martedì 28 ottobre 2014

Ambiente e psiche.... (1^ parte) La Villa Russo di Miano



L’argomento qui trattato sarà sviluppato in più post, perché complesso e articolato, dato che è complessa e articolata la storia delle attività medico assistenziali esercitate e delle strutture realizzate nel territorio napoletano e in particolar modo a Nord di Napoli, favorite soprattutto dalla tranquillità e dall’amenità del paesaggio e per la salubrità del suo clima. Mi riferisco alle opere deputate alla cura delle persone affette da patologie neuropsichiatriche e quelle psicolabili.
Se il progresso di un popolo si misura da come vengono trattati e assistiti gli ultimi e i diversamente abili della società, allora possiamo dire che nei secoli passati c’è stata una particolarissima attenzione per queste problematiche, da parte dei vari regnanti che si sono succeduti nell’amministrazione del territorio, e dobbiamo anche aggiungere, a differenza di quanto avviene ai giorni nostri, dato che il problema dei “malati di mente” è tanto spesso trascurato e sottovalutato.
L'istituto provinciale "San Francesco di Sales" a Napoli
Nella capitale partenopea si ebbe, fin dal XVI secolo, una particolare attenzione per la cura e per l’assistenza delle persone affette da problemi psichici; infatti per la cura di queste patologie era stato demandato, praticamente fin dalla sua fondazione (nell’anno 1525), un reparto esistente nell’antico ospedale di “Santa Maria del Popolo”, meglio conosciuto come “Ospedale degli Incurabili”, fondato nel 1520, dalla pia donna di origini spagnole, al secolo Maria Lorenza Longo (Lonc). Dobbiamo però attendere la venuta dei Francesi, con il celebre “Decennio Giacobino”, per assistere alla realizzazione del più grande complesso di cura dell’allora penisola italiana, ossia il Morotrofio di Aversa, fondato da Gioacchino Murat nel 1813, considerato infatti il primo manicomio d’Italia. La grandiosa struttura, detta anche “Real Casa per Matti di Aversa”, fu realizzata nella cittadina normanna,  vicino alla chiesetta di S. Maria Maddalena (è detto per questo anche Complesso della Maddalena) e riusciva, per le sue ragguardevoli dimensioni (esteso su un’area di 170.000 mq) ad ospitare fino a 6000 pazienti, di qualsiasi età, sesso e condizione sociale, sia essi indigenti che facoltosi.
L'istituto provinciale "Madonna dell'Arco" di S. Anastasia
Presto qui si affiancò anche una sezione per i detenuti maniaco-criminali, fino a divenire il primo manicomio giudiziario d’Italia. Per le persone benestanti l’ospedale disponeva anche di reparti riservati, a pagamento, con stanze singole e con trattamenti personalizzati, anche per il tipo di assistenza prestata. Nel complesso di Aversa operarono le più illustre e illuminate menti del mondo medico-accademico dell’epoca, quali il prof. Biagio Miraglia, in ruolo nel nosocomio fin dal 1843, e per tal notorietà esso ebbe numerosi pazienti provenienti da ogni angolo del Regno. Con la sopraggiunta restaurazione borbonica il complesso di Aversa fu praticamente confermato nella gestione preesistente, senza apportare sostanziali modifiche all’organizzazione.
Locandina pubblicitaria della Casa di Salute di Miano 
