venerdì 12 febbraio 2016

"Echi di cronaca... gli avvenimenti dimenticati"

Foto di un brigante
Tanti eventi accaduti nel nostro territorio sono rimasti nei fogli ingialliti di antiche pubblicazioni o, spesso, sono stati attribuiti genericamente al territorio della città di Napoli, senza fornire una precisa collocazione che citasse il nostro territorio, specialmente dopo il processo d'accorpamento dei tanti Comuni dell'Area Nord, al vasto territorio della "Grande Napoli", come essa sarà identificata negli anni '20 del secolo scorso.  
Nei primi anni che seguono l'Unità d'Italia le cronache si concentrano su un'intensa attività di gruppi armati, che saranno identificati dai graduati militari con il termine dispregiativo di "briganti". Si registrano tanti scontri armati tra questi gruppi con alcuni reparti dell'esercito, arresti e incursioni nel territorio, ma si evidenziano anche alcune defezioni tra i sottufficiali dei presidi della Guardia Nazionale.
E' evidente che molte notizie all'epoca non sono state diffuse oppure è stato enfatizzato il carattere sovversivo del movimento, per una questione di censura imposta dal nascente ordinamento, ancora a carattere militare, ma registriamo anche una carenza degli organi di stampa locale. 
Come è stato già riportato in un precedente post di questo blog, molti di questi briganti erano ex soldati del disciolto esercito borbonico, che non vollero arrendersi e consegnare le armi al nuovo ordinamento statale; riuniti in gruppi, lottavano sperando in un ritorno al potere del loro sovrano. I saccheggi, di cui venivano accusati, erano compiuti solo per assicurare del cibo necessario al loro sostentamento oppure per demolire i simboli del nascente Stato.
Foto di soldato dell'esercito piemontese
Le notizie qui riportate sono state tratte dai dispacci conservati nell'Archivio di Stato di Napoli, che sono stati raccolti nel volume: Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Guida alle fonti per la storia del Brigantaggio post-unitario conservate negli archivi di Stato. Pubblicazione a cura del Ministero per i beni e le attività culturali - Ufficio centrale per i beni archivistici. Stampato da Arti Grafiche Boccia, Fuorni-Salerno. Giugno 1999.
Essi rappresentano una sintesi degli scritti trasmessi dai vari organi di vigilanza spiegati sul territorio, alla Prefettura, alle Sottoprefetture o alle Luogotenenze  dell'epoca.
Precisiamo che l'elenco della nostra fonte è nutritissimo di eventi di brigantaggio, ma abbiamo estrapolato solo gli avvenimenti riferiti esplicitamente al territorio dell'Area Nord di Napoli e dintorni. 

Anno 1861
- febbraio 1861. Assalto di una comitiva armata alla casa di Michele Zappulla, in contrada Grotta del Sole, tenimento di Marano.
Soldato della Guardia nazionale. Collez. privata
- Attacco di una banda armata al posto di Guardia Nazionale di Chiaiano.  Proposta di scioglimento e disarmo della Guardia Nazionale di Pianura. Pianura e Chiaiano per sospetta connivenza con le bande dei dintorni.
- Attività di comitiva capitanata da Alfonso Cerullo nel tenimento di Marano.
- Arresto del brigadiere Domenico di Vaio, del villaggio di Nazaret, presso Chiaiano.
- Arresto del brigadiere Raffaele Esposito, detto Chianese, appartenente alla banda di Alfonso Cerullo.
- Sui fratelli Rigagnaniello di Pianura, presunte spie dei briganti della montagna dei Camaldoli.
-Salvatore Rippa, capobanda, si costituisce alla Guardia Nazionale mobile di Chiaiano.
-luglio 1861. Rapporti giornalieri del Governatore della provincia di Napoli, tra l'altro sulla comparsa di comitive armate in S. Pietro a Patierno, Giugliano, Qualiano, Afragola e Marano. 
- luglio1861. Marano banda di centoventi briganti. Napoli comitiva di briganti comparsa in S. Croce. Rapporto giornaliero del 28 luglio 1861. 
Raduno segreto di briganti (da una stampa d'epoca)
- Aggressione di masnadieri armati ad una casa colonica di Marano.
- Napoli. Banda di sessanta briganti comparsi ai Cangiani.
- Arresto di un brigante della banda di Marano.
Foto di gruppo di briganti
- Su una banda armata capitanata da Alfonso Cerullo operante nel circondario di Pozzuoli, in particolare nella zona di Giugliano; conflitto a fuoco nella Casina Poerio in tenimento di Cuma e annientamento della banda.
- Marano. Comparsa di banda di venti soldati sbandati.
- Napoli. Banda di sessanta briganti assale un possidente ai Cangiani.
-Napoli. Banda aggredisce ai Camaldolilli, Salvatore Conte ai Cangiani.
- Arresto briganti comparsi in contrada S. Croce: Gaetano Graziani, Giuseppe Angelillo, Gennaro di Francesco, Giovanni Davide, Tommaso De Angelo, Gabriele Rajano, Giovanni Solla, Gaetano Vajo, Ferdinando Rusciano, Francesco Rippa, Gabriele Rusciano.
- Segnalazione di una banda armata nelle campagne di Capodimonte. 
- Pianura-Pozzuoli. Banda guidata da Alfonso Cerullo e Raffaele D'Amore. Delazione del carcerato Arcangelo D'Amalfi.
- Bosco dei Camaldoli banda di briganti.
- Bosco dei Camaldoli, comitiva di briganti commettono aggressione e furti.

