Angelo Ferrillo di Calvizzano, che fu parroco della chiesa del SS. Salvatore di Piscinola e don Nicola Frascogna di Mugnano, che fu strenuo missionario del PIME in India, le cui vicende abbiamo già narrate in due post qualche tempo fa. Fu particolarmente stimato dal beato Paolo Manna, fondatore del PIME.
Quando vedeva che i suoi figlioli erano fermamente intenzionati a continuare quel percorso di fede, faceva ogni modo per incoraggiarli, anche economicamente, per affrontare gli studi al Seminario.
Parrocchia di San Biagio a Mugnano di Napoli, interno
Per i giovani  e per gli uomini di Mugnano egli volle istituire in parrocchia i Ritiri di perseveranza.
Incoraggiava la frequenza all'Azione Cattolica, sia i ragazzi che le ragazze. Partecipava con costanza agli incontri con i giovani, durante i quali preferiva annunziare la parola di Dio senza fronzoli e retorica, ma in maniera semplice e diretta.
I poveri erano il suo occhio destro... Dopo la morte si venne a sapere, tra l'altro, che un povero percepiva un suo aiuto mensile di duemila lire...
Amava tanto i poveri, quando gli regalavano dei dolciumi o a casa sua la sorella preparava qualche pietanza saporita, destinava tutto a essi. 
Mugnano di Napoli, facciata della chiesa parrocchiale di San Biagio
Sempre disponibile per ricevere e rincuorare chi ricorreva alle sue amorevoli cure, dedicava molto suo tempo nel confessionale. Non usciva mai per una passeggiata di piacere, non prendeva mai vacanze. Andava a Napoli a visitare i suoi malati, oppure a Melito, a piedi, a visitare la chiesa e l'orfanotrofio, ma sempre per breve tempo.
A volte fu visto percorrere a piedi la strada da Calvizzano a Napoli, non prendeva il tram per dare un buon esempio di sé, soprattutto agli operai, che non potevano permettersi di pagare il biglietto. Spesso questi vedendolo, esclamavano: "Anche i sacerdoti, come noi, vanno a piedi fino a Napoli!".
Altra sua predilezione furono le opere missionarie. Basterebbe, infatti, raccontare le sue opere per le missioni per immortalare il suo nome. Egli soleva dire sempre che le opere fatte per il bene degli infedeli ritornavano a vantaggio dei fedeli... Non sapeva più che fare per i suoi cari infedeli! Diffondeva questo suo ideale in quanti lo conobbero e chiedeva di avere sempre un'attenzione per le opere missionarie.
Parrocchia di San Biagio a Mugnano di Napoli, interno
Utilizzò il mezzo della stampa per coltivare le sue anime. Quando era rettore del Seminario Minore di Napoli, comprava spesso libri, nuovi e usati, per farli leggere ai suoi studenti:  libri di ascetica, missionari e apologetici. Con cura, nella messa domenicale in parrocchia, faceva sempre dispensare le riviste della "Pia Società San Paolo".
La sua vita fu una fiamma spirituale ardente che si consumava nel sacrificio, ma il sacrificio fu il lievito e fermento per il suo apostolato. Alla sera andava a letto tardi e la mattina presto era già in piedi, sempre il primo a recarsi in chiesa. Trascorreva molto tempo in confessionale, che intervallava con un pranzo molto parco e frugale. Non si lamentava mai. Quando doveva lavorare per le sue anime non conosceva stanchezze.
Mugnano, antica chiesetta di S. Giovanni a Carpignano
Quando gli fu amputata la gamba, a causa dell'avanzare del male incurabile che colpì il ginocchio, a stento e con gran fatica avanzava, specialmente nel percorrere le scale che collegava la canonica alla parrocchia.
Soffrì  moltissimo per quella malattia e per lungo tempo, ma affrontò quel sacrificio sempre con il sorriso sulle labbra.
Morì il 5 febbraio 1947, in odore di santità.
Tanti cittadini di Calvizzano e di Mugnano ricordano ancora oggi la figura esemplare del loro caro Mons. Salvatore Cavallo.
Per questa biografia abbiamo preso spunto dal grazioso e raro opuscoletto che abbiamo rintracciato, intitolato: "In memoria di Mons. Salvatore Cavallo parroco di Mugnano - Commemorazione  del 21 febbraio 1947", a cura di mons. Raffaele Balzamo.
Su don Salvatore Cavallo, anche lo scrittore di Mugnano, Carmine Cecere, ha dedicato negli anni scorsi una bella biografia, contenente l'articolo pubblicato dalla rivista missionaria del PIME "Venga il tuo regno", che riportiamo a termine di questo scritto.