Nel 1825, un medico dell’ospedale di Aversa, il dott. Giuseppe Santoro, dopo aver ottenuto l'autorizzazione dal Ministero degli Interno, ebbe la brillante idea di prendere in fitto un appartamento della famiglia Quattromani, sito nella frazione di Miano, complice il paesaggio e la vicinanza con la capitale, e qui vi impiantò il primo stabilimento di cura privato per matti, vale a dire il primo manicomio privato del Regno e, salvo smentite, forse il primo in Italia…, con rette di pagamento contrattate direttamente tra il fondatore ed i familiari dei pazienti. Il canone di fitto mensile della casa di Miano era di 25 ducati e 80 grani. Il medico Santoro capì, infatti, prima di tutti, la reale portata dell’investimento e le potenzialità di guadagno derivanti dall’esercitare pratiche di cure offerte in forma privata, conoscendo bene i problemi dell’ospedale di Aversa e le necessità di riservatezza delle classi agiate e dell’aristocrazia. Infatti tra costoro elevato era il numero di quelli che volevano far curare i propri parenti, affetti da problemi psichici, in piccole strutture loro riservate, evitando la bolgia esistente nel nosocomio di Aversa, la cui condizione di promiscuità scaturita dal contatto con il ceto popolare, favoriva indubbiamente l’accrescimento dei sintomi delle patologie depressive.
Il prof. Leonardo Bianchi
Occorre sapere che nell’ospedale psichiatrico di Aversa, pur disponendo a pagamento delle camere riservate per trascorrere la notte, non era possibile, invece, evitare la promiscuità diurna con i pazienti ricoverati, soprattutto con quelli in grave stato di salute mentale; esposizione questa che infondeva uno stato di particolare disagio e di sconforto nelle persone affette da patologie leggere e reversibili (definito contagio morale), che non aiutava di certo il loro rapido recupero. Poi il fatto di essere stati ricoverati ad Aversa ed esserne usciti guariti non toglieva all’ex malato l’onta impressa dalla società civile, ossia di essere stato un paziente ricoverato nel manicomio di Aversa...
Nel 1839 l'immobile di Miano fu venduto dal Cav. G. Quattromani a Santoro per la somma di 1300 ducati, con l'aggiunta di altri 121 ducati e 32 grani di interessi, da pagarsi in quattro rate, entro l'anno 1839. Lo stabilimento aveva una ricettività di circa 12 stanze, procurando al Santoro un reddito annuo di circa 1200 ducati.
Saggio teatrale eseguito da inferme ricoverate nella Villa Russo
Nel 1833 il dottor Santoro fu sicuramente l'artefice della fondazione di un’altra casa di cura privata, sorta poco distante dalla prima, in località Ponti Rossi. Questa struttura era inizialmente un casino di villeggiatura che fu rilevata dal profumiere Giuseppe Bayl, il quale aveva tentato lui stesso per primo di trasformarlo in manicomio privato, ma, non essendoci riuscito, cedette la proprietà a un certo Pietro Fleurent, anche se, a detta degli studiosi, in effetti Pietro Fleurent potrebbe essere stato solo un prestanome del dott. Santoro... perchè non era un possidente e aveva svolto in vita sua la mansione di semplice portiere nella Real Casa dei Matti di Aversa. Fleurent sicuramente conosceva il dott. Santoro... quindi il dubbio sulla proprietà resta fondato.... La struttura fu intitolata “Istituto per malattie nervose e mentali - Villa Fleurent”. Di questa struttura tracceremo tra non molto un post a parte…
L'isitituto provinciale "S. Francesco di Sales" di Napoli
Nella seconda metà del ‘800 si ebbe un proliferare di strutture private e pubbliche per la cura dei malati di mente, sia nella capitale che nel suo immediato suburbio.
Nell’allora Infrascata”, oggi Via Salvator Rosa, nacque nel 1881 l’Ospedale Provinciale di San Francesco di Sales (dal nome del convento esistente), mentre, nel 1871, il comune di S. Anastasia aveva già fondato il manicomio, detto ”Madonna dell’Arco”, perché ospitato nel convento della celebre chiesa. Le due strutture pubbliche si organizzarono dividendo i pazienti in modo che, al "Sales" erano ricoverati i folli non curabili, di ambo i sessi, mentre alla "Madonna dell’Arco" quelli curabili.
L'atrio interno e il monumento a Giuseppe Russo