Briganti catturati da soldati piemontesi (foto)
Anno 1862
- Aggressioni e rapine sulla consolare di Roma in prossimità di Aversa. Perlustrazioni ed arresti in Giugliano, presunto covo di grassatori.

Anno 1863
- Banda armata in Marano capitanata da Raffaele Luccio. Grassazione compiuta da costui in danno di Paolo Magliola a Giugliano.
- 27 novembre 1863. Arresto a Marano del capo brigadiere Alfonso Cerruti.
- Presunta comparsa di una banda di Briganti nei dintorni dei Camaldoli presso Napoli.
Brigante Alfonso Cerullo (da una stampa d'epoca)
- Rapina a opera di un gruppo di malviventi in casa di un oste sulla strada dei Camaldoli; inseguimento e cattura degli autori ad opera del delegato di P.S. di Pozzuoli.
Comparsa di briganti ai Camaldoli. Esito negativo nelle ricerche. Relazione del questore all'autorità giudiziaria sul brigantaggio nelle campagne di Orsolona e Camaldoli.
- La sottoprefettura di Casoria fa presente la necessità di istituire in Piscinola una stazione dei Carabinieri contro il pericolo rappresentato da una banda di Briganti in via di organizzazione.

Anni 1864-65

- Banda di Marano, operante nel 1861-62 nelle campagne di Pozzuoli e Casoria. Arresto del capo banda Alfonso Cerullo e di altri briganti, tra cui Giuseppe Vallefuoco, Macedonio di Maria. Indagini e interrogatori. 
Brigante (da una stampa d'epoca)
Anno 1868 
- 13 agosto 1868. Arcangelo d'Amalfi di Marano, Domenico Musetta di Miano, Nicola Santoro di Pianura, Alfonso Cipolletta e Biase Chianese di Mugnano ed altri: organizzazione di banda armata con il fine di cambiare e distruggere la forma del governo e suscitare la guerra civile tra gli abitanti dello stato e portare la devastazione e la strage contro una classe di persone, grassazione. 

Anno 1869

- 15 giugno 1869. Alfonso Cerullo vari reati in banda armata ad oggetto di cambiare e distruggere la forma del governo. 
- 25 agosto 1869. Nicola e  Vincenzo Russo di Piscinola: ribellione commessa in riunione armata di persone in numero maggiore di dieci."