Salvatore Fioretto


Si ringrazia lo scrittore Carmine Cecere per la sua collaborazione a "Piscinolablog" e per aver fornito alcuni testi e le foto storiche inserite in questo post. 


Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati agli autori, ai sensi della legislazione vigente.
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state tratte liberamente dai siti web dove erano state pubblicate, il loro utilizzo in questo post è stato fatto senza scopo di lucro o altri fini, ma solo per la libera divulgazione della cultura.

Biografia tratta dal sito "AltraMugnano" a cura del webmaster e scrittore Carmine Cecere

venerdì 12 febbraio 2016

"Echi di cronaca... gli avvenimenti dimenticati"

Foto di un brigante
Tanti eventi accaduti nel nostro territorio sono rimasti nei fogli ingialliti di antiche pubblicazioni o, spesso, sono stati attribuiti genericamente al territorio della città di Napoli, senza fornire una precisa collocazione che citasse il nostro territorio, specialmente dopo il processo d'accorpamento dei tanti Comuni dell'Area Nord, al vasto territorio della "Grande Napoli", come essa sarà identificata negli anni '20 del secolo scorso.  
Nei primi anni che seguono l'Unità d'Italia le cronache si concentrano su un'intensa attività di gruppi armati, che saranno identificati dai graduati militari con il termine dispregiativo di "briganti". Si registrano tanti scontri armati tra questi gruppi con alcuni reparti dell'esercito, arresti e incursioni nel territorio, ma si evidenziano anche alcune defezioni tra i sottufficiali dei presidi della Guardia Nazionale.
E' evidente che molte notizie all'epoca non sono state diffuse oppure è stato enfatizzato il carattere sovversivo del movimento, per una questione di censura imposta dal nascente ordinamento, ancora a carattere militare, ma registriamo anche una carenza degli organi di stampa locale. 
Come è stato già riportato in un precedente post di questo blog, molti di questi briganti erano ex soldati del disciolto esercito borbonico, che non vollero arrendersi e consegnare le armi al nuovo ordinamento statale; riuniti in gruppi, lottavano sperando in un ritorno al potere del loro sovrano. I saccheggi, di cui venivano accusati, erano compiuti solo per assicurare del cibo necessario al loro sostentamento oppure per demolire i simboli del nascente Stato.
Foto di soldato dell'esercito piemontese
Le notizie qui riportate sono state tratte dai dispacci conservati nell'Archivio di Stato di Napoli, che sono stati raccolti nel volume: Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Guida alle fonti per la storia del Brigantaggio post-unitario conservate negli archivi di Stato. Pubblicazione a cura del Ministero per i beni e le attività culturali - Ufficio centrale per i beni archivistici. Stampato da Arti Grafiche Boccia, Fuorni-Salerno. Giugno 1999.
Essi rappresentano una sintesi degli scritti trasmessi dai vari organi di vigilanza spiegati sul territorio, alla Prefettura, alle Sottoprefetture o alle Luogotenenze  dell'epoca.
Precisiamo che l'elenco della nostra fonte è nutritissimo di eventi di brigantaggio, ma abbiamo estrapolato solo gli avvenimenti riferiti esplicitamente al territorio dell'Area Nord di Napoli e dintorni. 