Seguirono il "Regio Ospizio di San Gennaro e san Pietro" in ex moenia,  detto “dei poveri”, il manicomio privato “Leboffe” a Ponticelli, la “Villa Vernicchi” e il “San Francesco Saverio alle Croci”, detto “dei Miracolilli”, queste ultime due strutture si trovavano sempre in città. La clinica di Miano ebbe negli anni un notevole apprezzamento e successo, tanto che il Santoro rilevò diverse proprietà attigue e l’ampliò di molto, realizzando diversi reparti. La gestione Santoro si protasse fino al 1888, allorquando, essendo la struttura caduta in uno stato di abbandono, fu chiusa e di lì a poco fu rilevata dal possidente cav. uff. Giuseppe Russo, noto imprenditore originario di Miano, che aveva fatto fortuna producendo e commercializzando guanti di pelle. Russo ristrutturò il complesso, riportandolo al passato splendore e rinominandoloVilla Russo”, titolo che conserva ancora oggi. Con la gestione Russo la casa di cura di Miano ebbe una "nuova primavera", arruolando i medici e gli accademici più famosi dell’epoca e dotandosi di reparti divisi in prima, seconda e terza classe. Il manifesto pubblicitario che riportiamo in questo post, la dice lunga sul prestigio e importanza delle tante personalità che in essa svolsero la loro libera professione. Ricordiamo: Leonardo Bianchi, Pietro Castellino, Andrea Grimaldi, Giuseppe Buonanno, ecc.
La clinica stipulò negli anni diverse e importanti convenzioni con enti e province italiane, tra cui, degna di nota, quella con la provincia di Matera, convenzione che risulta rinnovata nel 1924 e protratta fino al 1960, per curare i pazienti originari della lucania.
Un reparto della casa di cura convenzionata di Miano
Nelle strutture di Miano si tennero, nel corso del secolo scorso, diversi convegni specialistici e simposi scientifici di levatura e importanza europea. A Miano, inoltre, si pubblicarono diverse riviste scientifiche attinenti alle problematiche psichiche, con l’istituzione di una vera e propria casa editrice, che fu chiamata "Casa editrice di Villa Russo". Infatti il prof. Andrea Grimaldi con il dott. G. F. Montesano fondarono, nel 1924, la “Nuova rivista di clinica ed assistenza psichiatrica e di terapia applicata" (con cadenza trimestrale); mentre, nel 1933 risulta che la società Russo, aveva fondato la “Rivista di Psicologia, neuropsichiatria e psicoanalisi” diretta inizialmente dallo stesso dott. Andrea Grimaldi (già vicedirettore della clinica e poi, successivamente, direttore per molti anni). 
Negli anni seguenti, siamo nel 1951, il dottor Marco Levi Bianchini (che fu direttore della clinica dal 1945 al 1957), diede vita nella struttura di Miano alla sua ultima iniziativa editoriale, la "Rivista di psicopatologia, neuropsichiatria e psicoanalisi", che diresse per sei anni, prima di ritirarsi a vita privata.
Nelle strutture di Miano era presente anche una sala teatrale, dove spesso i pazienti si poterono esibire come attori dilettanti, recitando testi teatrali.
L'insegna della casa di cura convenzionata
La struttura della Villa Russo di Miano è sopravvissuta fino a pochi anni fa, in gran parte rinnovata e convertita a clinica convenzionata con il S.S.N, specializzandosi nell’assistenza degli anziani e nella cura delle patologie senili e in geriatria. Purtroppo, nel novembre 2010, la Casa di Cura di Miano, con la sua bella storia bicentenaria alle spalle, è stata definitivamente chiusa, privando il territorio di un importante punto di riferimento sociale e culturale e di molti posti di lavoro, diretti e indiretti.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
L'ingresso principale e la facciata della casa di cura "Villa Russo"
N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