I questi anni si verificò anche un grave episodio per l'incolumità pubblica degli abitanti del "villaggio" di Piscinola: apprendiamo la notizia dalle cronache contenute nel giornale "Il Ferruccio - Giornale del popolo", Anno I,  Numero 26, del 18 agosto 1864, giornale stampato a Firenze.
Nella rubrica "Notizie", a pagina 3, infatti si legge:
Testata del giornale "Il Ferruccio - Giornale del popolo" anno 1864
"14 (agosto) - Undici case rurali furono ieri divorate dal fuoco nel villaggio di Piscinola, Vi accorsero i pompieri di Napoli, i carabinieri di villaggi vicini, e molti soldati della 8 fanteria. Senza questi aiuti quel villaggio sarebbe stato quasi interamente distrutto, essendo le case per lo più formate e ripiene di materie accensibili. Una donna e tre bimbi correvano pericolo di rimaner vittime delle fiamme; ma mercé sforzi generosi furono salvati."
Soldati della Guardia Nazionale (da una stampa d'epoca)
Purtroppo non sappiamo dove si sviluppò l'incendio, se nel centro storico, oppure in qualche masseria lontana dal centro del "villaggio"; a quell'epoca Piscinola godeva  ancora di autonomia comunale. Dal numero di abitazioni coinvolte, ben undici, e per la cospicua presenza di materiali infiammabili descritti, propendiamo per una masseria piscinolese. Non sappiamo l'esito delle indagini, se le cause furono accidentali o dolose. Per nostra fortuna tutto si risolse senza danni alle persone, pur con significativi danni agli edifici. Da notare il solerte e salvifico intervento del corpo dei Pompieri, dei Carabinieri e dell'Esercito, già ben distribuiti sul territorio.
Una cosa interessante che si legge in questa cronaca è quella che il presidio dei Carabinieri tanto auspicato dalla sottoprefettura di Casoria, nel dispaccio di cui sopra, non era stato ancora realizzato...  Anche allora la burocrazia aveva i tempi di oggi...!
Della storia del brigante Alfonso Cerullo e dei briganti in genere, abbiamo già dedicato un post tempo fa, a cui rimandiamo il lettore interessato.
"Il brigante partigiano: Alfonso Cerullo" 

Ringraziamo gli autori della pubblicazione "Guida alle fonti per la storia del Brigantaggio post-unitario conservate negli Archivi di Stato" e anche il gruppo di lavoro archivistico che fu organizzato per questo progetto di catalogazione. Gruppo che ha operato per oltre due lustri, rendendo un grandissimo contributo al mondo della ricerca e della cultura, con questa monumentale opera del libro che ha permesso la divulgazione monografica di uno spaccato di storia del nostro territorio.
Salvatore Fioretto
 
Banditi catturati a Frosinone (da una stampa d'epoca)

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N.B.: Le foto riportate in questo post sono state tratte liberamente dai siti web dove erano state pubblicate, il loro utilizzo in questo post è stato fatto senza scopo di lucro o altri fini, ma solo per la libera divulgazione della cultura.

sabato 6 febbraio 2016

Sanguinacci, scagliozzi, chiacchiere e migliacci... il Carnevale è servito!



Tra le ricorrenze dell’anno, il Carnevale è stato sempre festeggiato dagli abitanti di questo territorio con una particolare predilezione. La festa tradizionale è la risultante di un retaggio e di una stratificazione storica abbastanza significativa
Dobbiamo prima di tutto sottolineare che a Napoli, contrariamente a quanto avviene nelle altre città d'Italia, il Carnevale è stato sempre festeggiato piuttosto in sordina nel centro cittadino (più legato storicamente alla festa settembrina della Piedigrotta), mentre è più radicato e sentito nei suoi borghi periferici. Qui, in una comunità che era prevalentemente contadina, la festa cadeva in un periodo di stasi della produzione agricola, dove la farina di miglio o di granoturco erano gli elementi poveri che riuscivano in cucina a colmare la carenza dei prodotti freschi e poi la macellazione del maiale, un tempo assai fiorente, costituiva il fulcro di tutto l'inverno e quindi anche del Carnevale. La festa del Carnevale, in netto contrasto al periodo di Quaresima (periodo che lo seguiva, con austerità di cibo), offriva al ceto popolare e contadino questo momento di divertimento, di svago e soprattutto di leccornie per ogni tipo di palato...
Il Carnevale è stato festeggiato da queste parti in ogni periodo storico. Dei festeggiamenti che si usavano fare nei secoli scorsi abbiamo trovato un cenno storico riportato nel poemetto in vernacolo scritto nel 1787 da Nunziante Pagano, dal titolo: “Mortella D’Orzolone, Poemma Arrojeco”. Nel canto II, troviamo la seguente strofa, nella quale sono citati Piscinola, Chiaiano, Polvica, Marianella e Mugnano:

 […] A Ppasca, e ffuorze fuorze a Carnevale,
Chella respose, e nce vo fa no nvito
De quanta nce nne stanno a sto Casale,
Pe fa fa annore a mmene, ed a lo Zito:
E ppe nce fa na festa prencepale,
Nce vo chiammà li suone de Melito,
De Pescinola, Pollica, e Cchiajano,
e dde Marianella e dde Mugnano.
Mmperzò, Petrillo mio, conto le juorne
Pe nzi che non se fa sta parentezza;
Uh se navimmo d’allommare forne!
Uh se nce perzo moro d’alleggrezza! […]
Nei tempi moderni la ricorrenza del Carnevale aveva il suo apice il “Martedì grasso”, quando, la sera, molti ragazzi usavano travestirsi e truccarsi “da donna” e alcune volte, anche le ragazze “da uomini”. Dopo la preparazione, alquanto goffa, con parrucche e vestiti di colori sgargianti, si recavano, accompagnati da amici, a trovare altri amici e parenti, con lo scopo di sorprenderli e farli partecipare alle loro risate.
Per le strade e nei cortili si eseguivano scherzi e sberleffi; il più comune era quello di lanciare della farina sulla testa dei viandanti, imbiancando un po’ i loro capelli e i vestiti. Solo a partire dagli anni sessanta, si è diffusa la tradizione di mascherare i bambini con vestitini fatti di carta prima e di stoffa dopo.
La pratica barbara del “lancio delle uova marce” non era conosciuta a quei tempi, ma fortunatamente è assai scemata negli ultimi anni...
Tuttavia, come c'è da aspettarsi, è a tavola che il Carnevale offriva e offre ancora oggi, la migliore "esibizione" di se stesso...! 
Mentre la “cucina rustica” calava l'asso della ghiotta "lasagna", accompagnata dalmigliaccio rustico” e dagli “scagliozzi”, quella cosiddetta “dolce” rispondeva alla pari con il "sanguinaccio", il “migliaccio doce ‘e farenella”, e le “chiacchiere”...
Festa di Carnevale a Napoli, sfilata di cigni
Dobbiamo sottolineare, per dovere di informazione, che queste pietanze gastronomiche non costituivano una tradizione esclusiva del nostro territorio, perché erano diffuse in tutti i quartieri della città e, con alcune varianti, anche in moltissimi centri d'Italia, ma qui da noi alcune tipicità e sfumature della loro preparazione (come la qualità e l'origine degli ingredienti e le modalità di cottura), riuscivano a personalizzare, in maniera univoca al territorio, le singole specialità gastronomiche.
Come abbiamo già accennato era l'allevamento del maiale a fare da baricentro alla festa del Carnevale; in effetti ci sono più di una motivazione che spiegano questo particolare collegamento storico.