Anno 1861
- febbraio 1861. Assalto di una comitiva armata alla casa di Michele Zappulla, in contrada Grotta del Sole, tenimento di Marano.
Soldato della Guardia nazionale. Collez. privata
- Attacco di una banda armata al posto di Guardia Nazionale di Chiaiano.  Proposta di scioglimento e disarmo della Guardia Nazionale di Pianura. Pianura e Chiaiano per sospetta connivenza con le bande dei dintorni.
- Attività di comitiva capitanata da Alfonso Cerullo nel tenimento di Marano.
- Arresto del brigadiere Domenico di Vaio, del villaggio di Nazaret, presso Chiaiano.
- Arresto del brigadiere Raffaele Esposito, detto Chianese, appartenente alla banda di Alfonso Cerullo.
- Sui fratelli Rigagnaniello di Pianura, presunte spie dei briganti della montagna dei Camaldoli.
-Salvatore Rippa, capobanda, si costituisce alla Guardia Nazionale mobile di Chiaiano.
-luglio 1861. Rapporti giornalieri del Governatore della provincia di Napoli, tra l'altro sulla comparsa di comitive armate in S. Pietro a Patierno, Giugliano, Qualiano, Afragola e Marano. 
- luglio1861. Marano banda di centoventi briganti. Napoli comitiva di briganti comparsa in S. Croce. Rapporto giornaliero del 28 luglio 1861. 
Raduno segreto di briganti (da una stampa d'epoca)
- Aggressione di masnadieri armati ad una casa colonica di Marano.
- Napoli. Banda di sessanta briganti comparsi ai Cangiani.
- Arresto di un brigante della banda di Marano.
Foto di gruppo di briganti
- Su una banda armata capitanata da Alfonso Cerullo operante nel circondario di Pozzuoli, in particolare nella zona di Giugliano; conflitto a fuoco nella Casina Poerio in tenimento di Cuma e annientamento della banda.
- Marano. Comparsa di banda di venti soldati sbandati.
- Napoli. Banda di sessanta briganti assale un possidente ai Cangiani.
-Napoli. Banda aggredisce ai Camaldolilli, Salvatore Conte ai Cangiani.
- Arresto briganti comparsi in contrada S. Croce: Gaetano Graziani, Giuseppe Angelillo, Gennaro di Francesco, Giovanni Davide, Tommaso De Angelo, Gabriele Rajano, Giovanni Solla, Gaetano Vajo, Ferdinando Rusciano, Francesco Rippa, Gabriele Rusciano.
- Segnalazione di una banda armata nelle campagne di Capodimonte. 
- Pianura-Pozzuoli. Banda guidata da Alfonso Cerullo e Raffaele D'Amore. Delazione del carcerato Arcangelo D'Amalfi.
- Bosco dei Camaldoli banda di briganti.
- Bosco dei Camaldoli, comitiva di briganti commettono aggressione e furti.

Briganti catturati da soldati piemontesi (foto)
Anno 1862
- Aggressioni e rapine sulla consolare di Roma in prossimità di Aversa. Perlustrazioni ed arresti in Giugliano, presunto covo di grassatori.

Anno 1863
- Banda armata in Marano capitanata da Raffaele Luccio. Grassazione compiuta da costui in danno di Paolo Magliola a Giugliano.
- 27 novembre 1863. Arresto a Marano del capo brigadiere Alfonso Cerruti.
- Presunta comparsa di una banda di Briganti nei dintorni dei Camaldoli presso Napoli.
Brigante Alfonso Cerullo (da una stampa d'epoca)
- Rapina a opera di un gruppo di malviventi in casa di un oste sulla strada dei Camaldoli; inseguimento e cattura degli autori ad opera del delegato di P.S. di Pozzuoli.
Comparsa di briganti ai Camaldoli. Esito negativo nelle ricerche. Relazione del questore all'autorità giudiziaria sul brigantaggio nelle campagne di Orsolona e Camaldoli.
- La sottoprefettura di Casoria fa presente la necessità di istituire in Piscinola una stazione dei Carabinieri contro il pericolo rappresentato da una banda di Briganti in via di organizzazione.