domenica 19 ottobre 2014

Un prete fratello... Don Francesco Bianco

Quando si descrive un territorio e si cerca di elogiare gli uomini che l'hanno reso grande, si è portati sempre a guardare indietro a un passato remoto, perché è convinzione comune a tutti, che gli uomini che hanno fatto grandi cose siamo vissuti secoli distanti, mentre ciò rappresenta un luogo comune quanto mai errato e infondato, così come dimostrerò adesso, apprestandomi in questo post a ricordare la figura di un nostro contemporaneo, che abbiamo conosciuto ed ammirato tutti...
Sono trascorsi solo alcuni mesi dalla sua scomparsa, è ci accingiamo nella prossima settimana a ricordarlo, sia come comunità civile che religiosa, mi riferisco al compianto sacerdote Don Francesco Bianco, parroco emerito della chiesa parrocchiale del SS. Salvatore in Piscinola. Infatti nei giorni 24 e 25 ottobre prossimi gli saranno dedicati un convegno e lo scoprimento di una targa ricordo nella piazza principale di Piscinola.
Don Francesco ha lasciato un vuoto non solo nella comunità ecclesiale di Piscinola, ma anche in quella civile, perché elevate sono state le sue doti umane e spirituali.
Prete moderno per il suo tempo, forse è stato uno dei primi ad applicare con gran efficacia i dettati del Concilio Vaticano Secondo, aprendo la parrocchia di un quartiere periferico alla comunità civile, chiamando i laici a impegnarsi assiduamente nella gestione delle strutture parrocchiali e nei vari ministeri presbiteriali. Egli ha esercitato la sua missione sacerdotale dedicandola interamente ai giovani, che amava smisuratamente, al di sopra di ogni cosa. La sua vita e le sue forze le ha dedicate per raccogliere, redimere e indirizzare sulla strada della rettitudine centinaia di ragazzi e ragazze del quartiere. Amore che è stato ricambiato dai giovani, tanto da considerarlo oltre un padre, un fratello, chiamandolo affettuosamente e semplicemente "Padre Bianco".
Per illustrare la sua vita, prendo in prestito la biografia che è stata recentemente letta in consiglio municipale della VIII Municipalità,  in occasione dell'approvazione della coniazione della targa memoriale nella piazza B. Tafuri a Piscinola.

"Francesco Bianco nacque a Napoli, il 9 maggio 1937.
Ha completato gli studi umanistici e teologici in preparazione al sacerdozio presso la Congregazione dei padri Redentoristi.
Ordinato sacerdote in data 14 marzo 1964.
Ha conseguito la laurea in Sociologia presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli il 4 maggio 1981.
Ha assunto l'incarico di professore presso la scuola statale "V. Irolli" di Napoli e, dal 1981, presso l'XI liceo scientifico di Napoli a Piscinola.
Dal 1969 ha ricoperto l'incarico di vice parroco presso la parrocchia di "Cristo Re" di Secondigliano Napoli e, dal 1973, per oltre un quarantennio fino alla morte avvenuta il 17 gennaio 2014, quello di vice parroco e parroco della millenaria chiesa del Santissimo Salvatore in Napoli a Piscinola.
Profondendo tutti i suoi personali guadagni e risparmi derivatigli dall'insegnamento e dall'esercizio del sacerdozio e con l'aiuto pecuniario e lavorativo di molti laici fortemente impegnati, ha realizzato in questi anni e lasciate alla chiesa parrocchiale, per l'intera comunità piscinolese, importanti e significative opere."
Tra le opere realizzate da don Francesco ricordiamo: 
-la casa di accoglienza per ritiri spirituali presso il comune di Campoli (BN) alle pendici del Monte Taburno, struttura complessa, su tre livelli, completa di cappella, cucina comunitaria, salone, refettorio, molte stanze singole e multiple. 
- la costruzione dell'oratorio parrocchiale, realizzato con l'acquisto della "proprietà Chiarolanza". L'oratorio comprende: un campo di calcetto, un campo di pallavolo/pallacanestro, un campo di bocce, un bar, i giardini, un ampio teatro, i locali per la Caritas Parrocchiale e, al piano superiore, una casa canonica per sacerdoti ed ospiti.
- la ristrutturazione statica e decorativa dell'edificio parrocchiale e della sacrestia, con l'acquisto di tutti gli arredi sacri in legno.
- l'assistenza dei poveri e dei bisognosi del quartiere, realizzando, con l'associazione "Banco Alimentare", la distribuzione continua e per molti anni, di pacchi viveri.
-un significativo sostegno alle opere missionarie per la realizzazione di un centro di recupero della gioventù in Perù e presso il centro missionario di Visciano.
Riservato, schivo, fuggiva dall'apparire, detestava il protagonismo specie quando c'era da raccogliere riconoscimenti, ma preferiva seguire a distanza l'efficacia delle sue opere. 
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)

