lunedì 23 dicembre 2013

Marianella, capitale della musica Natalizia... con Sant'Alfonso!!

Secondo un'antica tradizione tramandataci nei secoli, il culto occidentale di realizzare il presepe a Natale fu introdotto da un mite "rivoluzionario", che si chiamava Francesco, figlio di Pietro Bernardone, noto a tutti come San Francesco d'Assisi; infatti, nella notte di Natale dell'anno 1223, Francesco volle rappresentare per la prima volta nella cittadina di Greccio, in provincia di Rieti, un presepe vivente con dei figuranti. Questo avvenimento storico (ci troviamo ancora del Medioevo), ha fatto da sponda a tutta una stratificata tradizione natalizia, che ha caratterizzato in un certo senso la cultura europea negli ultimi secoli e non solo quella europea. 
Il presepe di Greccio, di Giotto, Basilica di Assisi
Strano però a dirsi, ma nei secoli seguenti (ne dovranno trascorrere circa cinque..., per arrivare nel XVIII secolo...), si ebbe un altro periodo di crisi... con l'ennesima fase di decadenza dei costumi, accompagnato da altrettanti insidie, sia nel mondo politico che nella società civile e religiosa dell'epoca. Ci furono eresie (Giansenismo), molte guerre, decadenza nei costumi (Cicisbeismo), tuttavia anche in questo periodo buio per l'umanità un altro "faro straordinario" si accese nel mondo...! Un uomo, nato nei dintorni di Napoli, a Marianella, ebbe la capacità di rinvigorire la fede e dare la speranza agli ultimi... riuscì, inoltre, a ridare importanza e significato al culto antichissimo del Presepe! Quest'uomo, che fu un personaggio eclettico, portava il nome di una nobile casata napoletana, era Alfonso Maria de Liguori, poi diventato vescovo, santo e dottore della Chiesa universale! 

Alfonso fu un grande restauratore sociale...e non solo. Scrisse molte opere letterarie e di dogmatica, ma anche diverse canzoni e opere musicali a carattere sacro. Alcune di queste, a soggetto natalizio, ancora oggi fanno da allegoria musicale al nostro Natale e rispecchiano un modo tutto napoletano di costruire il presepio, definibile, ma senza retorica: "Presepe alla maniera napoletana".  

Tra questi due fari: Alfonso Maria de Liguri, nato a Marianella e Francesco, nato ad Assisi, esiste un legame sottilissimo ma significativo, sono stati due "rivoluzionari" dei loro tempi. Infatti Sant'Alfonso viene spesso indicato anche come "...il San Francesco del secolo dei Lumi". Queste due "colonne" dell'umanità hanno profuso le loro energie e la loro intelligenza per migliorare il mondo della loro epoca, e non solo..., e hanno, tra l'altro, riproposto e consolidato la centralità del Presepe nella ricorrenza del Santo Natale. 
Senza retorica, ma solo per una semplice correlazione di pensiero, possiamo affermare che Marianella è da considerarsi la patria del "Natale musicale"..., perché ha dato i natali al grande Alfonso Maria de Liguori, riconosciuto e stimato compositore di canti natalizi!
Sant'Alfonso è stato un grande innamorato del Presepe, del Bambinello, della Madonna e della Sacra Famiglia venerata nel Presepe. Le "canzoncine" da lui scritte, a tema natalizio, furono diverse e sono state cantate almeno una volta nell'infanzia di ciascuno di noi....; "Tu scendi dalla stelle", per esempio, è tra quelle più note ed è tutt'oggi cantata in ogni angolo del pianeta! Persino Giuseppe Verdi ebbe modo di affermare, in un'occasione, che: "...il Natale non sarebbe più Natale senza i versi e la melodia della famosa pastorale, scritta da Sant’Alfonso Maria de Liguori ...!"
Alfonso fu condotto alla musica da suo padre, Giuseppe, anch'egli musicista dilettante. Da giovinetto il rampollo dei Liguori studiò musica e si perfezionò con il noto precettore e maestro don Gaetano Greco (1650?-1728), dal quale uscirono celebri compositori della scuola barocca napoletana: Francesco Durante (1648-1755), Domenico Scarlatti (1685-1757), Nicola Antonio Porpora (1686-1768), Leonardo Vinci (1696-1730), Giovan Battista Pergolesi (1710-1736), ed altri. 
Si narra che ogni settimana Alfonso doveva trascorrere ben tre ore a lezioni di musica, chiuso assieme al maestro nella sua stanza, perchè il padre Giuseppe, dovendosi allontanare da casa per delle sue commissioni, per avere la certezza che Alfonso studiasse per tutte le tre ore previste, chiudeva la porta della studio a chiave, con dentro il maestro e l'allievo...!