Anni 1864-65

- Banda di Marano, operante nel 1861-62 nelle campagne di Pozzuoli e Casoria. Arresto del capo banda Alfonso Cerullo e di altri briganti, tra cui Giuseppe Vallefuoco, Macedonio di Maria. Indagini e interrogatori. 
Brigante (da una stampa d'epoca)
Anno 1868 
- 13 agosto 1868. Arcangelo d'Amalfi di Marano, Domenico Musetta di Miano, Nicola Santoro di Pianura, Alfonso Cipolletta e Biase Chianese di Mugnano ed altri: organizzazione di banda armata con il fine di cambiare e distruggere la forma del governo e suscitare la guerra civile tra gli abitanti dello stato e portare la devastazione e la strage contro una classe di persone, grassazione. 

Anno 1869

- 15 giugno 1869. Alfonso Cerullo vari reati in banda armata ad oggetto di cambiare e distruggere la forma del governo. 
- 25 agosto 1869. Nicola e  Vincenzo Russo di Piscinola: ribellione commessa in riunione armata di persone in numero maggiore di dieci."

I questi anni si verificò anche un grave episodio per l'incolumità pubblica degli abitanti del "villaggio" di Piscinola: apprendiamo la notizia dalle cronache contenute nel giornale "Il Ferruccio - Giornale del popolo", Anno I,  Numero 26, del 18 agosto 1864, giornale stampato a Firenze.
Nella rubrica "Notizie", a pagina 3, infatti si legge:
Testata del giornale "Il Ferruccio - Giornale del popolo" anno 1864
"14 (agosto) - Undici case rurali furono ieri divorate dal fuoco nel villaggio di Piscinola, Vi accorsero i pompieri di Napoli, i carabinieri di villaggi vicini, e molti soldati della 8 fanteria. Senza questi aiuti quel villaggio sarebbe stato quasi interamente distrutto, essendo le case per lo più formate e ripiene di materie accensibili. Una donna e tre bimbi correvano pericolo di rimaner vittime delle fiamme; ma mercé sforzi generosi furono salvati."
Soldati della Guardia Nazionale (da una stampa d'epoca)
Purtroppo non sappiamo dove si sviluppò l'incendio, se nel centro storico, oppure in qualche masseria lontana dal centro del "villaggio"; a quell'epoca Piscinola godeva  ancora di autonomia comunale. Dal numero di abitazioni coinvolte, ben undici, e per la cospicua presenza di materiali infiammabili descritti, propendiamo per una masseria piscinolese. Non sappiamo l'esito delle indagini, se le cause furono accidentali o dolose. Per nostra fortuna tutto si risolse senza danni alle persone, pur con significativi danni agli edifici. Da notare il solerte e salvifico intervento del corpo dei Pompieri, dei Carabinieri e dell'Esercito, già ben distribuiti sul territorio.
Una cosa interessante che si legge in questa cronaca è quella che il presidio dei Carabinieri tanto auspicato dalla sottoprefettura di Casoria, nel dispaccio di cui sopra, non era stato ancora realizzato...  Anche allora la burocrazia aveva i tempi di oggi...!
Della storia del brigante Alfonso Cerullo e dei briganti in genere, abbiamo già dedicato un post tempo fa, a cui rimandiamo il lettore interessato.
"Il brigante partigiano: Alfonso Cerullo" 

Ringraziamo gli autori della pubblicazione "Guida alle fonti per la storia del Brigantaggio post-unitario conservate negli Archivi di Stato" e anche il gruppo di lavoro archivistico che fu organizzato per questo progetto di catalogazione. Gruppo che ha operato per oltre due lustri, rendendo un grandissimo contributo al mondo della ricerca e della cultura, con questa monumentale opera del libro che ha permesso la divulgazione monografica di uno spaccato di storia del nostro territorio.
Salvatore Fioretto
 
Banditi catturati a Frosinone (da una stampa d'epoca)

Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati agli autori, ai sensi della legislazione vigente.
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state tratte liberamente dai siti web dove erano state pubblicate, il loro utilizzo in questo post è stato fatto senza scopo di lucro o altri fini, ma solo per la libera divulgazione della cultura.

sabato 6 febbraio 2016

Sanguinacci, scagliozzi, chiacchiere e migliacci... il Carnevale è servito!