sabato 4 ottobre 2014

Quando Capodichino perse l'Accademia dei Geni Avieri Ufficiali!

Tornei Ippici al Campo di Marte, disegni da riviste
Il territorio che tratteremo questa volta è stato fin dai tempi antichi votato per essere il luogo di dimostrazioni equestri e corse di cavalli, ma anche per parate militari e per "caroselli cerimoniali" della corte reale, parliamo del famoso "Campo di Marte" di Capodichino, dotato di un galoppatoio e anche di polveriera.
Con l'avvento delle prime esplorazioni in mongolfiera, a partire dalla metà dell'ottocento, divenne il campo dove avvenivano le cerimonie di partenza dei temerari piloti, che usavano questi mezzi considerati avveneristici per quell'epoca; addirittura si esibì anche una donna pilota di origini parigine, tale Marie Madaleine Blanchard. Ma su Campo di Marte ritorneremo presto con un altro racconto...

Facciata e ingresso principale dell'Accademia di Capodichino


Foto di gruppo di pionieri del volo, anni '10
Qualche decennio dopo, siamo nel 1910-14, fu la volta degli aeroplani, anche se ancora nella fase sperimentale... Qui fu realizzato il primo aeroscalo militare cittadino, organizzato dall'Aviazione dell'Esercito, ovviamente avente dimensioni molto contenute rispetto alla struttura odierna che, come è noto, è stato intitolato a Ugo Niutta, pilota sottotenente napoletano, caduto in missione nel 1916 e insignito della medaglia d'oro.
Anni dopo, a Capodichino, furono realizzati anche degli apposti hangar per ricoverare alcuni dirigibili dell'aviazione. 
Le autorità visitano i nuovi hangar di Capodichino
Nel 1925, con la fondazione della Regia Aeronautica Militare, il vecchio Campo di Marte fu interamente destinato a essere l'aeroscalo militare napoletano, che fu organizzato secondo tecniche e con strutture avveneristiche per l'epoca.
Intanto si iniziò a parlare della necessità di realizzare una nuova e prestigiosa sede per l'Accademia Aeronautica, per formare ufficiali e sottoufficiali. La decisione finale destinò Napoli a esserne la novella sede, con l'ubicazione stabilita su un'area a lato all'aeroporto di Capodichino.

Foto della cerimonia di posa della prima pietra, anno 1925
La prima pietra dell'edificio dell'Accademia fu posata il 28 giugno del 1925; a rappresentare il governo italiano fu il sottosegretario all'areonautica gen. Borzani. Si registrò per l'occasione la presenza delle più importanti autorità del tempo; la cerimonia ebbe la benedizione del vescovo D'Alessio.

I numeri della struttura progettata erano notevoli... per descrivere l'edificio prenderò in prestito l'articolo pubblicato su "Il Mezzogiorno" del 26-27 giugno 1925:

Bozzetto dimostrativo della struttura progettata


[...] Il Fabbricato:
I vari fabbricati della R. Accademia Aeronautica sorgeranno su una zona di terreno di circa 300 x 350 m di superficie e saranno:
a) Accademia propriamente detta,
b) Una palazzina per l'alloggio del Comandante della R. Accademia,
c) Una palazzina per l'alloggio degli ufficiali istruttori
d) L'infermeria con annesso padiglione per isolamento
e) Una casermetta per gli avieri comandati in servizio presso l'Accademia
f) Scuderia e garage
g) Servizio di  guardia
h) Alloggio per il guardiano
Detta zona di terreno trovasi nella strada comunale Capodichino-Poggioreale che confina con il campo d'aviazione di Capodichino e con il deposito della Società delle tramvie provinciali Napoli Aversa [...]