Il maiale simbolo di abbondanza, da godere a tavola a Carnevale  
Tutte le ricette rustiche e dolci di Carnevale hanno praticamente un comune denominatore, rappresentato dal maiale e dai prodotti suoi derivati.
Sant'Antonio Abate
Il maiale è un antichissimo simbolo antropologico che esprimeva condizioni e momenti di abbondanza nella società umana, e ha avuto forti legami con la sfera del sacro:  anche nella religione cattolica l’animale è stato associato all'iconografica sacra, in particolare con Sant’Antonio Abate, festeggiato secondo la tradizione il 17 gennaio, data che segna proprio il giorno in cui ha inizio la festa del Carnevale..Sant'Antonio Abate era considerato in antichità il protettore del popolino ed era invocato da esso specialmente contro l'epidemia di Herpes Zoster, chimperversava in ogni angolo dell'Italia. Per tal motivo a Napoli, fino al periodo Barocco, il maiale era un animale rispettato e quasi venerato, soprattutto per le proprietà lenitive del suo grasso, usato come unguento contro le sofferenze causate dall'infezione herpetica (chiamata comunemente Fuoco di Sant'Antonio). Finanche nel centro cittadino il maiale era allevato allo stato libero, adottato dai venditori di erbaggi e di frutta, era poi libero di rovistare tra i rifiuti dei mercati e dei vicoli della cit. Ma fu proprio uno di questi esemplari a far terminare questa barbara usanza, infatti, un anno, alla "processione di maggio" delle reliquie di San Gennaro, un "grasso esemplare" si infilò tra le gambe dei portantini della preziosa reliquia, rischiando di causare la rottura delle sacre ampolline del sangue di San Gennaro portate in processione. Dopo questo pericolo scampato, considerato un mezzo miracolo..., il Viceré decise di bandire definitivamente la barbara e immonda consuetudine di allevare i maiali nel centro della città.
Macellazione del maiale in una stampa antica
Altri popoli considerano nelle loro credenze religiose il maiale un'entità con una valenza sacra, come tutt'oggi fanno alcune società del Pacifico (Filippine e Nuova Guinea), dove il maiale è ritenuto sacro e, pertanto, lo si offre in sacrificio agli antenati; ma le sue carni, data la vicinanza affettiva dell’animale all’uomo, sono consumate da un’altra tribù e non da quella di appartenenza...
Il maiale è, tuttavia, anche associato a un significato antropologico ed in particolare alla similitudine con l’uomo su alcuni aspetti, ad esempio: il colore della carne e il sangue sono molto simili, entrambe le specie non hanno una sola "stagione degli amori", come avviene invece per gran parte dell'ecosistema.... Questo spiegherebbe chiaramente l’accostamento di questo animale all’uomo in alcune mitologie, come quella di Omero, con l'episodio della maga Circe che trasformò, per assecondare i suoi desideri, i compagni di Ulisse in maiali.
Non dimentichiamoci, poi, l'affinità di molti organi del maiale con quelli umani, che la chirurgia moderna ha sperimentato nella tecnica dei trapianti.
Ma oltre queste considerazioni di natura antropologica, perché avviene l'utilizzo delle parti del maiale nella cucina a Carnevale?
"Festa di Carnevale con sfilata di carri a Largo di Palazzo (oggi p. Plebiscito)" , dipinto del 1774, di Alessandro D'Anna
Secondo la tradizione la coincidenza non sembrerebbe casuale: nelle campagne, fin dal Medioevo, così come in alcuni centri agricoli ancora oggi, esisteva un ciclo per l'allevamento e la macellazione del maiale, consistente nel suo rapido ingrassamento, nella sua particolare uccisione e nella successiva trasformazione in insaccati e altri derivati, ciclo che si concludeva proprio a cavallo tra i mesi di gennaio e febbraio, unico periodo dell’anno in cui il contadino, ed è stato così per molti secoli, poteva godere la bontà di un cibo notoriamente destinato giornalmente alle tavole dei signori ricchi e degli aristocratici, ma di riflesso poteva lusingarsi, in almeno un giorno dell'anno,  che le differenze sociali erano ridotte, almeno a tavola... Altro motivo era quello di poter assaporare il prodotto della proprie fatiche, a sbafo, in una vera è propria "orgia alimentare", che rappresenta uno degli eccessi tipici della ricorrenza del Carnevale!

Procediamo ora con ordine col descrivere le varie pietanze carnevalesche...

Sanguinaccio”
Sanguinaccio e Chiacchiere
Il “sanguinaccioera il classico dolce di Carnevale, veniva preparato aggiungendo al sangue di maiale, latte, cacao in polvere, zucchero, cedro e, infine, un pizzico di farina, di cannella e di vaniglia. Il miscuglio veniva fatto rapprendere a fuoco lento, avendo cura di girarlo continuamente con un cucchiaio di legno, sempre nello stesso verso. Quando il “sanguinaccio“ assumeva la densità richiesta, veniva fatto raffreddare in ciotole di porcellana e poi offerto ai bimbi ed ai nonni golosi, accompagnato a dei biscotti "savoiardi" o delle "chiacchiere".
L’elemento fondamentale del "sanguinaccio" era ovviamente il sangue del maiale. Con l'uccisione del maiale si raccoglieva il sangue in recipienti di rame, in due momenti distinti. Il primo raccolto era destinato alla produzione del “sanguinaccio”, mentre quello successivo, più coagulato, era utilizzato in cucina e veniva, prima bollito e poi fritto, quindi per una pietanza rustica. 
L'utilizzo del sangue di maiale nel "sanguinaccio" è stata abolita, nel 1992, per scongiurare il pericolo di infezioni; oggi si prepara un derivato della ricetta originale, che non prevede più l'uso del sangue di maiale, ma solo cacao in polvere.

"Chiacchiere"
Chiacchiere coperte di zuccheri a velo
Le “chiacchiere” sono la più comune espressione della tradizione napoletana tra i dolci carnevaleschi, ma esse sono diffuse un po' da per tutto e conosciute, a seconda delle regioni di provenienza, con svariati nomi, quali: cenci o struffoli in Toscana, crostoli a Ferrara, frappe, nel Lazio, strappole in Emilia Romagna, galani a Venezia, sfrappe nelle Marche, crostoli in Veneto, Friuli e Trentino, gale a Mantova, bugie o risòle a Genova gale o gali, in Lombardia, cunchielli in Molise, cioffe in Abruzzo, guanti in Calabria, meraviglias in Sardegna.
Secondo qualche studioso, le "chiacchiere" vengono fatte risalire all'epoca romana, quando si preparavano i cosiddetti "frictilia", ossia dei dolcetti a base di farina e uova, che venivano fritti nel grasso di maiale. Anche in questa ricetta, quindi, il maiale è stato un elemento determinante...
La tradizione dei "frictilia" sarebbe quindi sopravvissuta fino ai nostri giorni, con le dovute differenze regionali.
 