Tra le ricorrenze dell’anno, il Carnevale è stato sempre festeggiato dagli abitanti di questo territorio con una particolare predilezione. La festa tradizionale è la risultante di un retaggio e di una stratificazione storica abbastanza significativa
Dobbiamo prima di tutto sottolineare che a Napoli, contrariamente a quanto avviene nelle altre città d'Italia, il Carnevale è stato sempre festeggiato piuttosto in sordina nel centro cittadino (più legato storicamente alla festa settembrina della Piedigrotta), mentre è più radicato e sentito nei suoi borghi periferici. Qui, in una comunità che era prevalentemente contadina, la festa cadeva in un periodo di stasi della produzione agricola, dove la farina di miglio o di granoturco erano gli elementi poveri che riuscivano in cucina a colmare la carenza dei prodotti freschi e poi la macellazione del maiale, un tempo assai fiorente, costituiva il fulcro di tutto l'inverno e quindi anche del Carnevale. La festa del Carnevale, in netto contrasto al periodo di Quaresima (periodo che lo seguiva, con austerità di cibo), offriva al ceto popolare e contadino questo momento di divertimento, di svago e soprattutto di leccornie per ogni tipo di palato...
Il Carnevale è stato festeggiato da queste parti in ogni periodo storico. Dei festeggiamenti che si usavano fare nei secoli scorsi abbiamo trovato un cenno storico riportato nel poemetto in vernacolo scritto nel 1787 da Nunziante Pagano, dal titolo: “Mortella D’Orzolone, Poemma Arrojeco”. Nel canto II, troviamo la seguente strofa, nella quale sono citati Piscinola, Chiaiano, Polvica, Marianella e Mugnano:

 […] A Ppasca, e ffuorze fuorze a Carnevale,
Chella respose, e nce vo fa no nvito
De quanta nce nne stanno a sto Casale,
Pe fa fa annore a mmene, ed a lo Zito:
E ppe nce fa na festa prencepale,
Nce vo chiammà li suone de Melito,
De Pescinola, Pollica, e Cchiajano,
e dde Marianella e dde Mugnano.
Mmperzò, Petrillo mio, conto le juorne
Pe nzi che non se fa sta parentezza;
Uh se navimmo d’allommare forne!
Uh se nce perzo moro d’alleggrezza! […]
Nei tempi moderni la ricorrenza del Carnevale aveva il suo apice il “Martedì grasso”, quando, la sera, molti ragazzi usavano travestirsi e truccarsi “da donna” e alcune volte, anche le ragazze “da uomini”. Dopo la preparazione, alquanto goffa, con parrucche e vestiti di colori sgargianti, si recavano, accompagnati da amici, a trovare altri amici e parenti, con lo scopo di sorprenderli e farli partecipare alle loro risate.
Per le strade e nei cortili si eseguivano scherzi e sberleffi; il più comune era quello di lanciare della farina sulla testa dei viandanti, imbiancando un po’ i loro capelli e i vestiti. Solo a partire dagli anni sessanta, si è diffusa la tradizione di mascherare i bambini con vestitini fatti di carta prima e di stoffa dopo.
La pratica barbara del “lancio delle uova marce” non era conosciuta a quei tempi, ma fortunatamente è assai scemata negli ultimi anni...
Tuttavia, come c'è da aspettarsi, è a tavola che il Carnevale offriva e offre ancora oggi, la migliore "esibizione" di se stesso...! 
Mentre la “cucina rustica” calava l'asso della ghiotta "lasagna", accompagnata dalmigliaccio rustico” e dagli “scagliozzi”, quella cosiddetta “dolce” rispondeva alla pari con il "sanguinaccio", il “migliaccio doce ‘e farenella”, e le “chiacchiere”...
Festa di Carnevale a Napoli, sfilata di cigni
Dobbiamo sottolineare, per dovere di informazione, che queste pietanze gastronomiche non costituivano una tradizione esclusiva del nostro territorio, perché erano diffuse in tutti i quartieri della città e, con alcune varianti, anche in moltissimi centri d'Italia, ma qui da noi alcune tipicità e sfumature della loro preparazione (come la qualità e l'origine degli ingredienti e le modalità di cottura), riuscivano a personalizzare, in maniera univoca al territorio, le singole specialità gastronomiche.
Come abbiamo già accennato era l'allevamento del maiale a fare da baricentro alla festa del Carnevale; in effetti ci sono più di una motivazione che spiegano questo particolare collegamento storico.