Dal 1706 al 1723 Alfonso frequentò l’oratorio dei Gerolomini di Napoli, dove si coltivava la tradizione musicale voluta da San Filippo Neri. Fu proprio in quest’oratorio che il nostro giovane musicista si esibì per la prima volta in pubblico, come riporta il suo biografo Tannoia: «Avendo fatto rappresentare i Padri Girolimini l’opera di S. Alessio da vari Cavalerotti, vi recitò anche Alfonso; e dovendo rappresentare la parte del Demonio in atto di suonar il cembalo, lo toccò con tale maestria, che tutta l’udienza ne restò stupita».
Clavicembalo suonato da Sant'Alfonso (museo di Pagani)
Sovente Alfonso riceveva dalle diverse famiglie nobili, che lo conoscevano e lo apprezzavano, l'invito a suonare il clavicembalo durante intrattenimenti che essi davano nelle nobili loro dimore e, anche se egli partecipava malvolentieri, ebbe modo di far conoscere a tutti il suo estro musicale. Purtuttavia Alfonso sfruttò questa sua predisposizione per la musica e, soprattutto, la sua erudizione e la sua comunicativa, per le nobili finalità pastorali, mirando all'evangelizzazione degli ultimi, attraverso le Cappelle Serotine, (organizzate in ogni angolo della città partenopea) e nell'istituzione delle Sante Missioni, tenute nelle contrade e nei paesi abbandonati. Ancora dal Tannoia riportiamo:
".... Soprattutto per le missioni, infatti, egli componeva le canzoncine spirituali, che per altro cantava di persona, come testimoniano i suoi contemporanei».
Il clavicembalo di Sant'Alfonso è conservato nel convento redentorista di Pagani (Nocera Inferiore). 

http://www.youtube.com/watch?v=k_Ubb7Uy7Tg

Incominciamo a raccontare come nacque il brano "Tu scendi dalle stelle", uno tra i più famosi canti natalizi italiani. Secondo alcuni biografi esso fu composto nel dicembre 1754, nella cittadina di Nola, dove Alfonso si trovava per una Santa Missione. Sembra che esso non sia stato derivato dalla versione italiana del brano napoletano "Quanno nascette Ninno", ma tradotto dalla versione originale, andata purtroppo perduta.
C'è un curioso aneddoto legato a questo canto, che qui riportiamo. Il Santo si trovava ospite a Nola presso il curato don Michele Zambardelli, quando compose Tu scendi dalle Stelle: la scrisse di getto su un pezzo di carta, assieme alle note del canto. Subito eseguì il canto composto al clavicordo, destando la meraviglia di don Michele, che chiese invano una copia del componimento per poterla suonare in chiesa.

http://www.youtube.com/watch?v=kAufwdN7m2k

Nonostante il divieto momentaneo dettato dal Santo, che ne considerava prioritaria la stampa, il sacerdote, approfittò della sua assenza (Alfonso era impegnato in chiesa per una predica), salì nella sua stanza e ricopiò a sua insaputa il manoscritto. Mise poi il foglio in tasca e scese nel coro, senza destare sospetti...
Sant’Alfonso, che aveva (diciamo) intuito la cosa..., fingendo di non ricordare la successione dei versi mentre insegnava la canzone ai fedeli, mandò un aiutante dal parroco, per chiedergli il foglio della partitura che egli, dopo averla copiata, conservava ormai "spensieratamente", nella sua tasca...!!
Lo storico Benedetto Croce ebbe così a scrivere : "...(Sant'Alfonso) rimò canzonette spirituali anch’esse cantate dappertutto, tra le quali notissima quella del Natale "Tu scendi dalle stelle"E sempre relativa al Natale è anche una tra le più toccanti poesie natalizie in dialetto napoletano che de’ Liguori compose: "Quanno nascette Ninno a Bettalemme!".

http://www.youtube.com/watch?v=LX8hns0uukk 

Lo scrittore danese J. Joergensen raccontò di aver ascoltato in pellegrinaggio a Betlem, dentro la basilica della Natività, il motivo "Tu scendi dalle stelle": «Fra questo silenzio, ascolto (è un sogno o una realtà?) come cantata da un coro sopra la chiesa e su, sopra il mio capo, la vecchia pastorale italiana, col suo dolce suono di ciaramelle… L’udii cantare poco prima di lasciare l’Italia, ad Assisi, in casa di amici italiani».

Il Settecento è stato caratterizzato dal movimento culturale, artistico, musicale e letterario denominato Arcadia. Esso si presentava ricco di fervore creativo, ispirato al mondo semplice, bucolico dei pastori e anche al mistero del Natale, di cui la poesia e soprattutto il presepio, ne erano la più emblematica rappresentazione. Il presepe fu introdotto anche a corte, Carlo di Borbone ne fece realizzare uno grande anche nella reggia di Napoli. Spesso erano gli stessi componenti della famiglia reale a realizzare di propria mano i pastori e ad allestire il presepe.
Quanno nascette Ninno a Bettalemme fu composta da Sant'Alfonso durante la sua permanenza a Deliceto (prov. di Foggia), nel convento della Consolazione. I versi e l'andamento pastorale dell'opera rispecchiano chiaramente la cultura musicale predominante della sua epoca. II Santo scrisse questo poemetto in lingua napoletana, non per irriverenza o disimpegno letterario, ma per una squisita ricerca di comunicazione confidenziale e soprattutto per far giungere il suo messaggio di speranza proprio a tutti...
Dio che si fa uomo nella maternità di Maria abbaglia Alfonso e lo colma di felicità, proprio come i pastori alla grotta: Restajeno ncantate e boccapierte / pe tanto tempo senza dì parola / ...da dint 'o core cacciajeno a migliara atte d'amore.

http://www.youtube.com/watch?v=VqnFV-LjY7o 
Nel 1758 Alfonso scrisse ancora la "Novena del Santo Natale...", per invitare tutti a fare del proprio cuore un presepio, una capanna, un luogo intimo per accogliervi il Bambino. E qui lo contempla venir giù dal cielo e posarsi su poco fieno: "Tu scendi dalle stelle, o re del cielo, / e vieni in una grotta al freddo, al gelo: / o Bambino mio divino, io ti vedo qui tremar. / O Dio beato,  / e quanto ti costò l'avermi amato!".