L'edificio dell'Accademia di Capodichino completato, visto dall'alto
Il progetto dell'edificio prevedeva aule, stanze e spazi vari per ospitare almeno 275 allievi, e cioè:
-150 allievi (accademia - 3 corsi)
-100 aspiranti (integrazione - 2 corsi)
-25 ufficiali (scuola di perfezionamento - 1 corso). 
Inoltre lo stesso edificio sarebbe stato in grado di ospitare almeno 120 ufficiali partecipanti ai "corsi superiori" di un anno, che non prevedevano l'alloggio per gli allievi, ma solo l'utilizzo delle aule didattiche e della mensa.
Ingresso su piazza Capodichino (ancora esistente)
L'edificio della Regia Accademia di Capodichino, una volta completato, avrebbe avuto uno sviluppo in pianta rettangolare, con ampio cortile centrale e comprendere tre livelli fuori terra e un ambiente seminterrato: ogni livello avrebbe avuto una superficie utile di 11.200 mq.
La distribuzione degli ambienti, così come pensata, doveva essere pressappoco questa:
Piano terra rialzato: sala d'aspetto, parlatorio per gli allievi, sala convegni,, mensa biblioteca e sala scrittura per gli ufficiali, la cappella, due locali per la visita medica, quattro sale per la ricreazione, reparto alloggi sottoufficiali, un refettorio per allievi, sala per la radiotelegrafia, radiotelefonia e segnalazioni; l'armeria, il museo, gli uffici del comando e altri ambienti.
Scalone centrale dell'Accademia di Capodichino
Piano primo: aule di scuola, i gabinetti di fisica e di chimica, il laboratorio di chimica, il gabinetto di fotografia, il gabinetto di aerologia, la sala convegno, una biblioteca per insegnanti, una sala per conferenze e proiezioni, una sala per ricevimenti, 25 camere da letto per gli ufficiali del corso di perfezionamento, i dormitori con 100 posti per gli allievi aspiranti e altri locali.
Piano secondo: aule di studio, magazzini, le camere da letto degli ufficiali e sottoufficiali di sorveglianza, i dormitori di 150 allievi, gli alloggi degli ufficiali addetti all'Accademia  e altri locali.
Piano seminterrato: celle di punizione, cucina per gli allievi, officina e sala motori, palestra, scherma, stireria e deposito biancheria pulita.
Esercitazioni militari nel cortile interno all'Accademia