Il maiale simbolo di abbondanza, da godere a tavola a Carnevale  
Tutte le ricette rustiche e dolci di Carnevale hanno praticamente un comune denominatore, rappresentato dal maiale e dai prodotti suoi derivati.
Sant'Antonio Abate
Il maiale è un antichissimo simbolo antropologico che esprimeva condizioni e momenti di abbondanza nella società umana, e ha avuto forti legami con la sfera del sacro:  anche nella religione cattolica l’animale è stato associato all'iconografica sacra, in particolare con Sant’Antonio Abate, festeggiato secondo la tradizione il 17 gennaio, data che segna proprio il giorno in cui ha inizio la festa del Carnevale..Sant'Antonio Abate era considerato in antichità il protettore del popolino ed era invocato da esso specialmente contro l'epidemia di Herpes Zoster, chimperversava in ogni angolo dell'Italia. Per tal motivo a Napoli, fino al periodo Barocco, il maiale era un animale rispettato e quasi venerato, soprattutto per le proprietà lenitive del suo grasso, usato come unguento contro le sofferenze causate dall'infezione herpetica (chiamata comunemente Fuoco di Sant'Antonio). Finanche nel centro cittadino il maiale era allevato allo stato libero, adottato dai venditori di erbaggi e di frutta, era poi libero di rovistare tra i rifiuti dei mercati e dei vicoli della cit. Ma fu proprio uno di questi esemplari a far terminare questa barbara usanza, infatti, un anno, alla "processione di maggio" delle reliquie di San Gennaro, un "grasso esemplare" si infilò tra le gambe dei portantini della preziosa reliquia, rischiando di causare la rottura delle sacre ampolline del sangue di San Gennaro portate in processione. Dopo questo pericolo scampato, considerato un mezzo miracolo..., il Viceré decise di bandire definitivamente la barbara e immonda consuetudine di allevare i maiali nel centro della città.
Macellazione del maiale in una stampa antica
Altri popoli considerano nelle loro credenze religiose il maiale un'entità con una valenza sacra, come tutt'oggi fanno alcune società del Pacifico (Filippine e Nuova Guinea), dove il maiale è ritenuto sacro e, pertanto, lo si offre in sacrificio agli antenati; ma le sue carni, data la vicinanza affettiva dell’animale all’uomo, sono consumate da un’altra tribù e non da quella di appartenenza...
Il maiale è, tuttavia, anche associato a un significato antropologico ed in particolare alla similitudine con l’uomo su alcuni aspetti, ad esempio: il colore della carne e il sangue sono molto simili, entrambe le specie non hanno una sola "stagione degli amori", come avviene invece per gran parte dell'ecosistema.... Questo spiegherebbe chiaramente l’accostamento di questo animale all’uomo in alcune mitologie, come quella di Omero, con l'episodio della maga Circe che trasformò, per assecondare i suoi desideri, i compagni di Ulisse in maiali.
Non dimentichiamoci, poi, l'affinità di molti organi del maiale con quelli umani, che la chirurgia moderna ha sperimentato nella tecnica dei trapianti.
Ma oltre queste considerazioni di natura antropologica, perché avviene l'utilizzo delle parti del maiale nella cucina a Carnevale?
"Festa di Carnevale con sfilata di carri a Largo di Palazzo (oggi p. Plebiscito)" , dipinto del 1774, di Alessandro D'Anna
Secondo la tradizione la coincidenza non sembrerebbe casuale: nelle campagne, fin dal Medioevo, così come in alcuni centri agricoli ancora oggi, esisteva un ciclo per l'allevamento e la macellazione del maiale, consistente nel suo rapido ingrassamento, nella sua particolare uccisione e nella successiva trasformazione in insaccati e altri derivati, ciclo che si concludeva proprio a cavallo tra i mesi di gennaio e febbraio, unico periodo dell’anno in cui il contadino, ed è stato così per molti secoli, poteva godere la bontà di un cibo notoriamente destinato giornalmente alle tavole dei signori ricchi e degli aristocratici, ma di riflesso poteva lusingarsi, in almeno un giorno dell'anno,  che le differenze sociali erano ridotte, almeno a tavola... Altro motivo era quello di poter assaporare il prodotto della proprie fatiche, a sbafo, in una vera è propria "orgia alimentare", che rappresenta uno degli eccessi tipici della ricorrenza del Carnevale!