Così scrive: "Molti cristiani sogliono per lungo tempo avanti preparare nelle loro case il presepe per rappresentare la nascita di Gesù Cristo; ma pochi sono quelli che pensano a preparare i loro cuori, affinché possa nascere in essi e riposarsi Gesù Cristo. Tra questi pochi però vogliamo essere ancora noi, acciocché siamo fatti degni di restare accesi di questo felice fuoco, che rende le anime contente in questa terra e beate nel cielo ".


Un’altra canzoncina, veramente straordinaria, scritta dal nostro Marianellese, s’intitola «Fermarono i cieli...»: una poesia sublime in musica che narra come il cammino delle stelle si sia fermato perché era avvenuto qualcosa di straordinario sulla terra e tutto, anche il cielo e l'universo si era fermato per ammirare questo meraviglioso e straordinario evento, atteso da secoli, che non avrà eguali nella storia: «Fermarono i cieli / la loro armonia / cantando Maria / la nanna a Gesù». 

http://www.youtube.com/watch?v=rGZOl9qUiEE 

S. Alfonso scrisse altre due poesie natalizie in lingua napoletana ambientate al Santo Natale,  poi da lui musicate: «Gesù Cristo Peccerillo» e «Ti voglio tanto bene, o ninno mio». Riguardo alla seconda canzoncina si racconta che Alfonso aveva ricevuto in dono dalla madre un Bambinello e che, quindi, abbia scritta il canto contemplando quell'immagine a lui tanto cara, ricordando il mistero del Natale e di questa statuetta del Bambinello, che gli era stata donata dalla sua cara madre.

Riportiamo una strofa della bella e delicata,"Gesu Cristo peccerillo":
 
Gesù Cristo peccerillo
Marriuncello arrubacore,
Vuò stu core e tienatillo
Non me sta cchiù a 'ncuità.
Tu si comma a 'na muschella
Che va attuorno a 'o zuccariello
'I 'a caccio essa s'azzecca
Sempre attuorn'a me vo sta.

Rit.: Ninno bello, Ninno d'ammore
Sulo a Te 'i voglio amà.


http://www.youtube.com/watch?v=lCI9KbzOcpk 




E per finire, le prime strofe di altre quattro canzoncine scritte dal nostro Santo, trovate da me quasi per caso...

Il viva al Santo Bambino
Viva viva il nato Re,
Che del Mondo è Re novello.
Nuova gloria d'Israelio
Che per noi Bambin si fe.
Viva viva il nato Re.


Adorazione a Gesù Bambino
O voi Spirti del Ciel
Angeli amanti,
su scendete quaggiù
Disegno realizzato da Sant'Alfonso
Lieti e festanti
Ed intorno a questo giorno
A Gesù nato bambin
Sciogliete il canto,
Che noi prostati il cor gli
offriamo intanto.

A Gesù Bambino
Nella grotta dove è nato
di Maria il Figlio amato
io mi fermo a contemplar
di quel Ninno la beltà.

Affetti verso il Santo Bambino
Oh qual Figlio Dio ci ha dato
Oh qual Ninno a noi è nato
Sia per sempre benedetto
Il bel Dono e 'l Donator.

Oh che Ninno, oh che bellezza!
Oh che gioia, oh che dolcezza
Benedetto quel momento,
Che Maria lo concepì.
 
BUON NATALE a tutti, con Sant'Alfonso!

Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
  
ps: Questo post è stato scritto in dedica al maestro Enzo Avitabile, con i migliori auguri di un sereno Natale.




NB: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.


venerdì 20 dicembre 2013

Abbascio Miano e i suoi mitici personaggi di un tempo!