La costruzione del bel edificio, con la facciata in stile neoclassico, andò per le lunghe e superò le più rosee aspettative, perdurando fino al 1929. L'edificio di Capodichino fu progettato da Armando Brasini, nato a Roma nel 1880, che ebbe a sviluppare in Italia altri importanti progetti di caserme.
Sulla facciata si aprivano tre portoni di ingresso, dai quali si poteva accedere a un vasto androne. 
Durante il perdurare della costruzione dell'edificio di Capodichino, i corsi di ufficiali e sottoufficiali si tenevano ancora nella sede dell'Accademia di Livorno, dove la situazione iniziò a diventare insostenibile, perché negli stessi locali dell'Accademia livornese erano tenuti sia i corsi per allievi ufficiali della Marina e sia per quelli dell'Aeronautica. 
Nell'anno accademico 1927-28 la sede dei corsi per ufficiali e sottufficiali della Regia Areonautica, fu spostata a Caserta: si disse provvisoriamente... (sic!), per consentire il completamento di Capodichino.
Foto di gruppo di avieri sottoufficiali, anno 1935
Ma, intanto, più voci si levarono e da più parti..., iniziando con l'affermare che la sede di Capodichino si dimostrava già inadeguata per l'Accademia e così, come spesso accade da noi..., ogni cosa,  quanto provvisoria possa apparire, non tarda a diventare una cosa definitiva!!  E... Caserta continuò a essere considerata la sede provvisoria dell'Accademia fino al 1932, per diventare tacitamente la sede definitiva; mentre il non vicino aeroscalo di Capua ospitò la scuola di pilotaggio per gli allievi della stessa Accademia.
Napoli e Capodichino ebbero quindi la magra consolazione, a partire dal 1929, di ospitare la scuola di radioelettricisti. Dal 1930 l'insediamento assunse poi la denominazione di "Distaccamento della Scuola Specialisti Arma Aeronautica di Capua". 
La struttura di Capodichino iniziò di lì in poi ad ospitare i corsi di allievi specialisti dell'Aeronautica, garantendo la capienza fino a 275 allievi, per ciascun anno accademico.
Parata militare di avieri davanti all'ingresso principale dell'Accademia
Intanto con la seconda guerra mondiale l'aeroporto di Capodichino fu tra i siti cittadini a subire i più ingenti danni, insieme alla stazione ferroviaria e al porto di Napoli. L'edificio dell'Accademia fu purtroppo gravemente danneggiato da numerosi raid dell'aviazione anglo-americana. 
Quello che si vede oggi, osservando il lato d'ingresso dell'aeroporto militare, sul corso gen. Umberto Maddalena, rappresenta la parte centrale della antica facciata e quindi della struttura che si è riuscita a recuperare, mentre sulle parti demolite, altri edifici sono stati costruiti nel tempo, senza rispettare però i caratteri architettonici originari.
Salvatore Fioretto
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente)
Foto dell'Aviere Sottotenente U. Niutta, medaglia d'oro
 
Dipinto di F. P. Diodato, "Il campo di Marte" nel 1895

N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.

sabato 27 settembre 2014

Quando la bionda nasceva in collina...a Miano!




Veduta dall'alto dello stabilimento, con panoramica sull'abitato di Miano

Napoli vanta un'antica tradizione nella produzione della birra: è stata un importante centro di produzione della famosa "bionda", forse tra i più antichi d'Italia...
Inizialmente gli impianti esistenti erano di dimensioni modeste e limitati ad alcuni monasteri e piccole imprese a conduzione familiare, anche per la difficoltà di creare e conservare il "freddo", importantissimo per la produzione della birra su scala industriale.
Veduta dall'alto della vecchia birreria a Capodimonte. In alto a destra s'intravede la Reggia di Capodimonte