Procediamo ora con ordine col descrivere le varie pietanze carnevalesche...

Sanguinaccio”
Sanguinaccio e Chiacchiere
Il “sanguinaccioera il classico dolce di Carnevale, veniva preparato aggiungendo al sangue di maiale, latte, cacao in polvere, zucchero, cedro e, infine, un pizzico di farina, di cannella e di vaniglia. Il miscuglio veniva fatto rapprendere a fuoco lento, avendo cura di girarlo continuamente con un cucchiaio di legno, sempre nello stesso verso. Quando il “sanguinaccio“ assumeva la densità richiesta, veniva fatto raffreddare in ciotole di porcellana e poi offerto ai bimbi ed ai nonni golosi, accompagnato a dei biscotti "savoiardi" o delle "chiacchiere".
L’elemento fondamentale del "sanguinaccio" era ovviamente il sangue del maiale. Con l'uccisione del maiale si raccoglieva il sangue in recipienti di rame, in due momenti distinti. Il primo raccolto era destinato alla produzione del “sanguinaccio”, mentre quello successivo, più coagulato, era utilizzato in cucina e veniva, prima bollito e poi fritto, quindi per una pietanza rustica. 
L'utilizzo del sangue di maiale nel "sanguinaccio" è stata abolita, nel 1992, per scongiurare il pericolo di infezioni; oggi si prepara un derivato della ricetta originale, che non prevede più l'uso del sangue di maiale, ma solo cacao in polvere.

"Chiacchiere"
Chiacchiere coperte di zuccheri a velo
Le “chiacchiere” sono la più comune espressione della tradizione napoletana tra i dolci carnevaleschi, ma esse sono diffuse un po' da per tutto e conosciute, a seconda delle regioni di provenienza, con svariati nomi, quali: cenci o struffoli in Toscana, crostoli a Ferrara, frappe, nel Lazio, strappole in Emilia Romagna, galani a Venezia, sfrappe nelle Marche, crostoli in Veneto, Friuli e Trentino, gale a Mantova, bugie o risòle a Genova gale o gali, in Lombardia, cunchielli in Molise, cioffe in Abruzzo, guanti in Calabria, meraviglias in Sardegna.
Secondo qualche studioso, le "chiacchiere" vengono fatte risalire all'epoca romana, quando si preparavano i cosiddetti "frictilia", ossia dei dolcetti a base di farina e uova, che venivano fritti nel grasso di maiale. Anche in questa ricetta, quindi, il maiale è stato un elemento determinante...
La tradizione dei "frictilia" sarebbe quindi sopravvissuta fino ai nostri giorni, con le dovute differenze regionali.
 