Abbascio Miano in una mappa dell''800
Ogni volta che mi reco per motivi di lavoro fuori Regione, mi piace visitare, nel tempo libero, specie se d'estate, i centri storici e i monumenti che sono presenti. Quando però il viaggio capita nel meridione d'Italia, la visita diventa più piacevole, perché la scoperta di tanti paesini, disseminati tra le sterminate campagne, riaccende in me tanti ricordi di un tempo passato..., ricordi legati ai luoghi della mia infanzia, che non erano molto dissimili da questi che incontro. I posti più incantevoli, a mio parere, si trovano nelle Regioni della Puglia, della Basilicata e della Sicilia, che poi sono quelle che più frequento: nella prima adoro il Salento e nella Sicilia apprezzo i dintorni di Palermo e di Catania. Ma anche l'Umbria e la Toscana offrono dei posti incantevoli... La cosa che più mi attrae e mi colpisce dei paesotti e delle piccolissime contrade che visito sono le viuzze strette e inerpicate, lastricate di pietre, spesso accessibili solo a piedi, con tante casette antiche abitate solitamente da anziani, i quali, specie in estate, trascorrono gran parte del loro tempo libero stando seduti fuori agli usci delle loro case: chi a conversare con i vicini e chi a giocare a carte. 
Questi posti li percorro prima del tramonto, tra lo starnazzare rumoroso dei rondoni, che svolazzano tra i vicoli e il profumo di gelsomini e delle rose antiche...;  non vi nascondo che resto affascinato dalla loro bellezza e, poi..., quasi trasportato dai pensieri e dai tanti ricordi che riaffiorano nella mia mente..., rimembro quando da ragazzetto percorrevo le vie di Piscinola vecchia, come in quel Abbascio Miano: luogo quest'ultimo legato a tantissimi ricordi della mia infanzia...
Quanto rimasto della Carrara e della antica masseria, prima della definitiva demolizione, anno 2002

Abbascio Miano, ossia via Vecchia Miano, era quella stradina di campagna, sempre un po' polverosa in estate e spesso fangosa d'inverno, dove viveva un'umanità povera di beni, ma ricca di valori! Le persone che vi abitavano erano di una composizione variegata, ma molti erano gli anziani che in gioventù erano stati contadini, carpentieri o muratori. Nei pomeriggi d'estate si formavano per strada capannelli sparsi, con tanti anziani intenti a conversare, specie fuori ai portoni delle masserie o agli angoli dei cortili. Attraversarla per me era sempre un piacere... Mi piaceva vedere quel posto così animato, con quelle voci schiamazzanti, le battute di scherzo, i richiami degli ambulanti e le donne, che appendendo ad asciugare la biancheria alle finestre o ai balconi, chiamavano spesso per nome i loro pargoli che, spensierati, giocavano e si rincorrevano per strada, tra le poche auto in transito. 
Abbascio Miano era il mio piccolo mondo di giovinetto... era il luogo dei miei giochi, dove abitavano i miei carissimi amici: Ernesto, Vittorio, Enzuccio... Quanti pomeriggi ho trascorso con loro, sfrenandomi su e giù, tra la masseria dei nonni e gli antri dei cortili circostanti!  Tra quei vicoli giocavamo alla Guainella,... Si, ho fatto pure quello...! Con dei carruocioli artigianali, ci lasciavamo scivolare dal pendio della "Carrara"...!!  
La "Carrara" era una breve stradina senza uscita, che culminava alla sommità con una bellissima cappella, contenente una statua a grandezza naturale della Madonna del Carmine. L'immagine era collocata in un artistica vetrata pensile, che si poteva osservare da lontano, percorrendo la strada principale. Era per me una cara immagine, che "salutavo" sempre, ogni volta che passavo da lì. 