Fu la famiglia Peroni a impiantare un primo stabilimento italiano di produzione della birra a carattere industriale, a Vigevano nell'anno 1846, ma la svolta produttiva si ebbe nel 1905, quando i fratelli Giovanni e Cesare Peroni, dopo attenti studi ed esperienze intraprese oltralpe, in particolare presso gli esperti maestri birrai tedeschi, introdussero in Italia l'arte di fare birra "a bassa fermentazione". 
Foto notturna interna allo stabilimento di Miano
Negli anni che seguirono i Peroni ebbero un notevole successo, fino ad acquisire diverse piccole realtà produttive italiane, come le preesistenti "Birrerie Meridionali di Napoli", che a partire dal 1930 furono rinominate in "Birra Peroni Meridionale". La sede dello stabilimento napoletano era impiantata a Capodimonte, al corso Amedeo di Savoia, nel luogo dove oggi sorge un grosso condominio di abitazioni private. Ma lo stabilimento di Capodimonte si mostrò subito insufficiente per la aumentata richiesta di produzione di birra, anche perché non consentiva la possibilità di una espansione produttiva.
Corso A. Di Savoia con a lato il muro del vecchio stabilimento
Si decise quindi per la delocalizzazione dello stabilimento. Fu Franco Peroni a far costruire a Miano il birrificio più moderno dell’epoca, che fu completato e inaugurato, a distanza di pochi anni, nel 1953. La zona era allora ancora una parte periferica della città di Napoli dedita prevalentemente all'agricoltura.
Lo stabilimento napoletano era avveneristico per l'epoca, perché dotato di ampi e moderni locali e capannoni, impianti di produzione e di imbottigliamento a ciclo continuo e ben quattro pozzi di notevoli profondità, che lo rendevano autonomo per il fabbisogno di acqua. In ricordo del fondatore, Franco Peroni, nei giardini del bel parco interno allo stabilimento fu realizzata una bella fontana artistica.
Stabilimento di Miano in costruzione, vasca di fermentazione
In prossimità dell'ingresso principale fu costruita la "Terrazza Peroni": un locale pizzeria/birreria, con una vasta terrazza all'aperto, dove era possibile gustare, in ogni periodo dell'anno, la birra "alla spina" prodotta nel vicino stabilimento. La Terrazza Peroni ebbe un grande successo, moltissimi infatti erano gli avventori che provenivano da ogni parte della città e anche da fuori provincia, giunti in questo locale per trascorrere una serata spensierata tra amici e parenti, all'insegna della buona birra italiana.
Edificio con le vasche di fermentazione della birra
A pochi anni di distanza furono inaugurati in Italia altri tre importanti stabilimenti: nel 1963 a Bari, nel 1971 a Roma e nel 1973 a Padova. Nel 1963 la "Birra Peroni" ebbe un grosso salto di qualità, con la creazione, nel proprio ambito industriale, del marchio "Nastro Azzurro": una qualità di birra che riscosse subito un grande successo in Italia ed all'estero.
Gli anni ‘70-’80 registrarono la crescita delle esportazioni e l'affermazione della birra italiana sui mercati esteri, fino a raggiungere gli Stati Uniti d'America.
Nell'ultimo ventennio del secolo scorso lo scenario europeo e mondiale è cambiato notevolmente a causa del mercato globale, che impone sostenute forme di concorrenza, specie con i nascenti mercati asiatici...
Reparto di imbottigliamento di Miano, foto anni '60
Nel 1984, per reggere il passo, furono chiusi diversi depositi e stabilimenti italiani della Peroni, come quello di Livorno, mentre la produzione restava concentrata solo negli stabilimenti di Roma, Napoli, Bari e Padova.
Arriva, infine, il tempo delle "multinazionali" anche nel campo della produzione birraia in Italia...! Nel 2003, l'ultima discendente della famiglia Peroni vende la maggioranza delle azioni a una multinazionale sudafricana. 
Nel 2005 chiude lo stabilimento di Miano, giudicato dai dirigenti poco strategico per gli obiettivi industriali e commerciali del nascente gruppo.
Veduta dall'alto dello stabilimento di Miano


La chiusura dello stabilimento di Miano segna, purtroppo, la fine dell'unica realtà produttiva di grande respiro esistente nel territorio a nord di Napoli, che forniva lavoro a oltre 150 dipendenti, con grandi ripercussioni anche su un vasto indotto, esteso a tutta l'area napoletana.
A distanza di tempo, l'area dell'ex fabbrica di Miano attende la conclusione dell'intervento di ristrutturazione urbanistica, allo stato messo in cantiere, che prevede la realizzazione di un albergo, di civili abitazioni, di un centro commerciale, di una scuola, di una palestra e di un parco pubblico.  

Salvatore Fioretto 
(Tutti i diritti per la pubblicazione dei testi del blog sono riservati all'autore, ai sensi della legislazione vigente) 
 
                                                     Cartoline d'epoca con la vedute dall'alto dello stabilimento e di Miano
 



N.B.: Le foto riportate in questo post sono state liberamente ricavate da alcuni siti web, ove erano pubblicate. Esse sono state inserite in questa pagina di storia della città, unicamente per la libera divulgazione della cultura, senza alcun secondo fine o scopo di lucro.