“Migliaccio”  
Migliaccio
E' assai probabile che il termine "migliaccio" derivi dalla parola "miglio", secondo alcuni da miliacius, dal latino tardo antico che significa farina di miglio e anche da miliaccium, ossia pane derivato dal miglio. La farina di miglio in epoche passate era usata per numerose preparazioni di dolci "poveri".
Sicuramente le origini della ricetta del "migliaccio" è antichissima, risalente almeno al periodo medioevale
Anche Lorenzo dei Medici lo riporta in una sua citazione:                        
   E’ la Nencia più tenerella che un ghiaccio
Morbida e dolce che pare un migliaccio [...]

La ricetta originaria del dolce prevedeva il sangue di maiale tra gli ingredienti. Dal '700 si è assistito gradualmente alla sua trasformazione, e soprattutto da piatto "dolce" a piatto "rustico". Infatti la ricetta rustica oggi non prevede più il sangue tra gli ingredienti, ma solo alcune parti trasformate del maiale, come pezzetti di salsicce e di ciccioli (o cigoli).
Fu proprio nel Secolo dei Lumi che nelle cucine dei conventi napoletani avvenne la metamorfosi del "migliaccio dolce". L'antica ricetta del migliaccio di colore scuro e pieno di sangue di maiale fu "liberata" di questo elemento un po' tribale e il "migliaccio" fu trasformato in un dolce raffinato e fragrante, un po' come gli altri dolci di origini conventuali che seguirono la stessa sorte (vedi la sfogliatella); dolci nei quali il delicato sapore dello zucchero, era accompagnato dal profumo dei canditi, dalla freschezza della ricotta e delle uova e ornato con alcune rinomate spezie. 
L’ingrediente principe del "migliaccio dolce" di oggi è la farina di mais (detta farenella), che ha sostituito quella originale di miglio, cereale ormai in disuso. Il semolino di farenella è fatto cuocere in un composto di latte e burro, quindi amalgamato con gli altri ingredienti basilari, quali uova, zucchero e ricotta, il tutto profumato con cannella e zucchero a velo.

"Migliaccio rustico"
Pizza 'e farenella o migliaccio rustico
Il "migliaccio rustico", del quale già si è fatto cenno, viene chiamato in dialetto anche “’a pizza ‘e farenella” o "migliacciello"… E' praticamente una sorta di polenta croccante: un impasto di farina di mais ripieno di salumi e formaggi, e poi cotto in forno. Anticamente si aggiungeva alla farina soltanto cicoli di maiale, pecorino romano e sugna… una vera bontà per il palato! 
Il semolino (o farenella) derivata dal granoturco (o meglio "grano d'India", come si usava chiamarlo inizialmente), è stato introdotto in Europa nel XVI secolo, con la scoperta delle Americhe. 

"Scagliozzi"
Gli "scagliozzi" hanno praticamente gli stessi ingredienti della "pizza 'e farenella", quello che cambia è il modo di cottura e la forma finale del preparato: sono infatti fritti in olio bollente, contrariamente alla "pizza di farenella" che, come è stato detto, viene cotta nel forno.
Scagliozzi
Gli "scagliozzi" sono tagliati in pezzi piccoli, di forma irregolare: a triangoli, a strisce o a trapezi, per essere mangiati sbrigativamente.
All'impasto di farina di granoturco viene aggiunto sale, pepe e formaggio. Gli "scagliozzi" anticamente costituivano quello che oggi viene chiamato “cibo di strada”, perché erano venduti, assieme ad altre "fritture", tutto l'anno da un venditore ambulante chiamato "zeppolajuolo" (venditore di zeppole), mestiere descritto nel libro “Usi e Costumi di Napoli” di Francesco De Bourcard.
Buon Carnevale a tutti...!

Salvatore Fioretto

Alcuni contenuti del post sono stati tratti dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore" ed. The Boopen, 2010, di S. Fioretto.

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