Masseria e campagna di Abbascio Miano, prima della distruzione (anno 2001)
Le persone che incontravo erano tutte genuine e semplici...
Ricordo lo stagnaro, chiamato da tutti Zicchibbacco, anche se il suo vero nome era Sinibaldo. Dato che era alquanto difficile pronunciare quel nome assai curioso, così tutti lo chiamavano come il pastore del presepe..."Zicchibbacco"!
Ricordo che egli vestiva sempre di punto, con giacca, cappello e panciotto scuro, catenina d'oro dell'orologio appesa al taschino del panciotto e l'immancabile sigaro toscano tra le dita. Quando ritornava a casa la sera, portava con sé, tenute per una mano, appese dietro alle spalle, un paio di pentole o diversi ruoti di rame, che dovevano essere da lui stagnati. Rammento anche il banchetto di lavoro posto fuori al suo vascio, situato sulla Carrara, dove aveva una grande fucina con carbonelle, che "attizzava" con una sorta di mantice a manovella. La faceva girare così velocemente, con la forza delle sue esili braccia... mentre io restavo incantato ad osservare quei sapienti movimenti, ma anche incuriosito, chiedendomi spesso dove ricavasse tutta quella energia, non possedendo un fisico robusto...!
La figura più simpatica del posto era Tatunniello, chiamato da tutti con il soprannome di Pinocchio, forse per il suo particolare naso aquilino. Era conosciuto per la bravura e per l'arte che mostrava nel riparare le biciclette. Lì, proprio affacciato sulla strada, aveva un piccolo deposito pieno e zeppo di pezzi di ricambi di vecchie biciclette, talmente zeppo che non aveva nemmeno lo spazio per entrarci e, così, spesso riparava le biciclette stando praticamente in mezzo alla strada. Un secondo deposito l'aveva in via del Salvatore.
Altra figura leggendaria era mastu Giuvanne, che nella vecchiaia si era industriato a vendere gassose e birre nel periodo estivo e vino paesano sfuso, durante l'inverno; era, praticamente, il rifornitore di tutto il circondario. Il vino lo produceva in proprio e lo conservava nelle sue 'rotte o cellari. Da giovane era stato un bravo muratore e poi anche imprenditore di una piccolissima impresa edile a conduzione familiare, un tempo numerose nel quartiere di Piscinola. Lo ricordo sempre allegro e intento a divertirsi con battute spicciole, insieme agli altri vicini e conoscenti del luogo, spesso seduto sulle gradinate della vecchia masseria dei miei nonni. 
Un personaggio particolarmente simpatico era  quello che tutti chiamavano Zi' Monaco... Si vociferava che fosse stato veramente un monaco e che poi si era spogliato, ossia, avesse abbandonato lo stato di frate. Portava ancora i sandali senza calzini, forse per abitudine... Ricordo la sua curiosa figura, perché indossava un ampio pantalone, che sosteneva con una robusta cintura, allacciata abbondantemente al di sopra della sua poderosa vite... Anche lui si mostrava sempre gioviale nell'aspetto.
C'erano poi i vecchi contadini, come Aurlando detto 'e Scazzarella e Vicienzo, detto 'a Rossa, anche loro sempre con le battute scherzose pronte, mostrando sempre allegria e tanta voglia di vivere. 
Processione del SS. Salvatore in via Vecchia Miano, agosto 1978
Una dolce vecchietta, che ricordo ancora con affetto, si chiamava 'Ngiulina, mi diceva sempre delle frasi carine, chiamandomi semplicemente: 'oi To'... !
La cosa che mi rapiva allora, percorrendo questa strada e che, purtroppo, non ho più riprovato negli anni della maturità, era quel inconfondibile odore di terra bagnata, di legna bruciata nei camini, del profumo del pane cotto nei forni, e... quell'ambrosia di pastiere e di tortani dolci appena sfornati, durante la preparazione alla Santa Pasqua...! Profumi questi che ci appartenevano, come il nostro DNA, come l'aria che respiriamo, e che ci ricordavano ogni volta che quel posto natio era inconfondibilmente nostro e ci apparteneva da secoli e secoli...!
Curioso era ascoltare il tipico rumore dei bottari, quando a settembre, come a ritmo di una musica scritta da tempo, riparavano cupielli e mezavotte, preparando i recipienti di legno per l'imminente vendemmia.
Non era infrequente osservare galline ed anatre che spesso, abbandonando i cortili, razzolavano indisturbate in mezzo alla strada...
Quante volte, seduto sui gradoni della rampa, che conduceva al grande portale ad arco della mia masseria, osservavo per ore ed ore il via vai dei carri e delle carrette trainate da somari, muli e cavalli, accompagnati da quel loro fastidioso rumore metallico... Lo stridore era generato dal contatto delle ruote di ferro con le dure pietre di basalto vesuviano, con le quali era lastricata la strada. Di contro udivo anche il dolce suono dei campanelli sistemati sui decorati armamenti di cuoio, posti sulla groppa degli animali. 
L'ovaiola ('Ova fresca!)
Tra le tante, era singolare la carretta di Aurlando (Orlando), detto 'e Scazzarella, perchè era tutta "rattoppata" e deformata e aveva legata sempre dietro al pianale una piccola capretta. Spesso trasportava anche un grasso mastino napoletano, che portava con sé quando si recava nel suo podere coltivato a Scampia. 
Ogni tanto dalle varie stalle si udiva il ripetuto muggito delle mucche che, impazienti, attendevano di essere munte dalle anziane massaie. Al mattino e alla sera si assisteva al continuo via vai di bambini e di donne che si recavano da Anna, detta 'a lattara, per acquistare una porzione di latte fresco, ancora caldo, perché veniva munto proprio in quel momento. 
La mattina, poi, qualche mamma portava nella masseria il proprio pargolo, per "esporlo" all'ambiente umido della stalla: perché alcuni medici del tempo la ritenevano una terapia efficace per curare la cosiddetta tossa cummerziva, ossia la "tosse convulsiva", di cui erano spesso affetti i bambini. Ma ricordo anche il via vai dei pazienti che si recavano presso lo studio della brava dottoressa Giuseppina di Vaio, in un appartamento situato proprio sopra la "Carrara"
Venditore di "Spassatiempo", detto Palummiello, foto anni '90
Poi c'era Elvira, che faceva 'a serengara, ossia praticava iniezioni a domicilio. Portava con se la classica buattella di acciaio inox, con dentro siringhe di vetro e aghi di ottone, da dover preventivamente far bollire sulle fornacelle delle cucine in muratura... Oggi mi chiedo dove fosse allora la famigerata plastica, che tanto usiamo...?! 
Il marito di Elvira, che si chiamava Alfonso, era un bravo e tranquillo barbiere e aveva un negozietto, più su, verso la piazza B. Tafuri. Aveva il viso di un colorito rosso acceso, sul quale contrastavano due bellissimi occhi di un azzurro intenso. 
Ricordo una dolce e aggraziata fanciulla, che si chiamava Pina e abitava con i nonni in un appartamento di fronte alla nostra masseria. E' stata la mia cara amica d'infanzia. Purtroppo dopo il terremoto del 1980 l'ho persa di vista; era originaria di San Giorgio a Cremano. Quante volte l'ho fatta piangere per le mie innocenti marachelle, ma lei era così sensibile e delicata... e piangeva per un non nulla. Oggi, a distanza di tempo, vorrei tanto incontrarla per chiederle scusa!
L'arrotino ('o molaforbice)
Abbascio Miano era anche un continuo struscio di venditori ambulanti, che vi transitavano in ogni momento della giornata, ognuno con le loro caratteristiche e inconfondibili voci di richiamo. Ricordo la venditrice di ricotta 'e fuscella (dal nome dei canestini di vimini), il carrettino di Tatunniello, che negli afosi pomeriggi estivi vendeva prelibati gelati al limone (suonava ogni tanto un vecchio tamburello appeso al suo carro), la carretta di Palummiello che vendeva olive, semi di zucca, nocelline e lupini ('e spassatiempe) e, poi, l'accongiambrella (aggiustatore di ombrelli), 'o molaforbice (l'arrotino) che aveva il suo piccolissimo negozio mobile attrezzato su una bicicletta, la venditrice di ova fresca (uova di giornata) o di rarogne (rane), destinate a nutrire i bimbi anemici e, ma solo per finire, la venditrice di spighe di mais, chiamate 'e pullanghelle.  Le spighe erano vendute sia lesse che abbrustolite, ed erano trasportate dentro enormi pentoloni di rame, trainati a mano, su curiosi carrelli realizzati con cuscinetti d'acciaio inox.
Quando, in occasione delle solennità religiose, transitava la processione del SS. Salvatore o del Corpus Domini, questa stradina si vestiva a festa e si "imbandierava" di coperte coloratissime e merlettate. Dai balconi e dalle finestre si lasciava cadere una fantasmagorica "pioggia" artificiale, composta da petali di fiori di ogni genere e colore.