“Migliaccio”  
Migliaccio
E' assai probabile che il termine "migliaccio" derivi dalla parola "miglio", secondo alcuni da miliacius, dal latino tardo antico che significa farina di miglio e anche da miliaccium, ossia pane derivato dal miglio. La farina di miglio in epoche passate era usata per numerose preparazioni di dolci "poveri".
Sicuramente le origini della ricetta del "migliaccio" è antichissima, risalente almeno al periodo medioevale
Anche Lorenzo dei Medici lo riporta in una sua citazione:                        
   E’ la Nencia più tenerella che un ghiaccio
Morbida e dolce che pare un migliaccio [...]

La ricetta originaria del dolce prevedeva il sangue di maiale tra gli ingredienti. Dal '700 si è assistito gradualmente alla sua trasformazione, e soprattutto da piatto "dolce" a piatto "rustico". Infatti la ricetta rustica oggi non prevede più il sangue tra gli ingredienti, ma solo alcune parti trasformate del maiale, come pezzetti di salsicce e di ciccioli (o cigoli).
Fu proprio nel Secolo dei Lumi che nelle cucine dei conventi napoletani avvenne la metamorfosi del "migliaccio dolce". L'antica ricetta del migliaccio di colore scuro e pieno di sangue di maiale fu "liberata" di questo elemento un po' tribale e il "migliaccio" fu trasformato in un dolce raffinato e fragrante, un po' come gli altri dolci di origini conventuali che seguirono la stessa sorte (vedi la sfogliatella); dolci nei quali il delicato sapore dello zucchero, era accompagnato dal profumo dei canditi, dalla freschezza della ricotta e delle uova e ornato con alcune rinomate spezie. 
L’ingrediente principe del "migliaccio dolce" di oggi è la farina di mais (detta farenella), che ha sostituito quella originale di miglio, cereale ormai in disuso. Il semolino di farenella è fatto cuocere in un composto di latte e burro, quindi amalgamato con gli altri ingredienti basilari, quali uova, zucchero e ricotta, il tutto profumato con cannella e zucchero a velo.

"Migliaccio rustico"
Pizza 'e farenella o migliaccio rustico
Il "migliaccio rustico", del quale già si è fatto cenno, viene chiamato in dialetto anche “’a pizza ‘e farenella” o "migliacciello"… E' praticamente una sorta di polenta croccante: un impasto di farina di mais ripieno di salumi e formaggi, e poi cotto in forno. Anticamente si aggiungeva alla farina soltanto cicoli di maiale, pecorino romano e sugna… una vera bontà per il palato! 
Il semolino (o farenella) derivata dal granoturco (o meglio "grano d'India", come si usava chiamarlo inizialmente), è stato introdotto in Europa nel XVI secolo, con la scoperta delle Americhe. 

"Scagliozzi"
Gli "scagliozzi" hanno praticamente gli stessi ingredienti della "pizza 'e farenella", quello che cambia è il modo di cottura e la forma finale del preparato: sono infatti fritti in olio bollente, contrariamente alla "pizza di farenella" che, come è stato detto, viene cotta nel forno.
Scagliozzi
Gli "scagliozzi" sono tagliati in pezzi piccoli, di forma irregolare: a triangoli, a strisce o a trapezi, per essere mangiati sbrigativamente.
All'impasto di farina di granoturco viene aggiunto sale, pepe e formaggio. Gli "scagliozzi" anticamente costituivano quello che oggi viene chiamato “cibo di strada”, perché erano venduti, assieme ad altre "fritture", tutto l'anno da un venditore ambulante chiamato "zeppolajuolo" (venditore di zeppole), mestiere descritto nel libro “Usi e Costumi di Napoli” di Francesco De Bourcard.
Buon Carnevale a tutti...!

Salvatore Fioretto

Alcuni contenuti del post sono stati tratti dal libro "Piscinola, la terra del Salvatore" ed. The Boopen, 2010, di S. Fioretto.

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