Via Vecchia Miano qualche anno fa. La zona è quella posta a sinistra della foto
Oggi abito ancora in questa strada, ma tutto quello che ho raccontato non esiste più...! Sembra che siano trascorsi secoli da allora, eppure tutto è accaduto appena 30 anni fa...! 
Questa strada oggi appare come gelida e triste e non conserva più niente del suo armonioso e semplice passato...! E' stato distrutto quasi del tutto l'antico caseggiato, le diverse masserie, i cortili, la Carrara, la strada vasulata, i viottoli pedonali e la bella campagna circostante... Anche la statua della Madonna è stata portata via e non più ricollocata al suo posto...! Gli abitanti di allora risultano oggi come "dispersi" tra le case popolari di Scampia o si sono trasferiti in piccoli alloggi che hanno realizzato in proprio, dopo anni di sacrifici, tra Mugnano e Melito. Molti anziani sono morti lontano dai loro luoghi di nascita.
Solo in pochissimi hanno fatto ritorno, dopo il completamento della "Ricostruzione".

E' come aver perso per strada un pezzo della propria vita..!!

Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

martedì 17 dicembre 2013

La chiesa della Madonna dell'Arco a Miano, tra storia, arte e leggende...!

Chissà quante volte siamo passati accanto, a volte anche accedendo al suo interno per partecipare a funzioni liturgiche, ma credo che siano in pochi a conoscere l'importanza e l'antichità di questo nostro monumento di storia, d'arte, di folclore e di religiosità: "nostro" perché ubicato nel nostro territorio, ovvero nella cosiddetta Area Nord di Napoli. La chiesa in questione è dedicata alla Madonna dell'Arco e si trova a Miano, vicino all'ex stabilimento della Birra Peroni. Le tracce storiche ci portano a far risalire le origini della cappella dedicata alla Madonna ai primi anni del XVI secolo, in quanto in un documento del 1542 è già menzionata la sua esistenza.
Nel libricino "Cenno storico della taumaturga effige di Santa Maria dell'Arco che si venera nella chiesa dei frati minori riformati in Miano", scritto da  Eusebio Partenico, del 1851, così si legge: 
..."Miano, Casale distante da Napoli due miglia in circa, possiede un prezioso tesoro, quale si è appunto la taumaturga Effige di S. Maria così detta dell'Arco, che quivi si venera entro la chiesa dei padri minori riformati".[...]
"...E' onorata la Divina Madre nella suddetta Effigie col titolo di Santa Maria dell'Arco perché esisteva dipinta a fresco sotto un arco di fabbrica in mezzo alla strada pubblica, che conduce alla via regia, per cui si va a Capua; e poco lungi dal Casale, appunto dove ora è la chiesa e il convento dei Padri Riformati. Quantunque non ci conosca con certezza, l'anno nel quale sia stato fabbricato questo arco, e vi sia stata dipinta la S. Effigie: non pertanto giudicavasi, che si discovrisse miracolosa, o verso la fine del XVI secolo o nel principio del XVII, in occasione del seguente avvenimento..." [...]
L'avvenimento prodigioso, di cui si parla, capitò a un giovane paralitico, di nome Giuseppe. Il poveretto si tratteneva spesso ai piedi dell'immagine per chiedere l'elemosina ai passanti. Un giorno udì una voce che lo esortava ad alzarsi, ma voltatosi più volte, non vide alcuna persona nei paraggi; la scena si ripeté per altre due volte, allorché Giuseppe pensò di alzarsi, ascoltando l'esortazione..., cosa che gli riuscì senza problemi..., gridando ovviamente al miracolo! La fama del prodigio fu tale che accorse sul luogo una moltitudine di persone, provenienti da tutto il circondario e anche da lontano. Molti furono i pellegrini che negli anni seguenti si recavano a venerare la prodigiosa immagine e a portarle dei doni in offerta. I prodigi si moltiplicarono e con le offerte dei devoti fu eretta una cappella e un ricovero di quattro stanze, che fu affidato ad alcuni eremiti, con l'incarico di vegliare la cappella e il luogo sacro. 
Intorno al 1624 la chiesa fu ampliata e fu costruito un convento affidato nel 1625 ai padri domenicani, dall'arcivescovo di Napoli, Decio Carafa. La presa in possesso della chiesa avvenne in modo definitivo solo nel 1631.
I prodigi continuarono a essere numerosi nei decenni seguenti. Siamo a conoscenza solo di due di questi eventi: il primo avvenne il 16 agosto del 1640. Un tale don Fabrizio Sanseverino, gentiluomo di Catanzaro, ottenne la guarigione da una terribile febbre malarica che l'aveva ridotto in fin di vita. Si era affidato alla Vergine venerata a Miano dopo aver saputo che un suo amico, tale Giovanbattista Confalone, aveva ricevuto anch'egli una grazia.
Il secondo miracolo avvenne del 1641: un dottore di nome Giacinto di Masi, residente in Lecce, aveva un figlio di nome Prospero, che era paralitico fin dalla nascita. Dopo vari e inutili tentativi di cura, pensò con la moglie di invocare l'aiuto divino. Quando il bambino aveva circa 4 anni, gli apparve la Madonna, come rappresentata nell'immagine di Miano, dicendogli "...fatti portare a casa mia che ti farò la grazia". Supplicando i genitori di poter recarsi in chiesa, come chiesto dalla Madonna, il bimbo non sapeva però indicare dove si trovasse l'affresco miracoloso, così i genitori lo portarono inutilmente nella famosa chiesa di Chiaia a Napoli. Avendo saputo della fama che godeva l'immagine prodigiosa venerata nel casale di Miano, i due genitori pensarono di portare lì il loro bambino. Appena il bimbo vide l'affresco, esortò la Madonna a fargli la grazia, come aveva promesso e, quindi, si alzò e iniziò subito a camminare verso l'altare, tra lo stupore delle persone che gli erano accanto. 
Dopo pochi decenni alla chiesa fu conferito il titolo di "Santuario", e fu affidata alla giurisdizione della "Congregazione Riformata della Sanità" dei padri Domenicani di Napoli. La chiesa si trovava situata all'epoca in aperta campagna, distante almeno 300 metri dall'abitato del casale di Miano (132 canne= misura dell'epoca).
Agli inizi del 1800 la chiesa della Madonna dell'Arco fu ridotta allo stato di abbandono, in quanto i Domenicani furono espulsi durante il decennio francese, a partire dal 1809.
Dopo oltre 34 anni di abbandono, nel 1842 fu affidata ai Francescani appartenenti all'Ordine dei Frati Minori Riformati (OFM). Da allora i frati realizzarono importanti lavori di restauro. 
In seguito alla costruzione del ponte di Bellaria, che collegava agevolmente Miano con Capodimonte e con il resto del centro cittadino, la chiesa riacquistò la sua fama e con essa il numero dei pellegrini accolti. 
All'interno della chiesa di Miano, a lato dell'altare maggiore, si conserva ancora la cappella contenente il celebre affresco della Madonna dell'Arco; infatti, su un pilastro antistante è posta una lapide marmorea che ricorda il primo miracolo avvenuto.
Alla fine dell'ottocento fu accolto, dagli amministratori cittadini, il desiderio degli abitanti di avere un cimitero autonomo dalla città e, così, una parte del giardino della Chiesa, forse già utilizzato in precedenza dai frati come "Terra Santa", fu adibito intorno al 1880 ad essere cimitero comunale per le frazioni di Miano, Marianella, San Rocco e Capodimonte, con la successiva aggiunta di Piscinola. Fu realizzato anche un collegio per la formazione dei bambini.
Sulla facciata principale un tempo era presente un bel tondo di ceramica maiolicata, contenete l'immagine della Madonna dell'Arco (al momento è stato asportato, forse per eseguirne il restauro). Le due statue in gesso poste sulla facciata raffigurano S. Domenico di Guzmàn e San Francesco d'Assisi, fondatori degli ordini religiosi che hanno nei secoli retto le sorti del santuario, vale a dire i Domenicani e i Francescani.
Bella e caratteristica è la torre campanaria posta a destra della facciata, terminante con un particolare cupolino "a cipolla", mentre sulla sinistra si può ammirare una elegante meridiana in marmo bianco.
Nella parte centrale, sopra al portale d'ingresso, è inserita una lapide marmorea (foto in alto), con la seguente scritta: 

Questo tempio che un tempo toccò in (per averne) cura ai frati dell’ordine dei predicatori all’inizio (nell’entrare) del secolo decimo settimo, la pietà e la munificenza dimostrata con il denaro lo eresse là dove prima era stata dipinta un’effigie beneaugurante della Madre di Dio sotto un arco di fabbrica presso il pubblico cammino. Poi i frati dell’ordine di S.Francesco della prov. napoletana rif(erirono) che, per il danno dei tempi, (era) squallido, corroso e quasi andato in rovina. Nell’anno 1842, non appena fu concesso che fosse restituito a loro, curarono che fosse ornato con tetto, pavimento, altari marmorei, statue che sembravano vive in bronzo campano e allestito con abbondantissima suppellettile. Nell’ anno 1861, il 22 Settembre, adoperandosi assai il venerando P. Francesco da Pianura, guardiano del convento che (niente di) nessun ornamento mancasse ai sacri edifici, l’illustrissimo e reverendissimo signor Domenico Ventura, arcivescovo della chiesa amalfitana, con ingente folla di abitanti dei dintorni esaminò con un rito solenne.


Purtroppo la chiesa attende "un energico" restauro esterno.

L'interno del tempio è a unica navata, con cappelle laterali e con una cupola (a sesto ribassato), che sovrasta l'altare maggiore. Interessante è la decorazione, realizzata con fregi, paraste e fiori in stucco bianco, forse opera di manovalanza mianese. 
Persiste ancora il pulpito in legno, forse del XVIII secolo e alcuni affreschi, ma molto ritoccati. Un tempo nella prima cappella a sinistra, si poteva ammirare un bellissimo e antico presepe in terracotta, poi andato purtroppo rubato.
Nel convento di Miano visse per molti anni fra Michelangelo Longo, amico del beato fra Ludovico da Casoria, morto in odore di santità nel 1886, nel convento "della Palma" a Capodimonte e sepolto nel cimitero di Miano. Le sue spoglie furono poi traslate nella chiesa di Miano e solo alcuni anni fa sono state trasferite nella sua città natale di Marigliano(Na). Nel 2008 fra Michelangelo Longo è stato dichiarato Venerabile.

La festa dell’”Architiello” ...

La festa dell’”Architiello” (o Archetiello) di Miano, tanto cara anche ai Piscinolesi di un tempo, oggi è una ricorrenza ormai dimenticata. Si svolgeva da diversi secoli nel largo antistante al Santuario di Miano. 
Nelle mappe antiche, la zona attorno all’antica chiesa viene indicata con il toponimo di “Architiello”.
Di questa festa si hanno notizie a partire dal XVII secolo. Infatti, già intorno all’anno 1631, l’autorità governativa napoletana, denominata “Collegio Collaterale”, considerata la cospicua affluenza di fedeli e la presenza di numerosi commercianti durante le feste di Pasqua, emise un’ordinanza volta a scongiurare ogni atto d’irriverenza, fuori al Santuario ed al convento, retti allora dai padri Domenicani. L’ordinanza era rivolta principalmente a coloro che svolgevano attività ludiche, giudicate dalla stessa “Collaterale”, moleste verso i fedeli ed i commercianti presenti.


Ecco il testo dell'ordinanza:




PHILIPPVS DEI GRATIA REX ETC.

CAROLVS DE TAPIA MARCHIO BELMONTIS

CON^RIVS, REGIÆQ CANCELLARIÆ   REGENS ET COMM_S  PER S. E.  DELEGAT

PER IL PRESENTE BANNO ORDINIAMO E COMANDIAMO CHE DA HOGGI NISUNA PERSONA DI QUALSIVOGLIA STATO, CONDIZIONE ARDISCA DI GIOCARE A MAGLIO E PALLE AVANTI LA CHIESA DI N. S. DELL’ARCO DEL CASALE DI MIANO PER QVANTO TENGONO LI CHIUPPI POSTI IN STRADA, NÉ ATTORNO LA CHIESA DEL MONASTER. PREDETTO SOTTO LA PENA ONZE CINQUANTA PER OGNI VOLTA DI ESEGUIRSI IRREMISSIBILMENTE CONTRO LI TRASGRESSORI AL REGIO FISCO E SOTTO LISTESSA PENA SORDIA ALL’UNIVERSITÀ DI DETTO CASALE, AFFITTATORI E GABELLOTI ET ALTRI MINISTRI A CHI SPETTA PRESENTI E FUTVRI CHE NON DEBBANO MOLESTARE SOTTO QUALSIVOGLIA PRETESTO LE PERSONE CHE VENDERANNO E COMPRERANNO ROBBE NELLA STRADA PREDETTA IN TUTTI I GIORNI DELL’ANNO ED IN PARTICOLARE DELLA SS. PASCA DI RESURREZIONE E PENTECOSTE, NÉ GL’ANIMALI CHE SARANNO IN DETTA STRADA E GL’OFFICIALI E CORTE DI DETTO CASALE PRESENTI E FUTURI DI TENERE PARTICOLAR PENSIERO DELL’OSSERVANZA DEL PRESENTE BANNO ET ACCIOCCHÉ VENGA A NOTITIA DI TUTTI ET BANNO UT SVPRA.                                                                                      
CAROL DE TAPIA FANASTASIVS ATCVAR


Purtroppo di questo interessante passato oggi  si è perso ogni traccia, come pure non si ricorda più nulla dell'antica tradizione dell'"Archetiello". Speriamo, come sempre, in una possibile futura riscoperta da parte delle giovani generazioni, con la ripresa del culto e della festa profana della Madonna dell'Arco di Miano.
Salvatore Fioretto


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Si ringrazia Anna Maria Montesano per la cortese collaborazione.

 

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